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Diritto Amministrativo

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Presentazione sul tema: "Diritto Amministrativo"— Transcript della presentazione:

1 Diritto Amministrativo
Unità didattica 1 Unità didattica 2

2 Il diritto amministrativo è una branca del diritto pubblico
Il diritto amministrativo è una branca del diritto pubblico. Pertanto il diritto amministrativo può essere collocato accanto ad altri rami del diritto pubblico quali il diritto costituzionale, il diritto processuale ed il diritto penale. Secondo lo Zanobini “il diritto amministrativo è quella parte del diritto pubblico che ha per oggetto l’organizzazione, i mezzi e le forme di attività della pubblica amministrazione ed i conseguenti rapporti giuridici fra la medesima e gli altri soggetti”. La funzione amministrativa, secondo lo Zanobini, “è l’attività pratica che lo Stato dispiega per curare gli interessi pubblici che assume nei propri fini”. Altri autorevoli giuristi (BARILE, CASETTA) hanno definito il diritto amministrativo come la disciplina giuridica che concerne l’organizzazione, i mezzi e le forme delle attività delle Pubbliche Amministrazioni e gli altri soggetti dell’ordinamento, sia quando agisce con poteri autoritativi sia quando usa strumenti e forme del diritto privato. Le pubbliche amministrazioni sono quel complesso di enti ed organismi preposti allo svolgimento di attività amministrative, volte al perseguimento di finalità di interesse generale e dotate di poteri che eccedono le normali facoltà degli altri soggetti dell’ordinamento giuridico.

3 Il diritto amministrativo italiano presenta i seguenti profili:
È un diritto pubblico interno poiché deriva dalla espressa volontà dello Stato e regola i rapporti in cui uno dei soggetti è necessariamente lo Stato stesso o un ente pubblico, ossia la P.A., nell’esercizio della Sua potestà amministrativa; È un diritto autonomo poiché utilizza dei principi e delle regole proprie diverse da quelle di altri settori del diritto; È un diritto comune poiché applicabile a tutti i soggetti che fanno parte dell’ordinamento e non soltanto a specifiche categorie; È un diritto ad oggetto variabile poiché la P.A., con il passar del tempo, persegue degli obiettivi diversi attribuendo a se stessa o lasciando ad altri la gestione di alcuni settori.

4 Le fonti del diritto amministrativo
Il diritto amministrativo è un diritto senza codice. Tuttavia, le fonti principali sono rappresentate dai principi generali che sono stati elaborati dalla dottrina e che vengono applicati dalla giurisprudenza. Tutto ciò premesso, sono fonti del diritto amministrativo la Costituzione, le leggi, i regolamenti, le circolari, le ordinanze, i decreti legislativi (Decreto Legislativo 18 agosto 2000 n. 267 – Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali) , il codice della privacy (D.Lgs. N. 196/2003), il codice dei contratti pubblici (D.Lgs. N. 163/2006, modificato dal D.Lgs n. 113), nonché il diritto comunitario e le leggi regionali. La Costituzione italiana è la legge fondamentale dello Stato e si compone di 139 articoli. Più in particolare, l’art. 114 Costituzione ha rafforzato i caratteri di autonomia degli enti locali anche rispetto alla Regione; gli enti locali, attualmente, non si pongono più quali meri organi indiretti dello Stato o come semplici enti autarchici, ma sono a questo equiordinati, insieme concorrendo a comporre la Repubblica.

5 Nella gerarchia delle fonti del diritto, i regolamenti si collocano fra le cd. fonti secondarie, in una posizione subordinata rispetto alla Costituzione, alle leggi (statali e regionali), agli atti comunitari ed ai principi generali dell’ordinamento. Con il termine regolamento vengono indicati una molteplicità di atti assai diversi fra di loro. I regolamenti si connotano per la generalità (ovvero per l’indeterminabilità dei destinatari), per l’astrattezza (ossia la capacità di regolare una serie indefinita di casi) e per l’innovatività (capacità di incidere e di innovare l’ordinamento). Tuttavia la potestà regolamentare non può essere esercitata senza limiti o vincoli. Infatti, i regolamenti non possono derogare o contrastare con i principi costituzionali e le leggi ordinarie. Inoltre, i regolamenti, se emanati da autorità amministrative inferiori, non possono contrastare con i regolamenti che vengono emanati dalle autorità gerarchicamente superiori. Sotto il profilo oggettivo (ovvero contenutistico), in base al disposto dell’art. 17 della legge 400/88 si distinguono:

6 continua Regolamenti di esecuzione; Regolamenti di attuazione e integrazione; Regolamenti indipendenti; Regolamenti di organizzazione; Regolamenti autorizzati o di delegificazione; Regolamenti di organizzazione dei ministeri; Regolamenti di attuazione delle direttive comunitarie. Le ordinanze sono degli atti mediante i quali la pubblica amministrazione impone degli ordini, obblighi o divieti circostanziati e, normalmente, riferiti a determinati destinatari. Le fonti comunitarie del diritto amministrativo. La Corte di Giustizia della Comunità Europea ritiene che sussista un rapporto di integrazione tra l’ordinamento comunitario e gli ordinamenti nazionali, affermando il primato delle norme comunitarie. Di conseguenza, il principio di prevalenza della norma comunitaria su quella interna trova attuazione con la disapplicazione della legge nazionale che si pone in contrasto con quella comunitaria (direttive comunitarie, regolamenti comunitari). In ultima analisi, un atto amministrativo, conforme alla legge interna, ma in contrasto con una norma comunitaria, sarà comunque disapplicabile da parte del Giudice Ordinario e del Giudice Amministrativo.

7 Le ordinanze di necessità ed urgenza nel sistema delle fonti del diritto amministrativo
Le ordinanze di necessità ed urgenza sono degli atti di natura precettiva, emanati dalle Pubbliche Amministrazioni, diretti ad imporre degli ordini in presenza di particolari circostanze. Le predette ordinanze derogano al principio di tipicità dei provvedimenti amministrativi, poiché con esse l’ordinamento ammette la possibilità di tutelare l’interesse pubblico mediante un atto non riconducibile alla legge. Le ordinanze vengono collocate tradizionalmente fra le fonti secondarie, giacché non sono munite di forza di legge, ma solo di forza normativa. In sintesi, si deve rilevare che le ordinanze possono disciplinare e tutelare pubblici interessi ed incidere sulle posizioni giuridiche soggettive, ma sempre nel rispetto dei dettami delle fonti primarie. Le ordinanze devono sempre essere emanate in forma scritta e non necessitano d’alcuna formalità per la loro adozione.

8 Le ordinanze vengono considerate atti definitivi ed immediatamente incidenti nelle situazioni giuridiche dei destinatari. Quindi, proprio per questo motivo, possono essere impugnate dai destinatari direttamente innanzi al Tribunale amministrativo regionale (TAR) oppure con ricorso straordinario al Capo dello Stato, al fine di ottenerne l’annullamento. Gli elementi essenziali di un’ordinanza sono i seguenti: Intestazione (specificazione dell’organo emanante) Premessa (i presupposti giuridici e di fatto dell’atto: relazioni o pareri tecnici, norme di legge o regolamento in base ai quali l’atto viene emanato, etc…) Motivazione (Le considerazioni giuridiche, tecniche e di fatto che giustificano l’adozione dell’atto) Dispositivo (La manifestazione di volontà dell’amministrazione emanante) Garanzie difensive (tempi e autorità cui è possibile ricorrere) Luogo, data e sottoscrizione

9 L’efficacia delle ordinanze viene subordinata all’effettiva conoscenza che i destinatari hanno dell’atto. Le ordinanze vengono emanate soltanto da parte degli organi della Pubblica Amministrazione e si distinguono in: Ordinanze dirigenziali che sono emanate dall’organo cd. “tecnico” della Pubblica Amministrazione; Ordinanze sindacali, emanate dal Sindaco in qualità di capo dell’amministrazione comunale (art. 50 TUEL) o ufficiale di Governo (art. 54 TUEL); Ordinanze prefettizie, emanate dal prefetto, per la tutela della sicurezza e dell’ordine pubblico; Ordinanze ministeriali che vengono emanate dai ministri nell’ambito delle materie a loro delegate. Infine, osservo che il contenuto delle ordinanze varia in base all’interesse pubblico che la Pubblica Amministrazione vuole perseguire e deve esserci una corrispondenza fra il contenuto dell’atto e tale interesse, pena l’illegittimità della stessa ordinanza.

10 I regolamenti nel sistema delle fonti del diritto amministrativo
In via preliminare osservo che il fondamento della potestà regolamentare è rinvenuto nel principio di legalità, in base al quale l’esecutivo può emanare dei regolamenti soltanto quando a ciò sia autorizzato da una previa norma di legge che attribuisca ad un organo amministrativo la relativa competenza. I regolamenti, poiché sono degli atti soggettivamente amministrativi, vengono sottoposti allo stesso regime giuridico degli atti amministrativi. Tuttavia, la natura normativa degli stessi e i caratteri di astrattezza e generalità delle loro prescrizioni, inducono a sostenere la loro immediata impugnabilità soltanto nelle ipotesi in cui il regolamento sia lesivo di situazioni soggettive di interesse legittimo o diritto soggettivo. I regolamenti, in quanto atti amministrativi a contenuto normativo, non necessitano di alcuna specifica motivazione in riferimento alle ragioni che hanno portato a dare determinati contenuti e non altri alle proprie disposizioni.

11 I PRINCIPI DELL’ATTIVITA’ AMMINISTRATIVA
Art. 1 Legge 7 agosto 1990, n. 241 L’attività amministrativa persegue i fini determinati dalla legge ed è retta da criteri di economicità, di efficacia, di pubblicità e di trasparenza secondo le modalità previste dalla presente legge e dalle altre disposizioni che disciplinano singoli procedimenti, nonché dai principi dell’ordinamento comunitario. 1bis. La pubblica amministrazione, nell’adozione di atti di natura non autoritativa, agisce secondo le norme di diritto privato salvo che la legge disponga diversamente. 1ter. I soggetti privati preposti all’esercizio di attività amministrative assicurano il rispetto dei principi di cui al comma 1. 2. La pubblica amministrazione non può aggravare il procedimento se non per straordinarie e motivate esigenze imposte dallo svolgimento dell’istruttoria.

12 continua I principi fondamentali che governano l’azione amministrativa sono il principio di legalità e i suoi corollari, il principio di imparzialità, il principio di buon andamento, il principio di ragionevolezza, il principio di proporzionalità, il principio di trasparenza ed il principio di affidamento. Il principio di legalità, affermato dall’art. 1 legge n. 241/1990, con l’espressione “la attività amministrativa persegue i fini determinati dalla legge” esprime l’esigenza che l’azione della pubblica amministrazione e di qualsivoglia potere pubblico sia assoggettata alle legge quale espressione massima della volontà popolare. Il predetto principio sta ad indicare il primato della legge, ovvero la subordinazione della pubblica amministrazione alla legge, alla quale spetta il compito di indicare i fini e gli interessi pubblici che la prima deve perseguire, nonché i modi e i mezzi mediante cui provvedere alla cura degli stessi. Il principio di imparzialità si ricava dall’art. 97, comma I°, della Costituzione che stabilisce: “I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione”.

13 Il principio di proporzionalità – di cui si fa applicazione maggiormente, in materia di limitazione al diritto di proprietà, di attività di autotutela, di ordinanze di necessità ed urgenza, di irrogazione di sanzioni e di tutela ambientale – è principio generale dell’ordinamento ed implica che la Pubblica Amministrazione debba adottare la soluzione idonea ed adeguata, comportante il minor sacrificio possibile per gli interessi compresenti.Consiglio di Stato, sezione V, sentenza 14 aprile 2006, n. 2087 Altro principio dell’attività amministrativa è quello dell’economicità. In sintesi, per questo principio si intende il rapporto fra i mezzi impiegati ed i risultati ottenuti. Più in particolare, l’economicità impone alla Pubblica Amministrazione di raggiungere i suoi scopi col minor dispendio di risorse materiali e procedurali, sempre tenendo nel massimo conto tutti gli interessi, pubblici e privati. L’efficacia, invece, è un principio che sta ad indicare il rapporto tra gli obiettivi prefissati ed i risultati ottenuti. L’attività della Pubblica Amministrazione sarà tanto più efficace quanto maggiore sarà la corrispondenza fra il fine stabilito ed il risultato raggiunto.

14 La pubblicità dell’azione amministrativa ha assunto, specie dopo l’entrata in vigore della legge 7 agosto 1990, n. 241, il valore di un principio generale, che attua sia i canoni costituzionali di imparzialità e buon andamento dell’amministrazione (art. 97, primo comma, Cost.), sia la tutela di altri interessi costituzionalmente protetti come il diritto di difesa nei confronti dell’amministrazione (artt. 24 e 113 Cost.). La pubblicità del procedimento amministrativo è inoltre un principio del patrimonio costituzionale comune dei Paesi europei; principio stabilito, tra l’altro, dall’art. 253 del Trattato istitutivo delle Comunità europee, che impone l’obbligo di motivazione degli atti comunitari. Corte Costituzionale, sentenza 17 marzo 2006, n. 104 Resta ancora da analizzare il principio di ragionevolezza. In forza di questo principio l’azione amministrativa si deve adeguare ad un canone di razionalità operativa, in modo da evitare delle decisioni arbitrarie ed irrazionali. In particolare, attraverso l’affermazione del criterio di ragionevolezza, si intende rimarcare che l’operato della Pubblica Amministrazione deve essere immune da censure sul piano della logica, aderente ai dati di fatto ed agli interessi emersi nel corso dell’istruttoria e coerente con le premesse ed i criteri fissati dalla stessa Pubblica Amministrazione. Legittimo affidamento : “Qualora un atto o un comportamento della Pubblica Amministrazione abbia creato un legittimo affidamento nel privato sulla conformità a legge di un certo comportamento, tale affidamento non può essere sacrificato in ragione di motivi di interesse pubblico o non può essere sanzionato dall’Amministrazione. (Consiglio di Stato, sezione V, sentenza n. 5316/2005)

15 L’oggetto principale della attività della pubblica amministrazione è il soddisfacimento degli interessi pubblici. L’interesse pubblico è lo scopo che ciascuna pubblica amministrazione deve perseguire ed attuare, in base al principio della massimizzazione dell’interesse primario, con il minore sacrificio di tutti gli altri interessi cosiddetti “secondari” che con quello primario interagiscono nella fattispecie concreta. Si parla di cura di interessi pubblici per intendere l’attività pubblicistica o privatistica posta in essere dalla pubblica amministrazione.

16 LA DISCREZIONALITA’ AMMINISTRATIVA
La discrezionalità amministrativa risponde alle esigenze di elasticità, flessibilità dell’azione amministrativa, affinché possa meglio essere adattata alle singole esigenze del caso concreto. In sintesi, la discrezionalità amministrativa è la libertà di scelta dei mezzi da utilizzare per raggiungere il fine pubblico. L’illustre giurista M.S. Giannini ha elaborato una definizione della discrezionalità come una ponderazione comparativa di più interessi secondari in ordine ad un interesse primario. Pertanto, proprio alla luce di questa definizione, si osserva che la scelta discrezionale della Pubblica Amministrazione deve mirare al soddisfacimento dell’interesse primario, tenendo in debito conto dell’eventuale esistenza di interessi secondari e col minore sacrificio possibile degli interessi privati. Tuttavia, il potere discrezionale può essere diverso ossia più o meno ampio. In ultima analisi, la discrezionalità attribuisce all’Amministrazione il cd. an (ossia se adottare o meno un determinato provvedimento), il cd. quomodo (potrà scegliere le modalità per adottare il provvedimento), il cd. quid (potrà scegliere quale contenuto dare all’atto) ed, infine, il cd. quando (stabilire il momento temporale per far produrre effetti giuridici al provvedimento amministrativo).

17 La discrezionalità è una facoltà di scelta fra più comportamenti giuridicamente leciti per il soddisfacimento dell’interesse pubblico e per il perseguimento di un fine rispondente alla causa del potere esercitato. Il Consiglio di Stato, nel corso degli anni, ha provveduto a mettere a fuoco i limiti propri dell’attività discrezionale che sono rappresentati da: l’interesse pubblico; la causa del potere, poiché l’attività discrezionale deve sempre perseguire una finalità che risponde alla causa del potere esercitato, ossia l’interesse pubblico specifico; i principi di logica, di imparzialità e di ragionevolezza; il principio dell’esatta e della completa informazione. La discrezionalità tecnica si esplica nell’esame di fatti o situazioni in base a cognizioni tecniche e scientifiche di carattere specialistico. Pertanto, essa indica la facoltà di scelta della Pubblica Amministrazione fra più soluzioni tecniche prospettabili in riferimento all’adozione di un determinato provvedimento.

18 LA GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA
L’ESPRESSIONE GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA INDICA QUEL COMPLESSO DI MEZZI CONCESSI DALL’ORDINAMENTO GIURIDICO AI SINGOLI PER TUTELARE LE POSIZIONI GIURIDICHE SOGGETTIVE DI CUI RISULTINO TITOLARI NEI CONFRONTI DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE.

19 ART. 100 COSTITUZIONE ITALIANA Il Consiglio di Stato è organo di consulenza giuridico-amministrativa e di tutela della giustizia nell’amministrazione. La Corte dei Conti esercita il controllo preventivo di legittimità sugli atti el Governo, e anche quello successivo sulla gestione del bilancio dello Stato. Partecipa, nei casi e nelle forme stabilite dalla legge, al controllo sulla gestione finanziaria degli enti a cui lo Stato contribuisce in via ordinaria. Riferisce alle Camere sul risultato del riscontro eseguito. La legge assicura l’indipendenza dei due Istituti e dei loro componenti di fronte al Governo. ART. 103 COSTITUZIONE ITALIANA Il Consiglio di Stato e gli altri organi di giustizia amministrativa hanno giurisdizione per la tutela nei confronti della pubblica amministrazione degli interessi legittimi e, in particolari materie indicate dalla legge, anche dei diritti soggettivi. La Corte dei Conti ha giurisdizione nelle materie di contabilità pubblica e nelle altre specificate dalla legge. (………omissis………)

20 IL CONSIGLIO DI STATO Il Consiglio di Stato è un Organo di rilievo costituzionale della Repubblica Italiana, previsto dall’articolo 100 della Costituzione, che lo inserisce tra gli organi ausiliari del Governo. Nonostante questa collocazione all’interno dell’apparato amministrativo, il Consiglio di Stato ricopre anche funzioni giurisdizionali, in posizione di terzietà rispetto alla Pubblica Amministrazione. Il Consiglio di Stato ha quindi una doppia natura, una amministrativa e una giurisdizionale. Quale organo amministrativo il Consiglio di Stato è il supremo organo di consulenza giuridica-amministrativa dell’Esecutivo, mentre come organo di giurisdizione amministrativa è preposto alla tutela dei diritti e degli interessi legittimi dei privati nei confronti della Pubblica Amministrazione. La sua sede è Palazzo Spada, a Roma. Le attribuzioni del Consiglio di Stato, come s’è vsto, si distinguono in: Consultive Giurisdizionali Attribuzioni consultive Nell’espletamento della sua funzione consultiva, il Consiglio di Stato fornisce pareri preventivi circa la regolarità e la legittimità, il merito e la convenienza degli atti amministrativi dei singoli ministeri, del Governo come organo collegiale o delle Regioni. I pareri possono essere facoltativi o obbligatori.

21 I pareri facoltativi possono essere richiesti dalla Pubblica Amministrazione, nel caso lo ritenga opportuno. Essi non sono vincolanti: l’Amministrazione richiedente, può sempre discostarsi dandone motivazione. Sono sempre facoltativi i pareri richiesti dalle Regioni. In altri casi la Pubblica Amministrazione deve richiedere un parere al Consiglio di Stato. Si parla allora di pareri obbligatori. Ai sensi della L. 127/97, il parere del Consiglio è obbligatorio per: l’emanazione di atti normativi (regolamenti) del Governo o dei singoli ministeri; l’emanazione dei testi unici; La decisione sui ricorsi straordinari al Presidente della Repubblica; l’approvazione degli schemi generali di contratti-tipo, accordi e convenzioni predisposti dai Ministeri. La stessa legge 127/97 ha abrogato ogni diversa disposizione legislativa che preveda il parere del Consiglio di Stato in via obbligatoria, tenendo fermo il combinato disposto dell’articolo 2, comma 3, della L. 23 agosto 1988, n. 400, e dell’articolo 33 del testo unico delle leggi sul Consiglio di Stato, approvato con r.d. 26 giugno 1924, n I pareri obbligatori si distinguono, inoltre, in vincolanti onon vincolanti, a seconda che l’amministrazione richiedente, in sede di emanazione dell’atto per il quale è stato emesso il parere, sia tenuta o meno a seguirli. Attribuzioni giurisdizionali In sede giurisdizionale il Consiglio di Stato ha solo la funzione di tutela nei confronti degli atti della pubblica amministrazione. In particolare il Consiglio di Stato è il Giudice di secondo grado della giustizia amministrativa, ovvero il Giudice d’appello avverso le decisioni del TAR (Tribunale Amministrativo Regionale).

22 Il Consiglio di Stato, inoltre, svolge funzioni di Giudice in unico grado in sede di giudizio di ottemperanza, ovvero in quel giudizio teso ad ottenere che una Pubblica Amministrazione esegua una sentenza emessa dal Giudice ordinario o dal Consiglio di Stato stesso; tuttavia, quando il giudizio di ottemperanza riguarda l’esecuzione di una sentenza emessa da un TAR, che sia stata confermata dal Consiglio di Stato in grado di appello, è competente il TAR stesso che l’ha emessa. Per le decisioni assunte dal Consiglio di Stato nelle sue funzioni giurisdizionali è ammesso ricorso alla Corte di Cassazione unicamente per motivi inerenti la giurisdizione. Deliberazioni Le deliberazioni delle sezioni consultive del Consiglio sono valide se sono adottate con la presenza di almeno quattro consiglieri della sezione, mentre quelle delle sezioni giurisdizionali sono valide se, oltre ad essere presenti almeno quattr consiglieri, è presente anche uno dei Presidenti di sezione.

23 I TRIBUNALI AMMINISTRATIVI REGIONALI
Con la legge n. 1034/1971, in attuazione dell’art. 125 Costituzione, sono stati istituiti i Tribunali Amministrativi Regionali che sono degli organi locali di giustizia amministrativa a base regionale. I T.A.R. sono venti, uno per ogni Regione, con sede nel capoluogo regionale. I T.A.R. esercitano: una giurisdizione generale di legittimità (artt. 2, 3 e 4); una giurisdizione di merito per materie tassativamente determinate (art. 7, primo ed ultimo comma); una giurisdizione esclusiva, anch’essa per materie tassativamente determinate. In sintesi, in riferimento alla competenza il legislatore, ad eccezione di pochi casi in cui il Consiglio di Stato ha conservato la competenza in un unico grado (art. 37 L. 1034/1971), ha sancito un integrale passaggio delle competenze del Consiglio ai T.A.R., che sono giudici di primo grado, mentre, invece, il Consiglio di Stato è giudice di secondo grado (artt. 28 e 30).

24 I POTERI DEL T.A.R. IN SEDE DI LEGITTIMITA’
I T.A.R., con riguardo alla giurisdizione generale di legittimità, possono: nell’ipotesi di un vizio di incompetenza: annullare l’atto illegittimo totalmente e rimettere l’affare alla autorità competente (art. 26, comma 2 L. T.A.R.); nell’ipotesi dei vizi di eccesso di potere e violazione di legge: annullare in tutto o in parte l’atto illegittimo (art. 26, comma 2 L. T.A.R.). In sintesi, il giudice amministrativo può intervenire sull’atto, annullandolo o modificandolo. Pertanto, sono impugnabili in sede giurisdizionale amministrativa soltanto gli atti amministrativi che promanino da una autorità amministrativa e che sono lesivi di interessi legittimi del privato. L’atto introduttivo del giudizio innanzi al T.A.R. è il ricorso, ossia l’istanza che viene rivolta dall’interessato per ottenere l’annullamento, la modifica o la revoca dell’atto per i motivi in esso indicati.

25 IL RICORSO IN APPELLO AL CONSIGLIO DI STATO
Ai sensi e per gli effetti dell’art. 28, secondo comma, Legge T.A.R., nei confronti delle sentenze dei T.A.R. viene ammesso il ricorso al Consiglio di Stato in sede giurisdizionale che deve essere proposto, a pena di nullità, entro il termine di 60 giorni dalla notifica della sentenza. Pertanto, il Consiglio di Stato è diventato il giudice di secondo grado (cd. doppio grado di giurisdizione). La sentenza che viene emanata dal Consiglio di Stato in grado di appello può essere: di rigetto, nel caso in cui ritiene infondato l’appello; di accoglimento dove il Consiglio di Stato annulla la decisione pronunciata in primo grado dal T.A.R.

26 La Corte dei Conti La Corte dei Conti viene definita come la “suprema magistratura del controllo” ed è, altresì, organo di giustizia amministrativa nelle materie di contabilità pubblica e nelle altre specificate dalla legge. La giurisdizione della Corte dei Conti La giurisdizione della Corte dei Conti è esclusiva poiché nelle materie ad essa devolute conosce di tutte le questioni, relative sia a diritti soggettivi che ad interessi legittimi. Si tratta, altresì, di una giurisdizione piena tanto che la Corte dei Conti conosce delle controversie sotto il duplice aspetto dell’accertamento dei fatti e dell’applicazione del diritto. La Corte dei Conti è competente a giudicare nelle seguenti materie: Responsabilità degli impiegati dello Stato. I giudizi sono diretti alla tutela degli interessi patrimoniali dello Stato ed hanno un carattere preventivo. 2. Responsabilità degli amministratori e dipendenti delle Regioni e degli altri enti pubblici. 3. Giudizi in materia di pensioni. Proprio sul punto, si precisa che la giurisdizione della Corte investe anche la rivalutazione e gli interessi per il ritardo nell’erogazione della pensione. Cassazione, Sezioni Unite, sentenza 23 gennaio 1995, n. 762

27 In sintesi, osservo che la Corte dei Conti, come il Consiglio di Stato, svolge sia un’attività consultiva che giurisdizionale (art. 103, comma 2, Costituzione). A queste, tuttavia, occorre aggiungere la più importante funzione di questo organo, vale a dire il controllo preventivo di legittimità sugli atti del Governo e quello successivo sulla gestione del bilancio dello Stato (art. 100, comma 2, Costituzione). La funzione di controllo del magistrato contabile rappresenta un controllo in senso giuridico, ossia della verificazione di regolarità di una funzione propria o aliena. Si tratta di un’attività svolta da un organo imparziale in posizione di terzietà e connotata dalla diversità del circuito istituzionale entro il quale opera l’esito del controllo interno. Più in particolare, la Corte dei Conti ha una specifica giurisdizione nei giudizi di responsabilità amministrativa che hanno per oggetto il danno causato all’amministrazione (danno erariale) da soggetti legati ad essa da un rapporto di servizio e nell’esercizio delle loro funzioni. Infine, la Corte dei Conti è competente a giudicare in materia di pensioni pubbliche, ovvero a totale o parziale carico del bilancio dello Stato o degli enti pubblici.

28 L’articolo 148 del Testo Unico degli Enti Locali (D. Lgs
L’articolo 148 del Testo Unico degli Enti Locali (D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267) afferma che: “La Corte dei Conti esercita il controllo sulla gestione degli enti locali, ai sensi delle disposizioni di cui alla legge 14 gennaio 1994, n. 20 e successive modificazioni ed integrazioni”. In sintesi, il controllo sulla gestione degli enti locali è una procedura volta ad esaminare esclusivamente i risultati ottenuti con l’attività amministrativa. Si tratta di un controllo consuntivo da eseguirsi soltanto al termine di un periodo gestionale. Tuttavia, la legge , n. 15, ha stabilito che la Corte dei Conti, anche a richiesta delle commissioni parlamentari, potrà effettuare controlli su gestioni pubbliche statali in corso di svolgimento. Pertanto, in caso di gravi irregolarità gestionali o di gravi deviazioni da obiettivi, procedure o tempi di attuazione stabiliti dalle norme, la Corte ne provvede a darne adeguata comunicazione al Ministro competente. Quest’ultimo può disporre la sospensione dell’impegno di somme stanziate sui relativi capitoli di spesa.

29 Per una maggiore completezza espositivo preciso che le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con sentenza del 2 aprile 2007, n. 8098, hanno affermato che è inclusa nella giurisdizione della Corte dei Conti anche l’azione di responsabilità per il danno arrecato dai pubblici dipendenti all’immagine dell’ente. Infatti, si tratta di un danno che anche se non comporta una diminuzione patrimoniale diretta, è tuttavia suscettibile di valutazione patrimoniale sotto il profilo della spesa necessaria al ripristino del bene giuridico leso. In ultima analisi, è incluso nella giurisdizione amministrativa speciale della Corte dei Conti non soltanto il danno erariale, ma anche il danno conseguente alla perdita di prestigio dell’immagine e della personalità pubblica dello Stato. I diritti soggettivi Il diritto soggettivo viene definito come quella posizione giuridica soggettiva di vantaggio che l’ordinamento giuridico conferisce ad un soggetto, riconoscendogli determinate utilità nei confronti di un bene, nonché la tutela degli interessi afferenti al bene stesso in modo pieno ed immediato. La tutela dei diritti soggettivi è di competenza del giudice ordinario mentre, invece, solo in alcuni specifici casi è di competenza del giudice amministrativo. Il diritto soggettivo ha un contenuto che consiste di poteri e facoltà relativi al bene oggetto del diritto. Per esempio, fanno parte del contenuto della proprietà, oltre che le facoltà di usare materialmente una cosa che ne è oggetto, i poteri di venderla o darla in locazione o di vendere i frutti che produce.

30 L’interesse legittimo
L’interesse legittimo è una situazione giuridica soggettiva individuale che ha trovato riconoscimento all’interno del nostro ordinamento giuridico. In estrema sintesi, lo scrivente ritiene di poter definire l’interesse legittimo come una posizione giuridica di vantaggio riconosciuta a quel soggetto che, nei confronti di un dato potere dell’Amministrazione, venga a trovarsi in una particolare posizione differenziata rispetto ad altri soggetti. Dell’interesse legittimo si occupano tre articoli della Costituzione Italiana che sono gli artt. 24, 103 e 113. Secondo lo scrivente, l’interesse legittimo è strumentale alla legittimità dell’azione amministrativa. In sostanza, l’interesse legittimo viene individuato come la pretesa del privato a che la Pubblica Amministrazione si comporti legittimamente. In ultima analisi, si tratta di una pretesa al legittimo esercizio del potere amministrativo. Più in particolare, l’interesse legittimo deve essere inteso come la posizione di vantaggio riservata ad un soggetto in relazione ad un bene della vita oggetto di un provvedimento amministrativo. La lesione degli interessi legittimi deve essere risarcita dal Giudice Amministrativo (Cassazione civile, Sezioni Unite, sentenza n. 500 del 1999). Pertanto con la predetta sentenza è stato enucleato il seguente principio di diritto: “l’interesse legittimo è quella posizione di vantaggio riservata a un soggetto in relazione ad un bene della vita oggetto di un provvedimento amministrativo e consistente nell’attribuzione a tale soggetto di poteri idonei a influire sul corretto esercizio del potere, in modo da rendere possibile la realizzazione dell’interesse al bene”.

31 L’interesse legittimo è un diritto soggettivo affievolito
L’interesse legittimo è un diritto soggettivo affievolito. In conclusione, l’interesse legittimo consiste in una posizione giuridica soggettiva ben diversa dal diritto soggettivo. Si tratta di una posizione differenziata da quella di altri soggetti e qualificata dall’ordinamento giuridico. Infine, si osserva che la categoria dell’interesse legittimo è nata per assolvere ad una precisa funzione che è proprio quella di fornire una tutela al privato cittadino nei confronti della Pubblica Amministrazione. Interessi legittimi oppositivi Gli interessi oppositivi consistono nell’interesse del singolo ad opporsi, in sede procedimentale o processuale, a provvedimenti amministrativi negativamente incidenti nella sua sfera giuridica. Interessi legittimi pretensivi Gli interessi pretensivi rappresentano l’aspirazione del privato ad ottenere un vantagio, attraverso l’adozione di un atto ampliativo da parte della Pubblica Amministrazione.

32 Si allarga la tutela agli interessi legittimi: risarcimento anche se l’atto della P.A. non è stato annullato Se il giudice amministrativo nega il ristoro del danno a fronte di una domanda autonoma di risarcimento la sentenza è viziata ed è soggetta a cassazione per motivi attinenti alla giurisdizione. È questa la conclusione a cui sono giunte le Sezioni Unite della Cassazione con la sentenza n del 23 dicembre La vicenda attiene l’interesse legittimo del privato leso dall’ente attraverso l’esercizio illegittimo delle sue funzioni pubbliche (esproprio da parte della provincia per costruire la circonvallazione). Il Supremo Collegio riconosce che “la parte, titolare d’una situazione di interesse legittimo, se pretende che questa sia rimasta sacrificata da un esercizio illegittimo della funzione amministrativa, a diritto di scegliere tra fare ricorso alla tutela risarcitoria anziché a quella demolitoria e che tra i presupposti di tale forma di tutela giurisdizionale davanti al giudice amministrativo non è quello che l’atto in cui la funzione si è concretata sia stato previamente annullato in sede giurisdizionale o amministrativa”. Il principio di diritto che ne discende, in applicazione dell’art. 363, c.p.c., è dunque questo: - “Proposta al giudice amministrativo domanda risarcitoria autonoma, intesa alla condanna al risarcimento del danno prodotto dall’esercizio illegittimo della funzione amministrativa, è viziata da violazione di norme sulla giurisdizione ed è soggetta a cassazione per motivi

33 attinenti alla giurisdizione la decisione del giudice amministrativo che nega la tutela risarcitoria degli interessi legittimi sul presupposto che l’illegittimità dell’atto debba essere stata precedentemente richiesta e dichiarata in sede di annullamento”. Cassazione civile, Sezioni Unite, sentenza 23 dicembre 2008, n

34 Gli strumenti del diritto amministrativo
La Pubblica Amministrazione adopera strumenti peculiari che permettono di modificare le situazioni giuridiche soggettive (diritti soggettivi ed interessi legittimi). Tali strumenti consistono, di regola, nella categoria dei cd. atti amministrativi. L’atto amministrativo: definizione L’atto amministrativo rientra nella categoria degli atti giuridici di diritto pubblico compiuti da soggetti attivi della Pubblica Amministrazione nell’esercizio di una potestà amministrativa. Esso può essere inteso come lo strumento giuridico con cui la P.A. si serve per garantire la cura degli interessi pubblici concreti determinati in sede di indirizzo politico e rappresenta una manifestazione autoritaria di volontà e di giudizio da parte dell’Amministrazione. L’atto amministrativo è la dichiarazione di scienza, di volontà, di giudizio di una Pubblica Amministrazione nell’esercizio di un potere amministrativo. Inoltre, si tratta di un atto posto in essere da un’autorità amministrativa nell’esercizio di una sua funzione. Peraltro, l’atto amministrativo è espressione di un potere amministrativo e produce effetti indipendentemente dalla volontà dei soggetti cui è rivolto.

35 Le caratteristiche dell’atto amministrativo
È un atto unilaterale, in quanto ha efficacia indipendentemente dalla volontà del soggetto cui è destinato. Inoltre, viene emanato da un’autorità amministrativa e produce effetti giuridici indipendentemente dalla volontà dei soggetti cui è rivolto. La struttura formale dell’atto amministrativo si compone di: Intestazione (indicazione dell’autorità da cui l’atto promana); Preambolo (indicazione di leggi in base ai quali l’atto stesso è stato adottato e delle attestazioni relative agli atti preparatori); Motivazione; Dispositivo, che è la parte precettiva dell’atto (costituisce la dichiarazione di volontà); Luogo; Data; Sottoscrizione. Gli elementi accidentali dell’atto amministrativo Sono elementi accidentali dell’atto amministrativo: Il termine, che indica il momento dal quale deve avere inizio l’efficacia dell’atto (termine iniziale) o quello dal quale l’efficacia deve cessare (termine finale);

36 2. La condizione. Essa viene apposta a tutti gli atti di amministrazione attiva e di controllo. È diretta a subordinare l’inizio o la cessazione dell’efficacia dell’atto al verificarsi di un evento futuro ed incerto; 3. L’onere. Può essere apposto alle autorizzazioni, concessioni e licenze, ovvero ad atti che determinano un ampliamento della sfera giuridica dei destinatari; 4. Le riserve. Sono degli atti con cui la P.A. si riserva di adottare dei futuri provvedimenti in relazione all’oggetto stesso dell’atto emanato.

37 Il procedimento amministrativo
In via preliminare, osservo che il procedimento amministrativo è quella serie di atti ed operazioni che sono finalizzate alla emanazione ed alla produzione degli effetti di un atto amministrativo. Il procedimento amministrativo è una sequenza di atti amministrativi caratterizzato dalla presenza di un atto finale, il provvedimento amministrativo. Il procedimento amministrativo impedisce l’azione dell’amministrazione pubblica e la vincola al rispetto di regole preordinate, caratteristica generale dei moderni ordinamenti. Da non confondersi con il processo amministrativo, che è il procedimento giurisdizionale per controversie di diritto amministrativo. Il procedimento amministrativo è regolato principalmente dalla legge n. 241/1990, che pur non potendosi definire legge generale sul procedimento ne stabilisce alcuni principi. La legge non contiene tutte le tipologie del procedimento né regola tutti i principi, si applica in modo residuale quando un termine non sia già disposto per legge o per regolamento. In ultima analisi, il procedimento amministrativo può essere definito come l’insieme di una pluralità di atti susseguenti ed eterogenei che sono finalizzati all’adozione di un provvedimento amministrativo. Più in particolare, il predetto procedimento è uno strumento che tende a garantire l’imparzialità e l’obiettività dell’azione amministrativa attraverso la partecipazione e la collaborazione dei privati interessati.

38 I singoli procedimenti
I principali tipi di procedimento sono così classificabili: Procedimenti precettivi, pongono in essere prescrizioni di carattere generale. Procedimenti dichiarativi, sono tutti provvedimenti con i quali l’amministrazione ispeziona, registra, verifica, certifica e sono volti a produrre certezze giuridiche. Procedimenti autorizzatori, consentono lo svolgimento di un’attività libera, ma sottoposta a controllo. Procedimenti concessori, attraverso i quali l’amministrazione trasferisce o crea facoltà a favore del destinatario del provvedimento. La concessione si concretizza in quel particolare provvedimento amministrativo con cui la pubblica amministrazione conferisce al destinatario posizioni giuridiche attive nuove, ampliandone, quindi, la sfera giuridica. Procedimenti ablatori, hanno l’effetto di produrre la privazione di un bene; Procedimenti di secondo grado, assumono la forma del ricorso amministrativo. Principi giurisprudenziali comuni ai procedimenti Esistono una serie di principi comuni a tutti i procedimento amministrativo elaborati dal giudice amministrativo. Essi sono: Necessarietà, la mancanza del procedimento comporta l’annullabilità dell’esercizio dell’attività; Esattezza e completezza, individuazione dei fatti e degli interessi; l’amministrazione deve valutare gli interessi su cui la decisione andrà ad influire, nel caso i fatti assunti alla base della decisione siano infondati,il procedimento è illegittimo.

39 Congruità e logicità con il presupposto, ovvero ci deve essere corrispondenza tra le premesse che hanno mosso l’amministrazione e le sue conseguenze. Imparzialità, ha radici nell’art. 97 della Costituzione e Conoscibilità. Proporzionalità, la scelta dell’amministrazione deve comportare il minor sacrificio possibile. Fasi del procedimento Il procedimento consta di tre (od eventualmente quattro) fasi principali: iniziativa, istruttoria, decisoria ed integrativa dell’efficacia. L’iniziativa è la fase che avvia il procedimento. Può essere compiuta da un soggetto privato o pubblico (iniziativa di parte), da un’autorità pubblica (iniziativa d’ufficio). La fase di iniziativa comporta per l’amministrazione cui è rivolto l’atto l’obbligatorietà di procedere. Durante la fase di istruttoria si valutano gli interessi messi in gioco dall’atto, valutazione che viene effettuata attraverso visione di documenti, richiesta di pareri e ispezioni. Nella fase istruttoria si acquisiscono e si valutano i singoli dati pertinenti e rilevanti ai fini dell’emanazione dell’atto. Per ultimo vi è la fase decisoria che può terminare in tre modi: emanazione del provvedimento richiesto, parziale aggiustamento del provvedimento rispetto alla richiesta originale, non viene emanato alcun provvedimento. La fase decisoria è la fase deliberativa del procedimento, in cui si determina il contenuto dell’atto da adottare e si provvede alla formazione ed emanazione dello stesso. La fase integrativa dell’efficacia, infine, costituisce un momento solo eventuale, ricorrente nelle sole ipotesi in cui sia la stessa legge a non ritenere sufficiente la perfezione dell’atto, richiedendo il compimento di ulteriori e successivi atti od operazioni. La ragione di tale previsione risiede tanto nella necessità di valutare la legittimità o la congruità del provvedimento adottato, quanto nella stessa natura di questo, che può richiedere di essere portato a conoscenza dei destinatari per poter esplicare appieno i propri effetti giuridici.

40 L’obbligo della Pubblica Amministrazione di provvedere ed il termine finale del procedimento
Art. 2 (Conclusione del procedimento) Ove il procedimento consegua obbligatoriamente ad una istanza, ovvero debba essere iniziato d’ufficio, la pubblica amministrazione ha il dovere di concluderlo mediante l’adozione di un provvedimento espresso. (….omissis…….) In sintesi, l’articolo 2 della Legge n. 241/1990 sancisce l’obbligo di provvedere della Pubblica Amministrazione che si traduce nella doverosità dell’avvio e della conclusione del procedimento. Pertanto, il mancato rispetto del termine integra un illecito disciplinare a carico del dipendente responsabile del ritardo, oltre alla responsabilità penale di cui all’art. 328 c.p.

41 ARTICOLO 2bis della Legge 7 agosto 1990 n
ARTICOLO 2bis della Legge 7 agosto 1990 n. 241 (Conseguenze per il ritardo dell’amministrazione nella conclusione del procedimento) L’articolo 7, comma 1, lettera c), della legge 18 giugno 2009, n. 69, ha inserito l’articolo 2bis all’interno della legge sul procedimento amministrativo. Quindi, il testo dell’art. 2bis (Conseguenze per il ritardo dell’amministrazione nella conclusione del procedimento) è il seguente: “Le pubbliche amministrazioni e i soggetti di cui all’articolo 1, comma 1 ter, sono tenuti al risarcimento del danno ingiusto cagionato in conseguenza dell’inosservanza colposa del termine di conclusione del procedimento”. Invece, il secondo comma del predetto articolo stabilisce che: “Le controversie relative all’applicazione del presente articolo sono attribuite alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. Il diritto al risarcimento del danno si prescrive in cinque anni”.

42 In sintesi, osservo che il nuovo articolo 2bis legge n
In sintesi, osservo che il nuovo articolo 2bis legge n. 241/1990 ha introdotto un ulteriore strumento di tutela a favore del cittadino nei confronti dell’inerzia della Pubblica Amministrazione. Infatti, il predetto articolo 2bis (“Conseguenze per il ritardo dell’amministrazione nella conclusione del procedimento) prevede un’autonoma azione risarcitoria (esperibile innanzi al giudice amministrativo nel termine di cinque anni) per il ristoro del “danno ingiusto” addebitabile ai pubblici funzionari che, con dolo o colpa grave, non hanno rispettato i termini di conclusione del procedimento. Tuttavia, è uno specifico onere dell’attore, ovviamente, provare che l’ingiustizia del danno è addebitabile, in primis, al dolo o alla colpa grave in capo al funzionario.

43 Il Provvedimento amministrativo
Si tratta di un particolare tipo di atto amministrativo tramite il quale l’autorità pubblica manifesta la propria volontà, nell’esercizio dei suoi poteri. Infatti, mediante un provvedimento amministrativo si crea, si modifica o si estingue una situazione giuridica al fine di realizzare un particolare interesse pubblico che viene affidato alla cura dell’autorità pubblica che ha posto in ssere il provvedimento. I caratteri del provvedimento amministrativo sono rappresentati dalla: Imperatività o autoritarietà: si intende la capacità del provvedimento amministrativo di incidere unilateralmente le sfere giuridiche soggettive dei suoi destinatari. Il predetto carattere discende dal potere che viene attribuito alla Pubblica Amministrazione dalla legge per il perseguimento dell’interesse pubblico mediante uno specifico provvedimento. Di conseguenza, il provvedimento amministrativo è l’estrinsecazione di tale potere autoritativo. Più in particolare, il provvedimento amministrativo ha in sé una forza giuridica che si esplica nell’imporre unilateralmente delle modificazioni nella sfera giuridica dei destinatari e prescindendo dalla prestazione del consenso dell’interessato. I

44 Il comma 1-bis dell’art. 1 legge n. 241/1990 (introdotto dalla legge n
Il comma 1-bis dell’art. 1 legge n. 241/1990 (introdotto dalla legge n. 15/2005) conferisce al carattere dell’autoritarietà il ruolo di confine fra l’azione amministrativa retta da regole pubblicistiche e quella retta dal diritto privato. L’esecutività. L’art. 21-quater legge n. 241/1990 stabilisce l’immediata esecutività dei provvedimenti amministrativi efficaci, salvo che sia diversamente stabilito dalla legge o dal provvedimento stesso. In sintesi, l’esecutività consiste nella produzione automatica ed immediata degli effetti del provvedimento nel momento in cui esso sia divenuto efficace, senza che abbia rilevanza alcuna la sua validità o invalidità. L’esecutorietà è una manifestazione dell’autotutela della Pubblica Amministrazione e le consente di realizzare l’interesse pubblico sotteso all’adozione di un dato provvedimento anche contro la volontà dei destinatari. La tipicità e nominatività La tipicità implica che i provvedimenti amministrativi sono soltanto quelli che sono previsti dall’ordinamento giuridico. Invece, la nominatività implica che ad ogni interesse pubblico da realizzare viene preordinato un tipo di atto definito dalla legge. Di conseguenza, l’Amministrazione può agire per schemi prefigurati.

45 Tipologie di provvedimenti amministrativi
Autorizzazioni: la Pubblica Amministrazione rimuove un limite legale posto dalla legge permettendo, così, l’esercizio di un diritto a chi ne è già titolare, verificando che non sia pregiudizievole per gli interessi della collettività. (Es: l’autorizzazione per l’apertura di un passo carrabile). Figure analoghe all’autorizzazione sono: l’abilitazione, l’approvazione, il nulla-osta, la licenza, la registrazione e la dispensa. Mediante l’approvazione la Pubblica Amministrazione esercita un controllo preventivo di merito sull’atto o attività compiuta. Invece, il nulla osta è l’atto con cui un’autorità amministrativa dichiara di non avere osservazioni da fare in ordine all’adozione di un provvedimento da parte di un’altra autorità. La licenza è un atto con cui viene consentita l’esplicazione di una certa attività. La dispensa è un atto, con cui la P.A., in base ad una valutazione discrezionale, permette ad un soggetto di poter esercitare un’attività o di compiere un atto in deroga ad un divieto di legge, ovvero esonera il soggetto dall’adempimento di un obbligo.

46 Provvedimenti concesssori: la concessione produce l’effetto di attribuire al destinatario dei diritti che esulano dalla sua sfera giuridica poiché in precedenza egli non ne era titolare. In sintesi, tutti quei provvedimenti con cui l’Amministrazione attribuisce o trasferisce ex novo delle posizioni giuridiche attive in capo al destinatario, ampliandone la sfera giuridica, sono definiti come dei provvedimenti concessori. Pertanto, a differenza dell’autorizzazione la concessione crea, quindi, dei nuovi diritti e delle nuove potestà. Pur presentando affinità con l’autorizzazione, la concessione si differenzia principalmente dall’autorizzazione in quanto importa, in capo al destinatario, diritti o potestà completamente nuovi. Con la concessione si crea un rapporto di natura pubblicistica fra la pubblica amministrazione concedente ed il soggetto concessionario. Pertanto, il predetto rapporto può anche subire modifiche sia in rapporto all’oggetto che in rapporto al soggetto della concessione. Tuttavia, si deve escludere che il concessionario possa cedere la propria posizione a terzi senza una previa autorizzazione della pubblica amministrazione concedente; infatti, si tratta di un rapporto instaurato intuitu personae. La concessioni si distinguono in: traslative, costitutive. Nel novero dei provvedimenti concessori sono da includere anche le sovvenzioni che attribuiscono al destinatario dei vantaggi economici. La sovvenzione è il provvedimento con cui viene conferito ad un soggetto determinato un beneficio pecuniario.

47 Provvedimenti ablatori: i provvedimenti ablatori incidono negativamente nella sfera giuridica dei destinatari e sono di seno opposto rispetto a quelli concessori. Gli atti ablatori vengono qualificati come quelli con cui il pubblico potere, per un vantaggio della collettività sacrifica un interesse ad un bene della vita di un privato cittadino. Esempi: l’espropriazione che è il provvedimento ablatorio che ha l’effetto di costituire un diritto di proprietà o altro diritto reale in capo ad un soggetto, detto espropriante, previa estinzione del diritto in capo ad altro soggetto (espropriato). Fra i provvedimenti ablatori reali si annoverano le espropriazioni, le occupazioni, le requisizioni, le confische ed i sequestri. La confisca è un provvedimento ablatorio ed è la misura conseguente alla commissione di un illecito amministrativo. Il sequestro è un provvedimento ablatorio di natura cautelare ed ha lo scopo di salvaguardare la collettività dai rischi derivanti dalla pericolosità di un bene. L’art. 13 legge n. 689/1981 consente il sequestro cautelare di tutte le cose che possono formare oggetto di confisca a titolo di sanzione accessoria rispetto alle sanzioni amministrative pecuniarie.

48 La confisca è un istituto comune a differenti rami del diritto (amministrativo, penale etc..) ed viene caratterizzata dalla finalità di porre in essere una misura ablativa nei confronti di cose pericolose. Nel diritto amministrativo la confisca rappresenta un atto ablativo a carattere sanzionatorio repressivo, successivo alla commissione di un illecito, che la Pubblica Amministrazione commina al singolo nell’interesse della collettività. Con la confisca, inoltre, si ha l’acquisto, da parte dello Stato, a titolo originario e senza nessuna contropartita (senza, cioè, indennizzo alcuno) delle cose che servirono o furono destinate alla commissione dell’illecito amministrativo, ossia ne furono il prodotto, sempre che appartengano ancora ad uno degli autori dell’illecito. In sintesi, la confisca rappresenta un provvedimento di natura sanzionatoria, in quanto esso comporta il trasferimento coattivo della cosa, che è servita a commettere un illecito o ne costituisce il prodotto, dal privato alla Pubblica Amministrazione, senza alcun corrispettivo.

49 Ci sono, inoltre, provvedimenti ablatori personali che sacrificano un diritto di natura personale (es. ordini della polizia o di un’autorità sanitaria) oppure provvedimenti ablatori obbligatori che incidono su rapporti di obbligazione (es. imposizione tributaria). Tuttavia, si deve osservare che fra gli atti ablatori il più importante è l’espropriazione. In base all’art. 834 codice civile, l’espropriazione può essere definita come quell’istituto di diritto pubblico per cui un soggetto, previo pagamento di una giusta indennità, può essere privato, in tutto o in parte, di uno o più beni immobili di sua proprietà per una causa di pubblico interesse legalmente dichiarata. In estrema sintesi, si può affermare che l’espropriazione crea un vero e proprio rapporto di diritto pubblico i cui elementi sono: le parti, l’oggetto e l’indennizzo. L’oggetto dell’espropriazione può essere un diritto di proprietà o un altro diritto reale. Infine, l’indennizzo è il presupposto di legittimità dell’atto espropriativo ed è previsto dalla Costituzione Italiana.

50 Art. 3 Legge n. 241/1990 (Motivazione del provvedimento)
Ogni atto amministrativo, compresi quelli concernenti l’organizzazione amministrativa, lo svolgimento dei pubblici concorsi ed il personale, deve essere motivato, salvo che nelle ipotesi previste dal comma 2. La motivazione deve indicare i presupposti di fatto e l ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’amministrazione, in relazione alle risultanze dell’istruttoria. La motivazione non è richiesta per gli atti normativi e per quelli a contenuto generale. Se le ragioni della decisione risultano da altro atto dell’amministrazione richiamato dalla decisione stessa, insieme alla comunicazione di quest’ultima deve essere indicato e reso disponibile, a norma della presente legge, anche l’atto cui essa si richiama. In ogni atto notificato al destinatario devono essere indicati il termine e l’autorità cui è possibile ricorrere.

51 “Attraverso la motivazione del provvedimento amministrativo il cittadino deve essere posto nella condizione di ricostruire l’iter logico-giuridico con cui l’amministrazione si è determinata ad adottare l’atto, al fine di controllare il corretto esercizio del potere, onde far valere, eventualmente le proprie ragioni; a tale scopo è necessario che l’autorità emanata ponga il destinatario dell’atto amministrativo in condizioni di conoscere le ragioni ad esso sottese”. Consiglio di Stato, sezione V, 4 aprile 2006, n. 1750

52 In ultima analisi il provvedimento amministrativo è l’atto finale (output) di un procedimento amministrativo. Il provvedimento è l’atto decisorio per eccellenza dell’amministrazione, che, nell’esercizio della discrezionalità amministrativa, compone gli interessi pubblici, formando la regola del caso concreto, che è appunto il provvedimento. Allo stesso modo, il provvedimento opera la sintesi di diversi interessi, pubblici o privati, tutti tutelati dall’ordinamento, come interessi pubblici o interessi privati (legittimi), componendoli in una regola del caso concreto che, se non impugnata nei termini, è atta a divenire inoppugnabile e non più discutibile.

53 Articoli 4, 5 e 6 (Unità organizzativa responsabile del Procedimento, Responsabile del Procedimento, Compiti del Responsabile del Procedimento) Una fra le più rilevanti novità introdotte dalla legge n. 241/1990 è la figura del responsabile del procedimento. Il Capo II della legge n. 241/1990 è riservato alla regolamentazione della figura del responsabile del procedimento ossia del soggetto al quale viene affidato il delicato ruolo di autorità guida (leading authority) di ciascun procedimento amministrativo. Più in dettaglio, il responsabile vigila sul decorso del procedimento, assicurando le connessioni tra le varie fasi, e rappresenta uno stabile punto di riferimento per il cittadino, in armonio con i principi di trasparenza, efficacia ed efficienza dell’azione amministrativa. L’istituto del responsabile del procedimento è stato introdotto al fine di contrastare tre ordini di fattori negativi, ovvero: La frammentazione ed il rallentamento dell’azione amministrativa, in assenza di un responsabile che si preoccupi di far andare avanti il procedimento e di condurlo rapidamente alla sua fisiologica conclusione; L’irresponsabilità di fatto dei soggetti deputati a gestire il procedimento, visto che l’anonimato degli stessi impedisce l’agevole identificazione degli autori delle carenze e degli inadempimenti procedurali;

54 3. La virtuale violazione del principio di trasparenza, poiché la difficile identificabilità dei responsabili del procedimento è in grado di ostacolare decisamente le possibilità di un effettivo controllo sul loro operato. Pertanto, al fine di responsabilizzare ulteriormente il funzionario si è dato avvio ad un disegno di personalizzazione dell’attività amministrativa. Dispone l’art. 4 della predetta legge che ogni Pubblica Amministrazione viene tenuta a determinare per ciascun procedimento l’unità organizzativa responsabile dell’istruttoria, di ogni altro adempimento procedurale e dell’adozione del provvedimento finale. In sintesi, si osserva che il legislatore del 1990 ha inteso rompere il precedente sistema di irresponsabilità che consentiva alla Pubblica Amministrazione di eviatre le conseguenze di propri comportamenti omissivi o arbitrari e delle relative lesioni cagionate ai privati. Si può correttamente affermare che, attualmente, il responsabile del procedimento amministrativo è il soggetto-persona fisica, ben individuato, espressamente designato, al quale il privato destinatario del provvedimento ed ogni altro soggetto interessato ai sensi e per gli effetti degli artt. 7 e 9 possono rivolgere domande, solleciti, richieste ed esercitare azioni di responsabilità a ristoro degli eventuali danni subiti a causa delle inadempienze dell’amministrazione procedente.

55 Il responsabile del procedimento è il soggetto al quale viene affidato il ruolo di autorità guida (leading authority) di ciascun procedimento amministrativo. Inoltre, la funzione principale del responsabile è quella di vigilare sul decorso del procedimento, dal momento propulsivo a quello conclusivo, assicurando le connessioni fra le varie fasi e rappresentando un sicuro punto di riferimento per il cittadino. Per il nostro ordinamento si è trattato di una novità assoluta, volta ad armonizzare la struttura del procedimento con i principi di trasparenza ed efficienza dell’azione amministrativa. In conclusione l’individuazione di un unico soggetto che coordini le azioni necessarie alla compiuta gestione del procedimento permette di responsabilizzare il funzionario pubblico, garantendone un impegno ed una professionalità effettiva in base ai principi di funzionalità ed efficacia dell’azione amministrativa.

56 In ultima analisi, la ratio dell’individuazione della figura del responsabile del procedimento si può rinvenire nella funzione di attuazione dei principi di trasparenza ed efficienza dell’azione amministrativa, unitamente alla piena responsabilizzazione degli amministratori che sono preposti alla gestione del procedimento. I compiti del responsabile del procedimento di cui all’art. 6 Legge n. 241/1990 L’art. 6 della legge n. 241 del 1990 codifica il fondamentale principio dell’adeguatezza e completezza dell’istruttoria procedimentale, in base al quale l’amministrazione è obbligata ad accertare d’ufficio, per quanto possibile, la realtà dei fatti e degli atti posti alla sua attenzione. T.A.R. Lombardia, Milano, sezione II, sentenza 29 novembre 2007, n Il potere del responsabile del procedimento, di cui all’art. 6 comma 1 lett. b) legge 7 agosto 1990 n. 241, di chiedere la rettifica di dichiarazioni o istanze erronee, non può essere applicato in un procedimento formale e concorsuale nel cui ambito vi siano stati errori o omissioni significativi, perché comporterebbe l’alterazione del principio di parità delle condizioni tra i partecipanti alla gara. Consiglio di Stato, sezione V, sentenza 22 gennaio 2003, n. 246

57 La figura del responsabile del procedimento, come delineato dall’art
La figura del responsabile del procedimento, come delineato dall’art. 6, legge 7 agosto 1990, n. 241, è attributaria di una funzione essenzialmente istruttoria coordinata alla sequenza di atti culminanti, poi, con l’effusione provvedimentale nella quale si sostanzia la manifestazione d volontà dell’amministrazione; potendosi ulteriormente risolvere (anche) in chiave collaborativa con il privato, al fine di porre quest’ultimo in condizione di rimuovere difetti, irregolarità, incompletezze, impedimenti presenti nell’istanza dal medesimo presentata. T.A.R. Calabria, Catanzaro, 26 febbraio 1998, n. 153 L’art. 6, legge 7 agosto 1990, n. 241 assegna al responsabile del procedimento il compito di richiedere l’integrazione di documenti ritenuti incompleti, nell’ottica della tutela della buona fede e dell’affidamento dei soggetti direttamente coinvolti nell’esercizio dell’attività amministrativa; e, pertanto, è illegittimo il provvedimento dell’Autorità scolastica che dispone l’esclusione di un candidato dalla sessione degli esami di Stato, con la generica motivazione che non erano stati presentati i documenti per la valutazione di ammissibilità, nonostante fosse stata prodotta documentazione a corredo della domanda e, in sede istruttoria, fosse stato invitato l’istante a specificare le motivazioni a supporto della richiesta di esame del fascicolo, previa indicazione dei referenti normativi. T.A.R. Sicilia, sez. I, Palermo, 7 giugno 2007, n. 1633

58 I compiti del responsabile del procedimento sono enumerati all’art
I compiti del responsabile del procedimento sono enumerati all’art. 6 della legge sul procedimento. Il predetto responsabile, quindi, svolge le seguenti funzioni: Valuta le condizioni di ammissibilità, i requisiti di legittimazione ed i presupposti che siano rilevanti per l’emanazione del procedimento; Acquisisce i documenti; Accerta d’ufficio i fatti ed adotta ogni misura per l’adeguato e sollecito svolgimento dell’istruttoria; Può chiedere la rettifica di dichiarazioni errate o incomplete; Cura l’indizione o indice direttamente le conferenze dei servizi; Cura i rapporti coi terzi, nonché le comunicazioni, pubblicazioni e notificazioni previste da leggi e regolamenti (un esempio è il cd. preavviso di rigetto contemplato dall’art. 10-bis legge n. 241/1990, anch’esso introdotto dalla legge n. 15/2005); Adotta, ove competente, il provvedimento finale, oppure trasmette gli atti all’organo competente per la sua adozione. La legge n. 15/2005 ha aggiunto un periodo al termine dell’art. 6: “L’organo competente per l’adozione del provvedimento finale, ove diverso dal responsabile del procedimento, non può discostarsi dalle risultanze dell’istruttoria condotta dal responsabile del procedimento se non indicandone la motivazione nel provvedimento finale”.

59 GLI ORGANISMI DI DIRITTO PUBBLICO
Secondo l’autore Cerulli Irelli si tratta di una disposizione che serve per conferire una maggiore forza ed autonoma connotazione alla fase istruttoria rispetto a quella decisoria. GLI ORGANISMI DI DIRITTO PUBBLICO Dal diritto comunitario, ed in particolare dal diritto derivato delle direttive in materia di appalti pubblici, è stato introdotto nell’ordinamento degli Stati membri un nuovo istituto: l’organismo di diritto pubblico. Secondo l’art. 3, comma 26, del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 – Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/Ce e 2004/18/CE, l’ “organismo di diritto pubblico” è qualsiasi organismo, anche in forma societaria – istituito per soddisfare spiccatamente esigenze di interesse generale, aventi carattere non industriale o commerciale; - dotato di personalità giuridica; - la cui attività sia finanziata in modo maggioritario dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico oppure la cui gestione sia soggetta al controllo di questi ultimi oppure il cui organo d’amministrazione, di direzione o di vigilanza sia costituito da membri dei quali più della metà è designata dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico. Si tratta di un’entità caratterizzata dai seguenti elementi: il possesso della personalità giuridica, il fine di interesse generale perseguito non avente carattere industriale o commerciale e la sottoposizione alla “influenza dominante” di un ente pubblico.

60 Si deve rilevare che i tre parametri sono “cumulativi”, cioè l’assenza di uno di essi determina che la figura soggettiva non possa qualificarsi come “organismo di diritto pubblico”. Per giurisprudenza pacifica, le tre condizioni enunciate hanno carattere cumulativo (cfr. Corte Giustizia CE, sentenza 15 gennaio 1998, causa C-44/96, Mannersmann Anlagenbau Austria AG). In altri termini si tratta di soggetti pubblici che per la loro sostanza, al di là della forma, svolgono la loro attività, alle dipendenze dell’ente pubblico, non finalizzandola alla produzione di beni o servizi con criteri economico imprenditoriali, e quindi in competizione con altri soggetti economici, bensì per esigenze pubbliche. Va soggiunto che in base ad una giurisprudenza comunitaria, l’eventuale contemporanea dedizione di un ente ad attività anche commerciali non toglie, per elementari ragioni di certezza e trasparenza, che l’ente vada qualificato in ogni caso come organismo con riguardo ad ogni ramo di azienda e settore di intervento. Infatti, la qualificazione di organismo è uno status che connota il soggetto onde l’irrilevanza delle attività commerciali, occasionalmente o anche sistematicamente, svolte in aggiunta a quelle non commerciali. Consiglio di Stato, sezione VI, sentenza 30 ottobre 2006, n. 6449

61 L’annullabilità – illegittimità dell’atto amministrativo
L’annullabilità è il rimedio previsto per far fronte al’illegittimità di un atto amministrativo. Legge 7 agosto 1990 n (Art. 21 – octies Annullabilità del provvedimento) È annullabile il provvedimento amministrativo adottato in violazione di legge o viziato da eccesso di potere o da incompetenza. Non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. Il provvedimento amministrativo non è comunque annullabile per mancata comunicazione dell’avvio del procedimento qualora l’amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. Si osserva che è illegittimo l’atto che viene emanato in difformità delle norme che disciplinano l’esercizio del potere.

62 In via preliminare osservo che l’atto amministrativo esistente che presenta vizi di legittimità che incidono su elementi essenziali di esso è illegittimo e, come tale, annullabile. Pertanto, l’atto amministrativo illegittimo è annullabile, ma fino alla sentenza di annullamento (o al provvedimento in autotutela della stessa attività amministrativa emanante) è giuridicamente esistente, efficace ed esecutorio, potendo essere eseguito dalla Pubblica Amministrazione in via diretta e coattivamente. Tuttavia, l’annullamento di un atto amministrativo illegittimo non opera di diritto, poiché è necessaria per la sua rimozione dalla realtà giuridica l’emanazione di un apposito contrarius actus dell’Amministrazione o una sentenza costitutiva del Giudice Amministrativo. L’annullamento di un atto amministrativo illegittimo ha una efficacia retroattiva, risalendo i suoi effetti ex tunc (da allora) al momento dell’emanazione dell’atto, che, una volta annullato, si considera come se non fosse mai stato emanato .

63 Ai sensi e per gli effetti dell’art. 21 – octies della legge n
Ai sensi e per gli effetti dell’art. 21 – octies della legge n. 241/1990, i vizi di legittimità del provvedimento (qualora l’atto si discosti da quanto disposto dalle norme imperative) sono: L’incompetenza; L’eccesso di potere; La violazione di legge. Prima della riforma del 2005, i predetti vizi erano contemplati, quali cause legittimanti il ricorso giurisdizionale, esclusivamente da norme processuali, ovvero dall’art. 26 della legge sul Consiglio di Stato (regio decreto n. 1054/1924), poi riprodotti dall’art. 3 della Legge TAR (legge n. 1034/1971). Tutti e tre i vizi sopra citati sono inclusi nella violazione di legge intesa “latu sensu”. L’incompetenza è la violazione di norme che regolano la competenza. Invece, l’eccesso di potere è la violazione dei limiti interni della discrezionalità che la Pubblica Amministrazione deve rispettare per legge.

64 Inoltre, si deve rilevare che l’illegittimità può essere originaria, sopravvenuta, derivata e parziale. La prima sussiste quando la legge viene violata ab origine ossia al momento dell’emanazione del provvedimento. La seconda sussiste allorquando, dopo l’emanazione dell’atto, vengono meno i presupposti di legge o di fatto che avevano consentito l’emanazione di quell’atto. L’illegittimità derivata quando l’atto di per sé è valido ma viene travolto dall’annullamento dell’atto che ne è presupposto. Infine, l’illegittimità parziale si manifesta quando rimane limitata ad una parte dell’atto cosicché questa sola possa essere caducata mentre, invece, il resto dell’atto rimane in vigore. Tutto ciò premesso, si deve rilevare che l’incompetenza è il vizio che inficia un atto che viene emanato in violazione delle norme che disciplinano la competenza delle Pubbliche Amministrazioni e dei loro organi. Si deve intendere per competenza il complesso di poteri e di funzioni che un organo, un ente, un’amministrazione possono, per legge o per regolamento, esercitare. Più in particolare, la competenza può essere esterna, in grado, cioè, di incidere sull’ordinamento giuridico generale oppure interna. Quest’ultima ha una rilevanza soltanto endoprocedimentale.

65 Preciso che quando si parla di violazione delle regole sulla competenza che danno luogo all’illegittimità dell’atto ci si riferisce alla sola competenza esterna. Pertanto, l’incompetenza che inficia un atto può essere assoluta o relativa. Quest’ultima ricorre quando l’atto viene emanato da un organo diverso rispetto a quello competente, ma appartenente alla medesima amministrazione. Invece, l’incompetenza assoluta sussiste quando un organo amministrativo emana un atto che rientra nella competenza di un’altra amministrazione, se non, addirittura, di un altro potere dello Stato (straripamento di potere o difetto di attribuzione). Soltanto l’atto che è viziato da incompetenza relativa è annullabile, mentre l’incompetenza assoluta dà luogo alla nullità o inesistenza dell’atto. Il vizio di incompetenza relativa si riscontra quando vengono violate le norme che distribuiscono la competenza tra i vari organi della Pubblica Amministrazione per grado o per materia. Invece, l’incompetenza assoluta si riferisce alla violazione delle regole sulla compenza per territorio.

66 L’eccesso di potere La locuzione “eccesso di potere” è stata utilizzata per la prima volta nella legge 31 marzo 1877, n. 371, recante “Norme sui conflitti di attribuzione”, nonché nella legge n. 31 marzo 1889, n L’eccesso di potere viene definito come quel vizio di legittimità che deriva da uno scorretto esercizio del potere discrezionale. L’eccesso di potere si concreta in definitiva come sviamento del potere amministrativo rispetto ai binari tracciati dal legislatore per un corretto esercizio del potere autoritativo. Lo sviamento di potere sussiste nel caso in cui la Pubblica Amministrazione usi un suo potere discrezionale per interessi personali, politici o per un fine diverso da quello per il quale il potere stesso le era stato attribuito. Solo per fare un esempio ricorre l’eccesso di potere da parte della Pubblica Amministrazione allorquando viene trasferito d’ufficio un impiegato ad una sede disagiata come punizione, laddove per punizione sono previste, invece, delle apposite sanzioni disciplinari. L’eccesso di potere è funzionale al controllo sull’operato di legalità sostanziale e sulle scelte discrezionali dell’amministrazione.

67 In sintesi, l’eccesso di potere è un vizio funzionale e che si riscontra quando l’atto amministrativo viene adottato per il perseguimento di un fine diverso da quello posto dalla norma attributiva del potere. In ultima analisi, affinché possa eventualmente riscontrarsi l’eccesso di potere, poi, è necessario che esista in capo alla Pubblica Amministrazione un potere discrezionale, il cui esercizio esorbiti dai limiti interni inerenti alla natura stessa del potere esercitato, ossia l’interesse pubblico, la causa del potere, i precetti di logica ed imparzialità. In conclusione, osservo che i presupposti dell’eccesso di potere sono rappresentati dal potere discrezionale in capo alla Pubblica Amministrazione, dallo sviamento di tale potere e dalla possibilità di dimostrare detto sviamento. Le principali figure sintomatiche dell’eccesso di potere sono le seguenti: Il travisamento o l’erronea valutazione dei fatti; L’irragionevolezza, l’illogicità o la contraddittorietà dell’atto; La contraddittorietà fra più atti; L’inosservanza delle circolari; La violazione della prassi; La manifesta ingiustizia.

68 La violazione di legge Il vizio della violazione di legge è generalmente considerato un’ipotesi residuale che si realizza allorché venga violata una qualsiasi altra norma di azione generale che non attenga alla competenza o all’eccesso di potere. Il concetto di legge va inteso come norma di azione indipendentemente dalla natura formale dell’atto che la contiene (Costituzione, normativa comunitaria, legge, regolamento, statuto, ecc.). La violazione di legge si può concretare sia nella mancata applicazione, così come nella falsa applicazione della legge stessa. La violazione di legge viene determinata dalla violazione delle norme che regolano l’azione amministrativa (norme di azione). Queste norme non son solo le norme di legge, ma anche le norme di regolamento. Possono riguardare sia il procedimento sia i presupposti in diritto per l’adozione di un certo atto. Si tratta di disposizioni in via di espansione, man mano che l’ordinamento positivo consacra in norme principi già fatti propri dalla giurisprudenza amministrativa, come l’obbligo di motivazione, di cui all’art. 3 della legge n. 241 del 1990.

69 Infine, si deve rilevare che è stata aggiunta alle ipotesi di violazione di legge anche quella relativa al contrasto con l’ordinamento comunitario. Infatti, non vi è alcun dubbio che sia abbia violazione di legge a fronte del contrasto tra il provvedimento e le norme comunitarie auto applicative o coerentemente recepite dall’ordinamento interno. LE CONSEGUENZE DELL’ILLEGITTIMITA’ L’atto amministrativo illegittimo è, oltre ogni ragionevole dubbio, annullabile. Tuttavia, a differenza dell’atto nullo, quello illegittimo produce degli effetti giuridici fino a che non venga tolto di mezzo dalla stessa amministrazione che lo ha emanato o dal giudice amministrativo. Il giudice ordinario non può annullare né modificare l’atto amministrativo, bensì, ai sensi dell’art. 5 della legge A.C. (2248/1865 all. E9, può solo disapplicarlo ove ne riscontri, incidentalmente, l’illegittimità. In ultima analisi, si deve rilevare che l’atto amministrativo illegittimo è, finché non venga annullato, efficace ed eseguibile, impugnabile dal solo interessato, sanabile o revocabile o annullabile d’ufficio dall’amministrazione che lo ha emanato.

70 I vizi di merito Il merito amministrativo è lo spazio di libertà che residua in capo alla Pubblica Amministrazione dopo avere rispettato tutti i vincoli ed i limiti imposti dalla legge attributiva del potere (l’atto, sebbene conforme alle norme, non è rispondente alle regole di buona amministrazione). Tuttavia, nel diritto amministrativo la libertà non può essere arbitrio e,di conseguenza, l’amministrazione dovrà effettuare le scelte di merito alla stregua di regole non giuridiche di opportunità e di buona amministrazione. Se la scelta di merito è viziata si parla di inopportunità del provvedimento amministrativo. Oggi l’ambito di operatività del merito amministrativo è assai ridotto grazie agli interventi che hanno positivizzato le regole di buona amministrazione (economicità, efficacia, efficienza, trasparenza, equità, ragionevolezza etc..). In sintesi, l’atto viziato nel merito è annullabile dal giudice amministrativo, nei soli casi previsti dalla legge.

71 LA NULLITA’ DELL’ATTO AMMINISTRATIVO
La nullità dell’atto in diritto amministrativo, prima della legge n. 15/2005, non era espressamente prevista dalla legge come categoria generale bensì era stata elaborata dalla dottrina che ne aveva mutuato la disciplina dal diritto privato. L’articolo 21 – septies della Legge n. 241/1990 ha codificato la nullità quale autonoma figura di invalidità. In sintesi, la nuova norma introdotta dal legislatore contiene l’individuazione specifica delle cause di nullità dei provvedimenti amministrativi. Pertanto, i casi di nullità dell’atto amministrativo sono i seguenti: La mancanza degli elementi essenziali del provvedimento (cd. nullità strutturale); Il difetto assoluto di attribuzione; Il provvedimento emanato in violazione o elusione del giudicato; Altri casi espressamente previsti dalla legge. In ultima analisi, si deve rilevare che l’azione di nullità è imprescrittibile e che la nullità può essere fatta valere da chiunque vi abbia interesse, non soltanto da parte del destinatario del’atto.

72 Infine, la sentenza che conclude il giudizio di nullità ha una natura dichiarativa. La nullità dell’atto amministrativo non si riscontra solo nel caso di carenza di potere dell’amministrazione, ma anche nelle altre ipotesi previste dall’art. 21 septies l. 7 agosto 1990 n. 241, tra le quali occorre comprendere anche la mancanza degli elementi essenziali, come il venir meno dell’imputabilità dell’atto amministrazione per interruzione del rapporto organico, per essere stato adottato l’atto in ambiente collusivo penalmente rilevante. Consiglio di Stato, sezione V, sentenza 4 marzo 2008, n. 890 L’inosservanza da parte del diritto nazionale, di una normativa comunitaria comporta non tanto la nullità inesistenza quanto, piuttosto, l’illegittimità per violazione di legge – con conseguente annullabilità – del provvedimento applicativo della normativa nazionale, anche alla luce dell’entrata in vigore dell’art. 21-septies, l. 7 agosto 1990 n. 241, introdotto dalla legge 11 febbraio 2005 n. 15, che, nel codificare le ipotesi di nullità del provvedimento amministrativo, non vi ricomprende la violazione del diritto comunitario. T.a.r. Sardegna, Cagliari, Sezione I, sentenza 27 marzo 2007, n. 549

73 Le nullità dei provvedimenti amministrativi sono tassative o vanno ricondotte alla mancanza di elementi essenziali dell’atto o ad ipotesi di incompetenza assoluta del’organo che adotta il provvedimento od alla violazione del giudicato per cui non può, in assenza di una norma di legge che la preveda, desumersi una nullità provvedimentale ove l’atto impugnato sia dotato di tutti gli elementi essenziali, emanato da un organo non affetto da incompetenza assoluta e non adottato in violazione del giudicato. Consiglio di Stato, sezione VI, sentenza 20 ottobre 2005, n. 5903 LEGGE 7 AGOSTO 1990 N. 241 (ART. 21 SEPTIES NULLITA’ DEL PROVVEDIMENTO) È nullo il provvedimento amministrativo che manca degli elementi essenziali, che è viziato da difetto assoluto di attribuzione, che è stato aottato in violazione o elusione del giudicato, nonché negli altri casi espressamente previsti dalla legge. Le questioni inerenti alla nullità dei provvedimenti amministrativi in violazione o elusione del giudicato sono attribuite alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.

74 Unità didattica n. 2 L’obbligo di comunicare l’avvio del procedimento amministrativo, di cui agli artt. 7 – 8 Legge n. 241/1990 Un’altra novità che è stata introdotta dalla legge n. 241/1990 è l’obbligo che grava sulla Pubblica Amministrazione di comunicare l’avvio del procedimento ai destinatari del provvedimento finale, così come nei confronti di quelli che per legge devono intervenire ed agli altri soggetti interessati. In base alla formulazione dell’art. 7 si desume che l’obbligo di comunicazione riguarda solo il procedimento principale e no anche i sub procedimenti che caratterizzano i procedimenti particolarmente complessi. Tuttavia, al contrario, la Corte Costituzionale ha esteso l’obbligo in questione anche ai sub procedimenti, ove siano destinati a sfociare in un provvedimento autonomo, di particolare rilevanza nell’ambito del provvedimento finale (Corte Costituzionale sentenza n. 383/1996). A questo punto si rende indispensabile di fornire una precisa nozione di soggetto interessato.

75 Pertanto, si definiscono soggetti interessati, ai sensi e per gli effetti dell’art. 7 l. 241/1990, i titolari della sfera giuridica sulla quale il provvedimento amministrativo verrà ad incidere favorevolmente o sfavorevolmente (cd. parti necessarie); tutti quei soggetti che per legge devono intervenire nel procedimento; i soggetti contro interessati, ovvero tutti coloro nei confronti dei quali il provvedimento emanato dalla Pubblica Amministrazione sia suscettibile di arrecare un pregiudizio, purché tali soggetti siano individuati o facilmente individuabili (cd. parti eventuali). Pur non essendo strettamente necessario che la comunicazione di avvio del procedimento venga data nel momento stesso in cui il procedimento ha inizio, essa deve comunque intervenire in tempo utile perché l’interessato possa effettuare tutti quegli interventi che costituiscono la ragion d’essere dell’avviso. Consiglio di Stato, sezione V, sentenza 5 giugno 1997, n. 606 L’obbligo di comunicazione di cui all’art. 7 legge n. 241/1990, n. 241 non può ritenersi assolto mediante gli appositi avvisi alla cittadinanza, tramite manifesti, conferenze pubbliche, esposizione del plastico dei lavori e di cartelloni, in quanto la legge richiede espressamente all’amministrazione di dare comunicazione personale dell’avvio del procedimento, mentre il ricorso ad altre forme di pubblicità è consentito solo quando per il numero dei destinatari, la comunicazione personale non sia possibile o risulti particolarmente gravosa. T.a.r. Marche, sentenza 10 luglio 1999, n. 840

76 In ultima analisi, osservo che l’obbligo di informazione è strumentale ad esigenze di conoscenza effettiva e conseguentemente di partecipazione all’azione amministrativa da parte del cittadino nella cui sfera il provvedimento è destinato ad incidere, in modo che egli sia in grado di influire sul suo contenuto. Il mancato avviso di avvio del procedimento non vizia, di conseguenza, l’attività amministrativa tutte le volte in cui la conoscenza sia comunque intervenuta, sì da ritenere raggiunto in concreto lo scopo cui tende la comunicazione. La funzione della comunicazione di avvio del procedimento è quella di porre l’interessato in condizioni di penetrare nell’alveo procedimentale, fruendo dell’accesso ai relativi atti e potendo così far presenti le proprie ragioni nel migliore dei modi, sì da determinare il concreto realizzarsi dei principi posti dall’art. 97 Costituzione di buon andamento e imparzialità dell’amministrazione, nel senso di un operare amministrativo il più possibile informato e consapevole della portata degli interessi coinvolti. T.a.r. Campania, Salerno, sez. II, sentenza 6 ottobre 2005, n. 1901

77 Articolo 8 legge n. 241/1990 Modalità e contenuti della comunicazione di avvio del procedimento L’art. 8 legge 7 agosto 1990, n. 241 impone all’amministrazione un obbligo generale di dare notizia dell’avvio del procedimento, senza alcuna distinzione tra quelli iniziati d’ufficio o ad istanza di parte; pertanto, anche in questi ultimi l’amministrazione è tenuta a dare comunicazione dell’avvio del procedimento, anche in considerazione del fatto che pure in tali procedimenti va soddisfatta l’esigenza di conoscenza della persona del responsabile del procedimento e dell’ufficio dove si può prendere visione degli atti. La comunicazione dell’avvio del procedimento è preordinata, secondo la ratio della legge, a consentire al destinatario non solo di prendere visione degli atti del procedimento, ma anche, e soprattutto, di “..presentare memorie scritte e documenti, che l’amministrazione ha l’obbligo di valutare ove siano pertinenti all’oggetto del procedimento” (art. 10, lett. b), legge n. 241/1990); è pertanto illegittimo un provvedimento adottato a soli tre giorni dalla comunicazione di avvio del procedimento, senza attendere l’arrivo di eventuali memorie da parte dei destinatari del provvedimento finale, potendo il provvedimento essere legittimamente adottato solo dopo il decorso di un lasso di tempo necessario a consentire non soltanto la previa visione degli atti, ma anche la presentazione di eventuali memorie che sarebbe necessario valutare. T.a.r. Basilicata, sentenza 15 marzo 2005 n. 139

78 La normativa ex art. 8, legge 7 agosto 1990, n
La normativa ex art. 8, legge 7 agosto 1990, n. 241 è finalizzata alla partecipazione dell’interessato al procedimento al fine di consentirgli di esporre le proprie osservazioni e di produrre la documentazione necessaria per l’eventuale accoglimento delle proprie pretese, sì che appare del tutto superflua la comunicazione di avvio del procedimento nel caso in cui l’interessato abbia già, di fatto, avuto modo di sostenere le proprie ragioni e, quindi, di fornire utili apporti alla determinazione finale dell’amministrazione, con ciò restando soddisfatta la finalità della richiamata disposizione. T.a.r. Umbria, sentenza 12 aprile 1995, n. 130 Pertanto, ai sensi dell’art. 8 legge n. 241/1990, la notizia dell’avvio del procedimento deve avvenire mediante comunicazione personale, sole ove ciò non sia possibile per ragioni che devono essere evidenziate nella motivazione, la legge contempla valide forme equipollenti di comunicazione. Quanto al contenuto, l’art. 8 impone all’amministrazione di indicare nella comunicazione: L’amministrazione procedente; L’oggetto del procedimento;

79 L’ufficio e la persona responsabile del procedimento;
L’ufficio in cui si può prendere visione degli atti. Tuttavia, la legge n. 15/2005 ha inserito due nuovi voci fra le indicazioni obbligatorie della comunicazione di avvio che sono le seguenti: La data entro la quale, secondo i termini previsti dall’art. 2, commi 2 o 3, deve concludersi il procedimento e i rimedi esperibili in caso di inerzia dell’amministrazione” (c-bis); Nei procedimenti ad iniziativa di parte, la data di presentazione della relativa istanza (c-ter). L’intervento volontario nel procedimento (art. 9, legge n. 241/1990) Mediante la previsione dell’art. 9, la legge n. 241/1990 persegue la massima democratizzazione del sistema amministrativo consentendo la partecipazione al procedimento anche ai portatori di quegli interessi non coincidenti con quelli principali sottesi al procedimento stesso. È stata introdotta nell’ordinamento la categoria degli interventori eventuali, la cui legittimazione all’intervento dovrà essere vagliata dal responsabile del procedimento. Pertanto, il presupposto della legittimazione è la sussistenza di un pregiudizio, anche solo potenziale, derivante dall’adozione del provvedimento.

80 Con l’introduzione nell’ordinamento dell’art. 9, legge 7 agosto 1990, n. 241, l’interesse diffuso è stato riconosciuto tra le situazioni soggettive tutelabili – ancorché caratterizzato da un grado di astrazione più elevata, rispetto all’interesse legittimo – e sul presupposto che vi sia un collegamento individuale a beni collettivi nonché previa mediazione di strutture collettive (associazioni o comitati, nazionali o locali) in cui devono confluire i portatori degli interessi stessi, ad evitare disfunzioni causate dalla partecipazione c.d. selvaggia. T.a.r. Puglia, Bari, sez. II, sentenza 7 febbraio 2000, n. 466 La l. n. 241 del 1990 accorda nell’art. 9, ai soggetti portatori di interessi diffusi costituiti in associazioni o comitati, la possibilità di partecipare al procedimento. Si tratta, però, di una norma che sancisce una possibilità e non un diritto di partecipazione e che, in ogni caso, ha come sua primaria finalità quella di elevare a rango di strumento endoprocedimentale, cioè di dare giuridica rilevanza che non sono riconoscibile in capo a singoli individui, e dei quali è dubbia la tutela giurisdizionale nei casi in cui ne siano portatrici associazioni che, a differenza del ricorrente nel caso di specie, non risultino inserite negli elenchi previsti dall’art. 5, l. n. 281 del T.a.r. Lazio, Roma, sez. III, sentenza 20 marzo 2006, n. 2001

81 Più in particolare, in base all’art
Più in particolare, in base all’art. 9 della legge qualunque soggetto, portatore di interessi pubblici o privati, nonché i portatori di interessi diffusi costituiti in associazioni o vomitati, cui possa derivare un pregiudizio dal provvedimento, hanno la facoltà di intervenire nel procedimento, senza preventiva comunicazione di avvio del procedimento. In conclusione, fra le categorie di interventori eventuali, la legge prevede anche i portatori di interessi diffusi costituiti in associazioni o comitati. I diritti dei partecipanti al procedimento L’art. 10 legge 7 agosto 1990 n. 241 disciplina i poteri dei soggetti che intervengono nel procedimento, riconoscendo agli stessi il diritto di prendere visione degli atti dell’amministrazione e di prendere memorie che devono essere prese in considerazione dall’amministrazione nel provvedere, ma non prevede alcun obbligo in capo a quest’ultima di provvedere sulle istanze dei privati. Consiglio di Stato, sezione IV, sentenza 1 ottobre 1993, n. 817 Va esclusa la violazione dell’art. 10 legge n. 241 del 1990 (mancata valutazione della memoria avanzata dal ricorrente in fase endoprocedimentale) in relazione ad un provvedimento vincolato, quale il diniego di rilascio del permesso di soggiorno, che non avrebbe potuto avere un contenuto dispositivo diverso da quello in concreto adottato. T.a.r. Campania, Napoli, sezione VI, sentenza 17 dicembre 2007, n

82 Il preavviso di rigetto
Il preavviso di rigetto è l’istituto introdotto dalla legge n. 15/2005, all’art. 10bis. In riferimento alla struttura del procedimento, l’istituto giuridico in parola va a collocarsi tra la conclusione della fase istruttoria e l’assunzione della decisione finale, finendo con l’introdurre una nuova fase procedimentale, che può qualificarsi come “predecisoria”. Ai sensi e per gli effetti dell’art. 10bis, nel caso in cui la Pubblica Amministrazione sia in procinto di emanare un provvedimento negativo all’esito di un procedimento iniziato su istanza di parte, il responsabile del procedimento, o un altro organo dell’Amministrazione procedente, deve comunicare all’istante (non anche agli altri soggetti che abbiano, a vario titolo, partecipato al procedimento) le ragioni che impediscono l’accoglimento della sua domanda, onde consentirgli di contro dedurre. In sintesi, si tratta di una norma molto opportuna, che costituisce una garanzia ulteriore per il cittadino sotto il profilo della trasparenza ed un vantaggio per l’Amministrazione nell’ottica della deflazione del contenzioso e di un complessivo alleggerimento delle competenze burocratiche. Il terzo inciso dell’art. 10-bis stabilisce, altresì, che l’avviso di rigetto comporta l’interruzione dei termini per la conclusione del procedimento.

83 Si precisa che la legge ha stabilito che il preavviso di rigetto deve essere comunicato prima della formale adozione di un provvedimento negativo e, di conseguenza, prima della scadenza del termine di conclusione del procedimento. In sintesi, il preavviso di provvedimento sfavorevole deve contenere i motivi che ostano all’accoglimento della domanda, ovvero i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato quella proposta di provvedimento negativo. La Pubblica Amministrazione, nel caso de quo, deve raccogliere ed individuare tutti gli elementi utili per la decisione. Inoltre, la P.A. deve valutare gli interessi pubblici e privati che sono sottesi all’azione amministrativa. Osservo, altresì, che i destinatari del preavviso sono unicamente gli istanti e non tutti coloro che abbiano partecipato al contraddittorio istruttorio. In ultima analisi, si deve rilevare che il preavviso produce anche l’interruzione del procedimento. Infatti, il termine finale inizia nuovamente a decorrere dalla data di presentazione delle osservazioni o, in assenza, dalla scadenza del termine per la loro presentazione.

84 GLI EFFETTI ULTERIORI DEL PREAVVISO ED IL CONTENUTO DELL’INTERVENTO
L’esternazione da parte della P.A. della proposta di provvedimento negativo e dei motivi che lo sorreggono è costituito dal divieto di fondare la decisione finale su motivi diversi da quelli comunicati. Entro il termine di 10 gg. dal ricevimento della comunicazione gli istanti hanno il diritto di presentare per iscritto le proprie osservazioni, documenti. Pertanto, l’istante che viene raggiunto dal preavviso ha la possibilità di rispondere o meno. La valutazione posta in essere dalla Pubblica Amministrazione implica tre possibili esiti che sono i seguenti: l’integrazione della motivazione e la conclusione del procedimento con un provvedimento sfavorevole; Il ritiro della proposta di provvedimento sfavorevole e l’adozione di uno favorevole; La riapertura dell’istruttoria.

85 La violazione dell’art. 10-bis legge 7 agosto 1990 n
La violazione dell’art. 10-bis legge 7 agosto 1990 n. 241, non produce ex se l’illegittimità del provvedimento finale, dovendo la disposizione sul cd. preavviso di diniego essere interpretata alla luce del successivo art. 21-octies della citata legge n. 241/1990, secondo cui, laddove il ricorrente sollevi determinati vizi di natura formale, è imposto al giudice di valutare il contenuto sostanziale del provvedimento e, quindi, di non annullare l’atto nel caso in cui le violazioni formali non abbiano inciso sulla legittimità sostanziale del provvedimento impugnato. T.a.r. Puglia, Lecce, sezione II, sentenza 12 settembre 2006, n L’obbligo, previsto dall’art. 10-bis n. 241 del 1990, di esame delle memorie e dei documenti difensivi prodotti dalla parte, ancorché non imponga un’analitica confutazione di ogni argomento, è soddisfatto quando il provvedimento finale esponga un iter motivazionale che renda nella sostanza percepibile la ragione del mancato adeguamento dell’azione della Pubblica Amministrazione alle deduzioni difensive del privato e ne attesti la relativa consapevolezza, con la conseguenza che la citata disposizione è violata allorché il provvedimento conclusivo non contenga alcuna indicazione delle ragioni che hanno indotto l’amministrazione a non accogliere le osservazioni presentate dal ricorrente: è pertanto affatto insufficiente ad appagare il precetto normativo dell’art. 10-bis la generica affermazione “viste le controdeduzioni espresse dalla S.V.”. T.a.r. Veneto, venezia, sezione II, sentenza 6 novembre 2006, n. 3670

86 Il preavviso di rigetto, previsto dall’art. 10bis della legge n
Il preavviso di rigetto, previsto dall’art. 10bis della legge n. 241/1990, ha natura di atto endo-procedimentale la cui funzione è quella di instaurare un contraddittorio a carattere necessario tra la Pubblica Amministrazione ed il cittadino al fine di aumentare le possibilità del privato di ottenere ciò a cui aspira. Il preavviso di rigetto non può considerarsi immediatamente lesivo della sfera giuridica di suoi destinatari e, dunque, non è autonomamente né immediatamente impugnabile. Consiglio di Stato, sezione IV, sentenza 12 settembre 2007, n Il preavviso di rigetto di cui all’art. 10-bis l. n. 241 del 1990 riveste natura di atto endo-procedimentale, poiché tale norma impone all’amministrazione, prima di adottare un provvedimento sfavorevole nei confronti del richiedente, di comunicargli le ragioni ostative all’accoglimento della sua istanza, sì da rendere possibile l’instaurazione di un vero e proprio contraddittorio endo-procedimentale, a carattere necessario, ed aumentare così le chances del cittadino di ottenere dalla stessa P.A. ciò che gli interessa, con la conseguenza che lo stesso non è immediatamente lesivo della sfera giuridica dei destinatari e, quindi, non è autonomamente ed immediatamente impugnabile. T.a.r. Campania, Napoli, sez. VII, sentenza 12 giugno 2006, n. 6891

87 Gli accordi tra i privati e le amministrazioni
La contrattualizzazione dell’azione amministrativa mediante gli accordi di cui all’art. 11 è la forma più accentuata di applicazione del principio del giusto procedimento in ragione del quale le determinazioni della Pubblica Amministrazione non sono più calate dell’alto e passivamente subite dal privato, ma sono partecipate e concordate da questi in un’ottica di democratizzazione del sistema amministrativo che vede la Pubblica Amministrazione ed i cittadini su un piano sempre più paritario. L’art. 11 consente all’amministrazione di concludere accordi con gli interessati al fine di determinare il contenuto del provvedimento finale, ovvero in sostituzione di questo: nella ipotesi si parla di accordi integrativi (o procedimentali), nella seconda ipotesi si parla di accordi sostitutivi (si inquadra fra questi ultimi la cessione volontaria del bene da espropriare di cui all’art. 45 d.P.r. 327/2001). Gli accordi fra la Pubblica Amministrazione ed i privati possono intervenire a sostituire o integrare esclusivamente quei provvedimenti che siano espressione di potere discrezionale dell’amministrazione, mentre, l’attività vincolata, ove tutto è predeterminato dalla legge, non ammette margini di contrattazione. Gli accordi sostitutivi o integrativi devono essere stipulati per atto scritto a pena di nullità, salvo che la legge disponga altrimenti.

88 Infine, il quarto comma dell’art
Infine, il quarto comma dell’art. 11 dispone che “per sopravvenuti motivi di interesse pubblico, l’amministrazione recede unilateralmente dall’accordo, salvo l’obbligo di provvedere alla liquidazione di un indennizzo in relazione agli eventuali pregiudizi verificatisi in danno del privato”. L’ultimo comma dell’art. 11 l. 241/1990 attribuisce le controversie in materia di formazione, conclusione ed esecuzione degli accordi sostitutivi o integrativi alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. L’accordo sostitutivo del provvedimento amministrativo ex art. 11 legge 7 agosto 1990, n. 241, che rappresenta uno dei possibili modelli di composizione dei conflitti di interessi nel rispetto dell’interesse pubblico, presuppone un’ampia possibilità di scelte discrezionali da parte della Pubblica Amministrazione procedente, per cui la facoltà di ricorrervi, o meno, spetta esclusivamente a quest’ultimo, che può utilizzarlo anche in alternativa agli atti di autotutela, stante la discrezionalità che caratterizza i relativi procedimenti. Consiglio di Stato, sezione V, sentenza 3 giugno 1996, n. 621 L’ordinamento consente, in via generale, che l’amministrazione utilizzi lo strumento pattizio in luogo di quello provvedimentale, per determinare il contenuto di provvedimenti, o per sostituire questi ultimi. Consiglio di Stato, sezione VI, sentenza 20 gennaio 2000, n. 264

89 La semplificazione dell’azione amministrativa
La legge n. 241/1990 si muove, oltre che nell’ottica della partecipazione, anche nell’ottica della semplificazione dell’azione amministrativa, cui viene dedicato il capo IV comprendente istituti che sono volti a snellire l’attività della Pubblica Amministrazione ed ad attuare i principi di economicità ed efficacia di cui all’art. 1: La conferenza dei servizi; Gli accordi fra amministrazioni; Pareri, valutazioni tecniche; Autocertificazione; Liberalizzazione delle attività private (denuncia in luogo di autorizzazione e silenzio-assenso). L’istituto della Conferenza dei Servizi viene originariamente previsto in relazione ad alcune discipline di settore (legge 21 ottobre 1987, n. 441, sullo smaltimento di rifiuti; Legge 29 maggio 1989, n. 205, sui mondiali di calcio), trovando poi collocazione generale e sistematica nella Legge 7 agosto 1990, n. 241, sul procedimento amministrativo. nonostante tale generalizzazione il Legislatore ha continuato ad intervenire sull’istituto in parola in relazione ad alcune materie specifiche, fino alla scrittura globale dell’istituto in termini generali ad opera della Legge 24 novembre 2000, n. 340 (legge di semplificazione amministrativa 1999).

90 Ulteriori correzioni e novità sono state da ultimo introdotte dalla Legge 11 febbraio 2005, n. 15, con particolare riguardo alla conferenza dei servizi cd. decisoria. Con la conferenza di servizi si concentrano in un unico contesto logistico e temporale le valutazioni e le posizioni delle singole amministrazioni portatrici degli interessi pubblici coinvolti in un procedimento amministrativo, al fine di consentire il coordinamento tra le amministrazioni coinvolte e di favorire l’intervento di accordi tra le stesse. Non vi è dubbio che la disciplina della conferenza di servizi è finalizzata all’attuazione del principio di buon andamento dell’Amministrazione Pubblica, di cui all’art. 97 Costituzione, in quanto mezzo di semplificazione e snellimento dell’azione amministrativa. Sulla natura giuridica della conferenza di servizi si è a lungo discusso, ma tra le differenti posizioni dottrinali emergono sostanzialmente due tesi. La prima considera la conferenza di servizi quale organo amministrativo collegiale di carattere straordinario, ragion per cui il provvedimento finale sarebbe imputabile non alla P.a. procedente che convoca la conferenza istruttoria – o alle Amministrazioni che esprimono i loro assensi in quella decisoria – bensì alla conferenza quale centro autonomo d’imputazione. In merito alla seconda tesi sulla natura giuridica della conferenza di servizi, essa la delinea come mero modulo organizzatorio, una forma di accordo tra più organi di separate amministrazioni, privo di una propria individualità. Tale tesi pone in rilievo che l’istituto si limita a facilitare il coordinamento tra le singole autorità amministrative

91 ,unici centri di imputazione volontaristica
,unici centri di imputazione volontaristica. Ne consegue che l’atto finale risulta imputato solo all’amministrazione che adotta il provvedimento finale, ovvero alle altre amministrazioni che manifestano le loro voluntates provvedimentali. Occorre precisare che l’istituto in parola riveste oramai una duplice funzione: da un lato si presenta come modulo generale di semplificazione procedimentale, dall’altro come strumento di coordinamento volto alla composizione dei differenti interessi pubblici coinvolti in un dato procedimento e quindi alla individuazione dell’interesse pubblico prevalente. Un’acuta dottrina ha osservato come i profili suevidenziati siano in realtà due anime dello stesso istituto reciprocamente influenzatesi, le quali muovono dall’idea del confronto intersoggettivo tra portatori di interessi differenti. Tale ultima tesi è stata avallata dalla Corte Costituzionale con la Sentenza 10 marzo 1996, n. 79 (Redattore Mirabelli), con la quale la conferenza di servizi è stata definita come “un metodo che caratterizza il procedimento di raccolta, di valutazione e di espressione dei diversi interessi, anche quando non modifica le competenze in ordine ai singoli atti del procedimento (quali pareri, autorizzazioni, concessioni, nullaosta) ed al provvedimento finale”. Ulteriore conferma in tale direzione è intervenuta ad opera del Consiglio di Stato, Sez. IV, con la Sentenza 9 luglio 1999, n. 1193, con la quale si è stabilito che la conferenza di servizi è solo un modulo procedimentale e non costituisce anche un ufficio speciale della pubblica amministrazione autonomo rispetto ai soggetti che vi partecipano.

92 Merita di essere menzionata anche la Decisione del T. A. R
Merita di essere menzionata anche la Decisione del T.A.R. Lombardia, Sez. III, 28 febbraio 2002, n. 888, con la quale i Giudici amministrativi hanno precisato che la Conferenza di servizi, nonostante le innovazioni introdotte con la Legge n. 340 del 2000, non costituisce un organo amministrativo collegiale straordinario, ma soltanto un modulo procedimentale, ergo il provvedimento finale deve essere imputato alle singole amministrazioni che formano la Conferenza ed adottano l’atto finale. Si segnala infine la Sentenza del Consiglio di Stato, Sez. Iv, 7 maggio 2004 n. 2874, ove si precisa che: “(…) la conferenza dei servizi (in special modo quella c.d. decisoria), costituisce un originale modulo organizzativo (funzionale alla concreta attuazione dei principi costituzionali che presiedono all’azione amministrativa, come individuati dall’articolo 97 della Costituzione) per l’acquisizione, su di un dato provvedimento da adottare, dell’avviso di tutte le amministrazioni preposte alla cura degli interessi coinvolti in quest’ultimo, idoneo a produrre l’auspicata accelerazione dei tempi procedurali (e dunque la speditezza, efficacia ed economicità dell’azione amministrativa) attraverso un esame contestuale di tutti gli interessi pubblici coinvolti: essa non implica, tuttavia, la creazione di un apposito ufficio speciale della Pubblica Amministrazione, separato dai soggetti che vi hanno partecipato (ex pluibus, C.d.S., sez. V, 25 gennaio 2003, n. 349; sez. IV, 14 giugno 2001, n. 3169), con la conseguenza che l’avviso espresso in conferenza dei servizi dai rappresentanti delle varie amministrazioni partecipanti resta pur sempre imputabile alle sole singole amministrazioni”.

93 La legge 11 febbraio 2005, n. 15 ha eliminato la condizione del dubbio ed, infatti, con l’abrogazione del comma 2, dell’art. 14-quater, è stata soppressa la possibilità che la conferenza adotti autonomamente la determinazione conclusiva del procedimento prescindendo dal dissenso di una o più amministrazioni in posizione minoritaria. Infatti, il nuovo art. 14 ter (Lavori della conferenza di servizi), comma 6 bis, della Legge n. 241 del 1990 dispone: “All’esito dei lavori della conferenza, e in ogni caso scaduto il termine di cui al comma 3, l’amministrazione procedente adotta la determinazione motivata di conclusione del procedimento, valutate le specifiche risultanze della conferenza e tenendo conto delle posizioni prevalenti espresse in quella sede. In definitiva, dovrà essere adottato un provvedimento finale conforme alla determinazione conclusiva ex art. 14 ter (Lavori della conferenza di servizi), comma 6bis, L. n. 241/1990, il quale sostituisce, a tutti gli effetti, ogni autorizzazione, concessione, nullo osta etc… La legge n. 241 del 1990, distingue tre forme di conferenza di servizi: La conferenza istruttoria; La conferenza predecisoria; La conferenza decisoria. Tutte e tre le fasi assolvono ad una specifica funzione accelleratoria e di coordinamento. Tuttavia, assolvono anche a funzioni differenti, pur partendo dalla medesima idea di fondo.

94 Il silenzio della Pubblica Amministrazione
La problematica relativa alla qualificazione giuridica del silenzio della Pubblica Amministrazione riveste una certa importanza in relazione alla tutela del privato nei confronti dell’amministrazione, anche nei casi di inerzia della stessa, quando tale comportamento omissivo lo danneggi. Le tipologie di silenzio Silenzio – assenso, che si configura nelle ipotesi in cui la legge attribuisce al silenzio il valore di accoglimento di un’istanza (si veda l’art. 20 Legge n. 241/1990, poi riscritto dalla Legge n. 80/2005). Più in particolare il silenzio-assenso è un istituto giuridico di creazione legislativa che si collega ad un procedimento amministrativo in cui l’Amministrazione omette di pronunciarsi in modo tempestivo. Quindi, la legge riconnette all’inerzia dell’ente il valore legale tipico che è proprio di un atto amministrativo favorevole.

95 Legge 7 agosto 1990 n. 241 art. 20 (Silenzio assenso)
Fatta salva l’applicazione dell’articolo 19, nei procedimenti ad istanza di parte per il rilascio di provvedimenti amministrativi il silenzio dell’amministrazione competente equivale a provvedimento di accoglimento della domanda, senza necessità di ulteriori istanze o diffide, se la medesima amministrazione non comunica all’interessato, nel termine di cui all’articolo 2, commi 2 o 3, il provvedimento di diniego, ovvero non procede ai sensi del comma 2. L’amministrazione competente può indire, entro trenta giorni dalla presentazione dell’istanza di cui al comma 1, una conferenza di servizi ai sensi del capo IV, anche tenendo conto delle situazioni giuridiche soggettive dei controinteressati. Nei casi in cui il silenzio dell’amministrazione equivale ad accoglimento della domanda, l’amministrazione competente può assumere determinazioni in via di autotutela, ai sensi degli articoli 21 quinquies e 21 nonies. Le disposizioni del presente articolo non si applicano agli atti e procedimenti riguardanti il patrimonio culturale e paesaggistico, l’ambiente, la difesa nazionale, la pubblica sicurezza, l’immigrazione, l’asilo e la cittadinanza, la salute e la pubblica incolumità, ai casi in cui la normativa comunitaria impone l’adozione di provvedimenti amministrativi formali, ai casi in cui la legge qualifica il silenzio dell’amministrazione come rigetto dell’istanza, nonché agli atti e procedimenti individuati con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro per la funzione pubblica, di concerto con i Ministri competenti. Si applicano gli articoli 2, comma 7, e 10 bis.

96 Il silenzio assenso o, altrimenti denominato, autorizzazione tacita è una locuzione con la quale si intende la fattispecie di silenzio significativo nella quale il legislatore ricollega l’automatico accoglimento dell’istanza presentata dall’interessato all’inutile decorso del termine previsto dalla legge o dai regolamenti delle singole amministrazioni senza che l’amministrazione adotti un provvedimento espresso. La natura giuridica del silenzio assenso è da sempre controversa. Ci sono tre tesi al riguardo: la prima che è quella dell’atto amministrativo implicito mentre, invece, la seconda che è quella del fatto giuridico. Infine, c’è la terza tesi intermedia che qualifica il silenzio assenso come una valutazione legale tipica. La decorrenza del termine di trenta giorni dalla comunicazione dell’apertura di un esercizio commerciale implica “la formazione del silenzio assenso”, con conseguente immediata impugnabilità di quest’ultimo da parte del soggetto che si reputa leso dall’apertura dell’esercizio di vicinato. T.A.R. LOMBARDIA, MILANO, SEZ. IV, 17 MAGGIO 2006, n. 1216

97 Il meccanismo del silenzio assenso si caratterizza per limitare il potere attribuito all’amministrazione ad un certo arco temporale, trascorso il quale l’amministrazione medesima viene privata della titolarità del potere stesso, potendo soltanto agire in via di autotutela, annullando l’atto illegittimamente formatosi per effetto del silenzio-assenso: ne consegue la impossibilità di emettere de plano, una volta formatosi il silenzio assenso sulla domanda avanzata dall’interessato, un provvedimento di natura inibitoria, senza la previa adozione di un atto di annullamento in via di autotutela. Quest’ultima manifestazione di volontà, comunque espressa dall’amministrazione tardivamente, richiede la presenza dei presupposti tipici dell’esercizio del potere si autotutela sia sotto il profilo della evidenziazione dell’interesse attuale e concreto alla rimozione di un previo atto sia con riferimento all’illegittimità originaria rilevata dall’amministrazione in merito alla formazione – seppur per fictio iuris – dell’atto da rimuoversi. T.a.r. Toscana, sezione II, 22 ottobre 2004, n Osservo che ai sensi dell’art. 20 l. n. 241/1990, l’istituto giuridico ha assunto una portata generale, rappresentando un rimedio, a favore dei richiedenti, nei confronti dell’inerzia dell’Amministrazione tenuta a provvedere sull’istanza di un privato.

98 In ultima analisi, il silenzio assenso viene considerato come un “silenzio significativo” (SANDULLI), che assume valore legale tipico di un atto amministrativo. Infatti, esso equivale ad un provvedimento di accoglimento dell’istanza e si concretizza qualora la pubblica amministrazione non provveda entro i termini previsti per la conclusione del procedimento. Silenzio-diniego. Tale fattispecie si concretizza quando la legge conferisce all’inerzia della Pubblica Amministrazione il significato di un diniego di accoglimento dell’istanza o ricorso. Il silenzio diniego consiste in un’ipotesi di silenzio significativo che è opposto a quello del silenzio assenso, poiché l’inerzia dell’esercizio del potere amministrativo per il termine stabilito nelle ipotesi tassativamente delineate dalla legge equivarrebbe all’emanazione di un provvedimento implicito di rigetto. Ricorre il silenzio diniego in riferimento a quelle fattispecie alle quali la legge ricollega l’effetto di reiezione dell’istanza del privato al decorrere del termine senza che l’amministrazione abbia emesso alcun provvedimento (ad es. l’art. 36 d.P.R , n. 380, che prevede un’ipotesi di silenzio diniego se il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale non si pronunci con adeguata motivazione entro sessanta giorni sulla richiesta di permesso in sanatoria prevista nei casi stabiliti dalla medesima disposizione normativa).

99 Silenzio-rigetto. Tale istituto indica l’inerzia della P. A
Silenzio-rigetto. Tale istituto indica l’inerzia della P.A. che si protrae per un determinato periodo in riferimento ad istanze dei privati sulle quali viene tenuta a provvedere in ragione di un obbligo giuridico previsto dalla legge. In sintesi, il silenzio rigetto può definirsi come una decisione implicita di reiezione, un provvedimento implicito ad effetto sfavorevole. Il decorso del termine per la formazione del silenzio rigetto previsto dall’art. 6 d.P.R. 24 novembre 1971 n. 1199, ha effetti soltanto processuali, con la conseguenza che il ricorrente in sede gerarchica, anziché l’onere, ha la facoltà di agire immediatamente in sede giurisdizionale, restando integra la sua possibilità di impugnare il provvedimento originario unitamente alla eventuale decisione tardiva sul proposto ricorso gerarchico. Consiglio di Stato, sezione VI, 3 maggio 2002, n. 2351

100 Silenzio-devolutivo. Ricorre allorquando il silenzio di una Pubblica Amministrazione implica l’attribuzione della competenza ad un’altra autorità. La predetta forma è stata potenziata dalla Legge n. 241/1990 che, con l’art. 17, ha previsto, in via generale e salve eccezioni specifiche che, in caso di mancata tempestiva pronuncia da parte dell’organo chiamato a partecipare al procedimento per esprimere valutazioni di carattere tecnico, l’autorità procedente viene legittimata a rivolgersi ad un altro organo di pari competenza. In sostanza, l’istituto giuridico del silenzio va interpretato in continuità con la consolidata tradizione giurisprudenziale che lo ha configurato come uno strumento diretto a superare l’inerzia della Pubblica Amministrazione nell’emanazione di un provvedimento amministrativo nei confronti di una posizione di interesse legittimo i cui è titolare il cittadino.

101 IL DIRITTO DI ACCESSO AI DOCUMENTI AMMINISTRATIVI
Silenzio – inadempimento. Si riferisce alle ipotesi in cui la P.A., di fronte alla richiesta di un provvedimento da parte del privato, abbia omesso di provvedere entro i termini previsti dalla legge (o regolamento) e questa non contenga nessuna indicazione sul valore da attribuire al silenzio. Pertanto, ai sensi e per gli effetti dell’art. 2 L. n. 241/1990, modificato dalla Legge n. 80/2005, trascorso il termine fissato per la conclusione del procedimento il silenzio può dirsi formato. Scaduto il termine è possibile proporre un ricorso giurisdizionale al T.A.R. che viene deciso in camera di consiglio e con una sentenza succintamente motivata, entro trenta giorni. L’inadempimento dell’obbligo di pronunciarsi nel termine di legge è idoneo a dare luogo a conseguenze di ordine penale tanto che l’art. 328 codice penale punisce il pubblico ufficiale che entro 30 giorni dalla richiesta di chi vi abbia interesse non compie l’atto del suo ufficio e non risponde per esporre le ragioni del suo ritardo. IL DIRITTO DI ACCESSO AI DOCUMENTI AMMINISTRATIVI Il diritto di accesso è stato introdotto dalle leggi 8 giugno 1990, n. 142 (ordinamento delle autonomie locali) e ribadito dalla legge 7 agosto 1990, n. 241, così come dall’art. 10 del d.lgs.vo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo Unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali). Il diritto di accesso si esplica attraverso l’esame e l’estrazione di copie dei documenti amministrativi. L’esame cioè la consultazione gratuita, mentre, invece, il rilascio di copie viene subordinato soltanto al rimborso del costo di produzione, fatte salve le disposizioni in materia di bollo e i diritti di ricerca.

102 Osservo che il diritto di accesso costituisce una fondamentale articolazione del principio di trasparenza, ovvero di quel principio in forza del quale i cittadini devono essere posti nella condizione di poter esercitare un controllo, una verifica adeguata sull’azione amministrativa per verificarne l’efficienza, così come l’imparzialità ed il buon andamento. Il diritto di accesso è esercitabile da parte di tutti i soggetti privati, inclusi quelli che sono portatori di interessi pubblici o diffusi, che abbiano un interesse diretto, concreto e attuale corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento a cui si richiede di accedere. L’accesso si esercita con una richiesta motivata, indirizzata all’amministrazione che ha formato il documento e che lo detiene stabilmente, di esaminarlo o di estrarne copia.

103 Il diritto di accesso agli atti detenuti dalla Pubblica Amministrazione, con la relativa possibilità di prenderne visione ed estrarne copia ove non sussistano specifici impedimenti, è un risultato di notevole importanza per l’evoluzione in senso democratico del nostro ordinamento. Il predetto diritto è funzionalmente collegato con finalità di pubblico interesse e con l’imparzialità e la trasparenza dell’attività amministrativa. Secondo la modesta opinione dello scrivente il diritto di accesso è qualificabile come un diritto soggettivo e non come un interesse legittimo. Il contenzioso sul diritto di accesso viene attribuito dalla legge ai T.A.R. che decidono con procedimento speciale e abbreviato (v. L. cit. n. 205/2000), potendo anche ordinare alle Amministrazioni inadempienti “l’esibizione dei documenti richiesti” (art. 25, comma 5 e 6 co.). Il contenzioso sul diritto di accesso deriva dal rifiuto o dal differimento da parte delle Pubbliche Amministrazioni in riferimento alla richiesta del privato.

104 La richiesta dei documenti da parte dei privati cittadini deve essere motivata da un interesse specifico ed indirizzata all’amministrazione competete e cioè all’amministrazione che ha formato il documento o che lo detiene stabilmente. Il diritto di accesso ai documenti amministrativi rappresenta una specificazione ulteriore del principio di trasparenza. Il diritto di acceso, con la legge n. 15/2005 e la legge n. 80/2005, è stato elevato a principio generale dell’attività amministrativa e se ne è decretata l’ascrizione alla giurisdizione esclusiva del Giudice Amministrativo. In estrema sintesi, il legislatore ha voluto attribuire al predetto istituto un ruolo peculiare nell’ambito dell’ordinamento pubblico, elevandolo a strumento di contemperamento delle contrapposte esigenze di celerità dell’azione amministrativa e di garanzia degli interessi dei soggetti che sono titolari di situazioni giuridiche soggettive incise dall’agere pubblico.

105 Il diritto di accesso ai documenti amministrativi può essere differito
Il novellato art. 24, Legge n. 241/1990 prevede che l’accesso ai documenti amministrativi non possa essere negato ove sia sufficiente fare ricorso al potere di differimento. Il differimento si verifica qualora la conoscenza dei documenti possa impedire o gravemente ostacolare lo svolgimento dell’azione amministrativa. In tal senso le esigenze di efficienza e buon andamento prevalgono, sia pure temporaneamente, su quelle di trasparenza. La legge, inoltre, rinvia a specifici regolamenti governativi la competenza a stabilire ulteriori ipotesi di esclusione del diritto di accesso e ad individuare le modalità di esercizio del diritto in esame.

106 Art. 22 l. n. 241/1990 Accesso ai documenti amministrativi
(Definizioni e principi in materia di accesso) Ai fini del presente capo si intende: a) per “diritto di accesso”, il diritto degli interessati di prendere visione ed estrarre copia di documenti amministrativi; b) per “interessati”, tutti i soggetti privati, compresi quelli portatori di interessi pubblici o diffusi, che abbiano un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso; c) per “controinteressati”, tutti i soggetti, individuati o facilmente individuabili in base alla natura del documento richiesto, che dall’esercizio dell’accesso vedrebbero compromesso il loro diritto alla riservatezza; d) per “documento amministrativo”, ogni rappresentazione grafica, fotocinematografica, elettromagnetica o di qualunque altra specie del contenuto di atti, anche interni o non relativi ad uno specifico procedimento, detenuti da una pubblica amministrazione e concernenti attività di pubblico interesse , indipendentemente dalla natura pubblicistica o privatistica della loro disciplina sostanziale; e) per “pubblica amministrazione”, tutti i soggetti di diritto pubblico e i soggetti di diritto privato limitatamente alla loro attività di pubblico interesse disciplinata dal diritto nazionale o comunitario.

107 2. L’accesso ai documenti amministrativi, attese le sue rilevanti finalità di pubblico interesse, costituisce principio generale dell’attività amministrativa al fine di favorire la partecipazione e di assicurarne l’imparzialità e la trasparenza. 3. Tutti i documenti amministrativi sono accessibili, ad eccezione di quelli indicati all’articolo 24, commi 1, 2, 3, 5 e Non sono accessibili le informazioni in possesso di una pubblica amministrazione che non abbiano forma di documento amministrativo, salvo quanto previsto dal decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, in materia di accesso di dati personali da aparte della persona cui i dati si riferiscono. 5. L’acquisizione di documenti amministrativi da parte di soggetti pubblici, ove non rientrante nella previsione dell’articolo 43, comma 2, del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, si informa al principio di leale cooperazione istituzionale. 6. Il diritto di accesso è esercitabile fino a quando la pubblica amministrazione ha l’obbligo di detenere i documenti amministrativi ai quali si chiede di accedere. Articolo così modificato dalla Legge 11 febbraio 2005, n. 15

108 Articolo 23 (Ambito di applicazione del diritto di accesso)
Il diritto di accesso di cui all’articolo 22 si esercita nei confronti delle pubbliche amministrazioni, delle aziende autonome e speciali, degli enti pubblici e dei gestori di pubblici servizi. Il diritto di accesso nei confronti delle Autorità di garanzia e di vigilanza si esercita nell’ambito dei rispettivi ordinamenti, secondo quanto previsto dall’articolo 24. Rubrica aggiunta dalla Legge 11 febbraio 2005, n. 15 Il diritto di accesso va riconosciuto anche nei confronti della s.p.a. Ferrovie dello Stato perché, da un lato, nonostante la veste formalmente privatistica, tale società dev’essere considerata concessionaria ex lege della gestione del servizio di trasporto ferroviario, e, dall’altro, l’attività relativa alla tutela della sicurezza dei viaggiatori non può essere qualificata in termini puramente privatistici. Consiglio di Stato, sezione VI, sentenza 16 dicembre 1998, n. 1683

109 Ai sensi dell’art. 23 legge 7 agosto 1990 n
Ai sensi dell’art. 23 legge 7 agosto 1990 n. 241, il diritto di accesso è esercitabile anche nei confronti del soggetto privato gestore di pubblico servizio (nel caso di specie, gestore di aeroporto). L’istanza proposta dal titolare di licenza di taxi rivolta a conoscere la regolarità degli appalti in materia di trasporto di persone da e per l’aeroporto è sostenuta da interesse degno di apprezzamento. T.A.R. Lombardia, Brescia, 13 aprile 2005, n. 317 Gli art. 22 comma 1 lett. c) e 23, l. n. 241 del 1990 tolgono ogni dubbio sulla legittimazione passiva all’accesso, oltre che dei soggetti pubblici, anche dei soggetti privati che abbiano in gestione l’attività di erogazione di servizi pubblici ed in generale di tutti i soggetti di diritto privato che svolgano attività di pubblico interesse. Consiglio di Stato, sezione VI, sentenza 23 ottobre 2007, n Anche dopo la trasformazione in società per azioni, le Poste italiane debbono considerarsi concessionarie ex lege di un pubblico servizio e svolgenti funzioni che si configurano oggettivamente come munus pubblico, con conseguente caratura amministrativa dell’attività e valenza provvedimentale degli atti emanati, se a carattere autoorganizzatorio o attinenti a procedure di gara; pertanto la società Poste italiane, non è sottratta al diritto di accesso di cui all’art. 23 legge 7 agosto 1990 n T.a.r. Lazio, sez. II, 22 luglio 1998, n. 1201

110 Articolo 24 (Esclusione dal diritto di accesso)
Il diritto di accesso è escluso: per i documenti coperti da segreto di Stato ai sensi della legge 24 ottobre 1977, n. 801, e successive modificazioni, e nei casi di segreto o di divieto di divulgazione espressamente previsti dalla legge, dal regolamento governativo di cui al comma 6 e dalla pubbliche amministrazioni ai sensi del comma 2 del presente articolo; nei procedimenti tributari, per i quali restano ferme le particolari norme che li regolano; nei confronti dell’attività della pubblica amministrazione diretta all’emanazione di atti normativi, amministrativi generali, di pianificazione e di programmazione, per i quali restano ferme le particolari norme che ne regolano la formazione; nei procedimenti selettivi, nei confronti dei documenti amministrativi contenenti informazioni di carattere psico-attitudinale relativi a terzi. 2. Le singole pubbliche amministrazioni individuano le categorie di documenti da esse formati o comunque rientranti nella loro disponibilità sottratti all’accesso ai sensi del comma 1. 3. Non sono ammissibili istanze di accesso preordinate ad un controllo generalizzato dell’operato delle pubbliche amministrazioni.

111 4. L’accesso ai documenti amministrativi non può essere negato ove sia sufficiente fare ricorso al potere di differimento. 5. I documenti contenenti informazioni connesse agli interessi di cui al comma 1 sono considerati segreti solo nell’ambito e nei limiti di tale connessione. A tale fine le pubbliche amministrazioni fissano, per ogni categoria di documenti, anche l’eventuale periodo di tempo per il quale essi sono sottratti all’accesso. 6. Con regolamento, adottato ai sensi dell’articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, il Governo può prevedere casi di sottrazione all’accesso di documenti amministrativi: quando, al di fuori delle ipotesi disciplinate dall’articolo 12 della legge 24 ottobre 1977, n. 801, dalla loro divulgazione possa derivare una lesione, specifica e individuata, alla sicurezza e alla difesa nazionale, all’esercizio della sovranità nazionale e alla continuità e alla correttezza delle relazioni internazionali, con particolare riferimento alle ipotesi previste dai trattati e dalle relative leggi di attuazione; quando l’accesso possa arrecare pregiudizio ai processi di formazione, di determinazione e di attuazione della politica monetaria e valutaria; quando i documenti riguardino le strutture, i mezzi, le dotazioni, il personale e le azioni strettamente strumentali alla tutela dell’ordine pubblico, alla prevenzione e alla repressione della criminalità con particolare riferimento alle tecniche investigative, alla identità delle fonti di informazione e alla sicurezza dei beni e delle persone coinvolte,

112 all’attività di polizia giudiziaria e di conduzione delle indagini;
d) quando i documenti riguardino la vita privata o la riservatezza di persone fisiche, persone giuridiche, gruppi, imprese e associazioni, con particolare riferimento agli interessi epistolare, sanitario, professionale, finanziario, industriale e commerciale di cui siano in concreto titolari, ancorché i relativi dati siano forniti all’amministrazione dagli stessi soggetti cui si riferiscono; e) quando i documenti riguardino l’attività in corso di contrattazione collettiva nazionale di lavoro e gli atti interni connessi all’espletamento del relativo mandato. Deve comunque essere garantito ai richiedenti l’accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici. Nel caso di documenti contenenti dati sensibili e giudiziari, l’accesso è consentito nei limiti in cui sia strettamente indispensabile e neitermini previsti dall’articolo 60 del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, in caso di dati idonei a riveare lo stato di salute e la vita sessuale. Articolo così modificato dalla Legge 11 febbraio 2005, n. 15 Ai sensi dell’art. 22 legge 7 agosto 1990 n. 241, il diritto di accesso consiste nel diritto ad essere informati degli atti e dei procedimenti che possono incidere sulla sfera giuridica del soggetto, al fine di consentirgli le dovute difese; pertanto, il diritto di accesso si configura come autonomo bene della vita, ma esso può essere esercitato solo quando sussiste un’esigenza concreta ed attuale dell’interessato alla tutela delle situazioni giuridicamente rilevanti. Consiglio di Stato, sezione V, sentenza 7 settembre 2004, n. 5873

113 Affinché possa configurarsi una posizione legittimante all’accesso è necessario, come si evince dalla piana lettura del citato art. 22, l. 7 agosto 1990 n. 241, che l’interessato esterni le ragioni per le quali intende accedere, così da poter percepire lo scopo cui è preordinato il diritto di accesso. T.a.r. Lazio, Latina, sentenza 12 maggio 2003, n. 509 Tra i casi di esclusione del diritto di accesso deve essere annoverato anche quello previsto dall’art. 329 c.p.p. a tenore del quale “gli atti di indagine compiuti dal P.M. e dalla Polizia Giudiziaria sono coperti dal segreto fino a quando l’imputato non ne possa avere conoscenza e comunque non oltre la chiusura delle indagini preliminari”. T.a.r. Lazio, Roma, sezione II, sentenza 6 novembre 2006, n Il diritto di accesso ai documenti previsto dall’art. 22 l. 7 agosto 1990 n. 241, non attribuisce indistintamente a tutti i privati il potere di esercitare un controllo generalizzato sull’operato della p.a., occorrendo piuttosto, in capo al soggetto che richiede l’accesso, la sussistenza di un interesse giuridicamente rilevante quale, ad esempio, l’esigenza di acquisire la conoscenza di atti e documenti causalmente rilevanti ai fini dell’adozione delle definitive determinazioni da parte dell’autorità procedente. T.a.r. Sardegna, sentenza 19 marzo 2003, n. 320

114 Il diritto di accesso con riferimento agli atti degli enti locali
Per accedere agli atti amministrativi degli enti locali, nella specie pratiche edilizie, è necessario vantare un interesse personale e concreto posto a tutela di situazioni giuridicamente rilevanti, dal momento che la disciplina di cui all’art. 10 d.lgs. n. 267/2000 deve essere integrata con quella a contenuto generale di cui all’art. 22 l. n. 241/1990, il che è confermato dall’art. 5 d.P.R. n. 380/2001, in materia di sportello unico dell’edilizia, che rinvia espressamente all’art. 22 l. n. 241/1990. T.a.r. Lombardia, Milano, sezione II, sentenza 27 agosto 2004, n Il diritto del consigliere comunale all’accesso agli atti la cui conoscenza è utile per lo svolgimento del suo mandato, pur essendo più ampio di quello riconosciuto alla generalità dei cittadini ai sensi degli artt. 22 ss., l. 7 agosto 1990 n. 241, non solo non può essere emulativo ma neppure incondizionato e comunque fondato su richieste generiche e indiscriminate, ma soggiace alle limitazioni derivanti dalla molteplicità dei servizi che il Comune deve assicurare agli amministrati e dal rispetto degli impegni di contenimento delle spese generali di gestione dell’ente.Consiglio di Stato, sezione V, 28 dicembre 2007, n. 6742

115 L’AUTOTUTELA In via preliminare, si osserva che alla P.a. viene attribuita la prerogativa dell’autotutela, la quale abilita ciascun ente a farsi ragione unilateralmente con i mezzi amministrativi a propria disposizione, naturalmente nel rispetto delle norme e salvo il controllo giurisdizionale della sua attività. Il predetto istituto giuridico si ispira in via immediata ai canoni di buon andamento ed imparzialità – espressi all’art. 97 della Carta Costituzionale. Pertanto, l’autotutela costituisce un principio generale dell’ordinamento giuridico e rappresenta una delle manifestazioni tipiche del potere amministrativo. (Consiglio di Stato, sezione VI, sentenza 5 giugno 2003, n. 3124) Nell’ambito dell’autotutela si distinguono l’autotutela esecutiva e l’autotutela decisoria. L’autotutela esecutiva ha un carattere tassativo e consiste nel potere di coercizione diretta che spetta all’amministrazione rispetto ai provvedimenti impositivi di obblighi rimasti inottemperati, indipendentemente da una preventiva decisione giurisdizionale sulla fondatezza della sua pretesa. L’autotutela decisoria, invece, ha portata generale – poiché viene consentita anche nei casi in cui la legge non la prevede espressamente (Consiglio di Stato, sezione VI, sentenza 25 marzo 2004, n. 1613) – e si esprime nel potere dell’amministrazione

116 di riesaminare la propria precedente attività, ed eventualmente di correggerla con:
La rimozione di provvedimenti ritenuti illegittimi o inopportuni, i quali vengono caducati e posti nel nulla con atti di ritiro; La conservazione degli effetti dei provvedimenti viziati, attraverso degli atti di convalescenza. L’autotutela consiste nella possibilità che l’amministrazione possiede di “farsi ragione da sé” per le vie amministrative. Più in particolare, l’autotutela è la possibilità che viene riconosciuta dall’ordinamento giuridico all’amministrazione di rimuovere essa stessa tutti gli ostacoli che si collocano tra il provvedimento ed il risultato cui essa mira, ossia la realizzazione dell’interesse pubblico concreto. In sintesi, l’autotutela è il potere-dovere in capo alla P.A. di farsi giustizia da sé e di procedere, unilateralmente e d’ufficio, alla caducazione dei propri atti che sono ritenuti ab origine illegittimi e/o inopportuni. In ultima analisi, si osserva che l’autotutela si attua con la cd. attività amministrativa di secondo grado, poiché interviene su atti già emanati ed incidendo su di essi e sui loro effetti.

117 ESEMPIO DI UN ATTO EMANATO IN AUTOTUTELA
IL COMANDANTE – DIRIGENTE VISTO il ricorso R.G. n………/08 presentato dal Sig………..al Giudice di Pace di…………, in opposizione al verbale di contestazione n……………..del 30/11/2007, elevato dagli Agenti…………della Polizia Municipale di……………..; ESAMINATI gli atti relativi ai rilievi foto-planimetrici delle posizioni assunte dopo l’urto dai veicoli coinvolti nel sinistro stradale, dai quali in particolare emerge che la posizione dell’autovettura antagonista e le ruote anteriori sterzate verso sinistra, sono compatibili con la manovra di inversione del senso di marcia; CONSIDERATO che gli elementi di cui sopra non possono far ritenere compiutamente accertata la violazione contestata; PRESO ATTO delle motivazioni in opposizione, che meritano di essere ritenute fondate; VISTE le norme sull’autotutela e la giurisprudenza di legittimità che, supportata da costante indirizzo del Consiglio di Stato e dei Tribunali amministrativi, ha confermato il principio secondo il quale, anche quando sia stata proposta l’opposizione e sino alla pronuncia della sentenza, la pubblica amministrazione conserva “la facoltà di agire in autotutela con la revoca o l’annullamento dell’atto opposto, perdurando il dovere per l’amministrazione convenuta di valutare la rispondenza al

118 pubblico interesse e l’attualità del provvedimento emesso (ex multis Cassazione civile sentenza n. 828/1994 e n. 2140/1997). RITENUTO altresì che vi sia un interesse concreto e attuale per la Pubblica Amministrazione nel ritiro del verbale n…………….del 30/11/2007, per evitare ulteriori aggravi economici; ORDINA l’annullamento del verbale di contestazione n………….del 30/11/2007. Il presente provvedimento viene trasmesso all’ufficio contravvenzioni di questo comando ed al Giudice d Pace fax n……….competente per i relativi provvedimenti, nonché agli Avv.Ti…………….del Foro di …………….fax n….. Luogo e data IL COMANDANTE – DIRIGENTE firma

119 Il RAPPORTO DI LAVORO DEGLI AGENTI ED UFFICIALI DELLA POLIZIA MUNICIPALE
Il rapporto di lavoro degli agenti ed ufficiali della polizia municipale (locale) ha assunto nell’attuale assetto normativo una natura sempre più privatistica e, di conseguenza, viene sottoposto alla stessa disciplina di qualunque altro rapporto di lavoro dipendente. Inoltre, il rapporto di lavoro dell’agente e dell’ufficiale di polizia locale si costituisce attraverso la stipula di un contratto individuale di lavoro dal quale scaturiscono, per entrambe le parti contrattuali, dei diritti e degli obblighi reciproci. Ai sensi e per gli effetti dell’art codice civile: “Il contratto è l’accordo di due o più parti per costituire, regolare o estinguere tra loro un rapporto iuridico patrimoniale”. Le caratteristiche principali del rapporto di lavoro degli agenti ed ufficiali della polizia municipale sono la volontarietà, la bilateralità, la subordinazione gerarchica e la personalità. Quest’ultima caratteristica implica che il lavoratore viene tenuto a svolgere la propria attività alle dipendenze e sotto la direzione del datore di lavoro.

120 Più in particolare, l’agente di polizia locale deve svolgere con diligenza, fedeltà ed imparzialità la propria attività lavorativa mentre, invece, il datore di lavoro (l’ente pubblico territoriale ossia il Comune) deve corrispondere al lavoratore la retribuzione e deve rispettare tutte le altre statuizioni contrattuali. In ultima analisi, si deve osservare che la privatizzazione del rapporto di lavoro per i dipendenti della polizia municipale ha condotto all’affermazione della giudice ordinario per il pubblico impiego privatizzato. Decreto Legislativo 30 marzo 2001, n. 165 – Titolo VI Giurisdizione – art. 63 Controversie relative ai rapporti di lavoro 1. Sono devolute al giudice ordinario, in funzione di giudice del lavoro, tutte le controversie relative ai rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni di cui all’art. 1, comma 2, ad eccezione di quelle relative ai rapporti di lavoro di cui al comma 4, incluse le controversie concernenti l‘assunzione al lavoro, il conferimento e la revoca degli incarichi dirigenziali e la responsabilità dirigenziale, nonché quelle concernenti le indennità di fine rapporto, comunque denominate e corrisposte, ancorché vengano in questione atti presupposti. (..omissis…)

121 Invece, restano ancora sottoposte alla giurisdizione del giudice amministrativo le seguenti categorie professionali, di cui al comma 3, comma 1, del D.Lgs. N. 165/2001: “i magistrati ordinari, amministrativi e contabili, gli avvocati dello Stato, il personale militare e delle Forze di polizia di Stato, il personale della carriera diplomatica e della carriera prefettizia, nonché i dipendenti degli enti che svolgono la loro attività nelle materie contemplate dall’art. 1 del d.lgs. C.p.S. 17 luglio 1947, n. 691, e dalle leggi 4 giugno 1985, n. 281, e successive modificazioni ed integrazioni, e 10 ottobre 1990 n. 287”. LA RESPONSABILITA’ AMMINISTRATIVA DELL’AGENTE DELLA POLIZIA MUNICIPALE Per responsabilità amministrativa si intende la responsabilità in cui incorre il soggetto-persona fisica che ha nei confronti di un ente pubblico un rapporto di appartenenza, latu sensu intesa. In questo contesto si inserisce la responsabilità dell’agente della polizia municipale che, in violazione dei doveri derivanti dal rapporto contrattuale di lavoro, abbia cagionato una danno all’amministrazione. In particolare, la responsabilità amministrativa dell’agente della polizia municipale sussiste nei seguenti casi: Quando l’impiegato, nell’esercizio della funzione amministrativa, abbia arrecato un danno a terzi e questo sia stato risarcito dall’amministrazione (art. 22 testo unico impiegati civili dello Stato n. 3/1957);

122 2) Quando l’impiegato abbia cagionato un danno patrimoniale all’amministrazione, senza che sul piano civile siano derivate conseguenze per i terzi. In conclusione, la responsabilità dell’agente di polizia municipale nei confronti dell’amministrazione di appartenenza viene sancita anche dall’art. 18 del testo unico sugli impiegati civili dello Stato (d.P.R. n. 3/1957) ai sensi e per gli effetti del quale “l’impiegato delle amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, è tenuto a risarcire alle amministrazioni stesse i danni derivanti da violazioni di obblighi di servizio”. L’agente di polizia municipale è tenuto a risarcire l’amministrazione anche quando abbia agito per delega di un superiore gerarchico, ma non in caso di ordine che era obbligato ad eseguire da parte di quest’ultimo. La giurisdizione appartiene alla Corte dei Conti ex art. 19 del testo unico n 3/1957. A volte, l’illecito amministrativo può integrare anche un illecito penale. Tuttavia, i due procedimenti rimangono autonomi, sì che la proposizione del giudizio penale non sospende quello amministrativo. Tuttavia, la prescrizione dell’illecito amministrativo (col decorso del termine di cinque anni) non implica la prescrizione dell’illecito penale.

123 Il danno erariale cagionato dal dipendente di un’amministrazione pubblica nell’esercizio delle sue specifiche funzioni è il danno al patrimonio dell’amministrazione. Si tratta di un danno che viene connesso alla violazione di norme di tutela dell’interesse “ad utilità non suscettibili di godimento ripartito e, quindi, che sono riferibili a tutti i membri indifferenziati della collettività”. Art. 28 Carta Costituzionale I funzionari e i dipendenti dello Stato e degli enti pubblici sono direttamente responsabili, secondo le leggi penali, civili e amministrative, degli atti compiuti in violazione di diritti. In tali casi la responsabilità civile si estende allo Stato e agli enti pubblici. La responsabilità disciplinare dell’agente di polizia municipale In via preliminare, si deve rilevare che la responsabilità disciplinare è una particolare forma della responsabilità amministrativa che nasce dalla violazione delle regole attinenti al rapporto di pubblico impiego. Il rapporto di pubblico impiego viene oggi assimilato a quello del dipendente di diritto comune i cui obblighi si ispirano ai principi di efficienza, efficacia, economicità e produttività.

124 La responsabilità disciplinare, che sorge dalla violazione dei predetti obblighi, viene disciplinata dall’art. 55 Testo Unico sul pubblico impiego (D.Lgs.vo n. 165/2001). Inoltre, l’art. 54 D.lgs.vo n. 165/2001 impone all’amministrazione di adottare un codice di comportamento che contiene i doveri da rispettare, in modo da realizzare la tpicità dell’illecito disciplinare. Infine, è proprio l’art. 55 d.lgs.vo n. 165/2001 che delinea l’apposito procedimento che deve precedere l’irrogazione di una sanzione disciplinare. In conclusione, si deve osservare che la materia della responsabilità disciplinare è stata ormai del tutto sottoposta a regole e principi di stampo privatistico, tanto che le sanzioni irrogate hanno una natura privata. Decreto Legislativo 30 marzo 2001, n. 165 – Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche. Art. 55 Sanzioni disciplinari e responsabilità 1. Per i dipendenti di cui all’art. 2, comma 2, resta ferma la disciplina attualmente vigente in materia di responsabilità civile, amministrativa, penale e contabile per i dipendenti delle amministrazioni pubbliche.

125 2. Ai dipendenti di cui all’art. 2, comma 2, si applicano l’art
2. Ai dipendenti di cui all’art. 2, comma 2, si applicano l’art codice civile e l’art. 7, commi primo, quinto e ottavo, della legge 20 maggio 1970, n Salvo quanto previsto dagli artt. 21 e 53, commi 1, e ferma restando la definizione dei doveri del dipendente ad opera dei codici di comportamento di cui all’art. 54, la tipologia delle infrazioni e delle relative sanzioni è definita dai contratti collettivi. 4. Ciascuna amministrazione, secondo il proprio ordinamento, individua l’ufficio competente per i procedimenti disciplinari. Tale ufficio, su segnalazione del capo della struttura in cui il dipendente lavora, contesta l’addebito al dipendente medesimo, istruisce il procedimento disciplinare e pplica la sanzione. Quando le sanzioni da applicare siano rimprovero verbale e censura, il capo della struttura in cui il dipendente lavora provvede direttamente. 5. Ogni provvedimento disciplinare, ad eccezione del rimprovero verbale, deve essere adottato previa tempestiva contestazione scritta dell’addebito al dipendente, che viene sentito a sua difesa con l’eventuale assistenza di un procuratore ovvero di un rappresentante dell’associazione sindacale cui aderisce o conferisce mandato. Trascorsi inutilmente quindici giorni dalla convocazione per la difesa del dipendente, la sanzione viene applicata nei successivi quindici giorni. 6. Con il consenso del dipendente la sanzione applicabile può essere ridotta, ma in tal caso non è più suscettibile di impugnazione.

126 7. Ove i contratti collettivi non prevedano procedure di conciliazione, entro venti giorni dall’applicazione della sanzione, il dipendente, anche per mezzo di un procuratore o dell’associazione sindacale cui aderisce o conferisce mandato, può impugnarla dinanzi al collegio arbitrale di disciplina dell’amministrazione in cui lavora. Il collegio emette la sua decisione entro novanta giorni dall’impugnazione e l’amministrazione vi si confronta. Durante tale periodo la sanzione viene sospesa. 8. Il collegio arbitrale si compone di due rappresentanti dell’amministrazione e di due rappresentanti dei dipendenti ed è presieduto da un esterno all’amministrazione, di provata esperienza e indipendenza. (……omissis……).

127 LE AUTORITA’ AMMINISTRATIVE INDIPENDENTI
Le autorità amministrative indipendenti sono delle amministrazioni pubbliche che presentano dei profili oggettivi ed soggettivi di peculiarità rispetto alla classiche P.A. Secondo l’illustre giurista amministrativista Francesco Caringella le autorità amministrative indipendenti possono essere definite come dei corpi amministrativi che sono dotati di specifiche competenze tecniche e, pertanto, create dal legislatore per la cura di settori sensibili e teleologicamente orientati. Inoltre, le autorità devono neutralizzare la gestione politica della vita economica e recuperare un’azione realmente imparziale e tecnicamente adeguata per la tutela dei diritti individuali. La prima autorità amministrativa indipendente ad essere introdotta all’interno del nostro ordinamento giuridico è stata la CONSOB nel 1974 e, poi, riformata nel La CONSOB è dotata di personalità giuridica ed è votata alla regolamentazione ed alla vigilanza sul mercato dei valori mobiliari. Più in particolare, la CONSOB esercita dei poteri di indagine e di ispezione nei confronti del mercato dei valori mobiliari. Invece, a presidio del settore assicurativo si pone l’ISVAP (Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni private) che viene chiamata a vigilare sul corretto andamento del predetto mercato. Un’altra autorità amministrativa indipendente è l’Antitrust che è nata nel 1990 con la legge n La predetta autorità garantisce le libertà concorrenziali e l’ottimale esplicarsi del mercato mediante degli specifici poteri di indagine e di denunzia.

128 Infine, le altre Autorità amministrative indipendenti sono quella del Garante per la tutela dei dati personali, quella dell’Autorità sulla vigilanza dei lavori pubblici, l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (Legge n. 481/1995 e Legge n. 249/1997) e l’Autorità per l’energia elettrica ed il gas (Legge n. 481/1995). In conclusione, si osserva che le Autorità Amministrative indipendenti hanno la finalità di sottrarre alla gestione ministeriale alcuni determinati settori dell’amministrazione e di attribuirli alla gestione di organismi indipendenti da qualsiasi interferenza e collegamento con l’apparato ministeriale. L’indipendenza delle Autorità, pertanto, si caratterizza mediante l’autonomia organizzativa, finanziaria e contabile, così come per l’assenza di controlli da parte del potere esecutivo. I provvedimenti delle cd. Authority sono degli atti amministrativi a tutti gli effetti e sono impugnabili innanzi al giudice amministrativo in base al rito accelerato di cui all’art. 23 bis della Legge n. 1034/1971.


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