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Il benessere equo e sostenibile in Italia

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Presentazione sul tema: "Il benessere equo e sostenibile in Italia"— Transcript della presentazione:

1 Il benessere equo e sostenibile in Italia
La multidimensionalità della povertà: come la ricerca può supportare le politiche locali Il benessere equo e sostenibile in Italia Enrico Giovannini Roma, 23 maggio 2012 Sessione III: La relazione tra povertà e benessere nei rapporti nazionali

2 Tempi di crisi … Mentre le élite politiche determinanti, insieme ai loro consulenti tecnocratici e agli staff amministrativi, possono rappresentare se stesse come coloro che guidano la marcia verso il progresso, e vantarsi di avere conseguito risultati quantitativi di riferimento su tassi di crescita, impieghi, bilance dei pagamenti, ripartizione del reddito, finanze dello Stato, ecc., la questione di ciò che bisogna evitare e impedire deve, al contrario, essere risolta tenendo conto della situazione dei cittadini normali e della loro valutazione degli effetti secondari negativi del progresso economico … … Il primo dilemma del progresso consiste dunque nel fatto che noi continuiamo a fare cose di cui è evidente che in futuro, a posteriori, ci dovremo pentire – e questo tanto sul piano tecnico-materiale quanto su quello della prospettiva morale. Se continuiamo ad applicare simili criteri obsoleti, continueremo a fare cose che in coscienza non possiamo fare, cioè che non possiamo fare con un giudizio imparziale sulle conseguenze prevedibili del nostro agire …

3 Benessere Equo e Sostenibile
Nel 2010 l’Istat ha lanciato un’iniziativa congiunta con il CNEL per la misurazione in Italia del Benessere Equo e Sostenibile. Benessere: analisi multidimensionale degli aspetti rilevanti della qualità della vita dei cittadini. Equo: attenzione alla distribuzione delle determinanti del benessere tra soggetti sociali. Sostenibile: garanzia dello stesso benessere anche per le generazioni future.

4 L’iniziativa Istat/CNEL: i passi
L’iniziativa mira a produrre una serie di indicatori in grado di offrire una visione condivisa di progresso per l'Italia. L'iniziativa prevede: Comitato d’indirizzo che ha elaborato una definizione condivisa di progresso attraverso 12 domini; Commissione scientifica che seleziona gli indicatori per ogni dominio entro i primi mesi deal 2012; Consultazione pubblica: “Una decisione legittima non rappresenta la volontà di tutti, ma deriva dalla deliberazione di tutti (Manin 1987) Il processo si chiuderà a fine 2012 con la pubblicazione del primo rapporto congiunto Istat-CNEL sulla misura del Benessere in Italia.

5 I domini del BES

6 Misure del benessere: il sito

7 La consultazione (1): Il questionario e il blog
Importanza di misurare il benessere Valutazione delle 12 dimensioni Specificità italiane Utilizzo finale dello strumento Discussione più approfondita sugli aspetti rilevanti del problema. Trasmissione di documenti utili al dibattito. È possibile inviare un post a

8 La consultazione (2): L’indagine Multiscopo dell’Istat
Punteggio da 0 a 10 attribuito alle dimensioni del benessere – Anno 2011 Media % di 10 Essere in buona salute 9,7 79,9 Poter assicurare il futuro dei figli dal punto di vista economico e sociale 9,3 66,1 Avere un lavoro dignitoso di cui essere soddisfatto 9,2 59,5 Un reddito adeguato 9,1 56,0 Buone relazioni con amici e parenti 53,2 Essere felici in amore 9,0 53,6 Sentirsi sicuri nei confronti della criminalità 56,3 Un buon livello di istruzione 8,9 48,8 Il presente e il futuro delle condizioni dell'ambiente 48,3 Vivere in una società in cui ci si possa fidare degli altri Istituzioni pubbliche in grado di svolgere bene la loro funzione 8,8 46,6 Servizi di pubblica utilità accessibili e di buona qualità 8,7 43,9 Tempo libero adeguato e di buona qualità 8,5 37,4 Poter influire sulle decisioni dei poteri locali e nazionali 7,8 30,6 Partecipare alla vita della comunità locale 7,1 18,7 Fonte: Istat

9 Il reddito disponibile delle famiglie (1/2)
Potere d’acquisto delle famiglie – Anni 2001e 2011 Il reddito disponibile delle famiglie in termini reali è caduto dall’inizio della crisi del 6,3% e non ha goduto della stessa, seppur modesta, ripresa del Pil. La distribuzione del reddito è peggiorata nell’ultimo decennio in quasi tutti i paesi europei, con poche eccezioni. L’indice di Gini è applicabile a variabili continue come il reddito, non si può invece usare per misurare le diseguaglianze di variabili qualitative o dicotomiche. Indice di Gini – Anni 2000 e 2009 In Italia l’indice è più elevato della media europea ed è aumentato di 2,5 punti (da 29 a 31,5) più che in Francia (1,8), ma meno che in Germania (4,1) Fonte: Eurostat

10 Il reddito disponibile delle famiglie (2/2)
Reddito disponibile pro capite Il mezzogiorno è più povero e più diseguale Nel Mezzogiorno il reddito disponibile è solo il 75% del livello nazionale. La caduta del reddito disponibile tra il 2008 e il 2009 oscilla tra il -7,8 del Nord-ovest al -5,4 del Mezzogiorno L’indice di Gini passa dal 33,2 della Campania al 24,3 di Trento Indice di Gini nelle regioni italiane

11 I consumi Spesa per consumi finali delle famiglie consumatrici (variazioni annuali) I consumi delle famiglie sono caduti attraverso la crisi per poi riprendersi nel 2010 Fonte: Istat, Contabilità nazionale Fonte: Istat Spesa mediana mensile delle famiglie per ripartizione geografica – euro, Al Mezzogiorno si spende in media l’80% del valore nazionale (a discapito della spesa in tempo libero e cultura) I consumi rappresentano forse meglio del reddito il benessere economico delle famiglie. Tra le diverse fasce della popolazione anche in questo caso si notano differenze rilevanti. Oltre euro separano la spesa mediana mensile delle famiglie di operai (2.044 euro) da quella delle famiglie di imprenditori e liberi professionisti (3.104 euro), mentre scende a euro la spesa delle famiglie con a capo un disoccupato, una casalinga o una persona in altra condizione non professionale. La diversa dimensione familiare determina livelli di spesa e allocazione del budget disponibile differenti, anche per effetto delle economie di scala. In particolare, il livello di spesa media (e mediana) aumenta in misura meno che proporzionale rispetto al numero di componenti. Nel 2010, ad esempio, la spesa media mensile per una famiglia composta da un solo individuo è circa il 70% di quella delle famiglie di due componenti. Una coppia con tre figli spende solo il 20% in più di una coppia senza figli A livello geografico, nel mezzogiorno il livello dei consumi è il 20% più basso della media nazionale. Agli estremi troviamo la Lombardia e la Sicilia, con una differenza di oltre 1000 euro nella spesa mensile (2900 vs. 1700). Le regioni del Sud mostrano così una quota molto più alta di spesa dedicata ai beni alimentari (oltre il 25% in Campania, Calabria e Sicilia vs. il 15% dell’Emilia Romagna, TAA e Val d’Aosta) a discapito della spesa in tempo libero e cultura. Le regioni del Centro registrano invece la spesa più elevata per l’abitazione, oltre il 30%. Spesa mediana mensile delle famiglie per tipologia familiare – euro, 2010 Le dimensioni familiari si avvalgono di economie di scala, tuttavia le coppie con tre figli spendono solo il 20% in più di una senza figli.

12 I risparmi Propensione al risparmio delle famiglie (1999:t1-2011:t3). Valori percentuali La propensione al risparmio, pari all’11,6% del reddito disponibile, è caduta di 4,7 p.p. dal 2008 e di 6,0 p.p. dal 2002 Nel 2008, poco più di un terzo delle famiglie ha potuto risparmiare: le maggiori difficoltà al sud, nelle famiglie con più bambini e in quelle il cui principale percettore è una donna. La diffusione della capacità di risparmio evidenzia forti differenze territoriali e legate alle dimensioni e al ciclo di vita familiare. Famiglie che non riescono a risparmiare, 2008, per 100 famiglie

13 La povertà Popolazione in famiglie a rischio di povertà o esclusione dopo I trasferimenti sociali Nel 2010 la povertà relativa è stabile al 10% - di cui 4,9% al Nord e 23% al Sud Nel 2009, quasi un quinto della popolazione (18,4%) è a rischio di povertà o esclusione (contro il 16,3 % dell’UE). Fonte. Eurostat Incidenza di povertà assoluta per ripartizione geografica. Anni (valori percentuali) La crisi del ha determinato un aumento dell'incidenza della povertà assoluta dello 0,5% L'aumento è stato inizialmente nelle regioni del Mezzogiorno, dove tra 2007 e l'incidenza è salita dal 5,8 al 7,9% Nel 2010 si ha un recupero nel Mezzogiorno, e un aumento al Centro (+1%) Fonte: Istat

14 Il ruolo dei trasferimenti
Indice di Gini prima e dopo tasse e trasferimenti – Ultimo anno disponibile Tasse e trasferimenti svolgono un importante ruolo ridistributivo riducendo la disuguaglianza. In Italia di quasi 2 punti. Popolazione in famiglie a rischio di povertà o esclusione prima e dopo I trasferimenti sociali I trasferimenti contribuiscono a ridurre anche la povertà. Ma tale riduzione è in Italia del 5,1%, contro l’8,3 dell’Area Euro, il 14 del Regno Unito e l’11,5 della Francia, mostrando una minore efficacia del sistema di welfare

15 La ricchezza Nel 2010 la ricchezza lorda delle famiglie era miliardi, in media 400mila euro per famiglia. Le attività finanziarie rappresentano il 38% delle attività, una quota in diminuzione. Nell’ultimo anno le passività sono cresciute del 4,2%. La ricchezza netta è pari a 8,3 volte il reddito disponibile, ma è molto più concentrata. L’Indice di Gini (nel 2008) è pari a 0,63 (quasi doppio rispetto al reddito) Il 10% più ricco detiene il 44,5% della ricchezza; il 50% più povero ne detiene il 9,8% Fonte: Banca d’Italia (2011 e 2010),

16 L’occupazione Nel nostro paese i tassi di occupazione sono tradizionalmente bassi, nonostante i progressi dell’ultimo decennio In Italia, nel primo trimestre 2012 il livello era di circa 550mila unità inferiore rispetto a quattro anni prima (Q1:2008) Il divario è concentrato nella componente femminile, anche se la crisi ha colpito specialmente gli uomini Occupati e disoccupati in Italia – 2004 – 2012:t1 Dopo un significativo calo nel 2010, nella seconda metà del 2011 il numero di disoccupati è tornato a crescere: a gennaio 2012 sono il 9,2% della forza lavoro

17 L’occupazione femminile
I tassi d’occupazione femminili in Italia sono tra i più bassi d’Europa: il 46,8% contro il 58,5 dell’UE27 Il divario di genere nei tassi di occupazione dell’Italia (-20,2 p.p.) è secondo solo a quello di Malta Tasso di occupazione della popolazione di anni per sesso nei paesi Ue – T4-2011

18 La distribuzione familiare del reddito
In Italia il 33,7 % delle donne tra i 25 e i 54 anni non percepisce redditi a fronte del 19,8 nella media UE: Nei paesi scandinavi sono meno del 4%, in Francia il 10 % e in Spagna il 22,8% Coppie per contributo delle donne al reddito della coppia

19 Le diseguaglianze nel lavoro
I fattori di diseguaglianza si sommano tra loro: è il caso delle madri europee con figli in età scolare e con diverso titolo di studio. Il tasso d’occupazione in Italia scende al 37,6% per le madri con un titolo inferiore alla terza media è occupata (a fronte del 50% della media europea). Per chi ha ottenuto titoli superiori le differenze con gli altri paesi sono più contenute (81,9 vs 85,7 per le laureate) Tasso d'occupazione delle donne con figli in età scolare (6-11) per livello di istruzione I giovani in età compresa tra i 18 e i 29 anni rappresentano ben il 40% dei 2,1 milioni di disoccupati (813 mila unità). Il tasso di disoccupazione, per questi giovani, è salito dal 14,9 per cento del 2008 al 19,9 del 2010 (quello complessivo dal 6,7 all’8,4 per cento). L’indicatore arriva al 30,3 per cento nel Mezzogiorno e al 23,0 per chi ha solo la licenza media. Le giovani donne registrano un tasso di quasi 2,7 p.p. superiore ai maschi. L’Italia registra un tasso d’occupazione femminile del 46%, a fronte di una media europea del …. . Alle diseguaglianze di genere si aggiungono anche quelle di istruzione: ne risulta che il tasso d’occupazione delle madri italiane (con figli 6-11 anni) con la licenza media (37%) si attesta alla metà delle omologhe finlandesi (70) e a meno della metà di quello delle madri italiane con un titolo universitario (80%). Fonte: OCSE

20 Le diseguaglianze nel lavoro domestico
Indice di asimmetria delle attività di lavoro domestico e acquisti di beni e servizi nelle coppie con donna di anni Le donne italiane si fanno carico del 77% lavoro domestico se lavorano, del 90% se non lavorano. Lavare e stirare restano attività quasi completamente femminili. Indice di asimmetria: utilizzato nell’indagine “Uso del tempo”, indica la quantità di lavoro familiare svolto dalle donne sul totale di quello svolto da entrambi i partner. Tale indice assume valore 100 nei casi in cui il lavoro familiare ricada esclusivamente sulla donna, è pari a 50 in caso di perfetta condivisione dei carichi di lavoro familiare; i valori compresi tra 0 e 49 e quelli compresi tra 51 e 99 indicano un carico di lavoro, progressivamente più sbilanciato, rispettivamente sull’uomo o sulla donna. Solo in una coppia su venti sono equamente distribuiti sia il contributo ai redditi sia il lavoro domestico Fonte: Istat

21 L’occupazione giovanile
Il tasso di disoccupazione giovanile è aumentato sensibilmente attraverso la crisi superando il 30% al Mezzogiorno. Il recupero del 2011 segnerà però un nuovo peggioramento in questo inizio d’anno Disoccupazione giovanile ( anni) – Fonte: Istat NEET anni per i paesi dell’UE, incidenze percentuali, 2010 Nel 2010, in particolare, il numero di giovani tra 15 e 29 anni fuori dal circuito formativo e lavorativo (Neet) sono stati di 2,1 milioni di unità, il 22,1 per cento della popolazione corrispondente, con una crescita del 17,8 per cento rispetto al Si tratta di una una quota nettamente superiore a quella tipica degli altri paesi europei (in media, il 15,3%) e inferiore solamente alla Bulgaria La quota è più alta nel Mezzogiorno (31,9%, oltre il 35% in Sicilia e Campania) e più bassa…. NEET 15-2 anni, 2010 In Italia nel 2010 c’erano 2,1 milioni di NEET, il 22,1% dei giovani tra i 15 e i 22 anni, l’incidenza più alta dopo la Bulgaria Fonte: OCSE

22 La salute: un bene prezioso, ma relativamente disponibile
Speranza di vita alla nascita per livello di istruzione La speranza di vita in Italia è elevata e le diseguaglianze relativamente ridotte rispetto al livello di istruzione Gli italiani godono della speranza di vita più alta e nella società italiana si registrano diseguaglianze relativamente contenute se osservate nel contesto internazionale Adulti che dichiarano di essere in buona salute: rapporto tra 1° e 5° quintile di reddito Le condizioni di salute variano col reddito, ma meno che in altri paesi 1,32 Fonte: OCSE

23 Reti sociali: più care giver raggiungono meno famiglie
Le persone coinvolte nelle reti di solidarietà sono aumentate dal 20,8% del 1983 al 26,8% nel 2009. Nello stesso periodo, però, le famiglie che beneficiano del supporto delle reti di aiuto informale sono diminuite dal 23,3 al 16,9% Cambiano anche le direttrici dei flussi di aiuto: nel 1983, al primo posto erano le famiglie con individui ultraottantenni; nel 2009, quelle con bambini sotto i 14 anni e madre occupata Famiglie che ricevono aiuti informali per tipologia. (Valori percentuali per 100 famiglie con le stesse caratteristiche) In poco più di venticinque anni, le persone coinvolte nelle reti di solidarietà sono aumentate in misura significativa: la quota di individui che forniscono almeno un aiuto (care giver) passa, infatti, dal 20,8 % del 1983 al 26,8 % del Nello stesso periodo, nonostante il considerevole incremento di popolazione anziana e molto anziana, si riducono di molto le famiglie che beneficiano del supporto delle reti di aiuto informale (dal 23,3 % del 1983 al 16,9 del 2009). Più care giver, dunque, raggiungono meno famiglie. Cambiano profondamente anche le direttrici dei flussi di aiuto: nel 1983 ai primi posti della graduatoria delle famiglie più aiutate dalla rete informale si collocavano le famiglie con individui ultraottantenni (35,5 %), mentre le famiglie con un bambino con meno di 14 anni e madre occupata si trovavano solamente al quinto posto. Nel 2009, al contrario, è proprio quest’ultimo tipo di famiglia a guadagnare la prima posizione (37,5 %), mentre le famiglie con almeno un anziano di 80 anni e più scendono al terzo posto della graduatoria (26,3 %). Le donne, sempre più sovraccariche per il numero di ore di lavoro familiare all’interno del proprio nucleo, condividono di più l’aiuto con altre persone e diminuiscono il tempo mediamente dedicato agli aiuti (da 37,3 nel 1998 a 31,1 ore al mese nel 2009). Diminuisce anche il tempo che gli uomini dedicano agli aiuti (da 26,4 a 21,5 ore al mese).

24 Reti sociali: l’aiuto è offerto soprattutto dalle donne
Le donne continuano a essere il pilastro delle reti di aiuto informale sia come persone coinvolte sia per carico di lavoro erogato Le donne sono anche le più attive nelle attività domestiche, di compagnia e sostegno allo studio, mentre le pratiche burocratiche sono divise equamente, e gli uomini si fanno carico dei tre quarti delle ore di aiuto per il lavoro extradomestico Ore di aiuto erogate nei dodici mesi precedenti l'intervista a persone non coabitanti per tipologia di aiuto e sesso. (Composizioni percentuali ) L’aumento della quota di individui che forniscono almeno un aiuto (care giver) (dal 20,8 % del 1983 al 26,8 % del 2009) è stato accompagnato da una riduzione del numero medio di ore dedicate agli aiuti informali e da un crescente numero medio di tipi di aiuti per care giver (da 1,3 nel 1983 a 1,7 nel 2009). Cambia anche la distribuzione delle ore erogate dalla rete informale per assistere gli adulti e i bambini: nel 1998 il numero di ore dedicate in un anno all’assistenza di adulti era di poco inferiore a quello destinato ai bambini (759,3 milioni, contro 805,5 milioni); nel 2009 il numero di ore per gli adulti subisce una flessione (730,5 milioni) e il numero di ore per la cura dei bambini cresce di oltre il 50 % (1 miliardo e 322 milioni). Diminuiscono tra il 1998 e il 2009 anche le ore dedicate alle prestazioni sanitarie, mentre aumentano quelle per compagnia e accompagnamento. Le donne continuano a essere il pilastro delle reti di aiuto informale sia come persone coinvolte sia per carico di lavoro erogato: considerando il tempo dedicato solamente all’aiuto principale, alle donne si devono annualmente 2,2 miliardi di ore destinate ai componenti di altre famiglie, pari ai due terzi degli oltre 3 miliardi di ore spese complessivamente dalla rete informale per l’aiuto principale. Diverso il coinvolgimento di donne e uomini nei differenti tipi di aiuto: le ore di attività domestiche sono svolte soprattutto dalle donne (84,5 %), così come quelle per assistenza di adulti (73,0), cura di bambini (66,7), aiuto nello studio (61,5), compagnia, accompagnamento e ospitalità (57,2) e prestazioni sanitarie (57,1 %).Le ore di aiuto per pratiche burocratiche sono equamente divise (50,4), mentre le ore di aiuto per il lavoro extradomestico (ad esempio aiuto di un familiare nella gestione di un negozio o dell’attività lavorativa) sono svolte da uomini per il 75,2 %.

25 Reti sociali: alcune diseguaglianze
La costruzione del capitale sociale dipende dai livelli di istruzione e dal reddito, non dalle differenze di genere % persone che hanno qualcuno su cui contare in caso di necessità I giovani, i meno istruiti e i più poveri hanno meno fiducia negli altri % persone che sostengono che ci si possa fidare della maggior parte delle persone Fonte: Gallup World Poll

26 Accessibilità dei servizi
Nell’opinione dei cittadini, al Nord l’accessibilità ai servizi è migliore e in costante miglioramento Percentuale di famiglie che dichiara molta o un po' di difficoltà a raggiungere alcuni tipi di servizi , 2009 SSN: 1.833€ pro capite 2.191€ a Bolzano 1.690 € in Sicilia 4,1% di anziani sono trattati in ADI: Nessuna delle regioni del Mezzogiorno (escl. Abruzzo e Basilicata, raggiunge l’obiettivo del 3,5% fissato dal Qsn 2007/2013 Per ogni disabile i comuni spendono 2.700€ l’anno: 5.438 € nel Nord-Est 667 € al Sud Gli asili nido accolgono il 14% dei bambini 0-2: 29,4% in Emilia Romagna – 2,4% in Calabria. L’obiettivo fissato per il Mezzogiorno del 12% è stato raggiunto solo dalla Sicilia

27 Soddisfazione e diseguaglianze
Media dei punteggi del livello di soddisfatte della vita nel complesso, 2011 Si vive meglio al nord… …e nei piccoli centri Fonte: Indagine Mult1scopo 2010

28 La possibile applicazione pratica del Bes
Le relazioni tecniche di accompagnamento agli interventi normativi di ampio respiro potrebbero valutare l’impatto rispetto ai domini del Bes Si potrebbe sviluppare una suite di modelli statistici ed econometrici in grado di integrare gli aspetti economici, sociali ed ambientali, così da sostenere le analisi volte alla valutazione ex-ante delle politiche pubbliche Gli indicatori selezionati potrebbero essere oggetto di campagne informative nell’ambito degli spazi dedicati all’informazione istituzionale


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