A cura di: Arianna Caporusso, Chiara Crescenzi, Chiara Nobili J. Piaget, Epistemologia genetica Cap. II “Le condizioni organiche preliminari (biogenesi delle conoscenze)” A cura di: Arianna Caporusso, Chiara Crescenzi, Chiara Nobili
Il problema epistemologico viene qui posto in termini biologici, in quanto per comprendere la psicogenesi bisogna risalire alle sue radici organiche. Le interpretazioni possibili sono tre: L’accordo tra lo sviluppo delle operazioni logico-matematiche e quello dell’esperienza e delle causalità fisiche proviene dalle informazioni fornite dall’ambiente reale. Questa convergenza è dovuta ad un’origine ereditaria comune: bisogna trovare un compromesso tra l’apriorismo e la genetica biologica. Le conoscenze logico-matematiche sono legate a meccanismi biologici, ma derivano da autoregolazioni più generali delle trasmissioni ereditarie.
La prima delle tre soluzioni precedenti presenta un significato biologico evidente. Spesso gli psicologi ed epistemologi non si curano delle incidenze biologiche comportate dalle loro posizioni: essi ammettono che la conoscenza, essendo “fenotipica” (cioè legata allo sviluppo somatico dell’individuo) non deriva da meccanismi biogenetici, che farebbero riferimento solo al genoma e alle trasmissioni ereditarie. Ma oggi sappiamo che questo postulato non ha nulla di assoluto, per due motivi: Il fenotipo è il prodotto di un’interazione continua tra l’attività del genoma e le influenze esterne. Per ogni influenza ambientale, si può determinare la sua “norma di reazione”, che ci fornisce le variazioni individuali possibili.
Perciò quest’idea che la conoscenza sia data solo dall’esperienza, è stata abbandonata da molto tempo in campo biologico, in quanto tralasciava un elemento essenziale per comprendere le relazioni tra organismo e ambiente: ovvero, la dottrina lamarckiana della variazione e dell’evoluzione. Lamarck vide nelle abitudini ambientali il fattore esplicativo fondamentale delle variazioni morfogenetiche dell’organismo e della formazione degli organi. Secondo lui, l’essenziale delle acquisizioni dipendeva dal modo in cui gli esseri viventi ricevevano, modificando le proprie abitudini, le impronte dall’ambiente esterno. Queste tesi non erano certo sbagliate, ma ciò che mancava essenzialmente a Lamarck erano le nozioni di un potere endogeno di mutazione e ricombinazione e soprattutto di un potere attivo di autoregolazione.
Ne risulta che, quando ci viene presentato il fenotipo come risposta del genoma alle sollecitazioni ambientali, non significa che l’organismo abbia soltanto subìto l’impronta di un’azione esterna, ma che via sia stata un’interazione: cioè che in seguito ad uno squilibrio dato da un cambiamento nell’ambiente, l’organismo ha inventato una nuova soluzione che sfocia in un nuovo equilibrio.
Il behaviourismo, con il suo famoso schema stimolo-risposta (SR) ha conservato uno spirito strettamente lamarckiano, ignorando la rivoluzione biologica contemporanea. Dunque, le nozioni di stimolo–risposta vanno riorganizzate in questo senso: La questione preliminare affinché uno stimolo susciti una certa risposta, è che il soggetto e il suo organismo siano capaci di fornirla. Tale capacità viene detta da Waddington “competenza”. All’inizio non c’è lo stimolo, ma la sensibilità allo stimolo, che dipende dalla capacità di dare una risposta. Dunque lo schema non è SR, ma S ↔R. Questa modificazione dello schema, solleva il problema centrale dello sviluppo cognitivo.
Nella prospettiva lamarckiana la risposta è una semplice replica allo stimolo: perciò l’acquisizione consisterebbe nell’apprendimento come registrazione dei dati esteriori. Invece, se la questione preliminare è la capacità di fornire risposte, ne risulterebbe che l’apprendimento dipenderebbe essenzialmente dall’evoluzione delle competenze.
Secondo molti, il rovesciamento dell’empirismo lamarckiano conduce necessariamente all’innatismo; in realtà, tra i due, possono sussistere interpretazioni basate sull’interazione. Lorenz generalizza l’innatismo delle strutture conoscitive, secondo uno stile kantiano: le categorie del sapere sarebbero biologicamente preformate come condizioni preliminari a qualunque esperienza. Per esempio, le pinne nei pesci si sviluppano per una programmazione ereditaria, molto prima che ne possano fare uso. Lorenz riduce queste condizioni preliminari a ipotesi innate di lavoro: perciò questa interpretazione è in opposizione completa con quella per cui le strutture diventano necessarie con il loro sviluppo, e non comportano programmazioni preliminari.
Attualmente il fenotipo viene presentato come il prodotto di un’interazione indissociabile tra fattori ereditari e influenza dell’ambiente. Perciò, è impossibile tracciare un limite tra ciò che è innato e ciò che è acquisito.
Se il ruolo delle trasmissioni ereditarie è così limitato nello sviluppo delle funzioni conoscitive, bisogna mettere da parte gli istinti, i quali comportano una programmazione ereditaria. Il passaggio da istinti a intelligenza viene anche detto “processo di esplosione degli istinti”. Lamarck vede gli istinti come un’intelligenza che si sarebbe stabilizzata ereditariamente. Altri autori, invece hanno insistito sulle opposizioni di natura tra gli istinti e l’intelligenza: i primi avrebbero un carattere rigido, cieco e infallibile; la seconda sarebbe intenzionalmente cosciente, duttile e fallibile.
In ogni condotta istintiva bisogna distinguere tre piani gerarchizzati: Quello delle coordinazioni generali; Quello della programmazione ereditaria del contenuto delle condotte istintive (è l’unico stadio che scompare o si attenua nel passaggio dall’istinto all’intelligenza); Quello degli adattamenti individuali alle varie circostanze, i quali si orientano verso un accomodamento all’ambiente o all’esperienza. L’esplosione dell’istinto produce due movimenti correlativi: L’uno d’interiorizzazione (nel senso logico-matematico); L’altro di esteriorizzazione (nel senso degli apprendimenti e delle condotte orientate all’esperienza).
Finchè i problemi di variazione e di evoluzione non avranno trovato adeguate soluzioni ad opera della biologia, ci troviamo ancora in piena crisi: Lamarck credeva all’eredità dell’acquisito e vedeva nell’azione dell’ambiente l’origine dei caratteri innati. Secondo il neodarvinismo, le variazioni ereditarie si producono senza alcuna relazione con l’ambiente, il quale faceva solo una selezione delle cose più favorevoli alla sopravvivenza. Tuttavia, questo modello appare sempre più insufficiente e tende ad essere sostituito da modelli circolari. Esisterebbe dunque un insieme di circuiti tra le variazioni interne e l’ambiente: ciò permette a Waddington di parlare di “eredità dell’acquisito”.
Le radici biologiche delle strutture cognitive non si devono ricercare né nell’azione esclusiva dell’ambiente, né in quella di una preformazione innata, ma in quella delle autoregolazioni, che funzionano mediante dei circuiti e tendono intrinsecamente all’equilibrio. Due ragioni che giustificano questa soluzione: L’autoregolazione consiste in un funzionamento costitutivo di strutture, e non di strutture già fatte. Le regolazioni organiche ci forniscono l’immagine di ricostruzioni indefinite: dunque, esse costituiscono una sorta di prefigurazione di ciò che osserviamo sul piano del comportamento. I sistemi di regolazione si trovano a tutti gli stadi del funzionamento dell’organismo e derivano dall’organizzazione vitale. Quindi, l’autoregolazione è uno dei caratteri più universali della vita e il meccanismo più generale comune alle reazioni organiche e cognitive.
Resta il problema della relazione tra il soggetto e gli oggetti, così come quello dell’accordo tra le operazioni logico-matematiche e l’esperienza della causalità fisica. E’ all’interno stesso dell’organismo, e non solo attraverso le esperienze esterne, che si costituisce il collegamento tra le strutture del soggetto e quelle della realtà materiale.