Giove e Ganimede.

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Giove e Ganimede

“Ci fu una volta che il re degli dèi s’infiammò d’amore per il frigio Ganimede, ed ebbe l’idea di trasformarsi in una cosa che, una volta tanto, gli parve più bella che essere Giove: un uccello. Ma, fra tutti gli uccelli, non si degnò di trasformarsi che in quello capace di portare i fulmini, le armi sue. Detto fatto: battendo l’aria con false penne, rapì il giovinetto della stirpe di Ilo, che tuttora gli riempie i calici e gli serve il nettare, con rabbia di Giunone.” (Ovidio, Metamorfosi, X, 155-161)

Oltos, banchetto del dei,510 a.C Influenza nell’arte Oltos, banchetto del dei,510 a.C Solitamente il mito viene rappresentato nel momento in cui l’aquila afferra il giovane per condurlo verso il cielo, diversamente l’anfora contiene una scena in cui Ganimede svolge il suo compito di coppiere durante un banchetto degli dei, quindi il rapimento era già avvenuto. L’anfora è di Oltos e risale al 510 a.C. Il mito viene rappresentato frequentemente nell’arte vasaria, soprattutto sopra i crateri.

Maitre François, Le Hague, manoscritto del De civettate Dei di sant’Agostino, 1475-80 Un’altra rappresentazione insolita del mito è quella di Maitre François, risalente al 1475-80. La miniatura appartiene al manoscritto del De Civitate Dei di Sant’Agostino . La scena si svolge all’interno di una corte dove Giove è seduto su un trono sormontato da un baldacchino e abbraccia Ganimede mentre versa delle monete sul grembo di Danae. L’artista, su richiesta di Sant’Agostino, ha unito i due miti di Giove e Ganimede e Giove e Danae come esempio negativo dei miti pagani.

Anonimo, Ratto di Ganimede, 200 d.C La statua è una copia romana risalente al 200 d.C di una statua greca di Leochares. Da questa opera in poi l’iconografia del mito rappresenterà sempre il momento in cui Zeus, trasformato in aquila, afferra il giovane per le spalle. Anonimo, Ratto di Ganimede, 200 d.C .

Antonio Correggio, Ratto di Ganimede, 1531-32. L’opera è stata commissionata da Federico II Gonzaga e risale al 1531/32. La tela fa parte di un ciclo che narra degli amori di Giove. Il protagonista è Ganimede, raffigurato come un fanciullo riccioluto che si aggrappa all’aquila mentre spicca il volo. Sullo sfondo è presente un paesaggio naturale con un cielo azzurro e in basso è presente un cane che assiste alla scena e con la testa rivolta verso l’alto, come ultimo tentativo di trattenere Ganimede. La scelta di rappresentare questo mito è dovuta dal fatto che l’aquila era l’emblema dei Gonzaga e simbolo degli imperatori romani. Antonio Correggio, Ratto di Ganimede, 1531-32.

Pieter Paul Rubens, ratto di Ganimede, 1636-38. La scena appartiene a un ciclo di opere tratte dalle Metamorfosi di Ovidio, destinate a decorare il padiglione da caccia del re Filippo IV. Come nell’opera di Correggio la scena è impostata verticalmente con la differenza che il volto del giovane rivela paura e sgomento. Pieter Paul Rubens, ratto di Ganimede, 1636-38.

Influenza nella musica Testo Ganimede, Mina. Si addormentò Ganimede per ritrovare te, ha le palpebre scese, lui domandò di te. Esitò sospirando, sospirando esitò, esitò, poi sospirò. Svegliate le ombre distese, poi lui si raccontò di chi gli prese, non chiese per ascoltarsi un pò. sospirando esitò poi si svegliò

Influenza nella filosofia Platone rappresenta l’aspetto pederastico del mito attribuendo l’origine a Creta. La sua è una critica dell’usanza della pederastia cretese, che aveva perduto la sua funzione originaria. Accusa quindi i cretesi di essersi inventati il mito per giustificare i loro comportamenti omosessuali. Anche Socrate analizza questo mito, proponendone un’interpretazione nuova: Zeus non è attratto solo fisicamente dal ragazzo, bensì dalla sua psiche e dalla sua anima. Durante il neoplatonismo, il mito viene interpretato in chiave mistica: esso significa il rapimento dell’anima a Dio. Per questo il mito di Ganimede e Zeus viene usato sia nelle arti figurative che in letteratura per esprimere proprio questo concetto, un esempio è il Ganymed di Johann Wolfgang von Goethe del 1774.

Influenza nella poesia La prima attestazione del mito di Ganimede si trova in Omero (Iliade, V, 265-267; XX, 231-235) nel primo inno ad Afrodite: “In verità, il saggio Zeus rapì il biondo Ganimede per la sua bellezza, affinché vivesse tra gl’immortalie nella dimora di Zeus versasse da bere agli dei”. Anche Virgilio nell’Eneide descrive la scena di rapimento caratterizzata da grande pathos: il ragazzo che accompagna Ganimede tenta invano di trattenerlo con i piedi sulla terra, mentre i suoi cani abbaiano inutilmente contro il cielo. L’ autore vuole sottolineare che i cani siano fedeli, poiché continuano a chiamarlo con latrati disperati anche dopo che il loro padrone è sparito nell'alto dei cieli.

Nel tardo Medioevo il mito è ripreso da Dante nel Purgatorio, nel quale egli riporta una visione avuta in sogno: “In sogno mi parea veder sospesa un’aguglia nel ciel con penne d’oro, con l’ali aperte e a calare intesa; ed esser mi parea là dove fuoro abbandonati i suoi da Ganimede, quando fu ratto al sommo consistoro”. Dante utilizza dunque il racconto mitologico per spiegare un processo di elevazione spirituale: il fatto che il poeta, unico nel Purgatorio, sia dotato di corpo, è in questo caso irrilevante, poiché egli ascende alla sfera superiore non in virtù di un atto fisico, ma grazie a un’operazione spirituale di cui il ratto di Ganimede è metafora.

Nell'opera “Come vi Pare” di William Shakespeare il personaggio di Rosalind si traveste da uomo quando deve andare nella foresta di Arden, scegliendo il nome di Ganimede: ciò ha portato ad approfondire lo studio del rapporto che si era creato tra Rosalind e sua cugina Celia, il quale andava ben oltre la semplice amicizia, avendo dei tratti molto simili all'amore, in questo caso omosessuale.