Sociologia economica.

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Sociologia economica

PARADIGMA DELL’ECONOMIA: Azione economica ALLOCAZIONE RAZIONALE DI RISORSE SCARSE PERSEGUIMENTO RAZIONALE DI FINI INDIVIDUALI (ATOMISMO) MOTIVAZIONI UTILITARISTICHE PREFERENZE DATE

Regole MERCATI DI TIPO CONCORRENZIALE MOLTI VENDITORI E COMPRATORI MOBILITA’ DEI FATTORI PIENA INFORMAZIONE CIRCA LE OPPORTUNITA’ OFFERTE DAL MERCATO LO STATO IN FUNZIONE SOLO DI TUTELA DEI CONTRATTI E DELL’ORDINE

Metodo DEDUTTIVO-ANALITICO * SI VALUTANO LE CONSEGUENZE DELL’AZIONE DEGLI ATTORI SOCIALI, PRESUPPONENDO PREFERENZE DATE E REGOLE DI TIPO CONCORRENZIALE * SI MIRA A COSTRUIRE AMPIE GENERALIZZAZIONI RITENENDOLE APPLICABILI A CONTESTI GEOGRAFICAMENTE E STORICAMENTE DIVERSI

Paradigma della Sociologia Azione economica ATTIVITA’ VOLTA ALLA RICERCA DI MEZZI DI SUSSISTENZA MOTIVAZIONI UTILITARISTICHE E NON UTILITARISTICHE L’AZIONE ECONOMICA E’ SEMPRE AZIONE SOCIALE INFLUENZATA DALLE ISTITUZIONI

REGOLE L’AZIONE ECONOMICA RISPONDE AD UNA PLURALITA’ DI PRINCIPI E FORME DI REGOLAZIONE: - MERCATO - ISTITUZIONI SOCIALI FONDATE SU OBBLIGAZIONI SOCIALI E SENSO DI APPARTENENZA (RECIPROCITA’) - ISTITUZIONI POLITICHE BASATE SU SANZIONI DI TIPO AUTORITAIVO (REDISTRIBUZIONE)

METODO DI INDAGINE METODO INDUTTIVO: * INDAGINI STORICO-EMPIRICHE E COMPARATIVE * GENERALIZZAZIONI LIMITATE NELLO SPAZIO E NEL TEMPO

IL MERCATO: L’APPROCCIO ECONOMICO - IL MERCATO SI AFFERMA GRAZIE ALLA SUA EFFICIENZA (CAPACITA’ DI UTILIZZARE AL MEGLIO I FATTORI DI PRODUZIONE E DI SODDISFARE I BISOGNI DEGLI INDIVIDUI). - L’EFFICIENZA PRODUCE LEGITTIMAZIONE

Ma : Carenza di trasparenza Scarsa affidabilità tendenze a limitare la concorrenza disuguaglianze limiti alla libertà di competere scarsa propensione alla produzione di beni pubblici

da qui la tendenza alla: limitazione all’efficienza carenza di legittimazione Quindi: Il mercato con il suo funzionamento crea le condizioni per la sua legittimazione ma anche per la sua delegittimazione

IL MERCATO COME COSTRUZIONE SOCIALE * La legittimazione è requisito essenziale per l’affermarsi del mercato. Essa scaturisce da: misure politiche che favoriscono l’accumulazione del capitale e la sua circolazione culture che alimentano e legittimano l’orientamento alla competizione e al profitto

La legittimazione del mercato Il mercato va legittimato con vincoli che lo condizionano favorevolmente politiche che generano fiducia con rapporti interpersonali (istituzioni comunitarie) politiche che generano fiducia in modo impersonale (stato) Con misure di riequilibrio Con politiche che alimentano l’imprenditorialità e l’efficienza

IL CONSUMO TEORIA NEO-CLASSICA SODDISFAZIONE DEI BISOGNI ORDINATA SECONDO UNA GERARCHIA BASATA SU PREFERENZE DATE: IL CONSUMATORE BEN INFORMATO E RAZIONALE COMPRERA’ FINCHE’ IL PREZZO NON EGUAGLIA LA SUA LA SUA UTILITA’ MARGINALE

APPROCCIO SOCIOLOGICO FA RIFERIMENTO AI CARATTERI CONCRETI CHE VIENE AD ASSUMERE IL COMPORTAMENTO DEI CONSUMATORI SCARSA TRASPARENZA DEL MERCATO/ INFORMAZIONE PILOTATA DALLA PUBBLICITA’ FATTORI SOCIO-CULTURALI INFLUENZANO LE PREFERENZE E IL MODO DI PERSEGUIRLE

I BENI NON HANNO UTILITA’ PER I SINGOLI SOGGETTI MA SONO DESIDERATI E CONSUMATI A SECONDA DEL LORO VALORE SIMBOLICO (SIMMEL). ATTRAVERSO IL CONSUMO DI BENI GLI INDIVIDUI SODDISFANO IN REALTA’ ILORO BISOGNI DI: APPARTENENZA DISTINZIONE

EROSIONE DELLE ISTITUZIONI TRADIZIONALI DI APPARTENENZA CHE FORNIVANO IDENTITA’ AI SINGOLI E SERVIVANO AD INTEGRARLI NELLA SOCIETA’ IL POSTO DEGLI INDIVIDUI DIVENTA PIU’ INCERTO, MENO LEGATO A FORME DI RICONOSCIMENTO CONSOLIDATE

IL CONSUMO DIVENTA UN MODO PER FARSI RICONOSCERE, PER ACQUISIRE IDENTITA’ E PRESTIGIO WEBER: STILE DI CONSUMO COME INDICATORE DI STATUS VEBLEN: CONSUMO VISTOSO COME COMPETIZIONE PER LO STAUS SOCIALE I BENI VISTOSI SONO DESIDERATI PER LA LORO CAPACITA’ DI COMPETIZIONE E CIO’ GENERA SPRECO DI RISORSE PRODUTTIVE

Dopo Smith Da una parte, l’analisi economica si consolida, dando luogo alla svolta economicista Dall’altra, una valutazione più pessimistica sulla possibilità di crescita della ricchezza e di diffusione del benessere si contrappone all’ottimismo di Smith (la scienza triste: Malthus e Ricardo)

Contro tali tendenze si dirigeranno le critiche dello storicismo tedesco e del marxismo, tese a contrastare il tentativo di separare radicalmente economia e società, un orientamento che prevale nell’economia neoclassica

Nell’ambito del pensiero economico si può individuare un filone istituzionalista (che guarda alla influenza di norme e valori sul comportamento umano) che va da Adamo Smith a Marshall (1842-1924) Marshall infatti: Intende studiare equilibri parziali e non l’equilibrio economico generale Si interroga sull’emergere dei bisogni sociali considerandoli effetto e causa delle attività economiche Lega la dinamica della domanda, dell’offerta di lavoro e degli investimenti al diffondersi di culture che li sostengano

Modo di pensare sociologico XVIII-XIX secolo Il comportamento individuale e le strutture stabili a cui esso dà luogo non sono spiegabili con riferimenti religiosi o politici, né con automatismi economici, ma con riferimenti sociali, cioè con norme di comportamento che derivano dall’azione umana, ma che a loro volta tendono ad influenzarla.

Spencer e Comte La sociologia come disciplina che intende studiare l’agire sociale applicando il metodo delle scienze naturali Doppia tendenza: Studio empirico della società Pretesa di individuare leggi generali di spiegazione dell’agire sociale

L’azione sociale è influenzata dalle esigenze funzionali della società (principio di sopravvivenza del più adatto) La società viene paragonata ad un organismo costituito da parti interdipendenti

Lo storicismo tedesco Necessità di studiare empiricamente i fenomeni sociali Influenza dell’idealismo nell’ipotizzare il ruolo dei valori dello spirito nella spiegazione dell’evoluzione storica

Karl Marx (1818-1883) Matrici del pensiero marxiano: Economia classica (funzionamento del mercato, teoria del valore lavoro) Storicismo (storicizzazione dell’analisi dei fenomeni economici) Idealismo (la storia è un continuo divenire per fasi diverse) Formulare una teoria generale dello sviluppo storico che possa fondare scientificamente l’azione politica

Ribalta la concezione dell’idealismo dei rapporti tra aspetti culturali ed economici: il vero motore dello sviluppo è l’economia In polemica con l’economia classica sostiene che il capitalismo è un modo di produzione che si afferma in una determinata fase storica e ha in sé contraddizioni tali per cui è destinata a non durare.

Visione non armonica, ma dialettica Visione non armonica, ma dialettica. (Smith: capitalismo = ricchezza sociale, cooperazione e integrazione. Ricardo e Malthus: vincoli naturali, crescita della popolazione e scarsa disponibilità di terra, tengono la classe operaia a livello di sussistenza) L’economia classica non considerava che il capitalismo si sviluppa in un contesto istituzionale caratterizzato dall’appropriazione privata dei mezzi di produzione e dal lavoro salariato che prima non esistevano e quindi non necessariamente esisteranno in futuro

Per Marx non è possibile studiare l’economia senza studiare le istituzioni che la regolano, poiché la produzione è sempre un processo sociale e non solo economico. I rapporti sociali di produzione costituiscono l’elemento essenziale da cui partire per indagare ogni forma di società. Essi fondano le divisioni in classi, vale a dire il modo con cui le diverse classi partecipano alla produzione

I rapporti di proprietà sono la forma giuridica dei rapporti di produzione. La distribuzione del prodotto e quindi le disuguaglianze sociali sono condizionate dalla posizione di classe

La società non è mai statica, ma è una successione di modi di produzione diversi. Il motore del cambiamento è dato dalla contraddizione tra forze produttive e rapporti sociali di produzione. Ogni modo di produzione porta in sé i germi del cambiamento perché genera conflitti, disuguaglianze: “la storia è storia di lotte di classe” Tali lotte non sono il frutto di idee (come nello schema hegeliano)ma scaturiscono dal processo materiale di produzione.

Il capitalismo è spinto in avanti da un’accanita concorrenza fra imprese che favorisce un processo accelerato di miglioramento delle basi della produttività attraverso l’applicazione di una tecnologia superiore ai mezzi di produzione. Questo processo è anche un mezzo per sfruttare più a fondo la classe operaia mediante una maggiore accumulazione di plusvalore

Teoria del valore-lavoro Il lavoro è una merce particolare. Nel momento in cui è utilizzata crea un valore aggiuntivo rispetto a quello necessario ad acquistarla. Il tempo di lavoro è più alto di quello necessario per produrre un lavoro corrispondente. Il capitale variabile (i salari anticipati) crea plusvalore Il capitale costante (impianti e materie prime) non creano plusvalore

Contraddizioni del capitalismo Demone della concorrenza Concentrazione del capitale Sovrapproduzione Caduta tendenziale del saggio di profitto crisi cicliche Aumento dello sfruttamento Alienazione (separazione dal frutto del lavoro ma anche riduzione ad appendice della macchiana)

Contraddizione principale Contraddizione tra una produzione sempre più sociale e un’appropriazione privata La consapevolezza dello sfruttamento porterà alla radicalizzazione del conflitto (anche condivisione delle contizioni materiali di vita e di lavoro)

Il conflitto di classe Classe in sé e classe per sé (ruolo delle avanguardie) Agire collettivo diverso dall’ agire individuale L’essere sociale fa la coscienza, ma questa non scaturisce meccanicamente dalla divisione in classi

Il capitalismo genera una polarizzazione crescente tra classi, un conflitto crescente , quindi il superamento delle vecchie forme di organizzazione economica.

Rapporto tra economia e società Due concetti chiave Forze produttive/rapporti sociali di produzione Forze produttive: macchine, lavoro, conoscenze tecniche Rapporti sociali di produzione: diritti di proprietà, autorità, rapporti di classe struttura

2) struttura/sovrastruttura sovrastruttura: istituzioni giuridiche, politiche, culturali La struttura condiziona la sovrastruttura Il motore del cambiamento sociale è dato dalla contraddizione tra forze produttive e rapporti sociali di produzione

  Il capitalismo ha lacerato spietatamente tutti i variopinti vincoli feudali che legavano l'uomo al suo superiore naturale, e non ha lasciato fra uomo e uomo altro vincolo che il nudo interesse, il freddo pagamento in contanti. Ha affogato nell'acqua gelida del calcolo egoistico i sacri brividi dell'esaltazione devota, dell'entusiasmo cavalleresco, della malinconia filistea. Ha disciolto la dignità personale nel valore di scambio e al posto delle innumerevoli libertà patentate e onestamente conquistate, ha messo, unica, la libertà di commercio priva di scrupoli...ha messo lo sfruttamento aperto, spudorato, diretto e arido al posto dello sfruttamento mascherato d'illusioni religiose e politiche [...] ha spogliato della loro aureola tutte le attività che fino allora erano venerate e considerate con pio timore. Ha tramutato il medico, il giurista, il prete, il poeta, l'uomo della scienza, in salariati ai suoi stipendi. »

  La storia di ogni società esistita fino a questo momento, è storia di lotte di classi. Liberi e schiavi, patrizi e plebei, baroni e servi della gleba, membri delle corporazioni e garzoni, in breve, oppressori e oppressi, furono continuamente in reciproco contrasto, e condussero una lotta ininterrotta, ora latente ora aperta; lotta che ogni volta è finita o con una trasformazione rivoluzionaria di tutta la società o con la comune rovina delle classi in lotta. Nelle epoche passate della storia troviamo quasi dappertutto una completa articolazione della società in differenti ordini, una molteplice graduazione delle posizioni sociali. In Roma antica abbiamo patrizi, cavalieri, plebei, schiavi; nel Medioevo signori feudali, vassalli, membri delle corporazioni, garzoni, servi della gleba, e, per di più, anche particolari graduazioni in quasi ognuna di queste classi [...] La società civile moderna, sorta dal tramonto della società feudale, non ha eliminato gli antagonismi fra le classi. Essa ha soltanto sostituito alle antiche, nuove classi, nuove condizioni di oppressione, nuove forme di lotta. »

« The philosophers have only interpreted the world in various ways « The philosophers have only interpreted the world in various ways. The point, however, is to change it. »

Critiche al pensiero marxiano Plusvalore Ruolo della tecnologia Ruolo dello stato Teoria della famiglia Polarizzazione tra classi Evoluzionismo Compresenza tra formazioni economico-sociali diverse

La sociologia Con Sombart e Weber acquista un suo statuto teorico e metodologico L’uomo è un essere libero e consapevole che forgia le istituzioni sociali e le modifica . Queste, quindi, non sono analizzabili come leggi generali La possibilità di capire si basa non su spiegazioni causali, ma sulla possibilità di comprendere un determinato contesto storico con la motivazione all’azione dei soggetti

Necessità di generalizzazioni per comprendere: le motivazioni dei soggetti Regolarità dei comportamenti Approccio non nomotetico (formulazione di leggi) Approccio idiografico che ipotizza la spiegazione di fenomeni storici particolari Es. il complesso di condizioni culturali e istituzionali legati alle origini del capitalismo occidentale

Come è possibile studiare i fenomeni sociali nella loro individualità storica? Che si faccia riferimento alle motivazioni dei soggetti agenti (a differenza dei fenomeni naturali queste sono mutevoli) Che si studino le uniformità di comportamento derivanti da motivazioni simili (infatti è possibile individuare delle uniformità di motivazioni e comportamenti)

Comprensione e causalità La comprensione non è alternativa rispetto alla spiegazione causale e alla verifica empirica, ma anzi deve essere coniugata con esse Ogni conoscenza implica sempre un punto di vista che permette di selezionare i fenomeni e metterli in ordine tra loro (relazione ai valori, che permette di formulare ipotesi e rapporti causali), ma è la verifica empirica che garantisce dall’interno la validità intersoggettiva della spiegazione

La sociologia comprendente La sociologia comprendente mira a ricostruire il senso soggettivo, cioè le motivazioni che spingono gli attori a comportarsi in un certo modo sulla base di aspettative condivise relative al comportamento altrui

Il ruolo della teoria Gli schemi teorici nascono dalle conoscenze storico-empiriche, ma contribuiscono ad orientarle in una interazione comune. Essa studia i tipi di agire sociale, vale a dire le regolarità di comportamento socialmente determinate, prodotte dal fatto che l’azione individuale tiene conto del comportamento di altri individui con cui si interagisce e delle loro reazioni

L’agire si concretizza in relazioni sociali più o meno prevedibili L’agire si concretizza in relazioni sociali più o meno prevedibili. Esse possono essere fondate su: Usi (moda) e costumi (consuetudini) Interessi (rapporti di mercato) Convenzioni (es. rapporti familiari) Ordinamenti giuridici Le relazioni possono essere: consensuali (appartenenza) Associative (identità di interessi) Conflittuali (concorrenza, conflitto politico)

In concreto spesso ci si trova davanti a motivazioni diverse Tipi di motivazioni Razionale rispetto allo scopo (massimizzazione dell’utile) Razionale rispetto al valore (credenze, principi etici) Affettive (legami familiari) Trdizionali (adesione ad abitudini acquisite) In concreto spesso ci si trova davanti a motivazioni diverse

Tipi ideali Sono desunti dalla realtà empirica, ma non vi corrispondono, sono costruzioni analitiche che servono al ricercatore per mettere in evidenza uniformità e nessi causali: Tipi astratti, relativi alle determinanti dell’azione sociale Tipi volti alla ricostruzione di fenomeni storici (capitalismo, feudalesimo) Tipi specifici (chiesa, stato, famiglia, ecc)

Max Weber (1864-1920) Interesse fondamentale: guardare al complesso di condizioni culturali e istituzionali legati alle origini del capitalismo occidentale (osservazione delle differenze di sviluppo tra Germania dell’Ovest e del sud e quella dell’est) L’interesse per le motivazioni degli attori è l’apporto metodologico fondamentale in polemica con lo storicismo, con la sociologia positivista e con Marx

Due posizioni Per vedere le differenze di sviluppo occorre vedere le differenze di risorse naturali o di capitale disponibile, trattando come scontata e invariante l’attitudine imprenditoriale ovvero la capacità dei soggetti di combinare le risorse L’attività imprenditoriale non è considerata una costante, ma una variabile che dipende dal contesto istituzionale in cui i soggetti sono inseriti

Come si formano gli orientamenti culturali favorevoli alla crescita imprenditoriale? - Influenza della religione protestante e della diffusione di un’etica economica che alimenta lo spirito del capitalismo (Etica protestante e lo spirito del capitalismo 1904-05) - Ruolo delle città e dei gruppi sociali in essa presenti (Storia economica)

Lo spirito del capitalismo non si identifica con l’impulso acquisitivo È diverso dall’orientamento economico tradizionalistico in cui: Il profitto non è eticamente giustificato L’acquisitività si manifesta nel commercio, nella guerra, nel capitalismo predatorio o d’avventura, ma non nella produzione L’orientamento può perdurare anche i periodo capitalistico

Lo spirito del capitalismo La ricerca del profitto non solo giustificata, ma eticamente fondata (il lavoro come professione, condanna del godimento spensierato, orientamento al reinvestimento) Penetrazione progressiva della ricerca del profitto, basata sul calcolo razionale del rendimento del capitale nella sfera della produzione

Il nuovo imprenditore qualità etiche Qualità personali Orientamento all’innovazione

Come si è formato questo spirito? Conseguenza inintenzionale dell’etica economica del protestantesimo, soprattutto nella sua variante calvinista La predestinazione e la negazione di valore ai mezzi sacramentali genera disincantamento, solitudine, individualismo nella ricerca della salvezza

La ricerca del profitto come dovere etico La formazione del capitale attraverso la costrizione ascetica al risparmio Il consolidamento dello spirito del capitalismo funge da stimolo all’utilitarismo, all’individualismo di mercato (ma può contraddire l’ideale ascetico del lavoro)

Le cause dello sviluppo del capitalismo Lo spirito del capitalismo condizione necessaria ma non sufficiente Infatti il capitalismo moderno è una forma di organizzazione economica che consente il soddisfacimento dei bisogni attraverso imprese private che producono beni per il mercato sulla base di un calcolo di redditività del capitale da investire

Presupposti del capitalismo moderno Libertà di mercato (riguardo al consumo e ai fattori di produzione) L’esistenza di una forza lavoro libera Disponibilità di una tecnologia meccanica che consente il calcolo dei costi Collegamento più razionale tra risparmio e investimento (azioni, titoli di credito) Ordinamento giuridico che renda prevedibili i rapporti tra privati e tra questi e la PA

Perché i caratteri del capitalismo moderno si sono affermati in occidente? Fattori complementari (non specifici). Le vicende belliche le conquiste coloniali, l’afflusso di metalli preziosi la domanda di beni di lusso delle corti le condizioni geografiche favorevoli

Fattori essenziali e specifici dell’occidente l’etica economica di origine religiosa La città occidentale Lo stato razionale La scienza razionale

L’etica economica di origine religiosa Demagizzazione (separazione del mondo naturale dal mondo soprannaturale, riduzione dell’influenza della magia) Religioni universali (tendono al monopolio del rapporto della divinità, vale a dire pretesa di validità e solidarietà ampia, superamento del dualismo etico)

Le religioni profetiche sono di due tipi Esemplari Etiche Il calvinismo. Ascesi intramondana per realizzare i precetti religiosi

La città occidentale nel medioevo la città diventa comunità politica autonoma che doveva trovare i mezzi di sussistenza Status giuridico libero dei cittadini Difesa militare con coinvolgimento di tutti Nascita dei mercanti imprenditori

Lo stato razionale Il diritto razionale si afferma solo in Occidente dove lo stato svolge due funzioni (stato razionale e non patrimoniale) Si fonda su un ordinamento giuridico che regola le modalità di accesso al potere politico e al suo esercizio Si avvale di un corpo di funzionari specializzati e regolati da leggi di reclutamento Avoca a sé il monopolio della violenza

Rischi per il capitalismo Pericolo di capitalismo politico tradizionale Controllo burocratico sulla società

La scienza razionale Orientamento a studiare la realtà con metodo scientifico (verificabilità, generalizzazione, presupposti teorici, metodo conseguente, obiettivi)

Durkheim (1858-1917) Influenza del positivismo Porre le basi di una scienza della morale Il problema dell’ordine sociale La scienza positiva della morale in Germania (1887) La divisione sociale del lavoro (1893) Le regole del metodo sociologico (1895)

CRITICA DELL’INDIVIDUALISMO UTILITARISTICO il comportamento degli individui è influenzato da regole e norme morali che mutano nel tempo, ma che rispondono a delle leggi (il suo obiettivo, influenzato dal positivismo, è costruire una scienza della morale). Le istituzioni non sono il frutto di un accordo tra individui guidati dall’interesse individuale, ma hanno una natura non contrattuale, sono esse che influenzano il comportamento utilitaristico degli individui.

Anche una società basata su un’elevata differenziazione sociale non può prescindere da regole morali condivise l’individualismo utilitaristico non è un a priori, ma un prodotto della divisione del lavoro

la divisione del lavoro non si sviluppa per cause individuali e psicologiche, ma per ragioni riconducibili all’influenza dell’ambiente sociale (crescita della popolazione, degli scambi, della quantità e qualità dei rapporti sociali). E’ dovuta alla pressione della società sugli individui.

La società capitalistica è caratterizzata da regole meno rigide e più snelle che lasciano più libertà agli individui, ma presuppone sempre l’esistenza di una solidarietà (organica e non più meccanica). Il diritto da repressivo diventa restituivo.

L’efficacia dei contratti dipende sia dalle norme giuridiche, sia dai costumi e dalle norme morali. Per l’ordine sociale occorre mettere un freno all’interesse individuale la felicità non è data dal perseguimento individualistico del proprio utile, ma dall’equilibrio tra bisogni e mezzi per soddisfarli

CHE COSA SONO LE ISTITUZIONI frutto dell’interazione degli individui per rispondere a determinati problemi della vita collettiva il precipitato di ideali che si formano in momenti di particolare effervescenza storica che inducono gli uomini a superare gli interessi individuali e a sviluppare un’identità collettiva

Le istituzioni una volta affermatesi assumono autonomia e carattere costrittivo rendono possibile il perseguimento dei propri interessi perché aiutano a definirli e a percepirli e a limitare i conflitti

La divisione del lavoro crea tensioni e conflitti in due modi: IL PROBLEMA DELL’ORDINE SOCIALE E DELLE CONSEGUENZE NEGATIVE DEL CAPITALISMO La divisione del lavoro crea tensioni e conflitti in due modi: quando tende a crescere più rapidamente rispetto alle regole istituzionali (anomia o carenza di norme) quando le regole sono inadeguate rispetto ai problemi (divisione coercitiva)

ANOMIA Due manifestazioni: 1) crisi economiche: sfasamento tra produzione e consumo, tra domanda e offerta. Il mercato tende molto faticosamente all’equilibrio. 2) Rapporti capitale-lavoro (mancanza di normazione giuridica del rapporto di lavoro) assenza di tutela dei lavoratori alienazione dovuta alla parcellizzazione dei compiti.

Tutto ciò entra in contrasto con gli ideali di autorealizzazione e acquisitività che sono alla base della coscienza collettiva della società moderna e produce conflitti

LA DIVISIONE COERCITIVA INADEGUATEZZA DELLE REGOLE a) rispetto all’assegnazione degli individui ai compiti specializzati b) rispetto all’attribuzione delle ricompense per tali compiti

l’assegnazione degli individui ai compiti specializzati la società differenziata legittima le aspirazioni al perfezionamento e alla realizzazione individuale, prescrive che ognuno sia assegnato alla funzione che egli può adempiere al meglio. Ma esistono norme scritte e non scritte che limitano la piena attuazione di questi principi, assegnando un ruolo preminente a condizioni ascrittive (razza, sesso, diritto ereditario) Occorre rimuovere le regole che limitano la libera competizione degli individui partendo da una base di parità (problema competizione ed equità)

l’attribuzione delle ricompense per tali compiti Le ricompense per i compiti svolti dovrebbero dipendere dall’utilità sociale della funzione svolta In realtà anche quando gli scambi assumono la forma di contratti liberamente scelti possono nascondere asimmetrie di potere Necessità di determinare le funzioni morali dello scambio, di introdurre un’equità nei rapporti sociali

CRISI DEL CAPITALISMO, CORPORAZIONI E SOCIALISMO Obiettivo: limitare il ruolo del mercato intervenire a ristabilire condizioni di equità accrescere l’adesione degli individui ad una società fondata sul merito

Passaggio dal capitalismo concorrenziale al capitalismo regolato dagli interessi organizzati le corporazioni come gruppi intermedi (lavoratori e datori di lavoro) ma a carattere obbligatorio, nazionale, affiancate da tribunali congiunti, con l’obiettivo di stimolare la formazione di legami morali e promuovere l’equità. Funzioni complesse: economiche, assistenziali, formative, ricreative Implicazioni autoritarie: divaricazione dal corporativismo autoritario e corporativismo societario

Joseph Shumpeter 1883-1950 Metodologicamente si sottrae alla critica radicale dell’economia neoclassica poiché sostiene che occorre distinguere tra teoria economica, storia economica e sociologia economica. Ciascuna di queste prospettive ha una sua legittimità L’economista, tuttavia non può precindere dalla conoscenza delle altre discipline, compresa la statistica

L’analisi economica tratta dei problemi relativi a come si comportano le persono in un certo tempo e quali effetti economici producono La sociologia economica studia come le persone giungono a comportarsi in un certo modo

La Teoria dello sviluppo economico (1912) La prospettiva economica tradizionale non è in grado di spiegare la discontinuità, la rivoluzione produttiva Non si tratta di combinare al meglio le risorse, ma di combinarle in modo diverso

La crescita è un fenomeno graduale, fatto di continui aggiustamenti Lo sviluppo implica discontinuità, non una graduale evoluzione

La novità può riguardare: Creazione di nuovi prodotti Nuovi modi di produzione Apertura di mercati Scoperta di nuove fonti di approvvigionamento Riorganizzazione industriale (es. monopolio)

L’imprenditore Realizza un’innovazione in una o più dimensioni Occorre distinguer tra attività di gestione o management e attività innovative

L’imprenditore può quindi essere Il classico uomo di affari o il manager Non è necesario che abbia con l’impresa un rapporto continuativo Non appartiene ad una specifica classe sociale e può non disporre di capitali propri

L’imprenditore innovatore deve possedere qualità speciali che non sono diffuse tra tutti i membri della società e non sono riconducibili al mero calcolo razionale, ma a caratteristiche psicologiche e personologiche, che tuttavia si sviluppano in ambiente sociale favorevole: Intuizione Chiarezza di visione Competenza determinazione

Ostacoli all’innovazione Carenza di informazioni Condizioni di incertezza per la novità non sperimentata Resistenze interiori al soggetto Resistenze dell’ambiente sociale (impedimenti giuridici e politici, disapprovazione sociale, difficoltà a trovare cooperazione, difficoltà di convincere i consumatori)

Tipi di imprenditore e fasi storiche quattro tipi di imprenditore Fase iniziale (economia di mercato concorrenziale): padrone di fabbrica che assomma compiti amministrativi, tecnici e burocratici insieme Fase più evoluta (separazione proprietà e gestione) Capitano di industria che controlla il capitale azionario Manager di formazione tecnica, innovatore di professione Imprenditore puro, fondatore di imprese con cui intrattiene rapporti temporanei

Capitalismo, socialismo e democrazia (1942) Dal punto di vista economico il capitalismo potrebbe sopravvivere, sono i cambiamenti culturali e istituzionali che generano il declino del capitalismo La crisi del ’29 non fu una crisi di stampo tipicamente “liberale”, ma fu aggravata dall’adozione di misure vincolistiche Crisi agraria, per sfasamento tra aumento della produttività e le politiche doganali Deflazione per politiche monetarie e ripristino del sistema aureo Pagamenti di guerra Livello troppo alto dei salari

Le politiche di pressione fiscale e di protezione del lavoro frenano gli investimenti e l’occupazione e sono un rimedio peggiore del male In realtà il capitalismo genera nel suo sviluppo un’atmosfera ostile e, quindi, la crisi ha cause culturali e sociali

Tre ambiti di crisi indebolimento della borghesia Cambiamenti relativi alla stratificazione sociale Politiche anticapitalistiche

Indebolimento della borghesia: Indebolimento della funzione imprenditoriale (burocratizzazione, spersonalizzazione, automatismi nell’innovazione) Prevalenza di rentier, amministratori di possessi ereditati Indebolimento della famiglia borghese (calo della fecondità, dell’acquisitività, della progettualità)

Cambiamenti relativi alla stratificazione sociale e ai rapporti con la politica l’aristocrazia era sopravvissuta alla distruzione del feudalesimo, assumendo un ruolo essenziale di sostegno alla borghesia. La sua erosione sottrae alla borghesia una risorsa di legittimazione La concentrazione della struttura produttiva provoca la crisi della piccola imprenditoria agricola, industriale e commerciale, che erano i principali alleati della borghesia La crescita dei manager e degli amministratori amplia lo strato di chi non ha diretti interessi nell’impresa

Crescono i gruppi interessati a fomentare e organizzare il risentimento nei confronti della borghesia, vale a dire gli intellettuali critici del capitalismo (giornalisti, professionisti, leaders politici), che costruiscono il loro status sul ruolo di outsiders Discrasia tra crescita dei livelli di istruzione e le aspettative sociali e le concrete chances di reddito e occupazione. Opportunità di voice data dalla libertà di espressione.

politiche anticapitalistiche: misure legislative e amministrative che estendono il ruolo dello stato e della contrattazione collettiva Politiche a sostegno della domanda Strumenti regolativi per le imprese (antitrust) Legislazione assistenziale sul lavoro crisi del capitalismo del laissez faire avvento del socialismo e non del riformismo laburista

Karl Polanyi (1886-1964) La grande trasformazione Traffici e mercati negli antichi imperi Economie primitive, arcaiche e moderne La sussustenza dell’uomo

L’economia come processo istituzionalizzato L’economia dell’uomo è di regola sommersa nei suoi rapporti sociali Non esiste l’economia, ma tipi di economie e sistemi economici, che fanno riferimento ai diversi modi in cui il processo economico è stato istituzionalizzato L’uomo per sopravvivere dipende dall’interazione istituzionalizzata fra se stesso e il suo ambiente naturale (significato sostanziale di economia), che può assumere forme diverse (forme di integrazione)

Le forme di integrazione dell’economia modalità di organizzazione delle attività economiche e rapporti con le altre sfere della vita sociale Reciprocità produzione e scambio di beni sulla base di aspettative di ricevere altri beni e servizi secondo modalità e tempi fissati da norme sociali condivise simmetria prevalenza istituzioni familiari e comunitarie, motivazioni non utilitaristiche società primitive, famiglia, comunità

Redistribuzione (grandi imperi dell’antichità, feudalesimo, welfare state) Produzione e distribuzione sulla base di principi autoritativi Asimmetria Rilevanza istituzioni politiche Scambio di mercato (società di mercato autoregolato XIX secolo) Proprietà privata dei mezzi di produzione Lavoro salariato Commercializzazione di tutti i fattori produttivi L’economia si svincola dalla società

Creazione di un mercato della terra Creazione di un mercato del lavoro Come nasce la società di mercato autoregolato tutta la produzione è in vendita e tutti i redditi derivano da queste vendite l’invenzione e realizzazione di macchinari complessi e costosi che hanno bisogno di molti input e mercati ampi L’emergere della figura dell’imprenditore capitalista (dai vecchi mercanti) Creazione di un mercato della terra Creazione di un mercato del lavoro Creazione di un mercato della moneta Rilevanza degli interventi politici

Le conseguenze sociali del mercato autoregolato terra, moneta e lavoro sono merci fittizie La mercificazione del lavoro porta alla distruzione delle forme di protezione tradizionale e alla miseria moderna La mercificazione della terra porta alla distruzione della società rurale e dell’ambiente (concorrenza internazionale) La mercificazione della moneta porta a crisi di liquidità interna e deflazione

L’autodifesa della società (il doppio movimento) Conflitti di lavoro, leggi protettive del lavoro Protezionismo agrario (tariffe doganali, sostegno all’agricoltura) Sistemi di controllo del credito (banche centrali)

I vincoli al mercato Riduzione della flessibilità del lavoro Restringimento del commercio internazionale Politiche coloniali Indebitamento crisi economiche e politiche

Soluzioni possibili non contraddittorietà tra mercato e forme di programmazione economica Combattere contro le “cattive libertà” (sfruttamento,mercificazione dell’ambiente) Difendere le “buone libertà” (libertà civili, libertà di lavoro) socialismo riformista

LA FINE DEL CAPITALISMO LIBERALE Cause: Lo sviluppo dei mercati genera conflitti per il controllo delle materie prime e dei mercati di sbocco e stimola i governi a intervenire con misure protezionistiche o con interventi armati La difficoltà per i paesi late comers di competere con i paesi di prima industrializzazione rende cruciale l’intervento dello stato (finanziamenti, misure doganali, commesse pubbliche)

La mercificazione della forza lavoro produce condizioni di lavoro e di vita inique e stimola l’organizzazione dei lavoratori e la rivendicazione di una limitazione allo sfruttamento della classe operaia attraverso misure legislative e il riconoscimento delle rappresentanze sindacali Da parte imprenditoriale si affermano tendenze al controllo dei mercati di sbocco e di approvvigionamento (influenze sui governi, accordi e monopoli) e tendenze a tenere alto il livello dei prezzi, limitando la concorrenza (monopoli o differenziazione dei prodotti)

Il capitalismo regolato Organizzazione dell’impresa (impresa fordista) Politiche macroeconomiche

La rivoluzione keynesiana John Maynard Keynes 1883-1946 Figlio d’arte (il padre era un’economista, la madre una scrittrice), cominciò giovanissimo a scrivere e a ricoprire incarichi pubblici. Consulente finanziario del governo e di molte aziende, incaricato del ruolo di amministratore da importanti compagnie d’assicurazione, consigliere della Banca d'Inghilterra, capo della delegazione inglese a Bretton Woods, negoziatore dell'accordo finanziario tra la Gran Bretagna e gli USA nel 1945, da molti considerato il più grande economista del 20° secolo, poiché ha influenzato, direttamente ed indirettamente, con le idee, le proposte, le opinioni, sia le scienze economiche che quelle politiche. Allievo anche di Marshall, importante membro del circolo letterario Bloomsbury Group, circolo di Lytton Strachey, Virginia Woolf e Bertrand Russell, brillante speculatore e polemista.

Opere Valuta e Finanza Indiana nel 1913, Trattato sulla Probabilità, 1921 Trattato sulla moneta, 1930 Teoria generale dell'occupazione, interesse, moneta (1936).

L'impatto delle teorie keynesiane sulle scienze economiche fu di enormi proporzioni: esse rappresentano i pilastri e le fondamenta della moderna macroeconomia, cioé di quell'area dell'economia che studia problemi aggregati, ossia derivati dalla somma totale delle azioni nei diversi mercati.

Opera fondamentale è Teoria generale dell'occupazione, interesse, moneta, pubblicata originariamente nel 1936. Analizzando il rapporto tra i risparmi e gli investimenti, l'opera keynesiana ripropone lo schema teorico-economico liberista neoclassico, ma capovolgendone la prospettiva rispetto alle fondamentali variabili della domanda e dell'offerta

Si nega l'esistenza di un meccanismo spontaneo per la piena utilizzazione delle risorse produttive e il riassorbimento della disoccupazione, meccanismo che può essere sintetizzato dalla famosa immagine ipotizzata da Adam Smith della "mano invisibile"che pone in equilibrio i mercati.

Keynes sostenne infatti la necessità, per superare le depressioni economiche e mantenere alti i livelli di occupazione, di un controllo sui tassi di interesse bancari e sugli investimenti privati, di una forte tassazione di tipo progressivo, oltre che di una politica di investimenti pubblici, come politica riequilibratrice della distribuzione dei redditi e apportatrice di una maggiore propensione al consumo.

La propensione al consumo è la percentuale del proprio reddito che un consumatore è disposto ad utilizzare per i consumi, all'aumentare della quale corrisponde un aumento della ricchezza: la maggiore domanda di consumi genera, infatti, una maggiore produzione di beni e servizi e, in conseguenza, un aumento ipotizzabile di ricchezza.

Keynes attaccò la mera esistenza del sistema capitalistico come sicurezza implicita di equilibrio dei mercati: degli anni trenta, periodo di crisi economica fortissima, di disoccupazione e produzione a bassi livelli, egli considerò la sottoutilizzazione delle risorse produttive come fattore determinante del collasso economico.

Il ragionamento di Keynes avvicinava causalmente lo scarso livello produttivo di beni e servizi alla mancanza della necessaria domanda degli stessi. Vi era il problema chiaro di aumentare la domanda di beni e servizi, affinché il sistema economico riuscisse a produrre quanto era potenzialmente possibile. Quindi era necessario stimolare la domanda, incrementandola attraverso un adeguato programma di investimenti pubblici.

Keynes si trovò a doversi confrontare non soltanto con una teoria che riteneva sbagliata, ma con l'intero corpo delle convenzioni etiche che su quella teoria erano state edificate e che predicavano le virtù del risparmio, anzi, della "astinenza”, della libera iniziativa e, naturalmente, della moderazione salariale. Il problema non era solo di una teoria contraddetta dall’osservazioine empirica, ma di convinzioni morali: ai tempi di Keynes gli economisti ortodossi additavano a causa della disoccupazione i salari a loro dire ancora "troppo elevati", nonostante ogni ulteriore diminuzione di essi si traducesse in ulteriori cadute della domanda, del reddito e dell'occupazione stessa.

In effetti, più ancora che come il secolo dell'industrializzazione, l'Ottocento appariva anche a Keynes fondato su una "religione“: la vocazione al risparmio. La vitalità dell'intero sistema, non solo economico ma anche politico e sociale, riposava sul differimento dei consumi. "Era precisamente la ineguaglianza di distribuzione della ricchezza che rendeva possibili quelle vaste accumulazioni di ricchezza fissa e di sviluppo dei capitali che contraddistinguono quel periodo da ogni altro

Lo sviluppo di questo rimarchevole sistema dipendeva perciò da un doppio inganno. Da un lato le classi lavoratrici accettavano, per ignoranza o per impotenza, o erano costrette, persuase o indotte dal costume, dalla convenzione o dalla autorità e dal ben regolato ordine sociale, ad accettare una situazione per la quale esse potevano chiamare propria una ben piccola parte della torta che esse stesse e la natura e i capitalisti avevano cooperato a produrre.

Dall'altro lato era consentito ai capitalisti di considerare propria la miglior parte della torta ed essi erano teoricamente liberi di consumarla, nella tacita, sottintesa condizione che in pratica ne avrebbero consumato una ben piccola porzione. Il dovere di risparmiare divenne celebrata virtù e l'ingrossamento della torta oggetto di una vera religione. Il XIX secolo era soggetto a due pericoli: che, nonostante tutto, la popolazione crescesse più in fretta della torta, o che questa fosse "un bel giorno inghiottita prematuramente dalla guerra". Fu in effetti la guerra a rivelare il duplice inganno su cui poggiava il sistema, con il suo principio dell'accumulazione.

Le immani distruzioni provocate dalla guerra e l'inflazione "hanno rivelato a tutti la possibilità del consumo immediato e a molti la vanità dell'astinenza". A guerra finita, Keynes poteva avanzare qualche ipotesi sul prossimo futuro: "le classi lavoratrici possono non essere più disposte a così larghe rinunzie e le classi capitalistiche, non più fiduciose nel futuro, possono avere voglia di godere in modo più completo la loro libertà di consumo". Le due previsioni, il prossimo acuirsi delle lotte sociali e l'effimero boom consumistico dei ruggenti anni venti, erano entrambe ben fondate.

Poteva così dire anche l' 'indicibile': e cioè che "il decadente capitalismo, internazionale ma individualistico, nelle cui mani ci siamo trovati dopo la guerra, non sta avendo molto successo. Non è intelligente, né bello, né giusto, né virtuoso, né si comporta come dovrebbe. In breve non ci piace e anzi stiamo cominciando a detestarlo".

E' così che, in una conversazione radiofonica alla Bbc sulla pianificazione (un esperimento allora tentato solo dai sovietici e dai fascisti e ritenuto dai più del tutto incompatibile con i principi di una comunità democratica), egli può affermare senza timore che gli piacerebbe "tentare di verificare se non sia possibile godere dei vantaggi di entrambi i mondi", vale a dire dei vantaggi della pianificazione e di quelli della democrazia.

Lo schema keynesiano il perseguimento dell’utile individuale non coincide con il perseguimento dell’utile collettivo l’attore atomistico spesso non dispone delle informazioni e delle capacità adeguate per perseguire il proprio utile Rischi, incertezza ed ignoranza condizionano la vita economica e sociale e limitano le capacità di crescita dell’economia e tendono a tenere bassi gli investimenti e a sottoutilizzare il capitale e il lavoro

Problema: come garantire il livello di produzione e di occupazione Problema: come garantire il livello di produzione e di occupazione? (ottica macroeconomica in contrapposizione all’ottica micro che si interrogava sulla formazione dei prezzi e la distribuzione dei redditi)

Legge di Say (economia classica e neoclassica): l’offerta crea sempre la sua domanda. Gli squilibri sono momentanei, poiché la concorrenza riallocherà le risorse in modo da garantire il pieno impiego. In particolare si suppone che tutto il risparmio si traduca in investimento e che basti agire sul tasso di interesse e sul livello dei salari per stimolare gli investimenti (bassi interessi e bassi salari = maggiori investimenti).

In realtà condizioni di incertezza circa i futuri rendimenti possono limitare gli investimenti e produrre un equilibrio di sotto-occupazione. La Grande Depressione dimostra che il meccanismo concorrenziale non riesce a frenare la caduta degli investimenti e dell’occupazione

E’ l’intervento dello stato che può invece efficacemente porsi come regolatore della domanda attraverso: il deficit spending (come manovra di breve periodo) lo stimolo della domanda attraverso un incremento dei redditi, poiché la propensione al consumo è superiore per i redditi più bassi occorre puntare non solo su commesse e finanziamenti alle imprese, ma soprattutto sul pieno impiego pubblico e le politiche redistributive

Due versioni: Keynesianesimo debole (interventi anticongiunturali di breve periodo) keynesianesimo della crescita (obiettivi di crescita economica sul lungo periodo)

"Dobbiamo tendere a separare quei servizi che sono tecnicamente sociali da quelli che sono tecnicamente individuali. L'azione più importante dello Stato si riferisce non a quelle attività che gli individui privati esplicano già, ma a quelle funzioni che cadono al di fuori del raggio d'azione degli individui, a quelle decisioni che nessuno compie se non vengono compiute dallo Stato.

Non è necessario un sistema di socialismo di Stato che abbracci la maggior parte della vita economica della collettività. Non è la proprietà degli strumenti di produzione che è importante che lo Stato si assuma. Se lo Stato è in grado di determinare l'ammontare complessivo dei mezzi dedicati a aumentare gli strumenti di produzione e il saggio base di remunerazione per coloro che li posseggono, esso avrà compiuto tutto quanto è necessario". Un manifesto, se non rivoluzionario, certamente radicale

L'assunzione di questa prospettiva era imposta, per il Keynes del '36, anche da importanti e lungimiranti considerazioni politiche: "il mondo non tollererà ancora per molto tempo la disoccupazione, che è associata, inevitabilmente associata, con l'individualismo capitalista d'oggigiorno". L'assunzione di questa stessa prospettiva sarebbe inoltre più favorevole alla pace di quanto non sia un sistema teso alla conquista dei mercati altrui.

Se le nazioni imparassero a costituirsi una situazione di piena occupazione mediante la loro politica interna, non vi sarebbero più ragioni economiche per contrapporre l'interesse di un paese a quello dei suoi vicini: "il commercio internazionale cesserebbe di essere quello che è ora, ossia un espediente disperato per preservare l'occupazione interna forzando le vendite sui mercati esteri e limitando gli acquisti - metodo che, se avesse successo, sposterebbe semplicemente il problema della disoccupazione sul vicino che ha la peggio nella lotta - ma sarebbe uno scambio volontario e senza impedimenti di merci e servizi, in condizioni di vantaggio reciproco".

I trenta gloriosi anni del capitalismo regolato Cause: * La politica degli aiuti americani (piano Marshall) * L’incremento del commercio internazionale grazie alla liberalizzazione degli scambi e alla stabilizzazione dei cambi * La crescita della domanda dovuta alle esigenze della ricostruzione prima e alla crescita dei redditi poi * La disponibilità di un’ampia offerta di lavoro proveniente dai settori a bassa produttività * Lo sviluppo tecnologico che permette di abbassare i costi e incrementare la produzione

Aspetti nuovi rispetto al capitalismo degli anni ’30: regolarità e continuità della crescita crescita della produzione e del reddito a tassi mai registrati prima diffusione sociale della prosperità anche attraverso le politiche pubbliche di redistribuzione (salario indiretto) flusso elevato di risparmi e investimenti

La violenza del mercato viene addomesticata (Shonfield) per effetto: dell’azione dello stato attraverso un orientamento alla pianificazione dell’economia a fini di sviluppo (controllo del credito, imprese statali, regolazione del mercato, piena occupazione) e attraverso i sistemi di protezione sociale. Dell’azione delle imprese che si burocratizzano, assumono grandi dimensioni con investimenti ingenti per produzioni di grande serie

Sinergia positiva (Gourevitch: compromesso storico) tra azione pubblica che stabilizza il mercato, sostiene l’occupazione e regola la domanda e imprese che accrescono la produzione grazie alla liberalizzazione degli scambi e alla crescita dei consumi.

Fordismo Il Fordismo, cioè l'insieme delle teorie sull'organizzazione della produzione industriale elaborate da Henri Ford e dall'ing. F. Taylor, nasce come risposta ai limiti della tecnologia e dell'economia del capitalismo delle origini, che ne avevano frenato lo sviluppo date le limitate potenzialità della meccanizzazione del secolo diciannovesimo. Ma l'aspetto principale, la vera 'filosofia' del metodo fordista, trasformatosi poi in un vero e proprio modello economico, era l'idea della possibilità di una crescita illimitata, sia della quantità di merce prodotta, sia degli insediamenti produttivi, delle fabbriche, sul territorio. Tipico sarà, infatti, il gigantismo degli impianti. Questa certezza quasi assoluta della crescita progressiva e inarrestabile rappresenterà per quasi un secolo la condizione essenziale del modello fordista.

La catena di montaggio, come lo scorrimento continuo di un sistema di ganci e carrelli, trasferiva l’oggetto in lavorazione davanti ai singoli operai, i quali eseguivano mansioni talmente limitate da non permettere loro di capire in quale fase della produzione fossero impegnati. Il lavoratore fu così ridotto a esecutore di gesti ripetitivi e rapidi tipici della produzione in serie, divenne in un certo senso servitore piuttosto che utilizzatore della macchina. Fu così introdotto il cottimo differenziale che consisteva in un sistema retributivo calcolato e diversificato sulla base della quantità del lavoro svolto. Il cottimo contribuì a migliorare i salari, ma al tempo stesso condusse ad accelerare ulteriormente i ritmi di lavoro e talvolta a creare un ambiente di esasperata competizione tra i lavoratori stessi.

La razionalizzazione produttiva ebbe come conseguenze il notevole aumento della quantità di beni prodotti e la diminuzione del loro prezzo. Questo aspetto, unito al miglioramento salariale derivante dal cottimo, creò nuove condizioni di mercato. Alla produzione di massa fece seguito il consumo di massa: grazie anche alla diminuzione dei costi di trasporto e a tecnologie a più alto rendimento. I consumi migliorarono considerevolmente la qualità della vita nei paesi industrializzati: l’alimentazione divenne più ricca e variata, le condizioni igieniche più sicure.

La società fu spinta a omologarsi nei gusti e nelle scelte, a perdere l’identità e la particolarità delle comunità ristrette. Ciò rappresentò una fonte di malessere sociale dalle grandi conseguenze. L'industria, infatti, non trovava ostacoli alla sua espansione se non nella sua medesima capacità di produrre. Ma anche l'esiguo potere d'acquisto dei redditi delle masse popolari di inizio secolo rappresentava un ostacolo. L'industria fordista lo superò erogando alti salari e introducendo un servizio sanitario e di prevenzione nelle fabbriche, uno per ogni livello di inquadramento, che riduceva i costi per la salute di operai e impiegati, tecnici e dirigenti.

I lavoratori si trasformavano da produttori in 'consumatori' del loro stesso prodotto: infatti producevano una merce e percepivano un salario adeguato per comprarla. Le merci prodotte venivano vendute a sempre minor prezzo in forza dell'automazione e della produzione in serie, mettendo così in condizione i 'produttori-consumatori' di acquistarne sempre di più.

Il modello produttivo fordista identificava i diritti dei cittadini con le esigenze del mercato: veniva riconosciuto il diritto di cittadinanza solo a coloro che erano collocati all'interno del mondo produttivo, in funzione della loro capacità di produrre. Nella filosofia fordista la produzione produce il mercato, ossia la fabbrica produce ciò che si 'deve' comperare, genera i consumi, e con i consumi le mode, i costumi, le abitudini, i modi di vivere e di pensare, e con essi le pseudo e le vere culture. Come diceva Ford, "tutto ciò che si produce si vende". Il Fordismo sanziona il primato della fabbrica sul mercato, dell'offerta sulla domanda.

E in effetti le fabbriche non producono quello che i consumatori desiderano comperare, ma i consumatori comprano quello che le fabbriche decidono di produrre. Si può affermare quindi che la fabbrica produce la società. Dunque la fabbrica è luogo centrale di decisioni strategiche: vi si decide cosa produrre, quanto produrre, con quali tempi e con quali modi.

La tradizionale figura del padrone della fabbrica, che con gli operai aveva un rapporto personale e diretto, era stata sostituita da quella astratta e lontana della società per azioni, in cui uomini sconosciuti e lontani disponevano delle sorte dei dipendenti. La conseguenza di ciò fu che spesso l’intero agglomerato urbano divenne una sorta di appendice della fabbrica: nacquero le “one company town”, città gravitante intorno alla sua fabbrica più importante dalla quale dipendeva interamente la maggior parte della popolazione.

IL FORDISMO Modello di organizzazione economica che si basa su grandi imprese. Caratteristiche: integrazione verticale (inclusione di diverse fasi produttive, di servizi di ricerca e sviluppo, fino alla distribuzione e al controllo delle fonti di approvvigionamento di materie prime) separazione tra proprietà e management.

Produzione di massa di beni standardizzati prodotti in grande quantità con macchine specializzate Organizzazione del lavoro tayloristica (divisione del lavoro in compiti semplici e ripetitivi) separazione tra ideazione-progettazione ed esecuzione; Manodopera poco qualificata

Varietà delle forme nazionali relative: alla proprietà e gestione dell’impresa ai rapporti con la finanza (ruolo della borsa e delle banche) all’organizzazione del lavoro al ruolo dello stato.

Caratteri comuni: il requisito della stabilità (mercati, forza lavoro, organizzazione) il ruolo dello stato sociale (politiche di redistribuzione, sostegno alle imprese e di stabilizzazione) Relazioni industriali (contrattazione collettiva e istituzionalizzazione)

Fordismo e post-fordismo vengono assunti dalla letteratura socioeconomica non come descrizione di una particolare filosofia produttiva, ma come paradigmi di un sistema economico globale. Infatti, se per fordismo intendiamo un sistema di produzione centralizzato e parcellizzato, basato sulla catena di montaggio, è bene sapere che solo in pochi stati e per brevi periodi la forza lavoro industriale ha superato il 40% del totale e che mai più del 20-25% di essa (8-10% del totale) ha lavorato alla catena di montaggio La fabbrica fordista non era la norma nemmeno quando c’era il fordismo.

Le imprese fordiste costituiscono il settore più visibile e ad alta produttività, ma hanno dei limiti alla loro estensione: Tecnologici (richiedono elevati investimenti) Di mercato (richiedono mercati ampi e stabili)

Persiste una domanda di beni non standardizzati prodotti in serie limitata che viene soddisfatta da piccole imprese organizzate in modo diverso (organizzazione del lavoro meno parcellizzata, manodopera specializzata, macchine più flessibili): macchine utensili beni di alta qualità beni a domanda instabile

CRISI DEL FORDISMO Fattori congiunturali: l’aumento del costo del petrolio l’abbandono del regime dei cambi fissi

Fattori strutturali saturazione del mercato dei beni di massa (nuovi stili di vita e modelli di consumo, indotti anche dalle politiche delle imprese) concorrenza dei paesi di nuova industrializzazione

la crescita della conflittualità operaia (piena occupazione, rifiuto del taylorismo) gigantismo industriale ed eccesso di complessità organizzativa introduzione di tecnologie elettroniche in grado di abbassare i costi per produzioni non standardizzate di elevata qualità in serie limitata.

Lo stato sociale Definizione Origini Tappe Ambiti di intervento Cause Modelli

Welfare Insieme di politiche pubbliche connesse al processo di modernizzazione Tramite le quali lo stato fornisce ai propri cittadini protezione contro i rischi e bisogni prestabiliti sotto forma di assistenza, assicurazione e sicurezza sociale Introducendo specifici diritti sociali nonché specifici doveri di contribuzione

Modalità di intervento

Radici storiche Assistenza pubblica ai poveri Tutela dei datori di lavoro Mutualismo

Fasi Instaurazione (dalla fine dell’ottocento, 1883, alla prima guerra mondiale). Assicurazione di lavoratori Consolidamento (tra le due guerre): assicurazione sociale Espansione (dopoguerra): sicurezza sociale Crisi (metà anni settanta): sicurezza sociale

Funzioni del welfare Sostegno all’accumulazione (riproduzione della forza lavoro, domanda di beni) Consenso sociale(capitalismo regolatoe riformista)

Differenziazione Tipologia delle prestazioni Generosità delle prestazioni Aventi titolo

Modelli di welfare Residuale Occupazionale universalistico

Welfare system In realtà il benessere della popolazione dipende da un mix di: Risorse di mercato Risorse familiari/solidaristiche Risorse pubbliche Tendenza: un eccessivo squilibrio verso le risorse pubbliche scivolamento distributivo

Crisi del welfare Crisi fiscale Crisi di legittimazione Crisi di funzionamento

La crisi del welfare Vecchie premesse: Economia in crescita Società industriale Stabilità familiare e divisione di genere del lavoro Struttura demografica in equilibrio Aspettative morigerate e stabili Solidità e centralità dello stato nazione

Trasformazioni Rallentamento dello sviluppo Società post-industriale Ridefinizione dei rapporti di genere Invecchiamento della popolazione e migrazioni Aspettative crescenti Internazionalizzazione economica, perdita di capacità di governo dello stato nazione

Sfide Contenimento dei costi Ammortizzatori sociali, tutela della flessibilità Conciliazione tra vita professionale e responsabilità familiari Contenimento delle spese pensionistiche e sanitarie e ammortizzatori sociali per gli immigrati Ridefinizione degli standard di prestazione Adattamento alle nuove condizioni di apertura dei mercati

Difficoltà Gruppi di interessi non utenti Scarsa visibilità del rapporto tra contributi e prestazioni Maggiore voice di chi perde la protezione rispetto a chi dovrebbe acquistarla Problemi di consenso politico

Vecchi e nuovi rischi vecchi rischi: infortunio, malattia, vecchiaia, disoccupazione Nuovi rischi: difficoltà di conciliare lavoro di cura e lavoro professionale Mancato accesso alla conoscenza, soprattutto per i giovani Obsolescenza delle conoscenze professionali (lavoratori a basse qualifiche) Rischi di marginalizzazione dall’economia della conoscenza, dal mercato del lavoro o dal tessuto sociale

Ricalibratura del welfare Funzionale: a) dalla protezione della vecchiaia alla promozione di un ampio ventaglio di politiche: servizi di cura politiche del tempo e degli orari assegni familiari e detrazioni fiscali per il costo dei figli incentivi a redistribuire le mansioni genitoriali sostegni mirati alle donne nella fase di ingresso, di rientro e negli avanzamenti di carriera

b) In particolare combattere la povertà dei minori che è causa di un basso apprendimento, evasione scolastica, tossicodipendenza, bassa mobilità sociale. Rischio di circolo vizioso di degrado sociale e spreco delle risorse pubbliche. Quindi necessità di incentivare l’accumulazione originaria di capitali umani individuali

Ricalibratura distributiva Disuguaglianze tra garantiti e non garantiti rilanciare la protezione sociale non tanto tra diversi rischi, quanto tra diversi beneficiari di prestazioni (politiche di invecchiamento attivo, flessibilizzazione dell’età legale all’invecchiamento)

Ricalibratura normativa Degenerazioni usurpative del welfare per la capacità di pressione dei gruppi sociali più forti che hanno ridotto la capacità di soddisfacimento dei bisogni dei soggetti più deboli Welfare dinamico Politiche per l’istruzione di base

Quali misure Alleanze che sostengano la riforma Tre processi codificati di coordinamento (politiche per l’occupazione, politiche per l’inclusione sociale, politiche pensionistiche)

Gli anni ’70: crisi del fordismo e crisi dello stato sociale Stagflazione: contemporanea presenza di inflazione e disoccupazione Caratteristiche: conflitto industriale e quindi spinte rivendicative e inflative diminuzione dei tassi di crescita della produzione crescita della disoccupazione

Cause gli effetti perversi dello stato sociale keynesiano I limiti del sistema fordista, in un quadro economico mutato

a livello micro piena occupazione (esaurimento del serbatoio agricolo, nonostante i processi migratori) nuovi profili socio-biografici e culturali della classe operaia inasprirsi della parcellizzazione e alienazione del lavoro rafforzamento dei sindacati quindi crescita della conflittualità operaia

a livello macro crescente difficoltà dei governi a tenere sotto controllo la spesa sociale utilizzo crescente della spesa pubblica a fini di consenso politico eccesso di regolazione pubblica del mercato

LA NUOVA POLITICAL ECONOMY L’insieme di studi che negli anni ’70 affrontano con un approccio neoistituzionale la spiegazione dell’inflazione Due filoni 1. filone neoutilitarista fa riferimento all’offerta di moneta e cioè all’incapacità dei governi a resistere alle pressioni politiche per un’espansione della spesa (nei confronti delle imprese e dei sindacati), che alimenta una spirale inflazionistica (Samuel Brittan)

2. filone istituzionalista fa riferimento alla domanda sociale di beni. La sua crescita è il risultato di un conflitto distributivo, in un contesto in cui le disuguaglianze sono sempre più delegittimate e le rappresentanze degli interessi sociali hanno acquistato più potere. L’inflazione, pertanto, è la conseguenza dell’incapacità del sistema di rappresentanza a gerarchizzare le diverse domande e a tenere sotto controllo il conflitto distributivo tra i diversi gruppi

NEOCORPORATISMO E CONCERTAZIONE Concetti contrapposti a quelli di pluralismo e politica di pressione, fanno riferimento alle prassi seguite dai governi e dagli interessi organizzati dei paesi sviluppati in relazione al sistema della rappresentanza degli interessi e della decisione politica (Schmitter, Lehmbruch)

Due dimensioni: 1. organizzazione degli interessi sistema pluralistico: elevato numero di associazioni di piccole dimensioni che competono tra loro; interessi specifici e settoriali; scarso coordinamento; sistema neocorporativo: poche grandi organizzazioni degli interessi che esercitano il monopolio della rappresentanza; forte centralismo;

2. processo di decisione politica sistema pluralistico: politica di pressione per acquisire risorse all’interno del mercato politico; scarso coinvolgimento nell’attuazione delle politiche; sistema neocorporativo. Prassi di concertazione che coinvolge le rappresentanze nei meccanismi di decisione e attuazione delle politiche

Neo-corporativismo Che cosa si scambia Gli attori interessati Gli interessi degli attori I diversi modelli

CRISI DELLA CONTRATTAZIONE CENTRALIZZATA NEGLI ANNI ‘80 Cause: frammentazione degli interessi del lavoro (differenziazione di qualifiche, mansioni e trattamenti) indebolimento del sindacato (riduzione della classe operaia) minor vulnerabilità degli imprenditori e dei governi (minore interesse a concedere potere in cambio di consenso) tensioni interne alle associazioni imprenditoriali (crisi delle grandi imprese) vincoli macroeconomici (integrazione economica e finanziaria internazionale)

Modelli produttivi flessibili Trasformazioni tecnologiche e organizzative produzione diversificata di qualità: grandi imprese (tecnologie flessibili e snellimento organizzativo per produzioni di beni non standardizzati di qualità) piccole imprese (produzioni di beni non standardizzati in serie più brevi)

Alla chiusura e all’integrazione verticale di tipo gerarchico tipica del sistema fordista che plasma il mercato, si sostituisce un modello organizzativo, basato sulla rete come sistema di apprendimento per acquisire una maggiore capacità di cambiamento rispetto agli stimoli dell’ambiente esterno reti di piccole imprese impresa rete

La trasformazione delle grandi imprese Neofordismo tecnologico: massiccia automazione della produzione resa possibile dai progressi della tecnologia elettronica in grado di superare la rigida concatenazione lineare tradizionale e permettere maggiore flessibilità Produzione diversificata di qualità: innovazione tecnologica e innovazione nell’organizzazione del lavoro (gruppi di lavoro polifunzionali, a composizione mista)

In generale la via maestra di uscita dal fordismo: la produzione snella (lean production) applicazione della pratica del Just in time: ogni materiale o componente deve arrivare alle postazioni nel momento in cui è necessario (riduzione delle scorte, degli scarti, accorciamento dei tempi di risposta agli input del mercato). L’intero flusso si avvia in base alla domanda a valle e attiva il processo di produzione e l’approvvigionamento dei materiali. Immagine del tubo di cristallo: fa riferimento al flusso teso che regola il processo produttivo e lo lega con i fornitori. Processo ad un tempo trasparente e fragile, poiché ogni inconveniente nell’approvvigionamento o nella produzione si rende subito evidente e rischia anche di bolccarli.

Altro principio il kaizen (miglioramento continuo), finalizzato a prevenire ed eliminare ogni fonte di errore Non c’è una best way, come predicava il taylorismo, ma occorre puntare sempre al miglioramento, mobilitando il personale alla ricerca della soluzione più appropriata. Non a caso esistono dispositivi con cui il lavoratore può bloccare il processo (principio di autoattivazione)

utilizzo di macchinari meno specializzati utilizzabili per produzioni diverse (addirittura tecnologie “frugali”) decentramento dell’autorità attraverso la riduzione della distanza tra concezione ed esecuzione e creazione di unità operative che assumono le funzione di aziende semiautonome

elevata collaborazione della manodopera, maggiore qualificazione, orientamento al lavoro di gruppo, al problem solving, alla responsabilizzazione e all’identificazione con l’azienda; maggiore collaborazione con subfornitori, cui vengono demandate tutte le produzioni complementari, ma che lavorano per più committenti e non più per monocommittenza maggiore radicamento rispetto all’ambiente esterno (ruolo dei fattori culturali e istituzionali)

Problemi La produzione snella è veramente altra cosa dal fordismo taylorismo? E’ foriera di miglioramento della qualità del lavoro? Spesso crescita del controllo (management a vista) Introduzione dei meccanismi di mercato nella gestione organizzativa Compenetrazione tra gerarchia e mercato

Ma innovativa o tradizionale, nella società postindustriale è la fabbrica stessa a non essere più centrale: rispetto ad altri settori economici, oggi il valore aggiunto della produzione industriale è basso e l’industria è quello che l’agricoltura era all’inizio del secolo. Nelle economie avanzate pochi paesi hanno un numero di addetti industriali superiori al 30% e certe proiezioni indicano che negli Stati Uniti raggiungeranno in un decennio il 10% o poco più (Rifkin). Un tempo i paesi in via di sviluppo erano quelli agricoli, oggi sono quelli industriali.  

Fordismo e post-fordismo Tuttavia, confrontando fordismo e postfordismo, è necessaria un’avvertenza: si tratta, infatti, di analizzare due modelli economici asimmetrici. Quando diciamo fordista parliamo di un modello economico già passato, definito, analizzabile e coerente. Con postfordismo invece non definiamo un modello economico, ma come dice il nome solo ciò che viene dopo il fordismo, anzi una transizione. Il nome postfordista dice solo che il fordismo è superato, ma non dà indicazioni sul nuovo e questo sostanzialmente per due ragioni:

il nuovo modello è in evoluzione, questa è una fase di transizione, quindi i contorni sono in fase di definizione (bisogna peraltro considerare che la transizione è endemica allo sviluppo economico capitalista e ogni modello risulta in perenne revisione) il nuovo modello è per definizione flessibile, ossia più che un modello indica un principio: adattarsi, quindi assume di volta in volta le forme più efficaci: l’assenza di un modello è parte del modello.

E’ perciò congenitamente impossibile definire compiutamente un modello dominante, ma questo non significa non si possano individuare delle tendenze generali utili alla costruzione di un modello orientativo nella comprensione degli aspetti economico-culturali delle società postindustriali, né che queste tendenze debbano necessariamente essere alternative al fordismo: aspetti del modello fordista convivono infatti entro il nuovo modello che, come rilevato, ha nella sua “programmatica assenza di un modello” proprio una delle caratteristiche essenziali.

Le piccole imprese e i distretti industriali Fenomeno diffuso in tutti i paesi sviluppati in aree dove già esisteva un tessuto di piccole imprese o in aree di nuova specializzazione produttiva forte dinamismo negli anni ‘70 settori di tipo tradizionale (beni per la persona e per la casa) settori moderni (metalmeccanica, produzione di macchine utensili, elettronica, informatica)

processo produttivo divisibile in fasi diverse tecnicamente separabili specializzazione delle piccole imprese per fasi o componenti produzione soggette ad alta variabilità quantitativa e qualitativa della domanda flessibilità organizzativa (tecnologia, mansioni, utilizzo di forza lavoro, rapporto con il mercato, tipologia di prodotti)

I distretti industriali in Italia Regioni del NEC (Centro-Nord Est) Settori tradizionali e moderni Elevata complementarietà e collaborazione fra imprese Specializzazione in una fase del processo o nella produzione di componenti Capacità di rispondere in modo flessibile agli stimoli del mercato attraverso: innovazione e cooperazione

Fattori economici e istituzionali che hanno favorito la nascita e la crescita dei distretti in Italia Fattori esogeni Fattori endogeni

Fattori endogeni campagna urbanizzata e rete di piccoli e medi centri con tradizioni artigianali, commerciali e finanziarie rapporti di produzione in agricoltura (mezzadria e lavoro autonomo)

3) subculture politiche territoriali che hanno influenzato il tessuto fiduciario (capitale sociale), le relazioni industriali (cooperazione) 4) prassi amministrative che hanno favorito lo sviluppo di beni e servizi collettivi (infrastrutture, formazione, servizi sociali e amministrativi efficienti) 5) concorrenzialità/cooperazione 6) capacità di produrre beni collettivi 7) mercato del lavoro flessibile

Fattori esogeni: domanda per beni di qualità inflazione anni ‘70 scarsi controlli fiscali e contributivi decentramento produttivo delle grandi imprese tecnologie informatiche adatte all’innovazione su piccola scala immigrazione in condizioni di piena occupazione del mercato del lavoro locale dislocazione della produzione nei paesi meno sviluppati

Obiettivi: rispondere velocemente agli input di un mercato frammentato e instabile ridurre i costi distribuire i rischi

Le grandi tendenze post-fordiste De-industrializzazione Crescita del lavoro autonomo Diminuzione della dimensione media delle imprese Terziarizzazione Fine dell’espansione del welfare Ripresa del mercato Cambiamenti nella stratificazione sociale

Il sommerso L'economia informale si differenzia rispetto a quella formale in quanto i beni e i servizi in essa prodotti e la loro distribuzione sfuggono in tutto o in parte alla contabilità nazionale Per una definizione analitica del fenomeno si fa riferimento: Alla legalità dei beni e dei modi di produrli All’orientamento al mercato

economia criminale o illegale attività di produzione e/o distribuzione, svolta in maniera illegale, di beni e servizi illegali, economia domestica o comunitaria produzione di beni e servizi leciti che tuttavia non sono orientati al mercato bensì a forme di autoconsumo familiare economia sommersa attività di produzione e distribuzione di beni e servizi di per sé leciti, ma che vengono svolte violando le normative fiscali, contributive, amministrative, etc.

I confini tra economia formale ed informale, tra economia sommersa ed illegale, non sono sempre così netti e rigidi e possono mutare nel tempo e nello spazio. Un'attività può essere illegale in un paese e legale in un altro; può essere legale oggi e non esserlo più domani o viceversa. Inoltre, si verificano interscambi continui tra economia formale e informale

Il lavoro sommerso Il lavoro sommerso comprende al suo interno modalità di svolgimento dell'attività lavorativa molto eterogenee - lavoro nero lavoratori che forniscono la loro prestazione al di fuori di un qualsiasi rapporto di lavoro formalizzato, perché dipendenti da aziende completamente sommerse o da aziende emerse che non rispettano gli obblighi di registrazione, ma può comprendere anche i lavoratori autonomi che non dichiarano la propria attività - lavoro grigio irregolarità parziali (le sottodichiarazioni) che riguardano lavoratori, dipendenti ed indipendenti, le cui attività sono dichiarate in modo distorto rispetto alla realtà. I confini tra regolarità e non regolarità, tra lavoro nero e lavoro grigio sono fluidi e possono addirittura coesistere (il caso dei doppiolavoristi con primo lavoro regolare).

METODI DI QUANTIFICAZIONE DELL'ECONOMIA SOMMERSA E DEL LAVORO IRREGOLARE A partire dagli anni '70 tentativi di definire metodi e strumenti di ricerca in grado di offrire stime sempre più attendibili della portata del fenomeno 1) approcci diretti indagini campionarie condotte presso le famiglie e/o le imprese attraverso la somministrazione di questionari a risposta volontaria o attraverso i controlli fiscali e previdenziali effettuati dagli organismi di vigilanza. 2) approcci indiretti approcci di tipo macroenomico che tentano di stimare l'entità dell'economia sommersa e del lavoro irregolare utilizzando modelli econometrici (macro-model approach) o procedendo ad integrazioni tra fonti statistiche ed amministrative diverse

Rilevanza euristica Non unidirezionalità dei processi di sviluppo Compresenza di formazioni economico sociali diverse Diverse vie alla flessibilità

Rilevanza empirica * Processi di trasformazione delle imprese nel periodo post-fordista (decentramento, frantumazione, flessibilità) * Terziarizzazione e crescita dei servizi alle persone * Crisi del welfare e del sistema di tutele e servizi offerti dal settore pubblico * Offerta di lavoro disponibile (quote deboli, immigrati )

Conseguenze negative Riduzione del monte contributivo e fiscale Riduzione delle tutele e della sicurezza sul lavoro Concorrenza sleale alle imprese in regola Cultura dell’illegalità

Le direttive europee a sviluppare strategie globali di contrasto al lavoro irregolare attraverso il ricorso ad azioni preventive che incoraggino sia i datori di lavoro che i lavoratori ad operare all'interno dell'economia ufficiale; a rafforzare la vigilanza e le sanzioni; a rafforzare la cooperazione transnazionale tra gli organi competenti a lottare contro la frode ai danni della previdenza sociale e contro il lavoro non dichiarato; a sensibilizzare i cittadini sulle conseguenze negative del lavoro sommerso; a migliorare la conoscenza delle dimensioni del fenomeno a livello nazionale e nello stesso tempo a contribuire allo sviluppo della quantificazione del sommerso a livello UE, promovendo la collaborazione tra gli istituti di statistica nazionale;

La nuova sociologia economica PROBLEMA SPIEGARE LA VARIETÀ DEI MODELLI DI ORGANIZZAZIONE ECONOMICA (DIMENSIONI DELLE IMPRESE, RICORSO AL MERCATO O INTERNALIZZAZIONE E GERARCHIA, FORME DI COLLABORAZIONE).

IN CAMPO ECONOMICO: A PARTIRE DAGLI ANNI ’70 SI SVILUPPA UN’ECONOMIA ISTITUZIONALE CHE METTE IN DISCUSSIONE L’IDEA DELL’IMPRESA COME ENTITÀ PRODUTTIVA I CUI CONFINI SONO DEFINITI DALLA TECNOLOGIA

IL NEOISTITUZIONALISMO ECONOMICO ESISTENZA DI COSTI DI TRANSAZIONE VARIABILI, DOVUTI A CONDIZIONI DI INCERTEZZA O A CARENZA DI INFORMAZIONI, CHE CREANO SPAZI PIÙ O MENO AMPI PER COMPORTAMENTI OPPORTUNISTICI. INSODDISFAZIONE PER SPIEGAZIONI BASATE SU FATTORI TECNOLOGICI, RICERCA DI FATTORI DI SPIEGAZIONE A LIVELLO MICRO, SIA PURE DALL’OTTICA DELLA SCELTA RAZIONALE DELLE SOLUZIONI ISTITUZIONALI PIÙ EFFICIENTI.

OLIVER WILLIAMSON ECONOMIA DEI COSTI DI TRANSAZIONE (1975, 1985) LA VARIETÀ DELLE FORME DI ORGANIZZAZIONE DI IMPRESA RISPONDE ALLA LOGICA DI MIGLIORARE L’EFFICIENZA, DIMINUENDO I COSTI DI TRANSAZIONE (SCAMBIO DI MERCATO, UTILIZZO DI MEDIATORI E CONSULENTI, JOINT VENTURES, RAPPORTI GERARCHICI). RAZIONALITÀ LIMITATA: LIMITATA CAPACITÀ DELLA MENTE UMANA A RISOLVERE PROBLEMI COMPLESSI, CHE LIMITA I COMPORTAMENTI MASSIMIZZANTI E RAZIONALI.

LE FORME DI GOVERNO DIPENDERANNO: DALLA FREQUENZA DEGLI SCAMBI DAL CARATTERE DELL’INVESTIMENTO LE TRADIZIONALI FORME DI MERCATO PREVALGONO IN PRESENZA DI BASSA SPECIFICITÀ DI RISORSE, IN TRANSAZIONI OCCASIONALI E RICORRENTI

IN TRANSAZIONI OCCASIONALI AD ELEVATA SPECIFICITÀ SI FA RICORSO ALLE TERZE PARTI IN CORRISPONDENZA DI MAGGIORE FREQUENZA E DI MAGGIORE SPECIFICITÀ SI FARÀ PIÙ RICORSO A FORME DI GOVERNO BILATERALE O GERARCHICO IN PRESENZA DI ELEVATI COSTI DI TRANSAZIONE SI FARA’ PIU’ RICORSO ALLA GERARCHIA

TUTTAVIA I CONCETTI DI OPPORTUNISMO E RAZIONALITÀ LIMITATA NON TENGONO IN ADEGUATO CONTO ALLE DETERMINANTI SOCIALI DEGLI ORIENTAMENTI COGNITIVI E NORMATIVI DEI SOGGETTI. L’AZIONE ECONOMICA NON SI SPIEGA SOLO CON LA RICERCA DELLA SOLUZIONE PIÙ EFFICIENTE, SIA PURE IN CONDIZIONI DI OPPORTUNISMO E RAZIONALITÀ LIMITATA, MA CON L’INFLUENZA DI FATTORI SOCIALI E POLITICI .

LA NUOVA SOCIOLOGIA ECONOMICA INSIEME DI TEORIE CHE A LIVELLO MICRO STUDIANO IL DIVERSIFICARSI DELLE FORME DI ORGANIZZAZIONE ECONOMICA SOTTOLINEANDO IL RUOLO DEI FATTORI CULTURALI E DELLE RETI DI RELAZIONI SOCIALI. RIFIUTO DELLA VISIONE IPOSOCIALIZZATA DELL’ECONOMIA E DI QUELLA IPERSOCIALIZZATA DELLA SOCIOLOGIA TRADIZIONALE (PARSONS: IL COMPORTAMENTO INDIVIDUALE DEI SOGGETTI È SPIEGATO DALLA CULTURA E DALLE NORME INTROIETTATE DAL SOGGETTO)

DUE FILONI: LA TEORIA DELLE RETI CHE FA RIFERIMENTO ALLA COLLOCAZIONE DEI SOGGETTI NELLE RETI SOCIALI COME CONDIZIONANTE LE LORO SCELTE IL NEO-ISTITUZIONALISMO SOCIOLOGICO CHE SOTTOLINEA LE COMPONENTI COGNITIVE E NORMATIVE DELLA CULTURA CHE SI RIPRODUCONO NELL’INTERAZIONE SOCIALE IMPLICAZIONE COMUNE: RADICAMENTO SOCIALE DELL’ECONOMIA (EMBEDDEDNESS)

LA TEORIA DELLE RETI (GRANOVETTER ANNI ’80) APPROCCIO STRUTTURALE CHE FA RIFERIMENTO ALLE RETI CONCRETE DI RELAZIONI NEL TENER SOTTO CONTROLLO IL COMPORTAMENTO E LIMITARE L’OPPORTUNISMO (GERARCHIE, MERCATO E FORME INTERMEDIE FUNZIONANO EFFICACEMENTE SE SONO SOSTENUTE DA RETI DI RELAZIONI FIDUCIARIE)

AMBIVALENZA DELLA FUNZIONE DELLE RETI (COMPORTAMENTI COLLUSIVI, PERSISTENZA DI SOLUZIONI MENO EFFICIENTI) CAMPI DI APPLICAZIONE: RICERCA DEL LAVORO RETI DI IMPRESE

IL CAPITALE SOCIALE WEBER, BOURDIEU (’60), COLEMAN (‘90), PORTES (’98) INSIEME DELLE RELAZIONI SOCIALI DI CUI UN SOGGETTO INDIVIDUALE O COLLETTIVO DISPONE IN UN DETERMINATO MOMENTO RISORSE COGNITIVE (INFORMAZIONI) RISORSE NORMATIVE (FIDUCIA) BENE COLLETTIVO NON APPROPRIABILE INDIVIDUALMENTE

SOTTOPRODOTTO DI ALTRE ATTIVITÀ (LIMITE DELLE SPIEGAZIONI CULTURALISTE) FUNZIONI AMBIVALENTI BENE DEPERIBILE O ALIMENTABILE (PROSPETTIVA DINAMICA) CAPITALE SOCIALE E SVILUPPO LOCALE: RUOLO DELLA POLITICA (ELITES MODERNIZZANTI) RUOLO DEL MERCATO (STIMOLO ALL’EFFICIENZA)

IL NEOISTITUZIONALISMO SOCIOLOGICO (POWELL E DI MAGGIO, 1991) DI FRONTE ALLA CARENZA DI INFORMAZIONI E AI RISCHI DI OPPORTUNISMO I SOGGETTI SI AFFIDANO SIA ALLE RETI, CHE ALLE SOLUZIONI CHE SONO CONSIDERATE PIÙ LEGITTIME E APPROPRIATE NELL’AMBIENTE IN CUI OPERANO: ROUTINES REGOLE COSTITUTIVE PIUTTOSTO CHE REGOLE REGOLATIVE PERSISTENZA DI STANDARD RITENUTI APPROPRIATI AL DI LÀ DELL’EFFICIENZA

CONSEGUENZA: ISOMORFISMO (OMOGENEITÀ DI MODELLI IN UN CAMPO ORGANIZZATIVO) ISOMORFISMO ISTITUZIONALE DI TIPO COERCITIVO (LEGGI E REGOLE DOMINANTI) ISOMORFISMO NORMATIVO (CONSEGUENTE AI PERCORSI DI FORMAZIONE DEI MANAGER) ISOMORFISMO MIMETICO

l’isomorfismo serve a spiegare le persistenze Non spiega l’innovazione e la rottura

Globalizzazione INTENSIFICAZIONE DEGLI SCAMBI E DEGLI INVESTIMENTI INTERNAZIONALI CHE CRESCONO PIU' RAPIDAMENTE DELL'ECONOMIA MONDIALE NEL SUO COMPLESSO, PRODUCENDO TENDENZIALMENTE UNA MAGGIORE INTERDIPENDENZA DELLE ECONOMIE NAZIONALI

Cause LIBERALIZZAZIONE DEGLI SCAMBI COMMERCIALI E DEI MOVIMENTI INTERNAZIONALI DI CAPITALI DEREGULATION DEI SISTEMI ECONOMICI ACCELERAZIONE DEL PROGRESSO TECNOLOGICO, SOPRATTUTTO NEL CAMPO DELLE TECNOLOGIE DELL'INFORMAZIONE E DELLA COMUNICAZIONEDISSOLUZIONE DEL BLOCCO SOVIETICO

RISCHI: PEGGIORAMENTO DELLE CONDIZIONI DEL MERCATO DEL LAVORO DEI PAESI AVANZATI (flessibilità, disoccupazione, non riconoscimento della classe operaia come soggetto politico) ACCRESCIUTA SUPREMAZIA DEI PAESI LEADERS (USA) ATTACCO ALLE RISORSE NATURALI NON RINNOVABILI CRESCITA DEL DISTACCO TRA PAESI RICCHI E POVERI OMOLOGAZIONE DEI MODELLI DI CONSUMO E DI VITA SU QUELLI DEI PAESI AVANZATI

Vantaggi CRESCITA ECONOMICA DISPONIBILE ANCHE PER I PAESI ARRETRATI (diffusione delle tecnologie, vantaggi di costo, attrazione degli investimenti) DIFFUSIONE DI MODELLI SOCIALI PIU’ DEMOCRATICI (diminuzione delle disuguaglianze e discriminazioni) INFLUENZA DELLE CULTURE DEI PAESI MENO SVILUPPATI NEI PAESI AVANZATI ( modelli di consumo, stili di vita, ideologie)

LE SFIDE DEGLI ANNI ’90: innovazione aumento delle esportazioni competizione di qualità (produzioni flessibili e di qualità

QUALI STRUMENTI PER LE IMPRESE finanziamenti management (gestione manageriale orienta sul lungo periodo, investimenti a resa non immediata) qualificazione delle risorse umane (formazione della manodopera e del management) cooperazione tra management e lavoratori cooperazione con i clienti e i subfornitori (abbassamento dei costi di transazione attraverso reti fiduciarie) contenimento dei costi salariali

Tali condizioni dipendono dall’ambiente istituzionale esterno alle imprese, cioè da istituzioni che agiscono a livello macro e micro e che sono interrelate. Pertanto la dimensione nazionale resta importante, oltre a quella subnazionale, poiché definisce il quadro delle istituzioni che condizionano le diverse risposte alle sfide globali (differenti tassi di crescita, occupazione, investimenti, rilevanza del mercato interno)

Due modelli di risposta alle sfide della globalizzazione: ECONOMIE COORDINATE DI MERCATO (Germania, Austria, Svizzera, Olanda, Paesi Scandinavi, Giappone) ristretto numero di azionisti, forte ruolo delle banche che svolgono anche ruolo di consulenza prevalenza di strategie di redditività a lungo termine minori rischi di instabilità per il management, l’impresa come comunità di interessi cooperazione con i mercati di sbocco e approvvigionamento: reti di cooperazione basate su rapporti informali e sulla diffusione dell’associazionismo imprenditoriale

formazione professionale: impegno dello stato cooperazione delle imprese nella gestione della formazione e nella formazione degli sbocchi, notevoli investimenti delle imprese nella formazioni di dipendenti stabili relazioni industriali basate sulla cooperazione con le rappresentanze sindacali, norme vincolanti sul lavoro, flessibilità funzionale politiche salariali stabilite attraverso la contrattazione centralizzata tra sindacati, governo e imprenditori (oppure contrattazione decentrata con sindacati aziendali)

ECONOMIE NON COORDINATE DI MERCATO le esigenze finanziarie delle imprese sono soddisfatte prevalentemente attraverso il mercato azionario (assenza di forti vincoli con l’impresa; interesse alla redditività a breve) rischio di instabilità (vendite o acquisizioni, sostituzioni del management) rapporti con i mercati di sbocco e approvvigionamento basati sul mercato e sulla gerarchia tra imprese, rischio di scarsità di risorse cruciale per lo sviluppo Fino agli anni ’80 le economie coordinate di mercato hanno performances migliori in termini di efficienza economica ed equità Negli anni ’90 ripresa del capitalismo anglosassone e difficoltà di quello tedesco e nipponico

formazione professionale più limitata (le imprese puntano su una formazione specifica, mentre la professionalità di base è demandata al lavoratore) scarsi in vestimenti sulla formazione dei dipendenti debolezza delle organizzazioni di rappresentanza, bassi vincoli alla licenziabilità, flessibilità quantitativa, rischi di bassa cooperazione con la manodopera politiche di contenimento salariale basate sulla leva della disoccupazione, ma rischio di logiche contraddittorie che premiano esageratamente gli insiders rispetto agli outsiders che non hanno professionalità da far valere

CONVERGENZA O DIVERGENZA TRA MODELLI DI CAPITALISMO Tesi sulla convergenza la concorrenza riduce l’autonomia degli stati nel definire la politica macro e micro (welfare, regolazione del mercato del lavoro) effetto di imitazione delle soluzioni più efficienti e quindi tendenziale ibridazione peso degli accordi internazionali

Tesi sulla differenza la risposta alle sfide della concorrenza dipendono dal contesto istituzionale e dalle scelte di attori storicamente definiti la capacità competitiva si può realizzare attraverso equivalenti funzionali l’imitazione trova dei limiti negli effetti di sistema che in ciascun paese si creano per l’interdipendenza tra istituzioni

Tendenze comuni: indebolimento politiche macroeconomiche indebolimento politiche di welfare indebolimento della concertazione crescita dell’isomorfismo normativo delle politiche imprenditoriali verso logiche di redditività a breve termine e di internazionalizzazione Tuttavia pressioni e tendenze comuni continueranno ad essere filtrati attraverso gli specifici contesti istituzionali