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PubblicatoEmanuele Valeri Modificato 11 anni fa
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Il porcellum Lavoro di: -Alessandro Aicardi; -Mattia Bera;
-Alessandro D’ Alelio; -Lorenzo De Rossi; -Margherita Maggi; -Alessandro Patriziano; -Alessandro Ragni; -Emanuele Bussadori.
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I relatori Roberto Calderoli fu il relatore principale della legge n° 270. Egli è un esponente di spicco della Lega Nord ed è stato stato il ministro per le riforme istituzionali nel governo di Silvio Berlusconi dal 19 Giugno 2004 al 18 Febbraio Oltre a Calderoli, la legge è stata fatta da molti esponenti del centro destra e appoggiata intensamente dall’allora presidente Silvio Berlusconi.
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I sostenitori e gli oppositori
La legge fu appoggiata da tutti i partiti di destra, centro destra tra cui il Popolo Della Libertà e la Lega Nord. La legge non fu appoggiata da tutti i partiti di sinistra e di centro sinistra tra cui il Partito Democratico e l’ Italia Dei Valori.
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I cambiamenti per i cittadini
La legge n° 270 del 21 dicembre 2005 fu definita da Calderoli una “porcata” quindi viene denominata porcellum. Con questa legge si cambia il modo di votare: l’ elettore non può più esprimere una preferenza per il singolo candidato: egli può votare solo il partito che deciderà chi portare alla camera o al senato.
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Lo schieramento che risulta vincitore delle elezioni ha diritto ad un premio di maggioranza nazionale che garantisce 340 posti alla Camera. Qui hanno diritto ad essere rappresentati tutti i partiti con più del 4% dei consensi, mentre per una coalizione la soglia si alza al 10%, mentre i singoli partiti devono prendere almeno il 2%. Alla Camera…
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… E al Senato A differenza della Camera, al Senato la soglia per i singoli partiti è l’ 8%, mentre per quelli dentro una coalizione è del 3%, ma il fatto che conta di più è che qui il premio non viene calcolato su base nazionale bensì su base regionale: in ogni regione il partito più votato riceve il 55% dei seggi.
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Perché Porcellum? Perché a questa legge è stato dato il soprannome porcellum? Fu definita così da Giovanni Sartori in seguito ad un intervista rilasciata da Calderoli nel quale egli stesso la definiva una “porcata”. Da qui il nome che viene dato a tutte le leggi elettorali (la precedente era chiamata mattarellum).
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Una legge contro la legge
L’ articolo n° 3 del Protocollo addizionale della Convenzione europea dei Diritti dell’ Uomo dice che ognuno ha diritto di esprimere la propria preferenza sulla scelta del corpo legislativo. Questa legge elettorale non permette di scegliere una preferenza della persona ma solo della lista; il risultato è quindi un parlamento di designati dai 4 o 5 leader del partito, la cui elezione è garantita o resa impossibile dal posizionamento in lista. L’ avvocato torinese Mauro Anetrini ha presentato nel 2008 e nel 2010 la causa alla Corte Europea, ma la situazione non è cambiata. Non è l’estemporanea iniziativa di un temerario, sebbene a Strasburgo siano abituati ai ricorsi strambi, ma una riflessione sulla natura della legge elettorale italiana. La legge “porcata”, come graziosamente la chiamò il primo firmatario, violerebbe in maniera palese l’art. 3 del Protocollo addizionale della Convenzione europea dei Diritti dell’uomo che recita: “Le Alte Parti Contraenti si impegnano ad organizzare (…) libere elezioni (…) tali da assicurare la libera espressione dell’opinione del popolo sulla scelta del corpo legislativo”. Eccolo lì il punto, la “scelta del corpo legislativo”, cioè dei membri del Parlamento. Con questa legge elettorale, si legge nel ricorso, “le elezioni (…) si svolgono mediante procedure che svuotano di ogni contenuto il principio secondo il quale ad ogni cittadino è assicurata libertà di scelta nella designazione dei rappresentanti del popolo, essendo esclusa ogni possibilità di indicazione della preferenza”, dunque un provvedimento che “sovverte radicalmente il principio della sovranità popolare”. In che altro modo potrebbe infatti definirsi una legge che “pena la nullità del voto” proibisce sulla scheda ogni indicazione diversa da “un segno nel rettangolo contenente il contrassegno della lista prescelta”? Il risultato, com’è noto a tutti, è un Parlamento di designati, scelti da quattro o cinque leader di partito, la cui elezione è garantita o resa impossibile dal posizionamento in lista. C’è n’è abbastanza, secondo Anetrini, per chiedere alla Corte di dichiarare la legge elettorale italiana “contraria all’art 3 del Protocollo addizionale della Convenzione europea sui Diritti dell’uomo e sanzionare la Repubblica italiana intimandole di adottare una legge conforme alla Convenzione stessa”. A ulteriore sostegno, il ricorso cita una sentenza della Corte costituzionale del 1975 in cui la Consulta si esprimeva su un tema analogo, optando per la “non rilevanza costituzionale” della libertà riconosciuta alle forze politiche di indicare un ordine discrezionale nella presentazione delle candidature in lista, proprio perché la legge riconosceva comunque la libertà di votare “questo o quel candidato prescelto attraverso il voto di preferenza”. In pratica, se anche un candidato veniva messo in basso in lista, la libertà di scelta – costituzionalmente tutelata dall’art. 49 della Carta – era garantita dal voto di preferenza, ora scippato ai cittadini. “Il ricorso alla Corte di Strasburgo – spiega Anetrini – era l’unico possibile, poiché le leggi elettorali in Italia non sono assoggettate ad alcun ricorso giudiziario; soltanto le Camere possono giudicare sulla legittimità dell’elezione dei loro membri”. C’è da aspettarsi una decisione in tempi rapidi? “La causa – prosegue l’avvocato – ha terminato la sua fase preliminare. Abbiamo depositato le nostre memorie e il governo italiano, che nel giudizio è controparte, ha fatto altrettanto attraverso un prefetto del ministero dell’Interno, che ha difeso la legge elettorale sostenendo che la normativa sia simile, se non uguale, a quella di molti altri Paesi firmatari della Convenzione, che favorisca le coalizioni e permetta risparmio di denaro, che favorisca la libertà dei parlamentari garantendo stabilità di governo. Argomentazioni un po’ zoppicanti, io credo”. Difficile, però, ignorare che le sentenze della Corte europea dei Diritti dell’uomo (a differenza delle decisioni della Corte di Giustizia dell’Unione europea) hanno un’efficacia consultiva e non vincolante, al massimo possono obbligare gli Stati a sanzioni pecuniarie. Ma Anetrini non si scoraggia: “Se la Corte ci dà ragione, l’Italia deve adeguarsi. E qualora si tornasse a votare – garantisce l’avvocato – esiste la possibilità di ottenere un provvedimento di annullamento delle elezioni”. Quale sia questa possibilità, Anetrini preferisce, in questo momento, non svelarla: “Mi limito ad osservare – conclude – che questa legge la vogliono cestinare tutti, eppure la nostra iniziativa non ha ottenuto la minima attenzione da parte delle forze politiche”. In compenso, già persone hanno aderito al profilo Facebook creato per sostenere il ricorso. (di Stefano Caselli)
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Bibliografia “Legge Calderoli” wikipedia;
Il Fatto Quotidiano Settembre 2010, articolo a cura di Stefano Caselli; “Sostieni il ricorso di Mauro Anetrini” web.
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