I postulati enunciati da Perls e Goodman che in sintesi sono:

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I postulati enunciati da Perls e Goodman che in sintesi sono: Gestalt Therapy: Excitement and Growth in the Human Personality (F. Peris, R. Hefferline, and P. Goodman. New York: Julian Press, 1951 “Abbiamo avuto in comune uno scopo: sviluppare una teoria e un metodo che estendessero i limiti e le possibilità d'applicazione della psicoterapia”. I postulati enunciati da Perls e Goodman che in sintesi sono: “Contatto, il lavoro che si traduce in assimilazione e crescita, consiste nel formarsi di una figura di interesse che spicca sullo sfondo o contesto della relazione organismo/ambiente” (1951) da cui deriva che “Il fine ultimo del trattamento può essere formulato nei seguenti termini: dobbiamo raggiungere il livello di integrazione in grado di facilitare il suo stesso sviluppo” (Perls, 1948, p. 12). “Il fine della terapèia della Gestalt è la maturazione” che Perls definisce come “il passaggio dal sostegno ambientale all’autosostegno” (1965). L’autosostegno, a sua volta, “implica il contatto con altre persone. Il contatto continuo (confluenza) o l’assenza di contatto (ritiro) risultano contrari al raggiungimento del fine” (Perls, 1947). L’autosostegno implica quindi una situazione di contatto efficace nel campo organismo/ambiente.

La prospettiva di uno sperimentalismo ateorico Il manoscritto, che doveva essere pubblicato nel 1971, spari in un negozio di fotocopie e comparve poi, solo in parte, come The Thechniques of Gestalt Therapy (SAT Press). Venne successivamente ripreso come monografia del Gestalt Jurnal nel 1980 ed, in parte, come Tecniche espressive nell’ Handbook of Gestalt Therapy a cura di C. Hatcher e P. Himelstein. Tradotto in italiano come Teoria della tecnica Gestalt (Melusina, 1989) e in spagnolo come Vieja y Novissima Gestalt (Cuatro Vientos, 1994) usci finalmente come Gestalt Therapy. The Attitude & Practice of an Atheorethical Experiencialism (Gateways Publ. 1993).

Ovvero per una teoria della tecnica Posto in questi termini, “è chiaro come la scelta di “attitudine” piuttosto che di “teoria” sia essenziale riguardo a questo tema”, come ricorda Abraham Levitsky nel prologo all’ultima edizione del libro. Esplicitamente, ancora, Claudio sottolinea nella sua introduzione come “mi sono deliberatamente trattenuto dal chiamare il mio primo libro Teoria e Pratica della Gestalt Therapy. La scelta, invece, di Gestalt Therapy. L’atteggiamento e la pratica riflette implicitamente la mia visione secondo cui la terapia della gestalt non è nata dall’applicazione di un corpus teorico (che potrebbe essere definito come le sue fondamenta) ma è piuttosto, uno specifico modo di essere-nel-mondo”

A proposito della bibbia della Gestalt Il fulcro del dibattito sulla teoria nella Gestalt si impernia in particolare su quello che viene comunemente indicato come il fondamento della costruzione teorica della Gestalt: la cosiddetta Teoria del sé considerata, a seconda dei diversi gestaltisti, colonna portante della Gestalt terapia (S. Ginger) o costruzione teorica innecessaria e adottata prioritariamente a fini strategici per ottenere credito in ambito scientifico. La intrinseca ambivalenza circa tale quesito si radica nella sua stessa storia. Il capitolo che presenta questo tema nella bibbia della Gestalt (Gestalt Therapy: excitement and growth in human personalità del 1952) venne infatti “sviluppato ed elaborato da Paul Goodman” riconosce Perls (in In and Out the Garbage Pail del 1969) che tuttavia ebbe a riappropriarsi dell’originalità del contributo alla fine della sua parabola di vita e professione definendo quindi la sua non- estraneità al tentativo di codifica teoretica che vi viene presentato chiarendo nella stessa occasione come “La terapia della Gestalt giunge adesso alla sua maturità, benché io abbia scritto il manoscritto originario circa vent'anni fa”.