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e la sua rappresentazione

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Presentazione sul tema: "e la sua rappresentazione"— Transcript della presentazione:

1 e la sua rappresentazione
Ultimo atto La violenza maschile sulle donne e la sua rappresentazione a cura di Graziella Priulla

2 Discorsi anacronistici?
Per un giovane su cinque quello che accade in una coppia non deve interessare agli altri. Per uno su quattro, la violenza sulle donne è dovuta a "raptus momentanei, giustificati dal troppo amore". Per uno su tre, gli episodi di violenza domestica "vanno affrontati dentro le mura di casa". Questi i dati che emergono dal rapporto "Rosa Shocking 2. Violenza e stereotipi di genere: generazioni a confronto e prevenzione« (intervita – ipsos)

3 In caso di litigio volano schiaffi e insulti, ma ben il 42% delle ragazze si dichiara disposto a perdonare il fidanzato in caso di violenza. Il 20% dei giovani italiani confessa tranquillamente di aver picchiato la fidanzata almeno una volta (“se l’era voluta”)!   Ancor più preoccupante è la visione che le ragazze hanno dell’uomo violento: una studentessa su due afferma di non trovare grave ricevere uno schiaffo dal suo partner (“lo schiaffo è solo una carezza veloce”). Sembrano ignorare i segnali e i processi borderline, visibili e riconoscibili prima del manifestarsi di atti estremi.

4 Il 61% delle intervistate ritiene che quello che accade in una coppia non debba interessare agli altri il 79% che se un uomo viene tradito è normale che possa diventare violento il 77% che se ogni tanto gli uomini diventano violenti è per il troppo amore il 78% che per evitare di subire violenza le donne non dovrebbero indossare abiti provocanti. 

5 Il discorso pubblico prende forma
Solo da pochi decenni abbiamo parole per descrivere questa forma di relazione che è la violenza di un individuo su un altro di genere sessuale diverso. Scostato (strappato) il velo della normalità da quello che per secoli è stato considerato naturale nella relazione tra i sessi, si cominciano a evidenziare e contare le uccisioni che prima rimanevano sullo sfondo della cronaca, quelle di donne da parte di uomini familiari e conoscenti. Prende forma un discorso pubblico intorno al fenomeno della violenza maschile sulle donne; emerge la sua portata. Solo individuando le cause profonde, psicologiche e culturali, della disuguaglianza di genere è possibile affrontare adeguatamente la questione della violenza sulle donne che fortunatamente trova sempre più spazio nel dibattito pubblico. 5

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7 Se si prova a cercare la parola femminicidio negli archivi dei giornali si scopre che essa fa la sua prima comparsa intorno al , per poi diffondersi sensibilmente solo negli ultimi anni. Non che prima, ovviamente, non si consumassero femminicidi: semplicemente non c’era una parola per indicare il fenomeno e i singoli episodi venivano raccontati slegati l’uno dall’altro. Da qualche tempo, lentamente e con grandi lacune, alcuni mezzi di comunicazione hanno deciso di tirar fuori dal flusso indistinto degli avvenimenti i casi di donne uccise per aver osato mettere in discussione il loro ruolo e hanno iniziato a dare a questi fenomeni il nome di femminicidio (anche se qualcuno ancora storce il naso di fronte a questa parola).

8 Le parole per raccontarlo
Il femminicidio nei media viene  generalmente legato a due motivi, ambedue fuorvianti: l’amore o la malattia. Quando il movente viene identificato nel delitto passionale, quello per «troppo amore»: si confonde l’amore con la rabbia o l’incapacità di affrontare solitudine e abbandono. Quando è identificato con la malattia, si lega l’atto omicida ad una patologia. La violenza viene quasi sempre spiegata come un “raptus” o una “follia omicida”, anche se l’uccisione della donna avviene dopo anni di violenze familiari o stalking, e le indagini rivelano che il delitto era stato organizzato precedentemente . Con l’uso di queste  parole i giornalisti e le giornaliste  hanno la responsabilità più o meno consapevole di confermare la cultura che giustifica la violenza nei confronti delle donne. 

9 Un “amore criminale” è un ossimoro,
un “omicidio passionale” è una giustificazione, un “raptus di follia” è una menzogna.

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12 Negli articoli di nera o nei servizi televisivi si sottintende o si esplicita che a scatenare la “follia” sia stato un comportamento “sbagliato” della donna che ha scatenato la reazione distruttiva dell’ex compagno. Al femminicida vengono attribuite quasi sempre buone qualità (più raramente se è straniero): “buon padre”, “bravo ragazzo”, o viene messa in luce l’infelicità. La donna invece viene spesso descritta come una portatrice di disordine che aveva (o aveva avuto) molte relazioni”, o non accudente, o infedele. Una donna che non rispettava le aspettative sociali e quelle del compagno, di essere una “buona moglie”. 

13 Ti amo, perciò ti uccido L’analisi storica e sociologica aiuta a comprendere. Non è perché gli uomini sono malvagi che alcuni di loro umiliano o uccidono le loro compagne, ma perché la società nel corso dei secoli ha creato in loro la convinzione di essere i legittimi proprietari del corpo femminile e che il loro desiderio fosse il solo a contare. Questa convinzione, costruita socialmente e culturalmente e radicata nella legge, nella letteratura e nei media, crea quello squilibrio di genere che è all’origine della violenza e che deve cambiare. 13 13

14 1 marzo 2012: “Fracassa il cranio del figlio per vendicarsi dell’abbandono della moglie”
Come poteva essere un “uomo mite”, “buono come il pane”, padre “amorevole”, come lo hanno descritto la maggior parte dei giornali ostentando profili psicologici di un uomo “distrutto dal dolore” per la separazione dalla moglie, quello che ha fracassato a martellate il cranio del figlio di 17 anni che dormiva nel letto di casa sua per vendicarsi della donna che lo aveva messo di fronte all’inevitabilità della separazione dopo l’ennesima lite? Come poteva essere un uomo “pacifico”, uno che decide scientemente di uccidere il figlio, prima di togliersi lui stesso la vita lasciando alla moglie la scoperta dell’orrendo delitto consumato in casa sua? Quale concezione aveva dei rapporti, dell’amore, della paternità? Quale maturità, quale autonomia, se a tal punto non sopportava un abbandono? Quale pace mai potrà trovare questa madre, rosa dal rimorso di aver lasciato il figlio in mano al suo aguzzino travestito da padre amoroso?  14 14

15 Tenta di stuprare tre ragazze: Erano belle …  Il Giornale, 14 luglio 2010 
Saranno stati il caldo oppure un’improvvisa tempesta ormonale, fatto sta che il ragazzino, incensurato e di buona famiglia, nel giro di poche ore è praticamente entrato a far parte del Guinness dei primati. A scatenare in lui quello che a tutti gli effetti è definibile come un raptus di follia sarebbero state le forme particolarmente gradevoli e accattivanti dell’adolescente, la prima ad essere stata adescata, che lui stesso ha definito «una fighissima, con la minigonna».

16 Il Foglio, 23 agosto 2012 PREGHIERA per Daniele Ughetto-Piampaschet, che forse ha ucciso per amore una donna nigeriana, di mestiere puttana. Spero non sia stato lui, e se invece è stato lui spero gli venga comminata una pena mite perché chiaramente aveva perso la testa. Una preghiera per Daniele eccetera e per tutti noi maschi che al buio non capiamo più niente. Che ci si attenga sempre alla regola seguente: mai passare la notte con qualcuno con cui ti vergogneresti di passare il giorno. Le negre sono bellissime, e dopo il tramonto anche i trans sono favolosi, e così molte altre battone, baldracche e lapdancer. Ma hai davvero voglia di svegliarti con loro, al mattino? E le porteresti a pranzo nel tuo ristorante abituale? O da tua mamma? La vergogna e il controllo sociale non hanno niente di bello però qualcosa di utile sì.  Camillo Langone

17 2014 Il femminicidio? Colpa delle donne. «Il nodo sta nel fatto che le donne sempre più spesso provocano, cadono nell’arroganza, si credono autosufficienti e finiscono con esasperare le tensioni». Parola del parroco di san Terenzo, un piccolo  paese che si affaccia sul golfo della Spezia. In una lettera affissa nella bacheca della chiesa, don Piero Corsi si scaglia contro le donne e le loro "responsabilità" nel caso di omicidi, stupri e violenze sessuali.

18 Vittoria, giugno 2013 Un bidello uccide un’insegnante.
«La Sicilia» scrive che l'assassino era "ferito" dall'"indifferenza" e "freddezza" dell'insegnante: quasi la colpa fosse di quest'ultima.

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24 O la colpa è del caldo?

25 Gentilmente

26 Passione, fuoco

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28 Un titolo di giornale (Il resto del Carlino)

29 Accade spesso che la vittima venga mostrata in abiti succinti

30 anche se è minorenne

31 Il racconto della violenza nei mass media è spettacolarizzato.
La volontà tenace di mostrare la donna vittima è così reiterata da diventare una sorta di perversa pedagogia. Non servono raccomandazioni, né consigli, né prediche, né racconti pietosi: questo vale per tutti i mezzi di comunicazione. Noi pensiamo che solo la stima di sé possa salvare le donne dalla violenza, perché le renderà capaci di riconoscere la violenza prima che accada, le aiuterà a non affidarsi ciecamente e a contare sulle proprie forze. Il resto, le leggi, i provvedimenti, l’ascolto possono aiutare, ma la stima di sé è l’essenziale. La società in cui viviamo è ancora profondamente impreparata alla libertà delle donne. Quando diciamo società intendiamo dire che anche noi donne siamo impreparate alla nostra libertà e alle sue conseguenze. Può sembrare un paradosso ma non lo è.

32 Libere dalla paura di essere punite
Vorremmo un Paese che non rappresenti più la donna come la vittima con l'occhio nero coperta di lividi, ma che sia chiara l'immagine di un soggetto, e non di un oggetto, che si alza in piedi e dice forte e chiaro: "Non osare mai più". Le donne non si rendono conto pienamente della loro forza, perché non riconoscono il guinzaglio con cui sono tenute a bada.

33 VIOLENZA DI GENERE C’è un dibattito in corso Alcune semiologhe si domandano se sia fruttuoso combattere la violenza con immagini che la esprimono. Altre ricordano che comparire sempre nel ruolo di vittime non giova all’autostima delle donne.

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35 Al centro della violenza maschile c’è il nodo della soggettività e della libertà delle donne: il riconoscimento del desiderio femminile, il riconoscimento della propria compagna come interlocutrice, il misurarsi con la libertà di scelta di una donna che se ne va. Ma nella comunicazione pubblica e nelle iniziative sulla violenza questo nodo emerge di rado: gli uomini restano invisibili e le donne sono rappresentate come soggetti deboli, da proteggere, magari da controllare. Non è possibile la progettazione di servizi, la costruzione di campagne di sensibilizzazione senza sviluppare una riflessione critica sui modelli dominanti di mascolinità.

36 Dibattito aperto: si può usare la violenza per vendere?

37 Sulla violenza non si può scherzare!
Pubblicitari senza scrupoli 37 37

38 Estetizzazione e banalizzazione della violenza nelle riviste di moda

39 Normalizzazione

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41 Pretendiamo


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