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Lezione 5 Studi empirici sull’ innovazione Corso Economia industriale avanzata Sandrine Labory.

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Presentazione sul tema: "Lezione 5 Studi empirici sull’ innovazione Corso Economia industriale avanzata Sandrine Labory."— Transcript della presentazione:

1 Lezione 5 Studi empirici sull’ innovazione Corso Economia industriale avanzata Sandrine Labory

2 1. Studi empirici nella tradizione schumpeteriana 1. Dimensione d’impresa e innovazione La letteratura empirica ha generalmente interpretato Schumpeter come proposizione che le attività innovative aumentano più che proporzionalmente con la dimensione d’impresa Test con regressione di misure dell’innovazione su misure della dimensione d’impresa Studi a livello d’industria

3 Perché aspettarsi un effetto positivo della dimensione d’impresa sull’innovazione? -Imperfezioni del mercato del capitale: le grandi imprese hanno maggiori risorse finanziarie -Economie di scala nella funzione di R&S -I rendimenti dell’innovazione sono maggiori se l’inventore ha grandi volumi di vendita sui quali può distribuire i costi fissi della R&S -Complementarietà tra R&S e altre attività non manufatturiere (marketing, programmazione finanziaria, ecc.) -Le grandi imprese hanno maggiori economie di scope e distribuiscono maggiormente i rischi dell’innovazione

4 Perché la dimensione d’impresa potrebbe non avere un effetto sull’innovazione: -l’efficienza della R&S diminuisce quando la dimensione aumenta a causa di managerial control loss; -Incentivi a innovare diminuiscono con aumento dimensione e quindi potere di mercato

5 STUDI: -Villard (1958), Waley (1961), Nelson et al (1967) Innovazione  quando dimensione  Cohen et al. (1987) confermano anche in caso di controllo degli effetti di industria (studi considerando diverse industrie) Problema: questi studi non controllano le caratteristiche delle imprese (quindi risultato potrebbe essere dovuto alla differenza tra singole imprese)

6 => Diventa fatto stilizzato che l’attività innovativa aumenta più che proporzionalmente alla dim d’impresa fino ad una soglia, sopra la quale la relazione diventa proporzionale Critica di Fisher e Temin (1973): L’ipotesi di Schumpeter fa riferimento all’output di R&S piuttosto che all’output di R&S: L’elasticità della spese di R&S rispetto alla dimensione può essere maggiore di 1 (aumento più che prop), ma non implica che l’elasticità dell’output della R&S rispetto alla dimensione sia maggiore di 1

7  È importante distinguere le misure dell’attività innovativa  Attività innovativa = creazione di conoscenze

8 Difficoltà di misura della conoscenza La conoscenza è difficile da misurare a causa delle sue caratteristiche: i.La conoscenza è eterogenea: va dall’invenzione della scrittura all’invenzione della padella alla scoperta di una nuova stella ii.La conoscenza è, in massima parte, non osservabile: la conoscenza tacita è incorporata nei pensieri e nelle azioni, quindi non si può osservare iii.Non esiste un modello stabile con cui collegare gli input (spese R&S) con gli output (creazione di conoscenza); l’impatto della creazione di conoscenza sul resto dell’economia è altrettanto difficile da misurare: una nuova idea può avere un grande impatto o niente impatto, a seconda della presenza o meno di un imprenditore pronto a cogliere l’idea, a seconda della rilevanza dell’idea per i bisogni della popolazione, ecc.

9 E’ anche impossibile attribuire un effetto economico ad una conoscenza: le esternalità e gli effetti cumulativi, tipici del PT, rendono impossibile l’identificazione della particolare conoscenza che può spiegare un particolare andamento dell’economia. iv.La misurazione dello stock, già difficile nel caso del capitale fisico, è impossibile nel caso della conoscenza.

10 Come dice Foray (p. 24): “E’ come se si cercasse di misurare uno stock di fiamme; chiunque può accendere la propria torcia senza ridurre lo stock di fuoco della persone che ne era in possesso prima” Esiste anche il problema del deprezzamento della conoscenza: oblio, obsolescenza, sono rilevanti ma non sembra che si possano elaborare delle regole in grado di catturarne la complessità (Machlup, 1984)

11 Indicatori della conoscenza: Ci sono vari indicatori che misurano -Gli input della creazione di conoscenza (innovazione):. Spese di R&S. Capitale umano impiegato. % personale nei dipartimenti di R&S, progettazione, marketing.. Ecc. -Gli output della creazione di conoscenza (dell’innovazione):. Brevetti. Pubblicazioni scientifiche. Nuovi prodotti. Nuovi processi

12  Però permettono di approssimare il volume di conoscenze presenti in un’economia ad un certo momento e create in un certo periodo Studi recenti: Jaffé – Tratjenberg (1996) (OCSE): modelli dei flussi di conoscenza nell’economia Misurano solo l’attività di creazione di conoscenze nei settori high-tech, dove l’attività di R&S formale è importante

13 Altro problema: Non esistono dei mercati delle conoscenze dove le conoscenze possano essere valutate con un prezzo; quindi non si può misurare dal valore che il mercato assegna alla conoscenza

14 Risultati degli studi che usano dati dei brevetti: -Il numero di brevetti prodotto per ogni $ investito in R&S è molto superiore per la PMI rispetto alle grandi imprese; -Produttività della ricerca misurata da numero brevetti sembra avere forma a U (rispetto a dimensione impresa): alta per PMI e grandissime imprese, più bassa in mezzo (Pavitt)

15 Riassunto: risultati robusti -La R&S e la dimensione d’impresa aumentano insieme; -R&S e dimensione d’impresa aumentano nelle stesse proporzioni tra imprese innovatrici -Il numero d’innovazioni tende a ridurre con dimensione d’impresa -La produttività della R&S diminuisce quando dimensione aumenta

16 La dimensione fornisce vantaggi: maggiori risorse da investire, maggiore capitale umano assunto, ecc. Tuttavia, i legami con R&S e innovazione potrebbero essere dovuti non a dimensione ma a caratteristiche dell’industria, come condizioni di appropriabilità (= suggerimento di Cohen & Klepper) La dimensione d’impresa è infatti endogena

17 2. Monopolio e innovazione Ci sono due elementi distinti nella discussione di Schumpeter degli effetti del potere di mercato sull’innovazione: a.Incentivi a fare R&S legati al guadagno di potere di mercato; b.La situazione di oligopolio ex ante e il potere di mercato ex ante favoriscono anche loro l’investimento in R&S (oligopolio implica comportamento dei rivali più stabile e più facile da prevedere, quindi più facile assumere i rischi dell’innovazione

18 La letteratura ha generalmente studiato soprattutto il punto (a) Dagli anni ’90, crescente attenzione anche a (b): la possibilità di aumentare il potere di mercato ex post è stato considerato attraverso condizioni di appropriabilità: Horowitz, Scherer, Mansfield Scherer (1967) trovò relazione a forma di U invertito tra intensità di R&S e concentrazione (intensità R&S aumenta con concentrazione fino a rapporto di concentrazione di 4 imprese, diminuisce dopo

19  Problemi nella strategia di stima delle equazioni  Probabilmente intensità di R&S e concentrazione evolvono simultaneamente e sono endogene  Geroski (1991): lavoro su innovazione, entrata e struttura di mercato Trova che l’innovazione e l’entrata sono correlate positivamente, e la relazione di causalità è bidirezionale

20 Tutti gli studi su innovazione e struttura di mercato mostrano che le caratteristiche delle industrie sono molto importanti da prendere in considerazione: Infatti queste caratteristiche determinano sia l’intensità di R&S che l’entrata e la struttura di mercato Geroski (1991) mostra anche che il ciclo di vita del prodotto ha un forte impatto sulla relazione innovazione – struttura di mercato (nelle fasi iniziali le opportunità tecnologiche stimolano l’entrata, mentre nelle fasi più mature le barriere all’entrata implicano meno entrata, concentrazione maggiore e l’innovazione diventa più incrementale

21  nell’insieme, no c’è evidenza che la concentrazione del mercato determina l’innovazione  No Schumpeterian trade-off  Ma il potere di mercato che si può acquisire dopo l’innovazione stimola l’investimento in R&S (Levin, Cohen, anni ’80)  Problemi degli studi con dati molto aggregati (a livello d’industria) che nascondono molta diversità

22 2. Determinanti dell’attività d’innovazione Considerazione delle caratteristiche delle imprese  Analisi delle altre determinanti dello sforzo di R&S delle imprese (altre che dimensione) Scott (1984) stima le determinanti dello sforzo di R&S (intensità di R&S), controllando la dimensione d’impresa a includendo variabili delle caratteristiche delle imprese: trova che il 50% della varianza dell’intensità di R&S è spiegato da effetti fissi a livello d’impresa

23 Problema: disaccordo sulle variabili che spiegano le caratteristiche specifiche delle imprese: liquidità, grado di diversificazione, ecc. che possono spiegare sia investimento in R&S che altre cose… Cohen & Klepper (1992) analizzano le differenze tra imprese e le legano poi alle differenze nell’investimento in R&S Problema: difficoltà di ottenere dati (ci vogliono dati sull’organizzazione delle imprese)

24  Una soluzione è stata studio di caso: ad esempio, studi famosi sull’industria automobilistica negli anni ’90 che mostrano che la differenze di innovazione da produttori di automobili risulta da differenze nell’organizzazione dell’attività di ricerca (Clark e Fujimoto; Nonaka e Takeuchi, ecc.)  Molti altri studi: ad. es. base di conoscenza; absorptive capacity (Cohen & levinthal, Cockburn & Henderson; Mowery, Arrora & Gambardella) che vedrete col Prof. Poma

25 3. Persistenza dell’innovazione. Lavori di Geroski (et al.) Profittabilità e innovazione  Effetto innovazione su Profitti analizzato da  = F (I, …) Problemi: - misurazione: l’innovazione ha effetti a lungo termine sui profitti => dobbiamo analizzare le dinamiche (i.e. considerare periodo di tempo sufficientemente lungo)

26 -spillovers: l’innovazione di un impresa può avere effetto sul profitto delle altre imprese dell’industria -Ci sono altri effetti che influenzano il profitto (e l’innovazione insieme) che dobbiamo prendere in considerazione per non avere stime distorte: struttura di mercato, pubblicità, opportunità tecnologiche, appropriabilità, ecc. -I modelli teorici non danno nessuna indicazione sugli altri effetti, perché semplificati: l’analisi empirica potrebbe quindi mettere in evidenza delle nuove relazioni per migliorare la teoria

27 Geroski et al. (1993, RJE) Stima della profittabilità delle imprese innovative: -Include misure di profittabilità nei periodi passati per tener conto delle dinamiche; -Spillovers misurati con numero innovazioni prodotte dall’impresa e usate dall’impresa  Effetti innovazione su profittabilità: BT: 0,0029 LT: 0,0157

28 Persistenza dell’innovazione  Geroski et al., 1996, Research Policy L’articolo esamina la storia innovativa di imprese inglesi sulla base di 2 banche dati (brevetti 1969-88 e innovazioni maggiori 1945-82) Questione di ricerca: le imprese che innovano una volta diventano innovatore per sempre? Conclusione: poche imprese innovano persistentemente! La banche dati mostrano anche che solo una piccola percentuale delle imprese innovano

29 -Per la loro analisi Geroski et al stimano un modello di durata (duration model): stima della probabilità di rimanere in uno stato per un certo periodo di tempo: Qui: probabilità per un’impresa di rimanere innovativa (altri duration models: probabilità di mantenere un lavoro, probabilità di rimanere disoccupato, …)

30 Periodo (spell) in cui un’impresa è innovativa = numero di anni successivi in cui l’impresa produce un brevetto Ipotesi: Questo periodo è funzione di: -Opportunità tecnologica -Domanda di mercato -Capacità organizzative -Ecc.

31 Altra ipotesi: il successo genera il successo (sucess breeds success): Il volume di innovazioni prodotto fino a t ha un effetto sulla probabilità che un’altra innovazione sarà prodotta a t: vale a dire maggiore il periodo in cui un’impresa innova, maggiore la probabilità di innovare ancora

32 Geroski et al. Considerano lo spell (cioè numero di anni in cui un’impresa innova) come unità di analisi E stimano la probabilità che lo spell finisce a t Modelli di durata: Per questa stima si deriva l’ hazard rate H H = f(t) / F(t) = probabilità che spell finisce a te dato che è durato fino a te

33 Per fare la stima, bisogna ipotizzare una forma funzionale per H: -Modelli di hazard proporzionali: H(t) = λ o (t) Φ(Xβ) Dove λ o (t) è chiamato baseline hazard X = vettore di variabili determinanti β = parametri di una funzione Φ Problema di questa forma funzionale: scelta incorretta della distribuzione di λ o (t) implica stime distorte (Heckman & Singer, 1984)

34 Generalmente si preferisce ipotizzare una funzione di hazard Weibull = trasformazione lineare della variabile dipendente: λ(t) = γ α t α-1 (se α > 1: λ(t) aumenta sempre quando t aumenta)

35 Dati: 3304 imprese inglesi, 1969-1988 -La maggior parte delle imprese non brevetta mai -La maggior parte delle imprese che brevettano lo fanno una volta sola: 3 tipi di imprese: 64% del campione: imprese che producono pochi brevetti in un spell 12% del campione: alcuni imprese producono pocchi brevetti in alcuni spell corti 2% campione: grande numero di brevetti, tutti gli anni

36 La lunghezza media degli spell è 5 anni Risultato stima del modello: -Maggiore il numero di brevetti all’inizio dello spell, maggiore la durata dello spell -La crescita della domanda di mercato implica riduzione spell innovativo (interpretazione: quando la domanda cresce le imprese non si concentrano più su innovazione prodotto ma innovazioni incrementali?)

37 -Spillovers implicano aumento durata spell (complementarietà nell’innovazione delle diverse imprese che permette di innovare ancora) -Le imprese indipendenti innovano di più delle imprese che sono divisioni di gruppi -La persistenza dell’innovazione non è fortemente legata alla dimensione d’impresa

38 Lezioni per teoria innovazione: 1.Accumulare conoscenze e competenze nel tempo è fondamentale 2.Gli spillovers sono importanti (lezione per il trasferimento tecnologico) 3.Geroski et al. considerano solo le innovazioni radicali (non incrementali)

39 Questioni relative ai brevetti 1.Analisi teoriche: -Durata del brevetto: seminal paper di Nordhaus (1969, libro Invention, Growth and Welfare…): tradeoff protezione dell’innovazione e quindi rendimenti degli investimenti in R&S dell’impresa che inventa e surplus dei consumatori (ci vuole brevetto ma non troppo lungo se no si garantisce una rendita di monopolio all’impresa inventrice per sempre) Vedere anche Reinganum J. (1983) AER 74(4)

40 -Ampiezza del brevetto: un brevetto deve proteggere la nuova tecnologia o il nuovo prodotto, ma non deve essere troppo ampio. Ad esempio, un brevetto sul primo aereo potrebbe garantire un monopolio sulla produzione di tutti gli aeroplani! Altro esempio: biotecnologie Bayh-Dole Act del 1980 negli USA allarga le possibilità di brevettazione a tutti gli organismi viventi: prima, solo le invenzioni possono essere brevettate; dopo, anche le scoperte su organismi viventi possono essere brevettate

41  apertura protezione nel campo delle biotecnologie: scoperta struttura DNA può essere brevettate, impedendo così l’uso di questo tipo di scoperte ad altri scienziati  Estensione dei mercati della conoscenza  L’inventore può facilmente creare un mercato della nuova conoscenza e guadagna profitti elevati  A scapito dei consumatori


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