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10° Angelo Colombo Portiere – 1.68 m

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Presentazione sul tema: "10° Angelo Colombo Portiere – 1.68 m"— Transcript della presentazione:

1 10° Angelo Colombo Portiere – 1.68 m
Con l’Hellas: 53 presenze e 70 gol subiti Iniziò la sua carriera nella Pro Vercelli dove disputò 5 campionati tra Serie D e Serie C. Un anno al Messina e poi il passaggio al Cagliari nel Con lui in porta la squadra sarda compì il salto dalla Serie C fino alla massima serie. La Juventus lo acquistò nella stagione per affidargli il ruolo di riserva di Roberto Anzolin. In tre anni di milizia bianconera vinse lo scudetto  Nella Juventus collezionò complessivamente 5 presenze, tutte concentrate nel  ,tra cui il derby disputatosi pochi giorni dopo la morte di Gigi Meroni, conclusosi 4-0 per il Toro. In quello stesso anno disputò anche un incontro di Coppa dei Campioni contro l'Olympiakos. Venne ceduto al Verona nel novembre del 1968 e in riva all'Adige ricominciò a giocare con più continuità alternandosi tra i pali con Giovanni De Min, Mario Giacomi e Pierluigi Pizzaballa. Al termine della stagione all'età di 38 anni, abbandonò la Serie A per scendere di categoria giocando altri due anni nell'Omegna prima dello stop definitivo.

2 9° Robert Prytz Centrocampista – 1.70 m
Con l’Hellas: 133 presenze e 24 gol Era un giocatore atipico Robert Prytz, con un fisico tozzo e compatto. Non a caso quando giunse a Verona, nell'estate del 1989 dall'Atalanta, venne accolto con perplessità: •«I svedesi de solito i è alti e robusti: l'unico picolo e ciciòn el né capità a noantri•», mormoravano i tifosi vedendolo le prime volte sul campo. In realtà, al di là dell'aspetto non proprio da atleta (i riccioli biondi e due gote perennemente rosse lo avvicinavano più a un assiduo bevitore di birra), Prytz era in possesso di ottime doti tecniche oltre che di esperienza e generosità. Un'ottimo professionista che divenne presto il leader della squadra, attraversando da protagonista in campo uno dei periodi più travagliati della storia dell'Hellas.  In terra scaligera Prytz vive stagioni particolarmente intense. Nel 1989/90 fa parte di quell'•»armata brancaleone•» costruita da Chiampan con i scarti di mezza Italia, che diventò grazie all'ennesimo capolavoro di Bagnoli, uno dei Verona più amati dai tifosi. Una squadra che nonostante i palesi limiti tecnici riuscì a lottare per la salvezza fino all'ultimo spasimo e a togliersi lo sfizio di levare al Milan un titolo che sembrava già vinto.  Ma anche l'anno successivo i gialloblù riuscirono a far breccia nei cuori dei tifosi. Pur in mezzo a mille difficoltà societarie (con la tragicomica presidenza iraniana), i ragazzi di Fascetti riuscirono a tirar dritto per la propria strada terminando il campionato dietro solo al spettacolare Foggia di Zeman. Il tutto con un Prytz superlativo, capace di trovare per undici volte la via del gol oltre che ad illuminare con i propri sapienti piedi la manovra gialloblu.  Le cose vanno invece peggio l'anno successivo. La squadra partita con ambizioni europee si perde ben presto tra gli infortuni fisici di Stojkovic e quelli calcistici di Raducioiu, e conclude con una desolante retrocessione. Anche per Prytz è una stagione piuttosto sfortunata. La splendida doppietta al Bentegodi che quasi regala all'Hellas una clamorosa qualificazione in Coppa Italia ai danni dell'invincibile Milan di Capello, e il titolo di capocannoniere della squadra (con soli 4 gol!) comunque servono a rendere meno amara la delusione del ritorno in B. Che sarà il teatro della sua ultima annata in gialloblu. Un finale amaro. La squadra infatti, mal guidata da Reja, si deve arrendere ad un mediocre campionato e lo stesso Prytz, nonostante i sei gol stagionali, comincia malinconicamente a palesare l'incedere dell'età, mostrando in troppe occasioni una lentezza ed una staticità che mal si sposano con il clima battagliero ed infuocato della serie cadetta. Meglio allora dire addio, anche per non turbare un rapporto con la tifoseria diventato nel tempo sempre più appassionato.  Allo svedese non rimane che ritornare prima in patria e poi in Scozia dove lo aspettano dei campionati indubbiamente meno impegnativi e stressanti, ideali per spendere gli ultimi spiccioli di una grande carriera (con più di cento gol all'attivo) nel modo più divertente. Prytz, dispensando perle di classi nei modesti campetti della periferia scozzese, si diverte a tal punto da abbandonare l'attività agonistica solo nel 2002, quando a quarantadueanni suonati decide finalmente di appendere le scarpe al chiodo. E dedicarsi ad una nuova carriera: quella di allenatore.

3 8° Mario Guidetti Centrocampista – 1.69 m
Con l’Hellas: 49 presenze e 3 gol Guidetti era un mediano di quantità e qualità[1], impiegato prevalentemente in fase di copertura; all'inizio della carriera ha giocato anche come fluidificante a sinistra[2]. Dotato di un buon sinistro, era in grado anche di impostare l'azione con lanci precisi[1], o concluderla personalmente con tiri da fuori area[1][3] Inizia la carriera in Serie C nel Verbania, dove milita per tre stagioni di Serie C[3]. Nelle annate successive gioca nel Piacenza[2] e nella Solbiatese, prima di passare al Como, militante in Serie B. Con i lariani conquista immediatamente la promozione in Serie A, al termine del campionato 1974/75, ed esordisce nella massima serie il 5 ottobre 1975 nella sconfitta esterna a Napoli (1-0). A fine stagione il Como ritorna in Serie B, e Guidetti vi rimane fino all'ottobre 1977, quando viene ingaggiato dal Lanerossi Vicenza, in Serie A. In Veneto si impone immediatamente come titolare del cosiddetto Real Vicenza, sotto la guida tecnica di Giovan Battista Fabbri[3], e conquista il secondo posto in classifica dietro allaJuventus. Dopo un altro campionato a Vicenza conclusosi con la retrocessione in Serie B della squadra, passa al Napoli[4], dove rimane per tre stagioni contribuendo al terzo posto nel campionato 1980/81. Nel 1982 si accasa all'Hellas Verona, dove gioca per due stagioni nella massima serie: poco impiegato nella prima (8 presenze e 1 rete), ritrova continuità di impiego nella seconda (21 presenze e 2 reti). Alla vigilia dello scudetto gialloblù nel 1984 torna in Serie C: milita per una stagione all'Ancona[5] e per una nella Pro Vercelli, dove termina la carriera in seguito ad una squalifica nell'ambito dello Scandalo del calcio italiano del 1986[6]. In Serie A, in 154 partite, ha segnato 18 reti (con 6 rigori realizzati su 6 tirati).

4 7° Giuseppe Iachini Centrocampista – 1.68 m
Con l’Hellas: 63 presenze e 4 gol Nel approdò in gialloblù Giuseppe Iachini che, dopo 6 anni trascorsi nell'Ascoli di Costantino Rozzi, decise di dare una sterzata alla propria carriera approdando in un club che in quegli anni rappresentava quasi l'elite.  Era un trottolino tracagnotto e un po' ciccione, che stupiva per la veemenza con cui s'azzardava a sradicare palloni dai piedi degli avversari, in mezzo ai quali sapeva rotolare impavido; non era altrettanto bravo ad impostare né a concludere, nonostante l'applicazione immancabilmente generosa.  Di lui i tifosi ricordano indubbiamente la traversa che colpì nei quarti di finale di Coppa Uefa a Brema, traversa che spense i sogni di gloria dei supporters gialloblù.  Beppe disputò un'altra buona annata prima di trasferirsi, come fecero purtroppo troppi giocatori in quel periodo a causa dei problemi finanziari della società, alla Fiorentina.

5 6° Franco Bassetti Ala – 1.60 m Con l’Hellas: 56 presenze e 14 gol
BASSETTI nel 1956/57 segna il primo gol del campionato ed anche l'ultimo (importantissimo) che ci garantisce la promozione in Serie A; CONTI, oltre ad essere un'aletta guizzante «ante litteram» è diventato Campione d'Italia, come allenatore, nel 1965/66 con la squadra Allievi e l'anno successivo Campione d'Italia con la squadra Primavera.

6 5° Luciano Bruni Centrocampista – 1.70 m
Con l’Hellas: 158 presenze e 6 gol E' ancor più «Nanu» di Galderisi. Già, Luciano Bruni è 1,68, un paio di centimetri più basso del compagno, anche se gli almanacchi, molto generosamente, gliene attribuiscono qualcuno di più. Una «falsità» che comunque il centrocampista si porta dietro sin dagli inizi della carriera, quando pure faceva parte della nazionale juniores e quando in lui molti vedevano «un nuovo De Sisti».  Unico handicap, si diceva, la statura, che già una volta aveva bocciato il promettente ragazzino, ai tempi in cui giocava negli allievi del Livorno. Bruni, nonostante le indubbie doti, era stato scartato dagli osservatori di Milan, Inter e Napoli proprio per qualche centimetro in meno.  A salvargli il futuro intervenne però Sergio Cervato, ex centromediano della Fiorentina e della nazionale, che nel 1976 andava alla ricerca di giovani talenti per la società viola. Cervato capì subito che il ragazzino andava preso a qualunque prezzo e finse stupore quando un dirigente del Livorno gli sparò la cifra di 60 milioni, che allora appariva stratosferica per un giocatore di nemmeno 16 anni. In realtà di ragazzini così, «a quel prezzo - confessò a trattativa conclusa - ne comprerei una dozzina».  Lo stesso Cervato, comunque, ingannò il suo vecchio amico e responsabile del settore giovanile della Fiorentina Egisto Pandolfini scrivendo in tutte le sue relazioni che Bruni era alto 1,72.  Sembra addirittura che Martelli, allora presidente del Livorno, si fosse vantato in giro di aver rifilato una «storica bidonata» ai cugini viola, una bidonata che comunque, vista la classe, l'autorità e la grinta con cui il piccoletto sa stare in campo, tutti vorrebbero prendere.  Luciano Bruni è nato a Livorno il 24 dicembre 1960; è alto 1,70 e pesa 66 kg; ha esordito in serie il 12 ottobre 1978 (Fiorentina-Lazio 3-0); ha iniziato la carriera nelle giovanili del Livorno, per essere acquistato dalla Fiorentina nel 1976; sei stagioni di serie A con la maglia viola per un totale di 29 presenze (1 gol); poi due campionati di serie B, il primo con la Pistoiese (17 gare, nessun gol) e il secondo con la Reggiana (28 gare, 2 gol); è giunto a Verona nella stagione (14 partite e 2 gol).

7 4° Mauro Ferroni Centrocampista – 1.70 m
Con l’Hellas: 153 presenze e 0 gol Tifosi gialloblù e avversari gli hanno coniato il nomignolo di «doberman», per la ferrea guardia che Mauro Ferroni esercita sugli attaccanti assegnatigli da Bagnoli in custodia. E' forse uno dei giocatori che il tecnico predilige maggiormente, antipersonaggio, una punta di timidezza, serio, educato e riflessivo. Ma soprattutto implacabile nell'assolvere le consegne.   Scapolo, ma non impenitente, ha lasciato giovanissimo Roma (è nato nel cuore di Trastevere) e una famiglia con sette fratelli (di cui uno, Armando, gioca nell'Avellino) per approdare prima a Lucca e poi a Genova, dove con la Sampdoria ha disputato otto campionati ad altissimo livello. E quando ha dovuto sostituire addi (una delle colonne del primo Verona targato-Bagnoli) passato alla Roma, il tecnico non ha esitato a scegliere lui, Ferroni, un difensore che nonostante la grinta e la decisione negli interventi si muove con eleganza e coordinazione.  Lo scorso inverno è venuto a mancare per un paio di mesi a causa di problemi ai legamenti di un ginocchio e la sua assenza ha seriamente preoccupato tutto l'ambiente gialloblù. E lui, professionista esemplare, ha stretto i denti, accelerato i tempi del recupero ed è prontamente tornato in trincea, permettendo a Bagnoli e alla squadra di assumere una disposizione tattica (Volpati era arretrato a marcare un attaccante, con tutti gli scompensi al centrocampo) più congeniale ai singoli e al collettivo.  La passione di Ferroni è la cucina: vive infatti solo ed ha imparato a badare a se stesso anche per le necessità alimentari. Romano da generazioni, ama la buona tavola e spesso prepara per gli amici squisiti bucatini alla amatriciana da innaffiare con vino Frascati.   Mauro Ferronl è nato a Roma il 10 dicembre 1955; è alto 1,70 e pesa 65 kg. Ha esordlto in serie A il 5 ottobre 1975 (Sampdoria-Lazio 0-1). Ha incominciato la carriera nell'OMI di Roma (serie D, 34 partite), poi un anno di Lucchese (serie C, 24 partite) per arrivare alla Sampdoria nella stagione ; otto i campionati in maglia blucerchlata, tre in serie A (48 partite, 1 gol) e cinque in serie B (175 partite, 2 gol). Il Verona lo ha acquistato all'inizio della stagione e nel primo campionato in maglia glalloblù ha disputato 27 partite.

8 3° Josè Guimaraes Dirceu Centrocampista – 1.70 m
Con l’Hellas: 47 presenze e 6 gol Il gol al 90’ di Zeytulaev contro la Pro Patria ( ) Dirceu è stato sicuramente un grande campione, ma soprattutto un grande uomo. Per una persona speciale come lui mi sembrava giusto dedicargli una pagina speciale. Ho deciso così di usufruire delle splendide parole del mitico Puliero per raccontare la sua esperienza veronese. Un modo simpatico e divertente per ricordare una persona che non è più tra noi:  •«Era dai tempi del •»favoloso•« Gundersen e del mitico Emanuele Del Vecchio che il Verona non aveva potuto schierare tra le sue fila un giocatore straniero, ora nel con la riapertura delle frontiere finalmente ritornarono ad accendere le fantasie dei tifosi anche giocatori fuori dall'Italia. I primi furono il polacco Zmuda e il brasiliano Dirceu, trentenne brasilero giramondo che già aveva portato i suoi tocchi fantasiosi in Spagna e in Messico oltre ad aver partecipato ai mondiali del Dirceu, proprietario del suo cartellino assai prima della cosiddetta •»era-Bosman•«, portò subito una carica di travolgente simpatia. In campo, era un brasiliano per molti versi atipico. Evitava accuratamente il dribbling, e correva senza sosta con i capelli al vento nelle vicinanze della palla. Una volta ricevuta, subito la smistava rigorosamente di prima con tocchi mirabili. Sapeva inoltre inventare lanci lunghissimi, e, quando capitava l'occasione, esplodeva superbi tiri da lontano: la sua battuta fondava violentemente la palla verso l'obiettivo, nei pressi del quale essa pareva improvvisamente rallentare per poi scendere - diceva lui- con un •»giro di samba•«. Egli fu un insuperabile reclamizzatore di se stesso. In allenamento sorrideva sempre. Regolarmente accerchiato da drappelli di tifosi, a tutti regalava un festoso •»ciao amigo•«. Rispondeva con gentilezza a chiunque, e si faceva in quattro per accettare i mille inviti che da ogni parte gli rivolgevano. Dirceu faceva tutto ciò per una scelta meditata, ma anche, certamente per reale cordialità. Me ne resi conto di persona il giorno in cui due maestre delle scuole materne di Buttapietra mi pregarono trepidanti di contattarlo per la premiazione di un torneo di calcio dei bambini. José accettò immediatamente; poi mi cercò più volte in serata per scusarsi, perché era stato spostato l'allenamento e avrebbe tardato di mezz'ora. All'asilo di Buttapietra si trovò davanti 200 bambini festanti. Avrebbe potuto dare una medaglietta ai 10 capisquadra e già tutti ne sarebbero stati lieti. Invece lui volle regalare una sua foto, salutare e baciare i bambini uno ad uno, regalando a ciascuno il suo autografo con dedica e non di rado informandosi di un taglietto sul dito o di un brufolo sul naso. Se ne andò sommerso dall'affetto della gente. Bagnoli ne aveva all'inizio accolto l'arrivo con perplessità: Dirceu era stato ingaggiato solo negli ultimi giorni di mercato e nel suo ruolo c'era già Guidolin, giocatore amato e stimato. Il brasiliano però ci mise poco a conquistare un posto da titolare e il suo primo gol italiano portò alla 7•° giornata il Verona ad un incredibile primo posto in classifica. Le sue grandi prestazioni si ripeterono di giornata in giornata e lo fecero diventare l'idolo dei tifosi. In estate però un amletico dubbio cominciò a tormentare i supporters gialloblù: Dirceu va o resta? Il brillante campionato del Verona e del brasiliano avevano attirato le attenzioni di molte squadre. José sarebbe rimasto volentieri a Verona, le cui mura antiche erano state addirittura tappezzate di centinaia di manifesti invocanti la sua permanenza in gialloblù. Le numerose e ricche offerte però orientavano i dirigenti del Verona verso la sua cessione. Ma come avrebbero potuto dirlo alla piazza? Essi contattarono i giornalisti •»amici•«, quelli che da anni erano abituati ad un atteggiamento acritico e ossequioso verso chiunque detenesse potere. Quando perciò Dirceu, come avrebbe fatto qualunque professionista, accettò l'offerta del Napoli, partì immediatamente, in particolare su •»L'Arena•«, una campagna di demonizzazione verso il •»folle traditore e mercenario•« brasiliano. Si rievocarono con protervia ed acidità le mille dichiarazioni di amicizia di José ai suoi tifosi, inventando per Verona l'immagine grottesca di una fanciulla cinicamente tradita, sedotta ed abbandonata da un avventuriero senza scrupoli. Molti tifosi abboccarono e quando alla 9•° giornata Dirceu si presentò al Bentegodi con la maglia del Napoli, lo stadio lo accolse ribollente di fischi e urla di scherno, e pavesato di striscioni irridenti tra i quali campeggiava un •»Dirceu, amigo dighelo a to pare•«. José, che nelle dichiarazioni della vigilia aveva ribadito comunque il suo affetto alla città, esprimendo il desiderio di salutare i suoi vecchi tifosi benché gli avessero voltato le spalle, si comportò ancora una volta da signore. Incurante dei mille insulti assurdi che gli piovevano dagli spalti, tempestato dai fischi e improperi, tranquillo e deciso egli si diresse corrichiando intorno alla curva affrontando a viso aperto, come per un dovere irrinunciabile , proprio il boato che lo aggrediva con sempre maggiore veemenza. Ai lazzi degli smemorati e degli ingenui, egli oppose un lungo saluto con le mani alzate che suscitò rispetto ed ammirazione. In campo poi quando il suo compagno segnò il gol del pareggio evitò di esultare in rispetto dei suoi vecchi tifosi. Ora il vecchio •»amigo•« è arrivato prematuramente all'ultimo trasferimento (è morto nel 1994 in un terribile incidente stradale); senza essere un campionissimo, ha certamente saputo comunicare la sua voglia saggia di affrontare il calcio come un gioco da vivere fantasiosamente con fanciullesca allegria. Se là dove ora riposa è ancora lecito giocare, non v'è dubbio che sia riuscito a strappare un ingaggio anche a San Pietro.•»  da •«Alè alè alè bum bum•» di Roberto Puliero.

9 2° Osvaldo Bagnoli Mediano – 1.70 m Con l’Hellas: 99 presenze e 30 gol
Malinconico, introverso, diffidente, testardo, assolutista: quante ne sono state dette su Osvaldo Bagnoli nei vari momenti della sua ascesi, un personaggio scomodo perché personaggio non era, nemmeno ribaltandolo, provando a trasformarlo in un anti-personaggio. Bagnoli era ed è, fuori dal campo, un uomo normale, che conduce un'esistenza tranquilla, dotato di una grandissima umanità e di una modestia spontanea, sincera. Una vita che contrasta con quello che poi Osvaldo seppe fare sul campo ottenendo risultati straordinari con tutte le sue squadre, frutto di una capacità e di una preparazione che lo fanno indubbiamente appartenere al ristretto novero dei migliori di sempre in Italia. Un allenatore eccezionale, capace di ottenere sempre il massimo dal materiale umano, spesso poco più che discreto, che gli veniva messo a disposizione. Un solo trofeo per lui in bacheca, ma che vale quanto, se non più di una coppa Campioni: uno scudetto in un capoluogo di provincia (Verona), un'impresa riuscita a nessun altro da quando esiste il girone unico.  Di lui non si può dire che sia stato un innovatore tattico o un roboante condottiero di uomini. Eppure pochi come Osvaldo Bagnoli hanno saputo sottolineare con gli esiti del proprio lavoro l'importanza dell'allenatore. Smentire l'assioma che vorrebbe ininfluente il tecnico, senza la presenza di adeguati fuoriclasse. Il Verona , ultimo intruso della storia all'esclusivo desco metropolitano dello scudetto, non conteneva fuoriclasse, ma un gruppo di buoni giocatori, nessuno dei quali, oltre quella parentesi, ha annoverato in carriera grossi successi. Eppure Bagnoli, con quel suo fare ammiccante e riservato, riuscì a portarlo allo scudetto, superando rivali che i fuoriclasse invece li avevano ben esposti in vetrina. E si trattava dei più grandi del mondo: Maradona, Platini, Rumenigge, Zico. 

10 1° Giuseppe Galderisi Attaccante – 1.68 m
Con l’Hellas: 151 presenze e 45 gol Coppa Uefa 1983/84: Stella Rossa- Hellas Verona 2-3. Obbligatorio quando si parla di Verona e di Galderisi iniziare da quella partita memorabile, una delle pagine più belle della storia gialloblu. L'Hellas dopo aver vinto 1 a 0 al Bentegodi si presenta a Belgrado con l'intento di difendere l'esiguo vantaggio, ma la partita si fa fin da subito molto difficile. Fortuna che quella è la sera di •«Nanu•», e che sera!. Con due autentiche prodezze il piccolo attaccante gialloblu regala al Verona una splendida vittoria e a sé stesso una fama europea. Le immagini delle sue reti, trasmesse in •«Eurogol•», scomodano voci importanti della critica continentale e gli valgono il paragone ad un altro •«piccolo•» ricco di talento, un certo Diego Armando Maradona. Attaccante rapido, grintoso, inarrestabile nelle giornate di vena, nonostante la statura •«Nanu•» sapeva anche colpire egregiamente di testa.  Giuseppe Galderisi nasce a Salerno il 22 marzo Sin da giovanissimo mostra le sue qualità di pocket-bomber e la Juve non se lo lascia scappare. Trasferitosi a Torino, a soli 16 anni esordisce in Coppa Italia, a 17 in Campionato (Perugia-Juve 0-0 del 9 novembre 1980) e a 18 è già decisivo. E' la stagione 1981/82 e la Juventus per aggiudicarsi lo scudetto punta sul giovane attaccante campano che ricambia la fiducia segnando 6 gol in 424' di gioco, dando alla squadra il guizzo decisivo nello sprint con la Fiorentina. La stagione successiva è invece avara di soddisfazioni: solo sette spezzoni di partita. D'altra parte quello juventino non era l'ambiente ideale per un giovane ricco di talento ma ancora acerbo per una grande. Nanu Galderisi arrivava allo stadio in tram, mentre i compagni parcheggiavano le loro lussuose fuoriserie. Chiaro che per esplodere avrebbe dovuto trovare un ambiente più affine al suo, Verona, dove sul tram per gli allenamenti avrebbe addirittura incontrato il suo allenatore Bagnoli. Jeans, maglietta e scarpe da tennis sono il suo abbigliamento preferito, Paolo Rossi il suo modello.  Galderisi mostra già nella sua prima stagione gialloblu tutte le sue qualità: 7 gol in campionato e le •«notti magiche•» in Europa. La stagione 1984/85 è quella dello scudetto e Nanu è ancora una volta decisivo: con Elkjaer come compagno d'attacco riesce a sfruttare stupendamente i varchi aperti dal danese, trasformandosi in autentico mattatore. Il bottino finale è di undici reti tra le quali sono da ricordare la doppietta a Firenze, il gol del vantaggio con la Juventus al Bentegodi e quello segnato all'Avellino nel giorno della grande festa finale. La stagione successiva Galderisi disputa un'altro buon campionato condito da sei reti e soprattutto dalla convocazione per i mondiali del Messico insieme ai compagni di squadra Di Gennaro e Tricella. L'esperienza con l'Italia è purtroppo da dimenticare: dopo aver stentato nel girone iniziale la nazionale viene fatta fuori dalla Francia di Platini e Galderisi in 325' di gioco non riesce mai a centrare la rete. Conosciuto ormai a livello mondiale Nanu lascia Verona per approdare al Milan: siamo all'alba del ciclo di Sacchi che porterà la squadra rossonera a dominare la scena calcistica mondiale. Una stagione deludente (solo 3 gol) impedisce però all'attaccante campano di prendere parte a questi successi. L'anno successivo si ritrova addirittura in B con la maglia della Lazio per una promozione sofferta. Giuseppe nell'estate 1988 ritorna al Verona e l' annata è tutto sommato positiva: con le sue 4 reti contribuisce a un soddisfacente undicesimo posto per la squadra gialloblu giunta ormai al tramonto dell'era Bagnoli. Ritornato al Milan non riesce a trovare spazio tanto che ad ottobre finisce al Padova in serie B. Nella squadra biancoscudata rimane per ben sette stagioni (le ultime due in serie A) collezionando 197 presenze e 46 gol. Nel 1996 ormai trentatreenne Galderisi decide di partire per la rinata lega calcistica statunitense. La sua è una scelta di vita: Nanu rimane tre anni negli USA prima come calciatore poi come collaboratore di Zenga nei New England Revolution.  Tornato in Italia l'ex centravanti campano si trova oggi ad allenare la Cremonese in C2. Questo è Giuseppe Galderisi un calciatore che, nonostante le 10 presenze collezionate nella nazionale italiana, non ha forse mantenuto in pieno le promesse del suo sfolgorante avvio di carriera ma che tuttavia ha saputo regalare ai tifosi gialloblu emozioni indimenticabili.


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