Il licenziamento individuale giustificazione, forma e sanzioni
Licenziamento individuale, licenziamento collettivo e dimissioni Il licenziamento è il recesso unilaterale della parte datoriale da un contratto di lavoro subordinato. Di regola deve essere sorretto da un valido motivo (giusta causa, giustificato motivo soggettivo o giustificato motivo oggettivo: si tratta di tre nozioni diverse!). Il licenziamento – salvo pochissime eccezioni – richiede la forma scritta, che deve contenere anche l’indicazione dei motivi. Quando poi un’impresa con più di quindici dipendenti intende licenziare (per motivi di carattere esclusivamente oggettivo) almeno 5 dipendenti in un arco di 120 giorni si parla di licenziamento collettivo e si deve applicare una particolare procedura prevista dalla legge, diretta a evitare/contenere i licenziamenti, procedura che prevede il coinvolgimento obbligatorio del sindacato e l’intervento anche delle strutture territoriali del Ministero del lavoro. Se invece a recedere dal contratto di lavoro subordinato è il lavoratore, si usa il termine «dimissioni».
Gli interventi principali del legislatore Legge n. 604/1966: necessità della giustificazione Legge n. 300/1970 (Statuto lav.): art. 18, reintegrazione (per i datori di una certa dimensione) Legge n.183/2010 (c.d. «Collegato lavoro»): riduce i termini di impugnazione Legge n. 92/2012 (Riforma Fornero): art. 1, c. 37-69: alleggerimento dell’apparato sanzionatorio e riduzione degli spazi per la reintegrazione (ora in vigore solo per i lavoratori assunti prima del 7 marzo 2015: discplina ad esaurimento) D. lgs. 23/2015 (Jobs Act): introduzione del c.d., «contratto a tutele crescenti»: nuovo regime indennitario… Ma… Impatto della sentenza della Corte Costituzionale n. 194 dell’8 novembre 2018 su tale nuovo sistema indennitario
Il licenziamento individuale: giusta causa e giustificato motivo di licenziamento Giusta causa: è una ragione che non consente la prosecuzione neppure temporanea del rapporto di lavoro (inadempimenti gravissimi o gravissimi comportamenti «esterni» che facciano venire radicalmente meno la fiducia del datore di lavoro negli adempimenti successivi del lavoratore). In questo caso il licenziamento sarà senza preavviso («in tronco»). Giustificato motivo soggettivo: un inadempimento del lavoratore grave, ma non così grave da determinare il licenziamento in tronco. In questo caso il lavoratore viene licenziato con un periodo di preavviso. Giustificato motivo oggettivo: è una ragione di carattere tecnico, organizzativo o produttivo riferibile al datore di lavoro. Non si contesta alcun inadempimento al lavoratore. Anche in questo caso il licenziamento è con preavviso
Il licenziamento individuale nel nuovo contratto c. d Il licenziamento individuale nel nuovo contratto c.d. «a tutele crescenti» Con la riforma del lavoro del marzo 2015 (c.d. «Jobs Act») viene introdotto il c.d. «contratto a tutele crescenti». Per i lavoratori assunti a tempo indeterminato dopo l’entrata in vigore delle nuove norme (dal 7 marzo 2015) si era prevista (tranne che per i casi di licenziamento discriminatorio e nullo) una tutela solo economica contro il licenziamento illegittimo, che «cresceva» con l’anzianità, in ragione di due mesi della retribuzione per ogni anno di servizio (con un tetto minimo di 4 mesi e massimo di 24 mesi). Per i datori più piccoli (fino a 15 dipendenti) tali misure dell’indennità erano previste in modo ulteriormente ridotto Se il licenziamento è viziato nella forma (ad es. manca la motivazione) o non viene rispettata la procedura nei licenziamenti disciplinari, la sanzione economica è pari ad un mese per ogni anno di servizio, con un tetto massimo di 12 mesi (anche qui vi è una riduzione per i datori di lavoro più piccoli, fino a 15 dip.) Ma… senza la stabilità, quale sarà il valore del «tempo indeterminato»…?
La sentenza della Corte Costituzionale n. 194 dell’8. 11 La sentenza della Corte Costituzionale n. 194 dell’8.11.2018: cambia radicalmente il sistema previsto dal Jobs Act Con la sentenza n. 194/2018 la Corte Costituzionale ha stabilito l’illegittimità costituzionale (per violazione dei principi di eguaglianza e ragionevolezza) del risarcimento proporzionato alla sola anzianità di servizio come previsto dalla normativa sulle «tutele crescenti» del Jobs Act. La Consulta ha specificato che il giudice dovrà poter determinare in modo discrezionale tale indennizzo, tra il minimo e il massimo (ora, da 3 a 36 mensilità, dopo le riforme recenti), tenendo conto, senza parametri rigidi, di altri elementi (numero dei dipendenti occupati, dimensione dell’attività economica, comportamento e condizioni delle parti). Viene dunque nuovamente riconosciuto l’apprezzamento discrezionale del giudice. Non viene peraltro smentita dalla Consulta la possibilità di una tutela solo economica.
La necessità della forma scritta La comunicazione del licenziamento e dei relativi motivi (che dev’essere contestuale: riforma Fornero) richiede la forma scritta ad substantiam. Atto recettizio: la comunicazione del licenziamento produce i suoi effetti dal momento in cui viene conosciuto dal destinatario (da questo momento decorrono i termini per l’impugnazione) Se il licenziamento viene comminato ORALMENTE, esso è inefficace (non può produrre i suoi effetti al pari di un atto nullo) e ne conseguono la reintegrazione ed il risarcimento del danno. Se invece il licenziamento è viziato nella forma (ad es. manca la motivazione) o non viene rispettata la procedura nei licenziamenti disciplinari, la sanzione economica è pari ad un mese per ogni anno di servizio, con un tetto massimo di 12 mesi e minimo di 2 per il CATUC(anche qui vi è una riduzione per i datori di lavoro più piccoli, fino a 15 dip.); per gli assunti invece prima del 7 marzo 2015, da 6 a 12 mensilità.
…e la reintegrazione nel posto di lavoro?... Dopo le recenti riforme la forma di tutela «forte» che prevede la reintegrazione del licenziato nel posto di lavoro (a suo tempo introdotta dall’art. 18 dello St. lav., l. n. 300 del 1970) è avviata a diventare uno strumento di tutela del tutto residuale, applicabile solo a pochi casi, tra i quali i più importanti sono: Licenziamento orale Licenziamento della lavoratrice madre nel periodo di tutela e licenziamento per causa matrimonio E, soprattutto, Licenziamento discriminatorio Licenziamento per motivo illecito (es. ritorsivo) In questi casi il giudice condanna il datore di lavoro a reintegrare il lavoratore nel posto dal quale era stato allontanato, oltre che a corrispondergli un risarcimento del danno (pari ad almeno cinque mensilità della retribuzione) Il lavoratore può eventualmente anche optare – se decide di non voler rientrare a lavorare nel luogo dal quale è stato allontanato con un licenziamento discriminatorio, nullo, ecc. – per un’indennità sostitutiva della reintegrazione (in misura fissa di 15 mensilità), che si aggiunge al risarcimento del danno.
Complessità del nuovo sistema di tutela e pluralità dei regimi sanzionatori Dopo le riforme del 2012 (legge c.d. «Fornero» ed il Jobs Act del 2015 il sistema di tutela contro il licenziamento individuale illegittimo è divenuto particolarmente complesso. Se per i nuovi (dal 7 marzo 2015) con il CATUC si applicano le nuove tutele solo economiche (fatti salvi i casi residui di applicazione della reintegrazione di cui si è detto), ora modificate dalla Corte Costituzionale, per i lavoratori precedentemente assunti si applicano le tutele previste dal 2012 dalla riforma Fornero, che prevedono comunque ormai una decisa prevalenza delle tutele di carattere solo economico rispetto a quelle reintegratorie. Si tratta dunque di un sistema particolarmente complesso rispetto a quello previgente (fino a prima della riforma «Fornero» – 2012), attesa la diversificazione «interna» delle possibili tutele, legata alla data di assunzione del singolo lavoratore. Peraltro nulla vieta ad un datore di lavoro di mantenere per i suoi lavoratori (stipulando, ad esempio, un contratto aziendale con una tale previsione) le tutele più forti – previste per le aziende con più di quindici dipendenti fino alla riforma «Fornero» - con un utilizzo più ampio della reintegrazione secondo il «vecchio» schema dell’art. 18 della legge n. 3000/1970 (St. lav.). C’ è già stato qualche caso.
Impugnazione del licenziamento Entro 60 giorni dal ricevimento della comunicazione, il lavoratore che intenda contestare il licenziamento deve impugnarlo con un atto scritto. Laddove poi il lavoratore intenda promuovere una causa contro il suo datore di lavoro per ottenere una sentenza che dichiari l’illegittimità (o nullità) del licenziamento, occorre depositare entro il termine di 180 giorni il ricorso al giudice.
La conciliazione per il CATUC (o CTC) Per i soli lavoratori assunti con il CATUC (o CTC) l’art. 6 d. lgs. 23/15 ha introdotto una nuova forma di conciliazione (per evitare il giudizio): si tratta di una somma di denaro che il datore può offrire al lavoratore entro i 60 giorni del termine dell’impugnativa stragiudiziale, in apposite sedi. L’importo non costituisce retribuzione imponibile e non è soggetti a contribuzione ed è pari ad una mensilità per ogni anno di servizio in misura non inferiore a 2 e non superiore a 18. L’accettazione dell’assegno da parte del lavoratore comporta l’estinzione del rapporto.
Grazie per l’attenzione !