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Scheda del film Breve storia del Rwanda Recensione

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Presentazione sul tema: "Scheda del film Breve storia del Rwanda Recensione"— Transcript della presentazione:

1 Scheda del film Breve storia del Rwanda Recensione
HOTEL RWANDA Scheda del film Breve storia del Rwanda Recensione Candidato a tre premi Oscar come: Miglior attore protagonista Miglior attrice non protagonista Miglior sceneggiatura originale

2 Scheda del film Genere: Drammatico Regia: Terry George
Soggetto e sceneggiatura: Keir Pearson & Terry George Fotografia: Robert Fraisse Musiche: Andrea Guerra, Rupert Gregson Williams, Afro Celt Suond System Montaggio: Naomi Geraghty Produzione: A.Kitman Ho, Terry George Interpreti: Don Cheadle (Paul Rusesabagina), Sophie Okonedo (Tatiana), Joaquin Phoenix (Jack), Nick Nolte (colonnello Oliver), Desmond Dube, David O’Hara, Cara Seymour, Fana Mokoena, Hakeem Kaekazim, Tony Kgoroge, Jean Reno, Roberto Citran. Nazionalità: Gran Bretagna/ Sud Africa/ Italia Distribuzione: Mikado film Anno di uscita: 2005 Durata: 121’ Soggetto: Nel 1994 a Kigali, capitale del Rwanda, scoppia una sanguinosa guerra civile. Gli estremisti di etnia Hutu massacrano i loro vicini di etnia, i Tutsi, ma anche gli Hutu moderati che incontrano sulla loro strada. In circa cento giorni di scorribande viene ucciso quasi un milione di persone. Di fronte all’incalzare di questi avvenimenti, e alla mancanza di aiuti internazionali, Paul Rusesabagina, direttore dell’elegante albergo Mille Collines, trova il coraggio per ospitare gruppi di persone in fuga e per difendere se stesso e la propria famiglia. Rischiando ogni momento la vita, Paul riesce a dare rifugio ad oltre mille persone e a salvarle da morte sicura.

3 Breve storia del Rwanda
Il Rwanda ha una lunga e complicata storia alle spalle, ma come per tanti altri paesi africani, se ne sono ormai perdute le tracce. Fino al 1880 il Rwanda praticamente non esisteva neanche come entità politica: l’area era un agglomerato senza confini nel quale convivevano le due etnie principali, gli Hutu e i Tutsi. In realtà è improprio definirli “etnie differenti” poiché i due gruppi parlano la stessa lingua, condividono gli stessi riti, la stessa fede. I tutsi erano ricchi proprietari terrieri e allevatori di bestiame, giunti nell’area oggi conosciuta con il nome di Rwanda tra il XIV e il XV secolo. A quell’epoca gli Hutu vivevano già nella zona e la loro popolazione era di gran lunga superiore in termini numerici rispetto a quella Tutsi. Ciononostante la minoranza Tutsi riuscì con il tempo a sottomettere gli Hutu, governandoli con un sistema che si ispirava ad una sorta di monarchia feudale. Tale divisione andò avanti senza troppe tensioni per centinaia di anni. Nel 1894 i primi occidentali giunsero in Rwanda e nel 1899, senza alcune resistenza da parte degli abitanti locali, i tedeschi trasformarono il Rwanda in un protettorato che entrò a far parte dell’Africa Orientale Tedesca. Durante la 1° guerra mondiale l’esercito belga, di stanza nel vicino Zaire (l’attuale Repubblica Democratica del Congo), assunse il controllo del Rwanda. Dopo la guerra questo controllo vene consolidato dalla Lega delle Nazioni che affidò al Belgio un mandato territoriale su “Rwanda- Urundi”, una zona che comprendeva l’attuale Rwanda e il Burundi. Nel governare il nuovo territorio, le autorità belghe si servirono dell’esistente monarchia Tutsi per tenere sotto controllo la popolazione, ma così facendo esacerbarono le differenze già istituzionalizzate tra le due etnie: il dominio belga e il trattamento di favore riservato ai Tutsi- che spesso relegavano gli Hutu ai margini della società- crearono enormi tensioni all’interno del paese, tensioni che esplosero dopo la 2°guerra mondiale.

4 Negli anni Cinquanta il governo belga cominciò a seguire la via delle riforme, per tentare di risolvere gli innumerevoli problemi che affliggevano il paese e insediare un governo democratico ma i tradizionalisti Tutsi si opposero. Alora i Belgi incoraggiarono la rivolta degli Hutu che nel 1959 cacciarono i Tutsi dal potere. Nel 1962 si tennero delle regolari elezioni, che portarono alla vittoria della maggioranza Hutu e all’indipendenza dal Belgio. Nei primi anni di indipendenza l’inefficienza del sistema e la corruzione dilagarono nel paese e nel 1973 il generale Juvenal Habyarimana, di etnia Hutu, organizzò un colpo di stato, assumendo il controllo del paese, diventando un dittatore e bandendo qualunque attività politica tranne quella del suo partito. Habyarimana governò il paese con il pugno di ferro fino a quando dovette piegarsi alla volontà delle Nazioni Unite, che lo costrinsero ad attuare delle profonde riforme per il bene del Paese. Nel frattempo un gruppo formato soprattutto da rwandesi di etnia Tutsi in esilio diede vita al Fronte Patriottico Rwandese (RPF) e invase il Paese partendo dall’Uganda, dando così inizio alla guerra civile. Il 6 aprile 1994, rientrando in Rwanda dopo aver partecipato alla firma degli accordi di pace, il generale Habyarimana e il presidente del Burundi vennero assassinati in un incidente aereo. Non è ancora stato stabilito chi furono i veri responsabili dell’attentato, ma molto probabilmente a provocarlo furono i membri del loro stesso partito, gli estremisti dell’Hutu Power, che però accusarono i Tutsi dell’attentato. Quella stessa notte cominciò l’esecuzione, pianificata da tempo, degli alti funzionari Tutsie degli Hutu moderati: il massacro andò avanti per tre mesi senza che nulla o nessuno lo fermasse. Durante il genocidio perse la vita circa un milione di persone e più di tre milioni furono costretti a fuggire, causando la peggiore crisi di rifugiati mai conosciuta.

5 Recensione “Il film riporta fedelmente il 90% di quello che è accaduto, non c’è molto altro da raccontare. Sono stati aggiunti un po’ di sapori necessari a un racconto per il cinema, ma la tragedia è stata ancora più terribile di quella che vedete sullo schermo”. E’ la testimonianza di Paul Rusesabagina, manager hutu dell’Hotel Mille Collines di Kigali, il quale, sfruttando una rete di conoscenze sviluppate in anni di impeccabile servizio, comprò a colpi di dollari i suoi “scarafaggi”, accolse orfani e religiosi, uomini, donne, vecchi e bambini, lottò con i denti per la loro sicurezza minacciando anche l’esercito hutu e dimostrando che a volte basta davvero un uomo solo per fare la differenza. “Lo schindler africano” è stato già ribattezzato, ma Paul cerca di prendere le distanze da tale epiteto: egli non si sente un eroe né un moralista. Non prende mai in mano un’arma. E’ un uomo come tanti che usa la forza dell’astuzia, finge di piegarsi di fronte alla prepotenza, ma non deflette mai dal suo scopo. Eppure, senza deciderlo mai davvero, finisce per diventarlo eroe: lo diventa nel modo migliore, ovvero guardando gli uomini e le donne che gli chiedono aiuto. Ogni volta, di fronte alla necessità di decidere se chiudersi nella normalità e nell’abulia del suo proprio interesse o aprirsi alla richiesta d’aiuto e al rischio, Paul non sente neppure il bisogno di porsi la questione…è proprio questa sua abilità che gli permette di salvare ben 1268 persone dall’altrimenti inevitabile massacro. Eppure la storia di Paul Rusesabagina sarebbe potuta essere quella stessa di Gregoire, il portiere del suo hotel che lo denuncia alla milizia: entrambi hutu, a separarli non è stata una scelta morale né ideologica, neppure un atto di volontà, ma qualcosa di meno evidente, di meno voluto. E’ stato l’atteggiamento di fondo nei confronti della vita propria e degli altri: Gregoire non vede e non sente i singoli uomi e le singole donne che ha di fronte. Per lui, come per altri persecutori, sono tutti scarafaggi. E questo gli basta. Per Paul invece non è così. E questo ha fatto la differenza.

6 Grazie a questo film migliaia di persone hanno potuto conoscere ciò che è avvenuto dodici anni fa, questa storia terribile, disumana e per qualcuno anche “scomoda” da raccontare. Hotel Rwanda non vuol essere un documentario ma un lungometraggio costruito condensando fatti e situazioni davvero accadute al protagonista, non sbagliando nessun tempo e nessun ritmo narrativo, neppure nei momenti più truci in cui sarebbe bastato un nulla per scivolare nell’eccesso o, all’inverso, per peccare edulcorando. Possiamo affermare che il film, anziché insistere su ciò che hanno fatto i neri, insiste su ciò che non hanno fatto i bianchi, ricostruisce con forza l’intreccio di complicità, indifferenza e ottusità che portò al genocidio. “La rabbia e l’amarezza più grandi vengono dal tradimento della comunità internazionale”, dice Rusesabagina. “C’erano 2500 soldati Onu, la gente si era asserragliata nelle chiese e nelle scuole. Quando se ne andarono fu come dire ai massacratori fatevi sotto, finite il vostro lavoro”. Il mondo occidentale e l’Onu sapevano dei massacri che stavano cancellando un milione di cittadini del Rwanda ma si preoccuparono solo di evacuare gli europei in zona e naturalmente ciò contribuì ad aizzare, più che fermare, il genocidio. Significative sono, a riguardo, le parole dette nel film dall’ufficiale canadese a capo del contingente Onu: “Per l’occidente, per le Nazioni Unite voi siete spazzatura. Non resteremo, non fermeremo questa carneficina. E tu no sei neanche un negro, sei un africano”. Dopo più di dieci anni da quel massacro i politici di tutto il mondo hanno chiesto scusa, sono corsi in Rwanda per farsi perdonare dai sopravvissuti e hanno ripetuto più volte che una cosa del genere non dovrà più accadere; eppure, a dispetto delle promesse dei politici, quello che è accaduto in Rwanda sta già accadendo di nuovo in Sudan, in Congo o in qualche altro posto dove la vita umana sembra valere meno di zero. “Perché l’orrore può ripetersi- afferma Rusesabagina- è importante non abbandonare le vittime, testimoniare, resistere, e seguire la riconciliazione in Rwanda. Oggi i vincitori sono pronti al perdono ma vogliono che i colpevoli si inginocchino. Il vizio è che qualcuno pensi di imporre la democrazia dall’alto, come in Iraq. Sarebbe il guaio peggiore. Bisognerebbe invece invogliare la gente a sedersi e a parlare, tutti insieme, i vincitori che oggi hanno in mano il potere e gli sconfitti che restano intimiditi”.


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