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Scuola Secondaria di 1° grado di Gossolengo (PC)

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Presentazione sul tema: "Scuola Secondaria di 1° grado di Gossolengo (PC)"— Transcript della presentazione:

1 Scuola Secondaria di 1° grado di Gossolengo (PC)
Via G. Marconi 7 tel tel./fax e mail - sito - Strada Maestra di vita classi 2C – 2D

2 La vita è una strada lunga, a volte difficile, in salita o con vertiginose discese.
Noi giovani spesso l’affrontiamo con leggerezza, a volte in modo spericolato, troppo spesso senza renderci conto del rischio che corriamo quando non rispettiamo le regole e i divieti che la legge ci impone. Per affrontare questo percorso abbiamo bisogno di guide, di persone adulte, genitori, insegnanti, educatori, che ci supportino, ci sgridino, ci aiutino, ci spronino per affrontare al meglio la strada che ci aspetta. Non diversamente è accaduto a Dante nel suo lungo viaggio nei profondi e oscuri meandri dell’inferno; la sua discesa, costellata da titubanze, paure, esitazioni, non sarebbe stata possibile se non ci fosse stato accanto a lui Virgilio, guida amorosa e severa che non lo abbandona un istante. Attraverso questo percorso Dante imparerà a superare le sue paure, a valutare le conseguenze che derivano dall’abbandono della retta via, a testimoniare il dolore altrui, soffrendo, piangendo ma anche trovando sollievo nel suo maestro; non diversamente noi, nel nostro percorso di crescita, impareremo tante lezioni, più o meno severe, che ci rafforzeranno, ci faranno crescere lungo questo percorso, lungo questa strada “maestra di vita”.

3 La selva in cui si trova Dante è un luogo pieno di insidie e di pericoli, così come la vita, e se non si è ben guidati si può perdere la strada.

4 Canto I, vv Nel mezzo del cammin di nostra vita mi ritrovai per una selva oscura, ché la diritta via era smarrita. Ahi, quanto a dir qual era è cosa dura esta selva selvaggia e aspra e forte che nel pensier rinova la paura! Tant’è amara che poco è più morte; ma per trattar del ben ch’i’ vi trovai, dirò de l’altre cose ch’ i’ v’ho scorte. Io non so ben ridir com’i’ v’intrai, tant’era pien di sonno a quel punto che la verace via abbandonai. vv. 60 – 66 Mentre ch’i’ rovinava in basso loco, dinanzi a li occhi mi si fu offerto chi per lungo tempo parea fioco. Quando vidi costui nel gran diserto, “Miserere di me” gridai a lui “qual che tu sii, od ombra od omo certo!” [Virgilio rispose] “A te convien tenere altro viaggio […] Se vuo’ campar d’esto loco selvaggio” […] Allor si mosse, e io li tenni dietro. La selva in cui si trova Dante è un luogo pieno di insidie e di pericoli, così come la vita, e se non si è ben guidati si può perdere la strada. Nella selva l’uomo si smarrisce a causa del sonno della ragione, cioè l’incapacità di discernere ciò che è giusto e ciò che è sbagliato. Le tre fiere, che nell’inferno dantesco rappresentano il peccato, possono essere intese da noi moderni come i pericoli, le difficoltà che ognuno di noi deve affrontare e che ci respingono nel buio della selva. Ecco allora che appare una guida, Virgilio, che mostra a Dante il percorso da affrontare, una strada lunga e difficile ma che insegna tante cose, che può diventare “maestra di vita”.  

5 ... ma come a Dante si affianca Virgilio, che lo incita ad abbandonare qualsiasi timore, così i giovani possono contare su guide sagge ed esperte

6 Canto III vv. 1 – 14 “Per me si va nella città dolente, per me si va ne l’etterno dolore, per me si va tra la perduta gente […]. Lasciate ogne speranza, voi ch’intrate”. Queste parole di colore oscuro Vid’io scritte al sommo di una porta; per ch’io: “Maestro, il senso lor m’è duro”. “Qui si convien lasciare ogne sospetto; ogne viltà convien che qui sia morta”. […] E poi che la sua mano a la mia puose Con lieto volto, ond’io mi confortai, mi mise dentro a le segrete cose.   Canto III vv. 82 – 92 Ed ecco verso noi venir per nave Un vecchio, bianco per antico pelo, gridando: “Guai a voi, anime prave!” Non isperate mai veder lo cielo: i’ vegno per menarvi a l’altra riva ne le tenebre etterne, in caldo e ‘n gelo. E tu che se’ costì, anima viva, pàrtiti da cotesti che son morti”. […] E ‘l duca [a] lui: “Caron, non ti crucciare: vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole, e più non dimandare”. Il cammino di Dante comincia con la porta infernale, che reca sulla sua sommità la celeberrima scritta: “Lasciate ogni speranza, voi che entrate”. L’inizio di un percorso è sempre difficile, per chiunque, soprattutto quando porta verso l’ignoto. Così accade per i ragazzi che, da bambini protetti e tutelati dai genitori, diventano giovani uomini e giovani donne con precise responsabilità verso se stessi e gli altri; ma come a Dante si affianca Virgilio, che lo incita ad abbandonare qualsiasi timore, così i giovani possono contare su guide sagge ed esperte che indicano loro il modo più efficace per seguire la propria strada. L’ostacolo successivo che Dante deve affrontare è l’attraversamento del fiume Acheronte. Il traghettatore oppone un deciso rifiuto al passaggio di Dante: solo i morti possono percorrere quella via. Ancora una volta Virgilio, guida saggia e maestro, interviene a favore del poeta, imponendo la propria autorità che deriva da Dio.

7 La strada di Dante è costellata quindi da mostri
Come accade nella vita di ciascuno, le difficoltà temprano il carattere e la saggezza acquisita dall’esperienza permette di diventare più forti ma anche più prudenti.

8 Stavvi Minos orribilmente e ringhia
(Canto V v. 4) Cerbero, fiera crudele e diversa, con tre gole caninamente latra (Canto VI vv ) “Pape Satan, pape Satan aleppe!” Cominciò Pluto con voce chioccia (Canto VII vv 1– 2) […] io vidi una nave piccoletta Venir per l’acqua verso noi in quella, sotto il governo d’un sol galeotto, che gridava: “Or se’ giunta, anima fella!” (Canto VIII vv. 15 – 18)   Com’io fui dentro, l’occhio intorno invio: e veggio ad ogne man grande campagna, piena di duolo e di tormento rio. […] i sepulcri tutt’il loco vario […] facevano quivi d’ogne parte (Canto IX vv. 109 – 111; vv. 115 – 117) Il percorso di Dante procede verso il basso, il poeta scende da un cerchio all’altro; lui e il suo maestro superano la palude Stigia, giungono ai piedi di un’alta torre, da cui compaiono inquietanti segnali luminosi che solcano l’oscurità; servono per avvertire Flegiàs, un nocchiero come Caronte, che grida contro Dante e Virgilio in preda a una costante sovreccitazione dettata dall’ira, il peccato che i dannati immersi nella palude Stigia devono espiare. La strada di Dante è costellata quindi da mostri (Cerbero, Minasse, Pluto), da demoni (Caronte, Flegiàs) che urlano contro di lui, gli si oppongono terrorizzandolo. E ogni volta Dante chiede conforto al suo maestro, e ogni volta il suo maestro gli infonde coraggio, partecipa alla sua inquietudine e al suo tormento; la strada è ancora lunga, il percorso sempre più difficile e Dante ha bisogno di tutte le sue forze.

9 “Ma ficca li occhi a valle, ché s’approccia la riviera del sangue in la qual bolle quel che per violenza in altrui noccia”. (Canto XII vv- 46 – 48) […] noi ci mettemmo per un bosco Che da neun sentiero era segnato. Non fronda verde, ma di color fosco; non rami schietti, ma nodosi e ‘nvolti; non pomi v’eran, ma stecchi con tòsco. (Canto XIII vv . 2 – 6) […] arrivammo ad una landa Che dal suo letto ogne pianta rimuove. […] Lo spiazzo era una rena arida e spessa. (Canto XIV vv. 8 – 13) Il paesaggio infernale cambia continuamente: oltre le alte mura della Città di Dite, i due poeti attraversano una landa in cui si aprono sepolcri arroventati, poi un fiume di sangue bollente, il Flegetonte, una macchia di cespugli spinosi, un deserto di sabbia su cui precipita una pioggia di fuoco. Dante incontra schiere di dannati, tormentati dalle pene più atroci, ma il suo animo è sempre più saldo. Come accade nella vita di ciascuno, le difficoltà temprano il carattere e la saggezza acquisita dall’esperienza permette di diventare più forti ma anche più prudenti.  

10 il demonio Gerione ... è il simbolo della frode il volto sorridente e amico può celare la più terribile delle insidie.

11 Canto XVII vv. 10 – 27 [Gerione] La faccia sua era faccia d’uom giusto, tanto benigna avea di fuor la pelle, e d’un serpente tutto l’altro fusto; due branche avea pilose insin l’ascella; lo dosso e ‘l petto e ambedue le coste dipinti avea di nodi e di rotelle. […] Nel vano tutta sua coda guizzava, torcendo in su la velenosa forca ch’a guisa di scorpion la punta armava.   Il passaggio tra il VII e l’ VIII cerchio è segnato da una ripa scoscesa che i due poeti non possono superare da soli; interviene allora il demonio Gerione che, con il suo volto di uomo benigno, il corpo di serpente, la coda armata da una forbice velenosa che resta nascosta nel baratro, è il simbolo della frode. Il suo aspetto, infatti, induce a fidarsi di lui, che tuttavia è pronto ad ingannare il prossimo con le sue armi. Anche nella descrizione di questo mostro, Dante impartisce un insegnamento di vita: il volto sorridente e amico può celare la più terribile delle insidie.

12 Allo stesso modo, giustificare, o peggio, accompagnarsi a persone che non rispettano le regole del corretto vivere civile può portarci sulla strada sbagliata.

13 Canto XX vv. 19 – 30 Se Dio ti lasci, lettor, prender frutto Di tua lezione, or pensa per te stesso com’io potea tener lo viso asciutto, quando la nostra immagine di presso vidi sì torta, che ‘l pianto de li occhi le natiche bagnava per lo fesso. Certo io piangea, poggiato a un de’ rocchi del duro scoglio, sì che la mia scorta Mi disse: “Ancor se’ tu de li altri sciocchi? Qui vive la pietà quand’è ben morta; chi è più scellerato che colui che al giudicio divin passion comporta?   Giunto nell’ VIII cerchio, Dante incontra gli indovini, la cui punizione consiste nell’avanzare con la testa ruotata di 180°. La constatazione di come il peccato devasti l’uomo, spinge il poeta a commuoversi per il destino di queste anime; il suo atteggiamento compassionevole scatena un duro rimprovero di Virgilio: commuoversi per chi ha commesso un peccato così grave (volere penetrare i misteri del futuro, non rispettando così i limiti che Dio ha imposto all’uomo) è sbagliato, vorrebbe dire giustificarlo. Qui è pietoso mostrarsi spietati, afferma Virgilio, la cui severità costituisce l’altra faccia di quella paternità che lui tante volte ha manifestato con gesti di affettuosa sollecitudine. Allo stesso modo, giustificare, o peggio, accompagnarsi a persone che non rispettano le regole del corretto vivere civile può portarci sulla strada sbagliata. E’ questo l’ammonimento dei nostri genitori, dei nostri insegnanti e degli adulti in genere che si occupano di noi, un ammonimento che troppo spesso tendiamo a non ascoltare.

14 dovendo fuggire velocemente dai diavoli...
Virgilio lo afferra Anche noi, davanti a un imminente pericolo che ci minaccia o fisicamente o psicologicamente, siamo stati soccorsi dalla nostra guida

15 Canto XXIII vv. 37 – 51 Lo duca mio di subito mi prese, come la madre ch’al romore è desta e vede presso a sé le fiamme accese, che prende il figlio e fugge e non s’arresta, avendo più di lui che di sé cura, tanto che solo una camicia vesta; e giù dal collo de la ripa dura supin si diede a la pendente roccia, che l’un de’ lati a l’altra bolgia tura. Non corse mai sì tosto acqua per doccia […] Come ‘l maestro mio per quel vivagno, portandosene me sovra ‘l suo petto, come suo figlio, non come compagno.   Fino ad ora Virgilio si è dimostrato padre severo o affettuoso; nella quinta bolgia dell’ VIII cerchio, il suo amore verso Dante si manifesta non solo a parole, ma come aiuto concreto: dovendo fuggire velocemente dai diavoli e non avendo il tempo necessario per trovare una zona meno ripida per agevolare la discesa del suo discepolo, Virgilio lo afferra, si cala insieme a lui sino al fondo della sesta bolgia. In questa scena toccante il poeta latino viene paragonato ad una madre ansiosa ed eroica che salva il figlio dalle fiamme. Anche noi, davanti a un imminente pericolo che ci minaccia o fisicamente o psicologicamente, siamo stati soccorsi dalla nostra guida, il cui amore si è manifestato in tante occasioni, che ci ha tratto in salvo.

16 ci sono dei limiti imposti dalla legge, non divina ma umana, che non possono, non devono essere superati

17 Canto XXVI vv. 123 – 143 […] volta nostra poppa al mattino Dè remi facemmo ali al folle volo, sempre acquistando dal lato mancino. […] cinque volte racceso e tante casso Lo lume era di sotto da la luna, poi che ‘ntrati eravam ne l’alto passo, quando n’apparve una montagna, bruna per la distanza, e parsemi alta tanto quanto veduta avea alcuna. Noi ci allegrammo, e tosto tornò in pianto; chè de la terra un turbo nacque e percosse del del legno il primo canto. Tre volte il fe’ girar con tutte l’acque; a la quarta levar la poppa in suso e la prora ire in giù, com’altrui piacque infin ch ‘l mar fu sovra noi richiuso. Il “folle volo” di Ulisse è il superamento dei limiti umani imposti da Dio. Il discorso di Dante può essere considerato attuale: ci sono dei limiti imposti dalla legge, non divina ma umana, che non possono, non devono essere superati. Questi divieti sono nati per tutelare noi e il prossimo, e infrangerli significa provocare danni a se stessi e agli altri. Molto spesso noi giovani abbiamo la tendenza a ricercare emozioni “forti”, che ci facciano superare le barriere sociali che ci vengono imposte dall’alto, che ci permettono di vincere la noia che spesso ci affligge.

18 Per questo, stupidamente, molti di noi ricorrono a droghe e alcool per superare i limiti dati al nostro corpo e al nostro cervello dalla natura. Lo “sballo” è innaturale, è artificiale, è una forzatura delle nostre potenzialità fisiche, ma la sua ricerca diventa l’obiettivo di tanti giovani, di tante serate noiose. E poi ci si mette in macchina, si corre nella notte sentendosi invincibili, in grado di affrontare qualsiasi pericolo. Troppo spesso, però, quella sensazione di onnipotenza, quella esaltazione, come dice Ulisse, “torna in pianto”. E la strada diventa un mare di catrame che “sovra noi richiuso”.


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