ECONOMIA Breve storia delle dottrine economiche (tratto dal dizionario di storiografia)

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ECONOMIA Breve storia delle dottrine economiche (tratto dal dizionario di storiografia)

Politica economica Ricordiamo che il termine “politica” di derivazione greca (POLITIKÈ che attiene alla città, sottinteso TÈCNÊ arte) sta ad indicare l‘Arte di governare lo Stato e in senso più esteso “Atteggiamento, condotta mantenuta in vista del raggiungimento di determinati fini”. La “politica economica” è la disciplina che studia gli effetti dell'intervento dei poteri pubblici (Stato, banca centrale, autorità varie) e dei soggetti privati (imprese, famiglie) sull'economia allo scopo di elaborare interventi destinati a modificare l'andamento del sistema economico per condurlo verso obiettivi prestabiliti. Nell'ambito della “scienza economica” si suole distinguere tra: l‘economia politica, che studia l'esistente, ciò che è, la politica economica, che studia ciò che deve o dovrebbe essere. Pertanto lo studio della politica economica presuppone, anche didatticamente, l'analisi dell'esistente, vale a dire lo studio dell'economia politica. Poiché l'economia risulta in continuo mutamento, sotto la spinta di interessi economici e pulsioni umane, lo scopo della “politica economica” è di modificare il trend spontaneo dell'economia, dopo averlo opportunamente studiato. Storicamente l'esigenza di una politica economica si manifesta allorché appare chiaro che l'economia lasciata in mano agli interessi egoistici dei singoli operatori non è in grado di evitare squilibri e diseguaglianze economiche capaci di rendere instabili l'economia stessa, oltre che il tessuto sociale di un paese e i rapporti tra nazioni. Adam Smith riteneva che nel mercato operasse una mano invisibile, in virtù della quale l'interesse privato si trasformava in interesse collettivo. Nessuno avrebbe potuto fare meglio di quanto faceva per conto suo il mercato, capace di stabilire in modo continuo equilibri tra le forze in gioco. L'interazione della domanda e dell'offerta genererebbe di continuo prezzi di equilibrio capaci di soddisfare entrambe le parti, garantendo ad esempio condizioni di pieno impiego. Le politiche economiche liberiste, che al pensiero di Smith si ispirano, tendono quindi a promuovere la rimozione di ogni vincolo al libero dispiegarsi delle forze di mercato e a tracciare un ruolo il più possibile ridotto per lo Stato, il cui compito dev'essere quello di non intervenire o di intervenire il meno possibile nell'economia, dove devono prevalere gli "spiriti animali“ (gli imprendotri). Le posizioni liberiste di Smith sono state successivamente da molti criticate, man mano che si prende coscienza che esse richiedono condizioni di mercato che difficilmente si trovano nella realtà. Karl Marx immagina un sistema economico in cui il progressivo sfruttamento dei lavoratori avrebbe condotto al collasso del sistema economico attraverso l'impoverimento crescente della classe operaia, e alla necessità di una svolta politica di stampo rivoluzionario, per poi ricostruire un sistema economico di stampo egualitario. Secondo John Maynard Keynes i sistemi economici non sono sempre in grado di raggiungere l'equilibrio di pieno impiego in modo automatico. Al contrario, è possibile che essi si attestino su posizioni di equilibrio di sottooccupazione, determinate da carenze nella domanda aggregata. In questa concezione, la politica economica ha il ruolo di stimolare la domanda e permettere di raggiungere il pieno impiego delle risorse.

LE IPOTESI DI QUESNAY Secondo QUESNAY il ciclo produttivo ha durata annuale e il prodotto finale di ogni anno viene in parte consumato e in parte reimpiegato come INPUT necessario per la produzione dell'anno successivo. La produzione agricola era l'unica in grado di produrre un surplus oltre ai rimpiazzi e quindi l'unica vera fonte di ricchezza: in sostanza la vera, e unica, fonte di ricchezza è il prodotto netto che si ottiene applicando il lavoro alla terra. Pertanto gli agricoltori formavano la CLASSE PRODUTTIVA. Gli addetti alle attività manufatturiere costituivano la CLASSE STERILE (valore OUTPUT = valore INPUT) e i proprietari fondiari costituivano la CLASSE DISTRIBUTIVA e avevano il ruolo di consumare il surplus creato dalla classe produttiva e dare avvio al processo di circolazione della moneta e delle merci tra i vari settori economici. La funzione della classe distributiva era quella di assicurare una buona distribuzione del reddito tra i vari settori. CONSEGUENZE DI POLITICA ECONOMICA (QUESNAY) sono essenzialmente due: Il sistema economico possiede una naturale capacità di riprodursi e di restare in EQUILIBRIO se non viene intralciato dalle autorità politiche. L'equilibrio di riproduzione si ha quando ogni settore fornisce agli altri settori la quantità di INPUT da questo richiesta. Sarebbe stato opportuno eliminare tutto quel complesso di inefficienze legate all'apparato fiscale ereditato dal Medioevo, che ostacolava la libera circolazione delle merci e la libera iniziativa privata. L'obiettivo era quello di creare una "imposta unica" sull'unico tipo di requisito produttivo: la terra. Tale imposta avrebbe infatti gravato sul prodotto netto della terra.

FISIOCRAZIA La “fisiocrazia” è una Dottrina economica che si affermò in Francia verso il 1750 e si diffuse ben presto in Europa. Il termine, che deriva dal greco phsis (natura) e kratêin (dominare), fu usato da P. S. Dupont de Nemours nel 1767, in una raccolta di scritti di François Quesnay (La Physiocratie). La premessa fondamentale era che esiste un ordine naturale della società analogo a quello che si ritrova nella natura fisica: questo ordine naturale esiste solo se gli uomini non ne ostacolano la realizzazione. Interessati soprattutto all‘analisi economica, i fisiocratici si opponevano al mercantilismo, che individuava nel commercio internazionale la fonte della ricchezza dello stato. Per i fisiocratici, invece, la fonte della ricchezza dello Stato era la terra, dal momento che essa era l'unico fattore di produzione in grado di generare valori aggiunti: solo la terra era capace di fornire un prodotto netto, un surplus rispetto agli investimenti apportati. L‘agricoltura, perciò, era in grado di produrre, mentre l‘artigianato e la manifattura trasformavano soltanto. La classe agricola degli imprenditori e degli affittuari era quindi, per i fisiocratici, classe produttiva. Mentre artigiani, commercianti, manifattori e liberi professionisti costituivano la classe sterile. I proprietari fondiari, il clero, i funzionari pubblici e il sovrano, infine, si identificavano con la classe oziosa. Costoro ricevevano sotto forma di rendite, decime o imposte il prodotto netto, che poi, attraverso i loro consumi, redistribuivano alla classe sterile e a quella produttiva. I fisiocratici erano quindi favorevoli al libero commercio dei prodotti agricoli e particolarmente interessati allo sviluppo dell'agricoltura. Poiché lo stato si doveva impegnare a garantire la libertà, la proprietà e la sicurezza, si giustificava il prelievo fiscale, che doveva essere però attuato sul prodotto netto attraverso un'imposta diretta e reale sulla terra, che gravava quindi unicamente sui proprietari fondiari.

Ordine naturale della società Alla base del pensiero fisiocratico vi sono i concetti di “legge naturale” e di "ordine naturale“: questi concetti derivano dalla tradizione “giusnaturalista”. Anche la società, così come il mondo fisico, è retta da leggi naturali, che debbono essere studiate dagli scienziati e che danno luogo ad un ordine naturale. Le leggi naturali sociali, tuttavia, a differenza di quelle fisiche, hanno natura morale e quindi possono prevalere solo se rispettate dagli uomini. D’altra parte l’ordine naturale è il migliore ordine possibile: rispettando le sue leggi, ad esempio in economia, si massimizza la ricchezza prodotta. Il Sovrano deve prendere atto di questo ordine naturale e rispettarlo, e dunque non deve intervenire in modo arbitrario, ma rispettare le leggi naturali scoperte dagli scienziati. I fisiocratici non rifiutano dunque la monarchia assoluta, ma credono in un sovrano illuminato dalla ragione. La parte “normativa” della scienza economica (ciò che “deve essere” e che detta l’azione nella politica economica) è una conseguenza dell’analisi “positiva” cioè scientifica (lo studio di ciò che “è”) delle leggi naturali che regolano il mondo economico.

MERCANTILISMO Per mercantilismo si intende la “dottrina economica” elaborata alla fine del XVI secolo che suggeriva l'opportunità di un più organico intervento statale nell'economia; per traslato, indichiamo l’insieme delle politiche economiche corrispondenti, adottate dalla stragrande maggioranza degli stati europei nel XVII secolo e nella prima metà del XVIII secolo. Obiettivo dell'intervento era l'arricchimento dello Stato, in quanto condizione essenziale per la sua difesa ed espansione territoriale in un mondo in cui le guerre erano divenute sempre più costose. La ricchezza era in prima istanza identificata con la quantità di metalli preziosi (oro e argento) esistente all'interno dei confini (anche se gli autori più avvertiti estendevano la nozione di ricchezza anche alle capacità produttive del paese in senso più ampio). Lo strumento essenziale per accrescere lo stock di metalli era ritenuto la creazione di un saldo attivo della bilancia commerciale, che per definizione avrebbe dovuto essere pagato dai partner commerciali in moneta metallica. Per conseguire tale attivo venivano adottate: in primo luogo misure di controllo degli scambi: restrizioni delle importazioni (soprattutto di manufatti) e incentivazione delle esportazioni. in secondo luogo, i paesi mercantilisti tentavano con molti mezzi di sviluppare la produzione nazionale (specialmente di manufatti) per sostituire le importazioni e garantire l'offerta di beni da esportare. Tipico fu il ricorso alla concessione di monopoli temporanei (privative) per la produzione di determinati beni e/o l'applicazione di determinati processi produttivi (specie se innovativi per il paese). Molti paesi tentarono, con vari incentivi, di favorire l'immigrazione di manodopera, soprattutto specializzata, dall'estero e, con pene severe, di impedire l'emigrazione di quella nazionale. Concettualmente l’approccio mercantilista era errato, e nella maggior parte dei casi le politiche mercantiliste e dirigistiche danneggiarono l'economia. In alcuni casi, però, ebbero un limitato ruolo di stimolo per lo sviluppo economico.

John Forbes Nash John Forbes Nash jr., tra i matematici più brillanti e originali del '900, ha rivoluzionato l'economia con i suoi studi di matematica applicata alla "Teoria dei giochi", vincendo il premio Nobel per l'Economia nel 1994. Ma Nash è anche un geniale e raffinato matematico puro. Ha sempre avuto un'abilità poco comune nell'affrontare i problemi da un'ottica nuova e impensabile per gli altri, trovando soluzioni incredibilmente eleganti a problemi complessi, come quelli legati all’immersione delle varietà algebriche o alle equazioni differenziali paraboliche.

Teoria dei giochi La Teoria dei giochi è la scienza matematica che analizza situazioni di conflitto e ne ricerca soluzioni competitive e cooperative tramite modelli, ovvero uno studio delle decisioni individuali in situazioni in cui vi sono interazioni tra i diversi soggetti, tali per cui le decisioni di un soggetto possono influire sui risultati conseguibili da parte di un rivale, secondo un meccanismo di retroazione. Le applicazioni e le interazioni della teoria sono molteplici: dal campo economico e finanziario a quello strategico-militare, dalla politica alla sociologia, dalla psicologia all'informatica, dalla biologia allo sport, introducendo l'azione del caso, connessa con le possibili scelte che gli individui hanno a disposizione per raggiungere determinati obiettivi, che posso essere: comuni, comuni, ma non identici, differenti, contrastanti. Possono essere presenti anche aspetti aleatori. Nel modello della "Teoria dei Giochi", tutti devono essere a conoscenza delle regole del gioco, ed essere consapevoli delle conseguenze di ogni singola mossa. La mossa, o l'insieme delle mosse, che un individuo intende fare viene chiamata "strategia". In dipendenza dalle strategie adottate da tutti i giocatori (o agenti), ognuno riceve un "pay-off" (letteralmente il "pagamento d'uscita", o meglio la vincita finale) secondo un'adeguata unità di misura, che può essere positivo, negativo o nullo. Un gioco si dice "a somma costante" se per ogni vincita di un giocatore v’è una corrispondente perdita per altri. In particolare, un gioco "a somma zero" fra due giocatori rappresenta la situazione in cui il pagamento viene corrisposto da un giocatore all'altro. La strategia da seguire è strettamente determinata, se ne esiste una che è soddisfacente per tutti i giocatori; altrimenti è necessario calcolare e rendere massima la speranza matematica del giocatore, che si ottiene moltiplicando i compensi possibili (sia positivi sia negativi) per le loro probabilità. Esempio. -Se il giocatore è un commerciante, le sue mosse possono aumentare o diminuire o lasciare invariati i prezzi dei suoi prodotti; le mosse di un acquirente possono cambiare o restare fedeli a un prodotto o a un fornitore; le mosse di un responsabile di logistica militare possono inviare un convoglio lungo un certo percorso, piuttosto che lungo un altro. Ad esempio i convogli possono essere inviati periodicamente, per il 30% dei viaggi su un percorso e per il 70% su un altro; i prezzi dei prodotti possono essere variati in rotazione e così via.

Origini dell’economia La nascita dell‘economia come disciplina autonoma positiva è generalmente datata nella seconda metà del XVIII secolo, anche se le sue origini si possono far risalire molto più indietro nel tempo, fino all‘Etica a Nicomaco e alla Politica di Aristotele. Tra i precursori devono essere annoverati i mercantilisti, che nel corso del XVI e XVII secolo affrontarono in chiave di “politica economica” i problemi della nascita dello stato nazionale. Nel 1758 F. Quesnay pubblicò la versione originaria del Tableau économique, considerato il testo fondamentale della scuola fisiocratica. Nella sua opera, il Quesnay sottolineata l'interdipendenza esistente tra i processi produttivi e l'equilibrio macroeconomico: gli scambi vengono rappresentati come flussi circolari di moneta e merci tra la classe produttiva (i contadini), la classe distributiva (i proprietari terrieri) e la classe sterile (i lavoratori delle manifatture che si limitano a trasformare beni creati dalla classe produttiva).

I CLASSICI Nel 1776 venne pubblicata “La ricerca sopra la natura e le cause della ricchezza delle nazioni” di Adam Smith, considerata tradizionalmente il centro ideale dell'intera storia dell'economia. In essa sono presenti due linee di pensiero strettamente interrelate, che nelle riflessioni successive finirono per disgiungersi: da una parte c'è la riflessione macroeconomica sulla crescita della ricchezza reale, dall'altra la riflessione microeconomica basata sull'equilibrio concorrenziale individualistico. La prima, di derivazione fisiocratica, indica come principale condizione della crescita economica l'instaurarsi di un circolo virtuoso tra divisione del lavoro, crescita della produzione, allargamento dei mercati e conseguente intensificazione della divisione del lavoro. Questo processo è alimentato dall'accumulazione di capitale fisso (macchine, impianti ecc.) e circolante (materie prime e fondo salari). La connessione tra gli input produttivi detenuti dalle classi sociali (capitalisti, lavoratori e proprietari terrieri) e il processo di sviluppo è alla base della teoria della distribuzione tra classi sociali. Infatti quanto maggiore è la quota di prodotto destinata ai profitti, tanto maggiore è il ritmo d'accrescimento della ricchezza della nazione. La seconda linea di pensiero, quella microeconomica, mette al centro del sistema l'interesse personale degli agenti economici. Nel mercato ognuno è libero di perseguire il proprio interesse e solo l'azione della mano invisibile permette il raggiungimento dell'equilibrio concorrenziale per cui la produzione consente di offrire le merci desiderate dai compratori, i metodi produttivi sono quelli più efficienti e le merci vengono vendute al prezzo più basso possibile. È proprio in questo meccanismo l'origine positiva delle concezioni liberiste di politica economica. Contro la visione armonica dei meccanismi dell'economia si espressero T.R. Malthus e D. Ricardo: Il primo sottolinea nel Saggio sul principio di popolazione (1798) che lo squilibrio tra i meccanismi di crescita della popolazione e della produzione non può essere ristabilito se non in seguito a epidemie o a guerre. Il secondo nei Principi dell'economia politica e delle imposte (1817) mette in luce i conflitti distributivi tra rendita, salari e profitti. Nel clima del ripensamento ricardiano si svilupparono le prime riflessioni dei pensatori socialisti (C.H. Saint-Simon, C. Fourier, J.C.L. Sismondi, P.J. Proudhon) che, preso atto della realtà conflittuale del sistema economico, intendevano intervenire in esso. Il filone centrale della disciplina rimase tuttavia ancorato a una visione dell'economia come orologio meccanico. Proprio alla metà dell'Ottocento essa trovò la sua massima espressione nei Principi di economia politica (1848, ed. it. 1983) di J. Stuart Mill che vede la garanzia della meccanicità dell'ordine economico nella tendenza al benessere individuale.

GLI STORICI E MARX Contro questo corpus di lavori, conosciuto con l'espressione economia classica, nella seconda metà dell'Ottocento, si mossero: l'opera della scuola storica K. Marx. La scuola storica, fondata da W.G.F. Roscher, che ebbe tra i suoi rappresentanti B. Hildebrande K. Knies e in seguito G. von Schmoller, sostenne che il sistema economico è un organismo che ha in sé una legge di svolgimento. Il compito della scienza economica è quello di descrivere lo sviluppo dei sistemi economici nella loro individualità storica e ricercarvi il principio unico che li muove. Una simile prospettiva non è estranea alla visione di Karl Marx che costruì un sistema analitico per studiare le leggi di movimento del sistema capitalistico (per esempio la caduta tendenziale del saggio di profitto, l'immiserimento crescente della classe operaia, la teoria delle crisi economiche). L'attenzione di Marx è concentrata sulla sfera della produzione e in particolare sui meccanismi che regolano la produzione del reddito e la sua distribuzione tra salari e profitti. Nello scontro distributivo tra capitalisti e proletari Marx individua il meccanismo economico che a lungo andare provoca la caduta del sistema capitalistico.

I NEOCLASSICI La cosiddetta “rivoluzione marginalista”, che segnò l'inizio del sistema teorico neoclassico e che è tuttora struttura portante della disciplina economica, coincide con la pubblicazione di tre volumi: Economia politica (1871, ed. it. 1883) di S.W. Jevons; i Principi di economia politica (1871, ed. it. 1976) di C. Menger; gli Eléments d'économie politique pure (1874) di M.E.L. Walras. Da questo momento in poi la visione del processo economico si concentrò sul problema dell'allocazione ottimale di risorse scarse tra usi alternativi. Il punto di partenza è la nozione di utilità. Gli anni seguenti videro economisti di diversi paesi impegnati nella costruzione dell'ortodossia neoclassica. In Gran Bretagna la scena fu dominata da A. Marshall i cui Principles of Economics (1890) divennero il testo fondamentale nella formazione accademica dello studioso di economics. A.C. Pigou, allievo di Marshall, è considerato il fondatore dell'economia del benessere. In Austria operarono C. Menger, E. Böhm Bawerk e F. von Wieser. In Francia la scena fu dominata da L. Walras che giunse alla formulazione matematica dell'equilibrio economico generale. In Italia gli esponenti di questo filone furono F. Ferrara, M. Pantaleoni e V. Pareto. Proprio a Pareto è dovuta la riformulazione dell'equilibrio walrasiano nei termini delle sue proprietà ottimali (un'allocazione è massima quando risulta impossibile aumentare una grandezza economica senza farne diminuire un'altra) che è alla base della moderna economia del benessere. Negli Stati Uniti furono attivi J.B. Clark e J. Fisher; qui contemporaneamente si sviluppò la corrente eterodossa dell'istituzionalismo di T. Veblen. La cosiddetta scuola scandinava infine fu dominata dalla figura di K. Wicksell. La grande crisi economica del 1929 mise in dubbio il valore dei risultati raggiunti dal sistema neoclassico e spostò l'attenzione dai problemi microeconomici dell'allocazione statica di risorse a quelli della dinamica macroeconomica.

DA KEYNES ALLA RICERCA CONTEMPORANEA Nel 1936 venne pubblicata la Teoria generale di J.M. Keynes che rappresenta l'attacco più forte al sistema neoclassico. Keynes rovesciò il tradizionale nesso causale per cui la produzione genera la spesa e la domanda, sostenendo che sono le decisioni di spesa per consumi e investimenti che generano la domanda, cui poi si adegua, attraverso meccanismi moltiplicativi, la produzione. Corollario di questa visione è la considerazione interventista dello stato che può favorire, attraverso la spesa pubblica, lo sviluppo dell'intera economia. Sempre nell'ottica di una analisi dinamica del sistema economico si mosse J.A. Schumpeter che sottolineò l'importanza della funzione imprenditoriale nello svolgimento dei meccanismi economici. Il meccanismo della concorrenza impone agli imprenditori di non accettare i vincoli tecnologici e di cercare di realizzare profitti dinamicamente scegliendo strategie innovative di lungo termine. In quegli anni vennero altresì gettate le basi della teoria della crescita (R.F. Harrod e E.D. Domar) e presero piede alcune importanti riflessioni sul ciclo economico (W.C. Mitchell, J.M. Clark, e, in Austria, F. von Hayek). Alle discussioni sul ciclo si legò lo sviluppo dell‘econometria (J. Tinbergen). Gli sviluppi critici della teoria marshalliana condussero all'analisi dei mercati di concorrenza imperfetta e di oligopolio, alle cui origini c'è un saggio di P. Sraffa (1926). La gran parte della riflessione teorica del secondo dopoguerra è legata alla discussione dei problemi di esistenza (dimostrata nel 1954 da K.J. Arrow e G. Debreu) e stabilità dell'equilibrio economico generale. In macroeconomia la Teoria generale di Keynes diede vita, sulla scia di un articolo di J. Hicks del 1937 in cui per la prima volta veniva formulata la celebre curva IS-LM, alla cosiddetta sintesi neoclassica ovvero all'incorporazione di Keynes nell'ortodossia. (Approfondimenti su internet vedi curva IS-LM ) Nel 1944 John von Neumann (che è universalmente noto come il padre dell'omonima architettura dei calcolatori, impiegata nella maggior parte dei computer moderni) e Oskar Morgenster pubblicarono Theory of Games and Economic Behaviour che, rimettendo in gioco la nozione di razionalità propria della tradizione neoclassica, diede origine alla moderna teoria dei giochi (giochi cooperativi a somma zero) applicata all'economia. Un filone di studio di moda negli ultimi anni si basa sulla teoria dei giochi ampliata da John F. Nash (giochi non cooperativi e a somma non zero). Gli sviluppi recentissimi vedono un interesse crescente per l'affinamento della strumentazione analitica, oltre alla ripresa del filone schumpeteriano, articolata attorno al ruolo dell'impresa e dell'innovazione tecnologica nel sistema economico e, infine, alla discussione dei microfondamenti della macroeconomia.