Correlazioni tra i disturbi di personalità e teoria dell’attaccamento
Ricerche su attaccamento e disturbi di personalità Le ricerche in campo psicologico ipotizzano che la genesi dei disturbi di personalità sia in gran parte dovuta alla relazione che ognuno di noi ha avuto con i genitori durante l’infanzia e l’adolescenza. Tale relazione, indipendentemente dalla volontà del genitore di produrre disagio o difficoltà nel figlio, può produrre forme di attaccamento insicuro e disturbato che in una età successiva contribuiscono a generare pattern insicuri. Gli studi recenti in campo neurobiologico e psicologico sono concordi nell’evidenziare : gli effetti dell’ attaccamento sulla struttura cerebrale e sul suo funzionamento. L’influenza della relazione di attaccamento sulla genesi dei disturbi di personalità e di modalità maltrattanti e violente La possibilità che un successivo ambiente accudente e terapeutico moduli e ripari gli effetti negativi delle relazioni di attaccamento primarie. il substrato neuro-psicologico specifico nel cervello relativo al legame di attaccamento
I diversi stili di attaccamento Le ricerche della psicologia sperimentale, svolte su migliaia di soggetti appartenenti a differenti culture, hanno evidenziato chiaramente come i modelli di attaccamento che si producono nei primi anni di vita del bambino sono determinanti per definire il modo in cui l’individuo definisce l’immagine di sé e le relazioni sociali. I diversi stili di attaccamento che si producono nel primo anno di vita dipendono dalla risposta del genitore alla richiesta di attaccamento del bambino assai più che da variabili genetiche, di temperamento o costituzionali. Si ipotizza che lo stato mentale di un individuo rispetto ai legami e alle relazioni importanti, il modo di vivere le emozioni connesse (timore e rabbia alla separazione, tristezza per la perdita, gioia per il ricongiungimento dopo una separazione, desiderio di conforto e di aiuto, sicurezza ottenuta attraverso gli affetti ) derivi da una sintesi delle esperienze di attaccamento esperite con la madre e con il padre. L’ attaccamento è generato dal bisogno di cercare la vicinanza protettiva di un adulto quando si vive una condizione di paura, dolore, impotenza.
Modelli operativi interni (MOI) La teoria dell’attaccamento sostiene che l’esperienza affettiva/ed emotiva fatta dal bambino durante le prime esperienze di attaccamento con la madre viene racchiusa in particolari strutture della memoria implicita (non cosciente e non ricordata) chiamate Modelli Operativi Interni o MOI ( Internal Working Models). I MOI contengono sia i valori, significati e giudizi che il bambino costruirà di se stesso nelle relazioni di attaccamento coi genitori sia i valori che lui pensa che i genitori abbiano di lui . Questi valori contenuti nei MOI guidano il comportamento nella relazione di affetto e fiducia con la madre prima e in tutte le altre relazioni dopo. Il comportamento di attaccamento, di per sé innato, si differenzia in funzione dell’esperienza e viene organizzato nei MOI secondo 4 modalità: attaccamento sicuro attaccamento evitante attaccamento resistente o ansioso-ambivalente attaccamento disorganizzato. A seguito di continuativi scambi con i genitori il bambino costituisce una immagine di sé e degli altri che formano il modello operativo interno, nucleo profondo della personalità. Queste rappresentazioni interne guidano l’individuo a interpretare le informazioni che arrivano dall’esterno e, nel tempo, diventano rappresentazioni generalizzate delle interazioni. Esse sono: - rappresentazione di sé come degno di amore e dell’altro come degno di fiducia (attaccamento sicuro) rappresentazione di sé come indegno di essere amato e confortato e dell’altro come di persona da cui non aspettarsi niente ( attaccamento evitante) - rappresentazione di sé come incerto dell’altro, bisognoso di metterlo continuamente alla prova cercando conferme ed accettazione e dell’altro come instabile e imprevedibile. ( attaccamento ansioso- ambivalente). L’attaccamento sicuro nasce in una relazione dove il bambino è seguito da cure attente e amorose, può sentirsi libero di conoscere altre persone e l’ambiente esterno, sente i genitori disponibili a tollerare la separazione L’attaccamento ostile o evitante si struttura quando chi accudisce il bambino lo respinge attivamente o lo ignora e rifiuta di accogliere i suoi bisogni; in questo caso il bambino può tendere a percepire il mondo come nemico. Se alle richieste di vicinanza del bambino l’adulto risponde con riluttanza, o alterna risposte di vicinanza ad altre di lontananza o anche di intrusività, egli manifesterà un attaccamento ansioso o ambivalente, diventerà apprensivo e preoccupato, poco fiducioso negli altri.
Nell’attaccamento sicuro: il bambino avrà una valutazione positiva di se stesso e degli altri, le sue relazioni sono stabili ed il valore che assegna alla realtà , non dipende dai contesti e dalle situazioni. La conoscenza che ha della realtà è affidabile e non soggetta a mutamenti come pure sono affidabili i suoi punti di riferimento . La madre del bambino con attaccamento sicuro è : capace di riconoscere i bisogni del bambino e di rispondere ad essi in modo adeguato. E’ in grado di insegnare al figlio il significato ed il valore che ricoprono i bisogni nella vita di ognuno di noi. E’ in grado di trasmettere la fiduciosa sicurezza e il convincimento di poter chiedere e ricevere aiuto nei momenti di bisogno. Il bambino pertanto : saprà riconoscere le sue emozioni e i suoi bisogni. Non avrà paura o ansia in tali momenti. Costruirà una valutazione di se stesso (schema mentale ) di persona amabile e meritevole di aiuto avrà un linguaggio appropriato e comprensibile, senza fraintendimeni o confusioni nel formulare le sue richieste d'aiuto, e si aspetterà con fiducia di ricevere le adeguate risposte. Il bambino riconoscerà le sue emozioni e saprà interagire con gli altri.
Stile cognitivo del bambino sicuro: la ricerca attiva i bambini con attaccamento sicuro, consapevoli di poter contare sulla madre e di avervi facile accesso in caso di bisogno, si dedicano fiduciosamente all'esplorazione del mondo esterno: lo stile cognitivo che si viene qui a configurare è quello della ricerca attiva.
Nel pattern evitante i bisogni di sicurezza, amore e vicinanza del bambino non sono riconosciuti come momenti importanti ma vengono catalogati come causa di fastidio. In conseguenza di ciò il bambino acquisterà la certezza che i suoi bisogni siano causa di fastidio negli altri. Si convincerà che i suoi bisogni sono sconvenienti e cercherà di rifiutarli anche a se stesso Quando il bambino sperimenta frequenti e gravi difficoltà di accesso alla figura materna, impara ben presto a farne a meno e a concentrarsi sul mondo inanimato piuttosto che sulle persone. . Nonostante la rappresentazione negativa delle emozioni di attaccamento, il MOI del pattern evitante conserva ancora capacità di interagire in modo costruttivo con gli altri.
stile cognitivo di immunizzazione: Un attaccamento di tipo insicuro-evitante (per cui il bambino diventa capace di ignorare la madre e le altre persone significative, spostando l'attenzione verso l'ambiente e gli oggetti) trova riscontro, dal punto di vista cognitivo, in uno stile cosiddetto di immunizzazione: una strategia che consente al soggetto, nel momento in cui viene raggiunto da un'invalidazione, di minimizzarne le conseguenze, di rendere i propri confini invalicabili, di diventare irraggiungibile e inattaccabile. Tutto ciò lo spinge a ritirarsi nei propri schemi di significato, precludendone l'accesso agli altri, che vengono ignorati e deprivati di ogni potere invalidante. La personalità può dunque essere caratterizzata dal rifiuto delle relazioni, dal distacco, dall'indifferenza, dalla convinzione che le altre persone sono minacciose e ostili: aspetti, questi, peculiari dei disturbi di personalità del clusterA (paranoide, schizoide e schizotipico).
Nel pattern ansioso- ambivalente la madre del bambino è imprevedibile nelle sue risposte di vicinanza. Il bambino perciò non smette di esprimere le sue richieste di bisogno per impedire alla madre di allontanarsi. Il bambino si sente trascurato, non è soddisfatto nelle sue esigenze primarie, vive con ansia i rapporti affettivi e chiede continue dimostrazioni di attenzione, ma al tempo stesso è aggressivo e manifesta atteggiamenti provocatori: reagisce all'imprevedibilità della madre diventando egli stesso imprevedibile. Se la figura materna non si presenta come rifiutante, ma piuttosto come insensibile e_imprevedibile, cioè difficile da controllare e da conquistare, il tipo di attaccamento che si sviluppa è di nuovo insicuro, ma non più evitante, bensì ambivalente o resistente.
Stile cognitivo di evitamento Dal punto di vista cognitivo ciò si traduce in uno stile cosiddetto di evitamento, secondo il quale il soggetto, che non si sente in grado di far fronte alle invalidazioni, tenta di non incorrervi restringendo il proprio campo esplorativo. Ne derivano: atteggiamenti di paura esasperata delle situazioni sociali per il rischio della critica e della disapprovazione altrui estrema prudenza allo scopo di prevenire ogni novità riluttanza a instaurare relazioni strette per una sensazione di profonda inadeguatezza, di eccessivo perfezionismo e di rigida inflessibilità nel tentativo di raggiungere livelli sempre più elevati. Sono questi i tratti più tipici dei disturbi di personalità del cluster C (evitante, dipendente e ossessivo compulsivo).
Nella Disorganizzazione dell’Attaccamento la madre è vista come figura AMBIVALENTE( piacevole, spiacevole, gioiosa o drammatica, spaventata, spaventante ecc.) e il bambino si sentirà responsabile delle sue risposte. Quindi anche lui, bambino piacevole o spiacevole, spaventato o spaventante , terrificante o che terrorizza la madre a seconda delle situazioni. Come si immagina le relazioni affettive un bambino cresciuto con una madre spaventata e che lo spaventa mentre lo accudisce? Il bambino, a partire dai ricordi inconsapevoli ( di cui non ha memoria cosciente ) della madre che lo accoglie con espressione di paura (sguardo preoccupato o che pensa altrove), può costruire una conoscenza di sé come mostro/persecutore che causa paura nella madre (madre vittima). Simultaneamente, una rappresentazione della madre come malevola, (madre mostro/persecutore) e responsabile della paura che il bambino sta provando (Sé vittima).
(Hesse & Main, 1999; Liotti, 1999; Main & Morgan, 1996). Inoltre, il bambino, può rappresentarsi come "vittima" e la madre come "salvatore" (la figura di attaccamento accoglie il bambino, sia pure con espressione di paura). All’opposto può percepirsi come "salvatore della propria madre" e la madre è sentita come "vittima". Il genitore traumatizzato o in preda a un lutto accoglie il bambino mentre rievoca nella memoria la propria sofferenza traendo conforto dall’abbraccio col bambino: Qui il bambino potrà rappresentare tanto sè stesso quanto la madre come vulnerabili vittime, spaventati e ed impotenti di fronte ad un invisibile, - e per questo motivo molto più minaccioso – pericoloso. (Sé "vittima", madre "vittima"). In breve, si può inferire che l’esperienza di essere accudito da un genitore spaventato/spaventante si riflette in una tendenza a costruire rappresentazioni di sé-con-l’altro nella relazione affettiva , che sono molteplici, simultanee e reciprocamente incompatibili, mutando continuamente fra le polarità rappresentative drammatiche del "salvatore", del "persecutore" e della "vittima") . (Hesse & Main, 1999; Liotti, 1999; Main & Morgan, 1996). Main (1991) ha mostrato che l'assenza di capacità metacognitive, rende i bambini vulnerabili di fronte a un comportamento materno poco coerente. Essi non sono in grado di arrivare a comprendere la differenza fra l'esperienza immediata e lo stato mentale che potrebbe essere sottostante. E' evidente che attribuendo uno stato cognitivo o emotivo agli altri rendiamo anche il nostro comportamento comprensibile a noi stessi. Quando il bambino è in grado di attribuire il comportamento apparentemente distaccato e non responsivo della madre al suo (di lei) stato depressivo, piuttosto che alla propria cattiveria o alla propria incapacità di suscitare attenzione, è protetto, forse permanentemente, dalle ferite narcisistiche. Ancora più cruciale è forse la capacità del bambino di sviluppare rappresentazioni degli stati mentali, emotivi e cognitivi, che organizzino il suo comportamento nei confronti di chi si occupa di lui (MENTALIZZAZIONE) Questa inferenza è sostenuta da una serie di studi sulla rappresentazione di sé nei bambini in età scolare e negli adolescenti che sono stati disorganizzati nel loro attaccamento precoce; per rassegne di questi studi (Bowlby, 1969, 1988)2) (Amini et al., 1996),3) (Bowlby, 1973, 1988; Bretherton, 1985, 1990)4) (Hesse & Main, 1999; Liotti, 1992, 1995, 1999a, 1999b; Main, 1991).5)
stile cognitivo di ostilità Esiste infine una correlazione tra attaccamento di tipo disorganizzato, stile cognitivo di ostilità e disturbi di personalità del cluster B (antisociale, narcisistico, borderline e istrionico). Quando la madre è dominata da un grave conflitto ,da un'emozione irrisolta (per esempio un grave lutto), che la spinge a interagire con il bambino manifestando un costante atteggiamento di tristezza, preoccupazione o ansia, concentrandosi più sul proprio mondo interno che sulle esigenze del figlio, il bambino finisce per percepirla come una minaccia e potrà sviluppare un attaccamento di tipo disorganizzato, nel quale assume atteggiamenti ambivalenti e contraddittori a causa della situazione paradossale in cui si trova, dove chi dovrebbe essere fonte di rassicurazione è invece visto come minaccioso.
Lo stile cognitivo che si sviluppa è quindi di ostilità, in quanto il soggetto, incapace di reagire in maniera adeguata alle invalidazioni, cerca di imporre con la forza la propria posizione, screditando gli altri, ignorandoli e manipolandoli come se si trattasse di oggetti da utilizzare per i propri bisogni e non di persone. Il tipo di personalità che ne origina é quello che si evidenzia nei disturbi del cluster B, nei quali l'individuo instaura rapporti interpersonali molto conflittuali, si crede speciale e in diritto di sfruttare gli altri, è privo di regole morali e non sviluppa adeguatamente il senso di colpa
Ipotesi di corrispondenze tra attaccamento, stile cognitivo e disturbi di personalità (modificata da Lorenzini, Sassaroli, 1995). Attaccamento Madre Stile cognitivo Disturbo di personalità Sicuro adeguata Ricerca attiva Nessuno Insicuro-evitante svalutante Immunizzazione Cluster A (strani, eccentrici) Insicuro- ambivalente imprevedibile Evitamento Cluster C (ansiosi, paurosi) Disorganizzato ambivalente Ostilità Cluster B (melodrammatici, emotivi, impulsivi)
L’influenza dell’attaccamento sulla relazione clinica:. collaborazione, collusione e fallimento riflessivo Franco Baldoni (2008) Franco Baldoni è medico e specializzato in Psicologia Clinica, insegna all’università di Bologna la materia Psicologia Clinica, fa studio privato a Modena.
La relazione terapeutica Il rapporto clinico, soprattutto nel caso di una psicoterapia, si presenta come un vero e proprio legame di attaccamento, in quanto in esso si possono manifestare le caratteristiche (ricerca di vicinanza, protesta nei confronti della separazione ed effetto base sicura) che sono ritenute specifiche di tali relazioni (Weiss, 1982). Gli studi sull’attaccamento e sui modelli operativi interni permettono, inoltre, di comprendere il significato di specifici comportamenti manifestati dal clinico e dal proprio paziente quando sono sottoposti a una condizione minacciosa per la propria sicurezza psicologica o fisica.
IL PERICOLO NELLA RELAZIONE CLINICA La relazione tra clinico e paziente è influenzata significativamente dalle fantasie, dalle aspettative, dalle risposte emotive, dalle paure e dagli atteggiamenti difensivi di entrambi. Secondo la teoria dell’attaccamento questi aspetti psicologici sono legati alle rappresentazioni inconsce delle relazioni e delle esperienze passate (depositate sotto forma di modelli operativi interni) che diventano evidenti, influenzando il comportamento, soprattutto nelle situazioni di insicurezza e pericolo. Una di queste situazioni è la relazione clinica.
Durante un colloquio clinico o una consultazione diagnostica medici e psicologi sono esposti però a condizioni di minaccia specifiche: 1) Pericoli di natura pratica o economica come la perdita del paziente, la possibilità di denunce o di essere coinvolto in situazioni sgradevoli o pericolose, l’insoddisfazione dei colleghi (il clinico inviante, il consulente, i superiori, i dirigenti della struttura in cui si svolge l’attività professionale); 2) Pericoli fisici: affaticamento per eccessivo lavoro, possibilità di sviluppare malattie o di essere contagiato, atti di violenza da parte del paziente o dei suoi familiari; 3) Pericoli psicologici : a. Frustrazioni narcisistiche dovute a scarsa esperienza, impotenza e fallimento terapeutico; b. Paura della malattia, della depressione, della follia, del suicidio, della morte; c. Disorientamento e sofferenza emotiva (depressione, angoscia, paura, rabbia, noia, senso di vuoto, frustrazione) nell’entrare in contatto con i pazienti. b. Angoscia dell’estraneo e timore di un proprio cambiamento conseguente al confronto con l’altro;
La relazione terapeutica si manifesta quindi come una potenziale condizione di minaccia sia per il paziente che per il clinico. In entrambi si attiveranno, di conseguenza, comportamenti di attaccamento specifici in relazione con le esperienze passate.
ATTACCAMENTO E RELAZIONE CLINICA L’influenza dei modelli operativi interni è particolarmente evidente nelle persone che svolgono professioni di aiuto. Dalle ricerche condotte attraverso la tecnica della Adult Attachment Interview (AAI) le configurazioni tendono ad essere prevalentemente “distanzianti” (A) nei medici e “preoccupate” (C) negli psicologi clinici (Crittenden, 2007). I medici e gli psicologi con stile di attaccamento insicuro si rivelano meno efficaci nella relazione clinica e sono maggiormente esposti al burn-out e al mobbing. Il distanziamento della rabbia e il diniego della vulnerabilità e della paura limitano l’espressione autentica della sofferenza e favoriscono lo spostamento sugli aspetti somatici, tecnici e specialistici (esami, test, farmaci) (Wilkinson, 2003) una procedura ideata nel 1986 da Carol George, Nancy Kaplan e Mary Main,
I clinici con stile di attaccamento sicuro, al contrario, si adattano meglio alle diverse condizioni terapeutiche e riescono ad avvicinarsi ai bisogni specifici del paziente integrando le proprie capacità riflessive con le informazioni cognitive e la comunicazione emotiva. Ne consegue un migliore qualità della relazione clinica e una maggiore soddisfazione personale del lavoro svolto (Dozier, Cue, Barnett, 1994). Come abbiamo detto, un colloquio clinico o una consultazione diagnostica (in medicina o in psicologia) sono da considerarsi relazioni complesse in un contesto di relativa minaccia. In queste condizioni i comportamenti e le reazioni emotive dei due partecipanti saranno significativamente influenzate dalle rappresentazioni relative alle esperienze di pericolo attivate nei reciproci modelli operativi interni.
Prendiamo in considerazione alcuni esempi di come i diversi stili di attaccamento possano influenzare la relazione clinica: CLINICO PAZIENTE RISULTATI A (evitante) Approccio rigidamente tecnico-cognitivo Focalizzazione sul somatico Aree inesplorate ed evitate Distanziamento emozioni negative C (preoccupato) C (preoccupato) Enfasi emotiva Eccesso di aspettative Conflitti relazionali Prolungarsi delle consultazioni Parziale compensazione Difficoltà di comprensione Interruzione terapia B (sicuro) A, B, C Capacità riflessiva Comunicazione affettiva e cognitiva Strategie adattate al paziente Collusioni tra paziente e terapeuta
Terapeuta e paziente entrambi con attaccamento evitante Quando un clinico insicuro distanziante si incontra con un paziente con le stesse caratteristiche i loro stili di attaccamento con ogni probabilità colluderanno e la relazione tenderà ad essere caratterizzata da: un approccio rigidamente tecnico-cognitivo (richiesta eccessiva di esami strumentali, prescrizione di farmaci, spiegazioni razionali, ma superficiali, dei disturbi visti soprattutto da un punto di vista biologico); l’evitamento di aree problematiche che rimarranno poco esplorate (difficoltà relazionali, depressione, fantasie suicidarie, traumi o lutti irrisolti); un sistematico distanziamento delle emozioni negative con la tendenza a falsificare gli affetti pericolosi per il Sé (ad esempio sorridere o scherzare quando si affrontano argomento dolorosi o spaventosi).
Terapeuta e paziente con attaccamento ansioso- ambivalente I clinici con uno stile di attaccamento insicuro preoccupato (Tipo C) (particolarmente frequente negli psicologi) manifesteranno invece una tendenza opposta. si potrà manifestare una collusione tra i due atteggiamenti e la relazione tenderà ad assumere queste connotazioni: tendenza da parte di entrambi ad enfatizzare le emozioni e ad alimentare aspettative di cura eccessive e irrealistiche, con una difficoltà a mantenere la relazione all’interno di limiti corretti e la propensione a prolungare eccessivamente le consultazioni nel tempo. dopo un primo momento in cui paziente e terapeuta avranno l’impressione di trovarsi sulla stessa lunghezza d’onda (come se fossero amici), si potranno manifestare nel tempo conflitti relazionali conseguenti alla delusione delle reciproche aspettative eventuali interruzione della terapia.
Ovviamente un medico o uno psicologo distanziante potrà incontrarsi con un paziente con caratteristiche preoccupate, oppure la situazione contraria In questo caso potrà verificarsi una parziale compensazione delle tendenze di entrambi, ma frequentemente si manifesteranno mancanze e incomprensioni riguardanti le aree trascurate dei reciproci stili di attaccamento (l’affettività per i soggetti distanzianti e la cognitività per quelli preoccupati) con il risultato di una difficoltà di comprensione reciproca e di condivisione dei risultati. Una delle conseguenze potrà essere la scarsa compliance terapeutica o, anche in questo caso, l’interruzione improvvisa della cura. La scarsa capacità di mentalizzazione dei medici e degli psicologi con stile di attaccamento insicuro evitante li porta a svolgere con difficoltà un’adeguata funzione riflessiva all’interno della relazione terapeutica. I clinici distanzianti non riusciranno a tenere debitamente conto delle proprie risposte emotive e a confrontarle con la percezione degli stati mentali dei pazienti (presentando difficoltà, ad esempio, a riconoscere ed elaborare le risposte controtransferiali).
Quelli preoccupati saranno concentrati sui propri stati mentali ed avranno problemi a rappresentarsi quelli degli altri. In queste condizioni si manifesteranno con facilità veri e propri fallimenti nella percezione di Sé e dell’altro (in termini di sentimenti, paure, desideri, aspettative, convinzioni) con conseguenze gravi sul processo diagnostico, sulla qualità della relazione e sul buon esito della terapia (Baldoni, 2008).
Alcuni esempi di questi “fallimenti riflessivi” in psicoterapia Utilizzo non adeguato o difensivo della diagnosi • Prescrizione inopportuna di farmaci • Interventi e interpretazioni inappropriati o troppo precoci • Controtransfert o transfert agiti dal terapeutamancata mentalizzazione (disinteresse, noia, ostilità, umorismo, esibizione di cultura, seduzione) • Relazione sentimentale o erotica con il paziente
1) Utilizzo non adeguato o difensivo della diagnosi La diagnosi è uno strumento utile per orientarsi sulle scelte terapeutiche e, in taluni casi, per comunicare informazioni cliniche in modo sintetico ai colleghi. Molto frequentemente, però, il clinico formula una diagnosi per evitare l’angoscia dell’incertezza e sentirsi rassicurato nel rapporto con il paziente, ma in questo modo rischia di non riuscire più a cogliere gli aspetti che non rientrano nei criteri diagnostici. 2) Prescrizione inopportuna di farmaci. Un aiuto psicofarmacologico può essere necessario, ma, come nel caso della diagnosi, a volte il paziente lo richiede anche quando non ne ha bisogno, perché ha paura di essere gravemente malato e inconsciamente vuole essere rassicurato che lo consideriamo in grado di farcela con le proprie forze. Il clinico che collude con le richieste inopportune di diagnosi o di farmaci fraintende i bisogni del proprio paziente e lo espone a un’esperienza potenzialmente dannosa. 3) Interventi e interpretazioni inappropriati o troppo precoci, che possono essere accettate in modo compiacente dai pazienti (rafforzando un atteggiamento di falso Sé) oppure farli sentire incompresi, rifiutati e anche turbati, pregiudicando la fiducia nel proprio terapeuta.
4) Controtransfert o transfert agiti dal clinico 4) Controtransfert o transfert agiti dal clinico. Una scarsa capacità riflessiva può portare a non riconoscere sia gli stati emotivi del paziente che i propri, con il rischio di agire il controtransfert o il proprio stesso transfert attraverso comportamenti inappropriati: disinteresse, noia, ostilità, umorismo fuori luogo, sarcasmo, esibizione di cultura, atteggiamento seduttivo, sono spesso i segnali di queste difficoltà. 5) Un caso particolare riguarda le situazioni in cui si sviluppa una relazione sentimentale o erotica con il paziente. Molti pazienti manifestano nei confronti del terapeuta un comportamento seduttivo o sessualmente esplicito, quando in realtà esprimono bisogni di tenerezza infantili (affetto, comprensione, rassicurazione, protezione). Fraintendere le loro richieste può portare ad agire il controtransfert attraverso comportamenti sessuali adulti ed equivale ad esporli nuovamente ai traumi subiti durante l’infanzia. Si verifica quindi una confusione di linguaggio (Ferenczi, 1933) e un fallimento della funzione riflessiva con conseguenze spesso molto gravi.
Le considerazioni esposte si riferiscono a tendenze e rischi dei quali il clinico dovrebbe essere il più possibile consapevole In realtà, la maggior parte dei medici e degli psicologi, anche nel caso presentino caratteristiche di attaccamento insicuro, si rivelano sufficientemente adeguati al loro compito. Grazie alla propria esperienza e alla formazione professionale hanno maturato infatti, almeno all’interno della relazione terapeutica, una flessibilità che permette loro di integrare e compensare i limiti personali. Nei più esperti queste competenze sono particolarmente evidenti.
L’IMPORTANZA DELLA FORMAZIONE In particolare un terapeuta dovrebbe essere consapevole delle esperienze personali di trauma o di lutto (specialmente quelle meno elaborate ed ancora fonte di sofferenza). Se clinico e paziente hanno vissuto esperienze simili non risolte, infatti, si attiveranno in entrambi strategie difensive distanzianti (enfasi sugli aspetti cognitivi evitando di affrontare quelli emotivi) o preoccupate (argomentazioni confuse, ostilità, stallo) che influenzeranno negativamente il processo di valutazione diagnostica ed il trattamento. Le esperienze che si rivelano maggiormente efficaci a questo fine possono essere sia individuali (psicoterapia, supervisione) che di gruppo (simulate, Role-Playing, supervisione in équipe, gruppi tipo Balint) (Baldoni et al., 2000).
La formazione del clinico dovrebbe quindi permettergli di sviluppare alcune funzioni psicologiche fondamentali per il buon andamento della relazione terapeutica 1) essere orientato sugli aspetti fondamentali della propria personalità (consapevolezza di sé) 2) esprimere adeguatamente le emozioni (particolarmente quelle negative); 3) riconoscere ed elaborare il controtransfert e il transfert (sia il proprio che quello del paziente); 4) riflettere sugli stati mentali propri e altrui valutando il loro significato all’interno della relazione (mentalizzazione e funzione riflessiva); 5) essere consapevoli delle proprie strategie difensive relative alle condizioni di pericolo e alle esperienze di trauma e lutto (modelli operativi interni).
SESSO DEL TERAPEUTA Il sesso del terapeuta è una variabile abbastanza importante, ma generalmente, tranne alcuni casi, vanno seguite le preferenze del paziente. Le situazioni in cui esso risulta invece di fondamentale importanza sono quelle di adolescenti con cui si prevede che il processo di identificazione sarà molto importante: si impongono terapeuti dello stesso sesso. Con persone che hanno subito violenze durante l'infanzia, il terapeuta dovrebbe essere del sesso opposto a quello di chi ha abusato di loro. Quando si hanno di fronte persone che nell'infanzia hanno perduto un genitore, potrebbe essere di aiuto un operatore dello stesso sesso della persona scomparsa.
Colloqui iniziali Un periodo di pre-terapia di 4/5 incontri può servire per stabilire o meno la compatibilità tra i due e quindi la possibilità di lavorare insieme. In questo arco di tempo dovranno essere osservate, tra l'altro: la motivazione della persona; le emozioni reciproche; l'empatia. Alla fine si deciderà se: prendere o meno l'altro in carico; in che modo proseguire (counseling, psicoterapia breve, medio e lungo termine); inviarlo da un collega di orientamento diverso, di sesso diverso, etc. Entrambi, in questa maniera, si danno la possibilità di sperimentare le affinità, le differenze e decidere se iniziare insieme un percorso o e quindi
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