Aspetti psico-giuridici del Transessualismo Marco Inghilleri

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Aspetti psico-giuridici del Transessualismo Marco Inghilleri Implicazioni peritali e cliniche Associazione Italiana di Psicologia e Sociologia Interattivo Costruttivista

Introduzione Il transessualismo sia in natura che nella storia degli esseri umani, non rappresenta una condizione eccezionale. L’eccezionalità è più nell’occhio dell’osservatore, che nelle sue effettive manifestazioni. Infatti se la natura ha escogitato espedienti evolutivi per dar vita a passaggi da un genere sessuale ad un altro, le società degli uomini hanno escogitato mezzi culturali per permettere l’esistenza di certe possibilità. Si tratta di decidere da quale prospettiva configurare i fatti umani: essi appartengono all’oggettività supposta delle scienze della natura, o alla soggettività dei significati delle scienze sociali?

164/82 – Norme in materia di rettificazione di attribuzione di sesso La 164/82 è di fatto uno di questi stratagemmi proposti proprio da una delle società umane. Sebbene siano molti i problemi derivanti dalla sua applicazione, in parte di origine burocratica e in parte dovuti alla poca chiarezza del testo, allo stato attuale si è inserita nel processo europeo di regolamentazione del transessualismo, andando ad affiancarsi alla legge svedese del 1972 e a quella tedesca del 1980.

Elementi innovativi della legge italiana Uno dei principali elementi innovativi della legge italiana è rappresentato dalla possibilità di modificare l’attribuzione di sesso fatta nell’atto di nascita, sulla base di una precisa richiesta del soggetto interessato e previa autorizzazione del giudice. Senza nulla togliere all’importanza di questa legge, che ha finalmente regolamentato una questione assai critica, non si può fare a meno di constatare che essa abbia fatto sorgere un gran numero di problemi interpretativi che ancora oggi non hanno trovato una soluzione certa.

LEGGE 14 aprile 1982, n.164 Norme in materia di rettificazione di attribuzione di sesso   Art. 1 La rettificazione di cui all’articolo 454 del codice civile si fa anche forza di sentenza del tribunale passata in giudicato che attribuisca ad una persona sesso diverso da quello enunciato nell’atto di nascita a seguito di intervenute modificazione dei suoi caratteri sessuali. Art. 2 La domanda di rettificazione di attribuzione di sesso di cui all’articolo 1 è proposta con ricorso al tribunale del luogo dove ha residenza l’attore. Il presidente del tribunale designa il giudice istruttore e fissa con decreto la data per la trattazione del ricorso e il termine per la notificazione al coniuge e ai figli. Al giudizio partecipa il pubblico ministero ai sensi dell’articolo 70 del codice di procedura civile. Quando è necessario, il giudice istruttore dispone con ordinanza l’acquisizione di consulenza intesa ad accertare le condizioni psico-sessuali dell’interessato. Con la sentenza che accoglie la domanda di rettificazione di attribuzione di sesso il tribunale ordina all’ufficiale di stato civile del comune dove fu compilato l’atto di nascita di effettuare la rettificazione nel relativo registro. 

Art. 3 Il tribunale, quando risulta necessario un adeguamento dei caratteri sessuali da realizzare mediante trattamento medico-chirurgico, lo autorizza con sentenza. In tal caso il tribunale, accertata la effettuazione del trattamento autorizzato, dispone la rettificazione in camera di consiglio. Art. 4 La sentenza di rettificazione di attribuzione di sesso non ha effetto retroattivo. Esso provoca lo scioglimento del matrimonio o la cessazione degli effetti civili conseguenti alla trascrizione del matrimonio celebrato con rito religioso. Si applicano le disposizioni del codice civile e della legge 10 dicembre 1970, n.898, e successive modificazioni.  Art. 5 Le attestazioni di stato civile riferite a persona della quale sia stata giudizialmente rettificata l’attribuzione di sesso sono rilasciate con la sola indicazione del nuovo sesso e nome. Art. 6 Nel caso che alla data di entrata in vigore della presente legge l’attore si sia già sottoposto a trattamento medico-chirurgico di adeguamento del sesso, il ricorso di cui al primo comma dell’articolo 2 deve essere proposto entro il termine di un anno dalla data della suddetta. Si applica la procedura di cui al secondo comma dell’articolo 3. Art. 7 L’accoglimento della domanda di rettificazione di attribuzione di sesso estingue i reati cui abbia eventualmente dato luogo il trattamento medico-chirurgico di cui all’articolo precedente. La presente legge, munita del sigillo dello Stato, sarà inserita nella Raccolta ufficiale delle leggi e dei decreti della Repubblica italiana. E’ fatto obbligo a chiunque spetti di osservarla e di farla osservare come legge dello Stato.

Le osservazioni che emergono mettono in luce alcune considerazioni: 1. La mancanza di un’indicazione precisa dei destinatari: non si fa alcun cenno, infatti, ai transessuali né si usa un’espressione analoga, a differenza di quanto accade per la normativa tedesca. 2. La legge non sembra essere nemmeno chiara quando, all’articolo 1, afferma che l’attribuzione di un sesso diverso da quello biologico è attuabile in seguito a “intervenute modificazioni dei caratteri sessuali”, senza specificare a quali caratteri ci si debba riferire (fisici o psichici, primari o secondari).

3. Lascia perplessi anche il comma 4 dell’articolo 2 che recita: “Quando è necessario, il giudice dispone con ordinanza l’acquisizione di consulenza intesa ad accreditare le condizioni psicosessuali dell’interessato”. La subordinazione dell’acquisizione della consulenza alla discrezionalità del giudice, comporta che l’accertamento delle condizioni psicosessuali della persona che “transita da un genere ad un altro”, non costituisca un presupposto necessario per autorizzare il trattamento chirurgico e la variazione anagrafica. 4. Dalla variazione anagrafica “non discendono tutta una serie di rapporti giuridici che fanno capo al soggetto”, tra i quali anche il riconoscimento dei titoli di studio acquisiti nella precedente identità. Un/una diplomato/a o un/una laureato/a non possono trasferire automaticamente i loro titoli alla nuova identità: i tempi per l’adeguamento sono decisamente lunghi e la conseguente mancanza di documenti in regola penalizza la persona nella ricerca di un posto di lavoro.

Il percorso per la rassegnazione dell’identità di genere In conformità a quanto previsto dalla legge 164, l’iter seguito da una persona che intende richiedere la rettificazione dell’attribuzione di sesso è il seguente: Presentazione del ricorso presso il Tribunale (della propria zona di residenza o meno) Notifica ai parenti ad opera del Presidente (attualmente essa avviene solo in rari casi) Trattazione del ricorso Accertamento delle condizioni psicosessuali Autorizzazione all’eventuale trattamento medico-chirurgico e rettificazione sui registri di stato civile a cambiamento avvenuto

Di fatto la suddetta procedura viene modificata da parte di alcuni Tribunali, come conseguenza di una sorta di accordo-riconoscimento con la struttura sanitaria pubblica competente per il trattamento medico-chirurgico. Il soggetto viene cioè indotto a presentare ricorso solo dopo essersi fatto seguire per due anni dalla struttura pubblica, che certifica per mezzo di una relazione la necessità dell’intervento. I Tribunali che non possono affidarsi ad una struttura sanitaria pubblica, ricorrono al parere di un consulente tecnico di ufficio (CTU) o di un’èquipe di esperti (CTU collegiale costituita dall’urologo, dal medico legale, dal ginecologo, dallo psicologo o dallo psichiatra), i quali peraltro vengono nominati a discrezione del Giudice anche a fronte di un’eventuale esauriente consulenza tecnica di parte (CTP) allegata alle memorie di parte dell’Avvocato del richiedente.

Consulenza tecnica in materia di rettificazione di attribuzione di Sesso Quando la persona presenta al Tribunale di residenza domanda di rettificazione di attribuzione di sesso, secondo la legge 164/82, il giudice può disporre di una “consulenza intesa ad accertare le condizioni psico-sessuali dell’interessato” (art. 2, comma 40). Il giudice può dunque farsi assistere da uno o più consulenti di particolare competenza tecnica che sceglie normalmente tra le persone iscritte in albi speciali o tra professionisti specializzati nel settore.

Una volta nominato, il o i Consulenti Tecnici d’Ufficio (CTU) effettuano alcuni incontri con la persona che ha richiesto la rettificazione e svolgono una serie di indagini per rispondere ad uno o più Quesiti posti dal Giudice. Al termine del lavoro, viene redatta una relazione scritta in cui vengono riportati i risultati delle attività svolte e le risposte ai Quesiti peritali.

Chi ha richiesto la rettificazione, entro il termine stabilito dal Giudice Istruttore al momento della nomina del CTU, può a sua volta scegliere un proprio Consulente Tecnico di Parte (CTP), che dopo aver ottenuto il permesso dal giudice, può assistere alle operazioni peritali, partecipare alle udienze ed essere ammesso alla camera di consiglio con funzione di sostegno delle esigenze del richiedente. Il CTU ha il preciso mandato di creare le condizioni affinché il Giudice possa acquisire tutti gli elementi conoscitivi necessari e sufficienti, in modo da emettere la sentenza. Va precisato e sottolineato che, sebbene il CTU sia investito di notevoli responsabilità, non detiene funzioni decisionali in merito al caso in esame. Chi è preposto a tale compito è il Giudice, che rappresenta il peritus peritorum, ovvero l’unico artefice e responsabile della decisione finale.

Ciò significa che la Consulenza è per il Giudice uno strumento attraverso il quale formarsi un parere personale. A sua discrezione, egli ne fa poi l’uso che ritiene più opportuno, omologando quanto suggerito dal CTU oppure orientando la propria decisione in maniera difforme da quanto indicato dal Consulente Nel corso delle indagini peritali, l’interessato può essere assistito dal proprio Avvocato o da un Consulente Tecnico di Parte (CTP), opportunamente nominato. Tra gli altri compiti del CTP, questi oltre ad assistere alle operazioni del CTU, può partecipare all’udienza in camera di consiglio ogni volta che interviene il CTU, per chiarire ed esporre le sue osservazioni sui risultati delle indagini tecniche.

I quesiti posti dal giudice In termini molto generali, i quesiti che il giudice pone più usualmente al CTU, possono essere formalizzati come segue: 1. Ritiene il consulente tecnico che questi interventi possano migliorare la qualità della vita ed operare in funzione del benessere della persona? 2. Dica il consulente tecnico quali sono le condizioni psico-sessuali del ricorrente, la possibilità di porre la diagnosi di disturbo dell’identità di genere, se gli interventi richiesti sono effettivamente necessari per il benessere del ricorrente, se possono essere eseguiti senza essere particolarmente pericolosi e causare danni alla salute del ricorrente.

La risposta ai suddetti quesiti, ed ad altri che possono essere eventualmente posti, risulta estremamente complessa e richiede una buona conoscenza teorica, esperienza clinica e rispetto della deontologia professionale. In buona sostanza, si tratta di saper ben valutare se la persona può effettivamente giovare dell’intervento, così come di valutare le caratteristiche del contesto personale, relazionale ed ambientale in cui si colloca la richiesta.

Modus operandi del CTU In accordo con il Quesito posto dal Giudice, la valutazione del Consulente è finalizzata ad esplorare le seguenti aree di indagine: Esame globale della cosiddetta “struttura di personalità”, ovvero l’analisi relativa alle caratteristiche identitarie del soggetto, all’assetto cognitivo- emotivo e ai repertori comportamentali esibiti in rapporto ai diversi contesti e ai diversi interlocutori Approfondimento della problematica relativa all’identità di genere, con particolare attenzione ai desideri di cambiamento e ai vissuti associati

Esame della storia dello sviluppo psicologico della persona che chiede di iniziare l’iter di adeguamento, con particolare attenzione allo sviluppo dell’identità di genere al fine di avere una visione globale del periziando Valutazione delle ragioni e motivazioni a monte della richiesta della riconversione chirurgica del sesso, le problematiche e le aspettative in merito a questa Analisi critica del percorso di Real Life Test (periodo di tempo della durata compresa tra 1 e 3 anni, in cui la persona vive e si sperimenta in accordo alle modalità e alle problematiche annesse al genere sessuale sentito come proprio)

Valutazione della presenza o meno di una rete relazionale di supporto Considerazione degli effetti, dei vissuti e dei riflessi relazionali nelle persone indirettamente coinvolte nel percorso di rettificazione dell’identità di genere (coniuge, figli, genitori, parenti, ecc.) Valutazione delle implicazioni e delle problematiche annesse alla richiesta di rettificazione rispetto al contesto lavorativo

In particolare, da un punto di vista diagnostico differenziale, il consulente deve identificare quei casi in cui la richiesta sottenda condizioni psicopatologiche che poco corrispondono al bisogno di armonizzare la propria identità fisica con quella psichica, al fine di evitare il rischio che la persona si sottoponga ad un intervento del tutto inefficace ai fini della percezione di uno stato di benessere psicologico. Il sistema di osservazione include inoltre, eventuali figli presenti nel nucleo familiare originario, rispetto ai quali va accolta e gestita la problematica riferibile al genitore in procinto di cambiare sesso, ma anche le implicazioni psicologiche del cambiamento per tutti i membri del sistema familiare, che può andare incontro a separazioni di diversa natura e intensità. Il consulente può, quindi, trovarsi nella condizione di indicare eventuali ed opportune misure che vadano oltre il suo rapporto di consulenza e che riguardino gli aspetti di tutela dei minori.

Tra gli strumenti di indagine utilizzabili in ausilio ai colloqui e all’osservazione clinica diretta, ricordiamo: Il MMPI-2 Il Rorschach e/o Il TAT La WAIS Il Derogatis Sexual Functioning Inventory Il BEM Sex Role Inventory

Lo psicologo come CTP Lo psicologo nel ruolo di CTP dovrebbe: · Sorvegliare sul corretto svolgimento delle operazioni peritali da parte del CTU, con particolare riferimento agli aspetti teorici e metodologici della Consulenza, in maniera da salvaguardare gli interessi del proprio assistito, in conformità con il diritto di contraddittorio · Essere di sostegno in qualsiasi momento del percorso di adeguamento come consulente psicologico, cui la persona può far riferimento per affrontare aspetti specifici del percorso: relazioni con i familiari o datori di lavoro, problematiche che emergano durante la terapia ormonale, preparazione al ricovero ecc.

Quale valutazione possibile? La valutazione peritale viene generalmente considerata come momento in cui la persona, la sua storia di vita e le sue prospettive esistenziali divengono OGGETTO di giudizio da parte di un esperto della psiche, delegato a ratificare o meno la genuinità e l’autenticità della richiesta di rettificazione dell’identità di genere da parte della persona stessa. In tal senso, la persona coinvolta sembra assumere un ruolo squisitamente passivo, andando a coincidere con l’oggetto di osservazione e di indagine dei Consulenti e dei Giudici, fino ad essere espropriata dei propri vissuti e del proprio punto di vista rispetto a se stessa.

D’altra parte, è opportuno sottolineare che la persona OSSERVATA è al tempo stesso anche un OSSERVATORE coinvolto nel processo di valutazione, capace di orientare l’andamento del percorso peritale in funzione delle proprie necessità, dei propri bisogni e dei propri scopi. Questo in quanto le persone organizzano gli eventi in resoconti selezionando e connettendo tra di loro i fatti, conferendo loro una specifica struttura ed una particolare coloritura emotiva.

Ne discende che le formule narrative adottate dai periziandi nel riferire la propria esperienza, oltre che modalità attraverso le quali rendere intelligibile la cosiddetta “verità storica”, rappresentano delle versioni “interessate” conformi alle aspettative e ai criteri valutativi adottati dal consulente. Consapevolmente o inconsapevolmente, nel momento in cui vengono chiamate a presentare la propria storia, le persone implicate in procedimenti giudiziali attingono a “copioni” consueti e ad un linguaggio sostanzialmente stereotipato. Spesso e volentieri, si ha l’impressione di essere di fronte ad attori che interpretano la loro parte secondo un preciso e prevedibile rituale.

Piuttosto che rappresentare una versione di presunti “fatti”, l’accettabilità delle testimonianze appare governata dalle convenzioni discorsive vigenti nel contesto giudiziario. Le persone coinvolte tendono a presentare versioni soggettive della situazione, conferendo spessore ad alcuni elementi e scarsa rilevanza altri: la versione degli eventi appare quindi tendenziosa, o quanto meno unilaterale. Ciò significa che i periziandi non si limitano ad adottare un genere narrativo caratterizzato da specifiche proprietà formali e contenutistiche, ma mirano ad orientare la direzione in cui l’ascoltatore (CTU o CTP) recepirà il testo, a prescindere dal suo contenuto di “realtà”.

In altri termini, le parti offrono i resoconti e le rappresentazioni di sé che risultano essere maggiormente adeguate e funzionali al contesto, agli interlocutori, agli scopi perseguiti. Indipendentemente dal caso di specie, è evidente come la parte in causa cerchi di imprimere una particolare curvatura alla narrazione degli eventi, ricorrendo a manovre suggestive o a espedienti retorici, al fine di produrre storie che appaiano verosimili, convincenti e persuasive.

Tutto ciò sta ad indicare che, lungi dall’essere OGGETTO di valutazione, la persona è SOGGETTO di valutazione. Pertanto, laddove abbia a che fare con un ESPERTO della psiche, potrebbe portare la propria ESPERIENZA e partecipare in modo attivo alla costruzione congiunta del processo valutativo, al fine di configurare un percorso psicologico congruente con la propria percezione soggettiva di benessere psico-fisico. Stando a ciò, verrebbe da chiedersi se il problema centrale risieda nella VALUTAZIONE in sé e per sé considerata, o quanto più nel del RUOLO - attivo o passivo - che la persona assume all’interno del contesto valutativo.