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PubblicatoAloisia Paolini Modificato 8 anni fa
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Il rapporto con la madre ricorda che chiunque venga al mondo fa esperienza di altri che gli danno da mangiare e che ogni cucciolo d’uomo deve imparare gradualmente a nutrirsi da sé, a mangiare da solo. Ma ricorda anche la dimensione affettiva del mangiare.
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Léo Moulin ha scritto che noi amiamo mangiare ciò che nostra madre ci ha insegnato a mangiare, che a noi piace ciò che piace a lei: «Non solo mangiamo ciò che nostra madre ci ha insegnato a mangiare, ma tale cibo ci piace e continuerà a piacerci per tutta la vita, proprio perché mangiamo con i nostri ricordi ... Anzi, noi mangiamo i nostri ricordi, perché ci danno sicurezza, così conditi di quell’affetto e di quella ritualità che hanno caratterizzato i nostri primi anni di vita»3. 3. LÈO MOULIN, L’Europa a tavola, Mondadori, Milano 1993, pp
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Mangiare è un’arte: sa mangiare chi è all’altezza della propria umanità. «Gli animali si pascono, l’uomo mangia; solo l’uomo intelligente sa mangiare»4. 4. ANTHELME BRILLAT-SAVARIN, Fisiologia del gusto, Sellerio editore, Palermo 1998, p. 23.
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Ma mangiare richiede tempo e capacità di relazione e comunione
Ma mangiare richiede tempo e capacità di relazione e comunione. La cultura del fastfood esige che si mangi in fretta e da soli, in anonime mense, in piedi in uno snack bar, e utilizzando pasti preconfezionati e cibi surgelati.
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Il cibo poi spesso non è ricevuto, ma preso, scisso da una relazione con chi lo prepara e lo prepara per me.
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Impersonalità, individualismo, fretta, e anche perdita del gusto, stanno uccidendo l’arte del mangiare e del fare e dare da mangiare.
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Sintomi di questa scissione del mangiare dal suo fondamento umano e relazionale sono le disarmonie e le patologie in rapida crescita nei paesi occidentali, in cui comunque vi è abbondanza di cibo e di denaro per acquistarlo: obesità, anoressia, bulimia, disturbi alimentari di vario tipo.
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Nella carenza come nella sovrabbondanza di cibo, si gioca l’umanità delle persone e la loro dignità.
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Tutto quanto detto finora ha un senso là dove si può mangiare e non si hanno problemi di approvvigionamento di cibo. In un certo senso è un discorso “lussuoso”, che buona parte degli abitanti del pianeta non possono permettersi per le condizioni miserevoli in cui vivono.
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Nei paesi poveri il problema è avere qualcosa da mangiare
Nei paesi poveri il problema è avere qualcosa da mangiare. Qui si ripropone a livello mondiale lo squilibrio tra il ricco che banchettava lautamente ogni giorno e il povero Lazzaro che languiva davanti alla sua porta (cfr. Lc 16, 19-31).
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In ascolto della Parola
Anche la Bibbia presenta la tragedia della fame. Essa rientra nella sfera della maledizione (Cfr. Dt 28,48; 32,24), conduce l’uomo a disumanizzarsi fino all’antropofagia (Cfr. Lv 26,29; Dt 28,53; 2Re 6, 28-29; Ger 19,9; Bar 2, 3).
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La tragedia di Gerusalemme nel 587 a. C
La tragedia di Gerusalemme nel 587 a. C. è descritta nella maniera più dolorosa dalle parole che parlano di madri che, disperate per la fame, mangiano i propri figli: «Le donne divorano i loro frutti, i bimbi che si portano in braccio» (Lam 2,20); «Mani di donna, già inclini a pietà, hanno cotto i loro bambini, che sono divenuti loro cibo» (Lam 4,10).
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Carestie e siccità, guerre e assedi, invasioni di cavallette e malattie epidemiche (si pensi alla triade “la spada, la fame, la peste”: Ger 14,12; 27,8; 32,24; Ap 6,8) sono le situazioni che producono esaurimento delle scorte di cibo, impossibilità di procurarsene e conducono a morire di fame (Cfr. 1Mac 13,49; Is 5,13; Ger 11,22- Bar 2,25).
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È talmente penosa la morte per inedia che le Lamentazioni proclamano «più fortunati gli uccisi di spada che i morti per fame, caduti estenuati per mancanza dei prodotti del campo» (Lam 4,9).
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Tali sono le sofferenze di chi patisce la fame (Cfr
Tali sono le sofferenze di chi patisce la fame (Cfr. Lam 5,10; 2 Sam 17,29) che la sapienza biblica giustifica chi arriva a rubare spinto dalla fame: «Non si disapprova un ladro, se ruba per soddisfare l’appetito quando ha fame» (Pr 6,30).
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Il dare da mangiare a chi ha fame diviene così un comando fondamentale:
«Da’ il tuo pane a chi ha fame» (Tb 4,16), da attuarsi anche nei confronti del nemico (Cfr. Pr 25,21). Il Nuovo Testamento mostra che Gesù stesso ha provato i morsi della fame (Cfr. Mt 4,2; MC 11,12; Lc 4,2), che è stato servito a tavola e ha mangiato il cibo che altri hanno preparato per lui (Cfr. Lc 10,38-42), che ha sfamato folle affamate (Cfr. Mt 14, 13-21; 15,32-38), che ha fatto della tavola un luogo di incontro e di comunione umana in cui ha narrato la vicinanza di Dio all’uomo (Cfr. Mc 2, 15-17), che del vino versato e del pane spezzato e distribuito ai commensali nell’ultima cena ha fatto il segno della sua vita donata per gli uomini tutti (Cfr. Mt 26,26-29; Mc 14,22-25; Lc 22,15-20; 1Cor 11,23-26).
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Dare da mangiare oggi Il dare da mangiare agli affamati deve oggi misurarsi con le cifre fornite dalla FAO, l’agenzia dell’ONU per l’alimentazione e l’agricoltura, che parlano di più di un miliardo di persone (un sesto della popolazione mondiale) che soffrono la fame5. 5. Le cifre fornite nel giugno 2009 da Jacques Diouf, direttore generale della FAO, parlano di seicentoquarantadue milioni di persone che soffrono di denutrizione cronica in Asia e nel Pacifico; di duecentosessantacinque milioni nell’Africa subsahariana; di cinquantatré milioni in America Latina e nei Caraibi; di quarantadue milioni in nord Africa e in Medio oriente. Infine, quindici milioni di persone si trovano nei paesi sviluppati.
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Alimentazione insufficiente, malnutrizione, carenze di vitamine e di minerali essenziali, sottoalimentazione conducono a dimagrimento, apatia, depressione, debolezza muscolare, esposizione alle malattie, invecchiamento precoce, fino alla morte per inedia.
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La situazione è drammatica soprattutto per i bambini: lo narrano le immagini di bimbi di paesi poveri del terzo mondo con ventre gonfio, magrezza spaventosa, pelle avvizzita, apatia.
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Chi al Cairo o in altre megalopoli ha visto bambini e donne cercare tra le montagne dei rifiuti accumulati nelle discariche scarti e avanzi per avere qualcosa da mangiare, ha una plastica rappresentazione delle disuguaglianze sociali che attraversano nord e sud del mondo, ma anche le medesime città e nazioni.
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L’articolo 25 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo recita:
«Ogni individuo ha diritto a un tenore di vita sufficiente a garantire la salute e il benessere proprio e della sua famiglia, con particolare riguardo all’alimentazione, al vestiario, all’abitazione, e alle cure mediche e ai servizi sociali necessari».
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Esso attende ancora, in particolare per quanto riguarda l’alimentazione, un’attuazione. Ma chiunque oggi sa che la fame non è un problema irrisolvibile o un fato a cui rassegnarsi supinamente, perché le cause sono politiche ed economiche e la principale è l’ineguale distribuzione delle ricchezze.
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Anche politiche agricole tendenti a risolvere il problema della nutrizione nel terzo mondo (si pensi alla famosa “Rivoluzione verde” che negli anni settanta percorse la via della selezione e moltiplicazione di un unico genoma vegetale, il più produttivo, su superfici molto estese) hanno rivelato alla lunga effetti negativi o perfino disastrosi e a volte si sono rivelate viziate in partenza da interessi particolari.
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Se si può indicare nel concetto di sovranità alimentare (il diritto di ogni popolo a definire le proprie politiche agricole e alimentari, a regolare produzione e commercio agricolo interno in modo da raggiungere i propri obiettivi di sviluppo sostenibile) l’obiettivo cui dovrebbe tendere una politica adeguata, in ogni caso è necessaria una declinazione a livello politico internazionale di realtà quali solidarietà, partecipazione e condivisione.
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Pervenire alla sicurezza alimentare (possibilità per tutti di accedere fisicamente ed economicamente a cibo sufficiente e sicuro) è essenziale per la sicurezza e la pace del mondo intero. Da sempre grandi rivolte sono avvenute in nome del pane.
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E ai nostri giorni assistiamo a scontri e proteste di piazza in varie parti del mondo a causa del notevole rincaro del prezzo di vari alimenti fondamentali (ad esempio il riso).
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Un lungo passaggio dell’enciclica Caritas in veritate n
Un lungo passaggio dell’enciclica Caritas in veritate n.27 di Benedetto XVI, (29giugno 2009) tratta del tema della fame nel mondo e fa dell’opera di misericordia “dare da mangiare agli affamati” una responsabilità ecclesiale direttamente derivata dall’esempio e dalla prassi di Gesù di Nazaret. Vi suggerisco di leggerlo personalmente…
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