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Il seguente progetto è stato realizzato dagli alunni delle classi 5^ del 1° Istituto Comprensivo “A. Manzoni – G.S. Poli” del plesso “G. Cozzoli”. Hanno.

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Presentazione sul tema: "Il seguente progetto è stato realizzato dagli alunni delle classi 5^ del 1° Istituto Comprensivo “A. Manzoni – G.S. Poli” del plesso “G. Cozzoli”. Hanno."— Transcript della presentazione:

1 Il seguente progetto è stato realizzato dagli alunni delle classi 5^ del 1° Istituto Comprensivo “A. Manzoni – G.S. Poli” del plesso “G. Cozzoli”. Hanno partecipato gli alunni della classe 3^ A che hanno eseguito il brano “Un’ ala di riserva”. Hanno contribuito alla realizzazione del progetto gli insegnanti: Carmela Facchini, Sergio Andriani, Fiorella Camporeale, Cinzia Claudio, Maria Teresa Gallo, Isabella Salvemini Damiana Spaccavento, Sabrina Todaro

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4 Uno scritto di don Tonino di 20 fa ci può aiutare a vivere i nostri giorni, segnati dallo spread, dalla crisi e da tante analisi, magari difficili da comprendere, e ci indica una strada, davanti ad alcuni dati che riguardano il nostro Paese: 8 milioni di poveri, oltre 36% i giovani senza lavoro. “Non è vero che si nasce poveri. Si può nascere poeti, ma non poveri. Poveri si diventa. Come si diventa avvocati, tecnici, preti. Dopo una trafila di studi, cioè. Dopo lunghe fatiche ed estenuanti esercizi. Quella della povertà, insomma, è una carriera. E per giunta tra le più complesse. Suppone un noviziato severo. Richiede un tirocinio difficile. (…)  Povertà come annuncio. (…)  Povertà come rinuncia. (…)  Il cristiano rinuncia ai beni per essere libero di servire. Non per essere più libero di sghignazzare, che è la forma più allucinante di potere. Ecco allora che si introduce nel discorso l’importantissima categoria del servizio, che deve essere tenuta presente da chi vuole educarsi alla povertà. Spogliarsi per lavare i piedi, come fece Gesù che, prima di quel sacramentale pediluvio fatto con le sue mani agli apostoli, ‘depose le vesti’. Chi vuol servire deve rinunciare al guardaroba

5 MONS. Antonio Bello Nato ad Alessano ( Lecce) il 18 marzo 1935, A. Bello rimarrà sempre, anche quando sarà vescovo, “Don Tonino”. Figlio di un maresciallo dei carabinieri e di una donna semplice e di grande fede, trascorre l’infanzia in un paese di economia agricola. Finite le elementari viene mandato, per poter continuare gli studi, in seminario prima ad Ugento e poi a Molfetta. Frequentò l’O.N.A.R.M.O. ( Opera Nazionale Assistenza Religiosa Morale degli Operai ). L’8 dicembre 1957 è ordinato sacerdote e dopo un anno sarà nominato maestro dei piccoli seminaristi. Nei successivi diciotto anni sarà capace di mediare tra verità del metodo ed esigenze giovanili. Alla fine degli anni ’70 è nominato parroco di Tricase; quest’esperienza in parrocchia gli fa toccare con mano le problematiche dei poveri, dei disadattati e degli ultimi. Nel 1982 viene nominato vescovo di Molfetta, Giovinazzo, Terlizzi e Ruvo e nell’85 presidente di “PAX CHRISTI”.

6 Comunione, Evangelizzazione e Scelta degli Ultimi sono gli elementi principali su cui sviluppò la sua idea di Chiesa: la Chiesa del grembiule. Egli si impegnò ad assistere gli operai delle acciaierie di Giovinazzo e ospitò gli sfrattati in episcopio. Rinunciò ai segni del potere e scelse il “ POTERE DEI SEGNI”: nascono così la casa della pace, la comunità dei tossicodipendenti e un centro di accoglienza per gli immigrati. Successivamente con la guerra del Golfo ha degli scontri con i politici e addirittura viene accusato di incitare alla diserzione. Tuttavia don Tonino ha sempre dimostrato coerenza nelle sue scelte di uomo, di cristiano, di sacerdote e di vescovo. Infatti l’obiettivo della su vita è stato mettere in pratica il Vangelo. Successivamente partecipò alla marcia pacifica a Sarajevo, nonostante fosse malato. Il 7 dicembre 1992 partirono in 500 da Ancona ( credenti e non ) di nazionalità diverse, ma uniti da un unico desiderio cioè quello di portare la pace ai popoli che erano in guerra. Questo evento ha lasciato un segno nel suo cuore tanto da voler concelebrare fino all’ultima ora sulla tovaglia tessuta insieme da donne bosniache, serbe e croate, come simbolo dell’unità in Cristo. Pochi mesi dopo, il 20 aprile 1993, consumato da un cancro muore con grande serenità.

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8 AMATE CRISTO E AMATE I POVERI
Lo stemma episcopale di don Tonino. Secondo la tradizione araldico - ecclesiastica lo stemma deve avere uno scudo, una croce e un cappello vescovile con cordoni. Lo stemma di don Tonino è composto da: uno scudo che contiene dei simboli che fanno riferimento al proprio paese ( Alessano ). La croce è denominata “ Senza peso” perché è sorretta dalle ali che esprimono la fiducia nella misericordia di Dio; una croce in oro posta in palo cioè posta verticalmente dietro lo scudo; cappello prelatizio con cordoni a sei fiocchi che rappresentano il grado vescovile pendenti su ciascun lato ( ordinati 1-2-3) di colore verde; un cartiglio di colore bianco con una scritta in nero che racchiude il suo motto. Il motto del suo stemma è tratto dal salmo 34: “ Ascoltino gli umili e si rallegrino” Infatti l’obiettivo della vita di don Tonino è stato quello di annunciare l’amore di Dio ai poveri e la solidarietà verso i fratelli: AMATE CRISTO E AMATE I POVERI

9 Don Tonino Bello appena fu nominato vescovo si trovò a fare delle scelte apparentemente marginali: lo stemma, la croce pettorale, il pastorale, l’anello e il guardaroba. Egli fece scelte attente ed orientate, facendo delle insegne episcopali ( da episcopo = sorvegliante) non “ Segni del Potere” , ma si impegnò a dare “ POTERE AI SEGNI”. Così ridusse al minimo il suo guardaroba rifiutando di farsi confezionare la talare paonazza, usando soltanto la talare nera filettata che indossò anche durante l’ordinazione episcopale. Lo stemma lo volle semplice riprendendo quello del suo paese Alessano che aveva nello scudo una croce sorretta da due ali . Per motivi araldici scrisse il motto in latino perché diceva che i poveri non conoscevano il latino e quindi non potevano comprenderlo. I segni scelti per il suo ministero episcopale furono molto significativi: Il pastorale in legno d’ulivo era più simile al vincastro di un pastore che allo scettro. La croce pettorale era semplice anch’essa era fatta di legno. L’anello era la fede nuziale della madre sulla quale fece incidere il monogramma di Cristo. La mitria era un semplice copricapo.

10 Nell’apostolato di don Tonino il suo interesse primario riguardava la “scelta degli ultimi”.
Egli ha fatto una scelta di povertà personale non solo sul piano del denaro ma anche nella scelta dei titoli e delle insegne. Il suo stile ecclesiale e ministeriale della Chiesa era fondato sul potere dei segni. Don Tonino riesce a creare un forte legame tra l’amore verso Dio e verso i poveri. Egli affermava che ognuno di noi deve educarsi alla povertà. Infatti don Tonino diceva:” l’educazione alla povertà è un mestiere difficile per chi lo insegna e per chi lo impara. Forse è proprio per questo che il maestro ha voluto riservare ai poveri, ai veri poveri, la prima beatitudine. Quindi ogni cristiano per poter entrare nel Regno di Dio deve seguire l’esempio di Cristo: “…Che da ricco che era si fece povero.” (2 Cor. 8,9). I poveri sono coloro che non hanno né ricchezze né amicizie che contano e non sono difesi da nessuno, ma per don Tonino ogni povero ha un nome e un cognome, un volto e una storia personale. Pertanto la Chiesa deve saper eliminare i segni del potere per poter “…Diventare una Chiesa povera e dei poveri ; cioè non la Chiesa dell’elemosina, ma una Chiesa che si batte per la difesa dei diritti dei poveri” per poter diventare LA CHIESA DEL GREMBIULE.

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17 Il viaggio più serio è quello che porta all'incontro con Dio.
Il nostro compito storico è di saper stare insieme a tavola. Non basta mangiare: pace vuol dire mangiare con gli altri. Dio è presente nel cuore di tutti, se non come presenza, almeno come nostalgia. Il viaggio più serio è quello che porta all'incontro con Dio. Il nostro compito storico è di saper stare insieme a tavola. Non basta mangiare: pace vuol dire mangiare con gli altri. Ricordiamoci che delle nostre parole dobbiamo rendere conto agli uomini. Ma dei nostri silenzi dobbiamo rendere conto a Dio! Il viaggio più lungo è quello che conduce alla casa di fronte. Vi faccio questo augurio. Che anche voi, scrutando i segni, possiate dire così: Resta poco della notte, perché il sole sta già inondando l'orizzonte. Pregare significa innanzitutto aderire alla volontà di Dio, dichiararsi servo di Dio: mettere in pratica il Vangelo, entrare nella logica del Vangelo. Sii un uomo liberato. Non solo un uomo libero che dà il tempo libero agli altri. Sii un liberatore, che libera gli altri dalle angosce! Stare con gli ultimi significa lasciarsi coinvolgere dalla loro vita. Prendere la polvere sollevata dai loro passi. Guardare le cose dalla loro parte.

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20 Lettera al “fratello marocchino”
Fratello marocchino. Perdonami se ti chiamo così, se col Marocco non hai nulla da spartire. Ma tu sai che qui da noi,verniciandolo di disprezzo, diamo il nome di marocchino a tutti gli infelici come te, che vanno in giro per le strade, coperti di stuoie e tappeti, lanciando ogni tanto quel grido, non si sa bene se di richiamo o di sofferenza: tapis! La gente non conosce nulla della tua terra. Poco le importa se sei della Somalia o dell’Eritrea, dell’Etiopia o di Capo Verde. A che serve? Il mondo ti è indifferente. Dimmi marocchino. Ma sotto quella pelle scura hai un’anima pure tu? Quando rannicchiato nella tua macchina consumi un pasto veloce, qualche volta versi anche tu lacrime amare nella scodella? Conti anche tu i soldi alla sera come facevano un tempo i nostri emigranti? E a fine mese mandi a casa pure tu i poveri risparmi, immaginandoti la gioia di chi li riceverà? E’ viva tua madre? La sera dice anche lei le orazioni per il figlio lontano e invoca Allah, guardando i minareti del villaggio addormentato? Scrivi anche tu lettere d’amore? Dici anche tu alla tua donna che sei stanco, ma che un giorno tornerai e le costruirai un tukul tutto per lei, ai margini del deserto o a ridosso della brughiera? Mio caro fratello, perdonaci. Anche a nome di tutti gli emigranti clandestini come te, che sono penetrati in Italia, con le astuzie della disperazione, e ora sopravvivono adattandosi ai lavori più umili. Sfruttati, sottopagati, ricattati, sono costretti al silenzio sotto la minaccia di improvvise denunce, che farebbero immediatamente scattare il “foglio di via” obbligatorio.  Perdonaci, fratello marocchino, se noi cristiani non ti diamo neppure l’ospitalità della soglia. Se nei giorni di festa, non ti abbiamo braccato per condurti a mensa con noi. Se a mezzogiorno ti abbiamo lasciato sulla piazza, deserta dopo la fiera, a mangiare in solitudine le olive nere della tua miseria. Perdona soprattutto me che non ti ho fermato per chiederti come stai. Se leggi fedelmente il Corano. Se osservi scrupolosamente le norme di Maometto. Se hai bisogno di un luogo dove poter riassaporare, con i tuoi fratelli di fede e di sventura, i silenzi misteriosi della tua moschea. Perdonaci, fratello marocchino. Un giorno, quando nel cielo incontreremo il nostro Dio, questo infaticabile viandante sulle strade della terra, ci accorgeremo con sorpresa che egli ha …..il colore della tua pelle.                                                                                                             Don Tonino Bello

21 Ti auguro un'oasi di pace
La strada vi venga sempre dinanzi e il vento vi soffi alle spalle e la rugiada bagni sempre l'erba cui poggiate i passi. E il sorriso brilli sempre sul vostro volto. E il pianto che spunta sui vostri occhi sia solo pianto di felicità. E qualora dovesse trattarsi di lacrime di amarezza e di dolore, ci sia sempre qualcuno pronto ad asciugarvele. Il sole entri a brillare prepotentemente nella vostra casa, a portare tanta luce, tanta speranza e tanto calore.


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