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Sistemi locali di welfare Lavinia Bifulco. Pubblico e privato Commercializzazione e quasi –mercati Terzo settore e innovazione sociale.

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Presentazione sul tema: "Sistemi locali di welfare Lavinia Bifulco. Pubblico e privato Commercializzazione e quasi –mercati Terzo settore e innovazione sociale."— Transcript della presentazione:

1 Sistemi locali di welfare Lavinia Bifulco

2 Pubblico e privato Commercializzazione e quasi –mercati Terzo settore e innovazione sociale

3 Terzo settore in Italia Dalle ultime rilevazioni dell’ISTAT (2013), risulta che al 2011 le organizzazioni non profit attive in Italia sono 301.191, con un incremento del 28% rispetto al 2001, anno dell'ultima rilevazione. Il settore dell'assistenza sociale (con 25000 organizzazioni attive) è terzo dopo la cultura e lo sport. Sempre in questo settore il non profit costituisce la principale realtà produttiva (con 361 istituzioni non profit ogni 100 imprese). L’incidenza del terzo settore sul Pil si aggira sui 4 punti, gli occupati retribuiti sono circa 670.000, i volontari arrivano a quasi 5 milioni (Maino, Ferrera, a cura di, 2013). Le cooperative sociali sono più di 11.000, più di 6.000 le Fondazioni (ibidem).

4 Problemi: Welfare aziendale - frammentazioni Secondo welfare – integrazione o sostituzione

5 Modello lombardo Modello lombardo: quasi mercati e sussidiarietà voucher e oltre problemi: asimmetria informativa exit e non voice scarsa concorrenza scarso coordinamento Verso i budget di cura?

6 Vouchers Titoli di acquisto Interventi di ‘care’ per persone con fragilità (anziani, disabili, ecc.) Concorrenza fra organizzazioni fornitrici di servizi Accreditamento Ruolo regolatore del soggetto pubblico

7 Vouchers socio-sanitari in Lombardia Assistenza domiciliare persone con problemi di autosufficienza (dal 2002) Obiettivo: alternativa al ricovero in strutture Ruolo delle Aziende Sanitarie Locali: Programmazione, acquisto/accreditamento, controllo Competizione basata su tariffa fissa, le organizzazioni competono per attrarre il consumatore in base alla qualità

8 Alcuni dati Il valore del voucher socio-sanitario è collegato alla complessità e all'intensità degli interventi di assistenza necessari. Tre livelli di assistenza: 619 euro, 464 euro, 362 euro.

9 Vouchers in Lombardia La prima sperimentazione viene realizzata fra il 1999 e il 2000 in tre Asl (Milano, Legnano, Monza): assegno di cura per l’assistenza domiciliare di persone anziane con problemi di autosufficienza, finalizzato a evitare il ricovero in strutture residenziali. Nel 2001 in tutte le Asl regionali viene avviata una sperimentazione che prevede l’erogazione di un buono socio-sanitario (l’importo è di 413 euro mensili) per l’assistenza domiciliare, utilizzabile a scelta come assegno o come voucher

10 Vouchers in Lombardia Nel 2002 due Asl (Monza e Lecco) sperimentano il voucher sociosanitario per l’assistenza domiciliare integrata. Nel 2003 il voucher sociosanitario viene esteso a tutto il territorio lombardo. Il voucher sociosanitario prevede prestazioni domiciliari di tipo medico, riabilitativo e infermieristico per persone in condizioni di fragilità (anziani con problemi di autosufficienza, disabili e minori) che possono accedere senza limiti di età e di reddito. Gli erogatori, pubblici e privati, sono accreditati dalle Asl sulla base di requisiti indicati dalla Regione e remunerati in base a tariffe prefissate.

11 Vouchers in Lombardia Il modello è quello del cosiddetto Pac: le Asl programmano, acquistano e controllano, esternalizzando invece le loro funzioni di produzione. I voucher sociali riguardano anch’essi prevalentemente l’assistenza domiciliare fornita a persone anziane e/o disabili, in misura ridotta a minori, includendo talvolta anche servizi come il trasporto e i pasti. La durata dell’intervento va dalla mensilità all’annualità

12 Vouchers in Lombardia Buoni e voucher sono entrambi finalizzati alla domiciliarità e all’obiettivo di evitare l’istituzionalizzazione di persone fragili. I voucher, sia sociali sia sociosanitari, sono basati su un meccanismo essenziale del mercato: la concorrenza tra fornitori (accreditati). I buoni non creano un mercato ma si limitano a «mercificare» l’attività di assistenza normalmente erogata secondo modalità informali, facendola passare dall’ambito non retribuito a quello retribuito. La richiesta del voucher è presentata dal medico di base all’Asl. La valutazione positiva della domanda sfocia in un Piano di assistenza individualizzato (Pai) e nella scelta da parte del fruitore in merito all’erogatore dell’intervento nell’ambito delle organizzazioni accreditate. Nel caso si sia insoddisfatti del servizio ricevuto, è possibile cambiare fornitore anche ogni mese.

13 Voucher in Lombardia Apprezzamento da parte dei fruitori, in particolare in relazione alla maggiore copertura oraria del servizio di assistenza e alla possibilità di differenziare le prestazioni [Pasquinelli e Ielasi, 2006]. Più limitato è l’apprezzamento manifestato nei confronti della libertà di scelta, da molti considerata come un onere aggiuntivo (ibid.).

14 Vouchers in Lombardia Problemi Selezione dei casi meno ‘attraenti’ Quale coordinamento degli interventi? Quali risorse per la libertà di scelta? Asimmetria informativa Quale libertà: Libertà negativa, non positiva o sostanziale Exit non voice Individuo isolato, come attore di mercato

15 Vouchers in Lombardia Limiti insiti nei meccanismi di mercato su cui è imperniato il voucher lombardo: scrematura nei confronti degli interventi meno remunerativi, asimmetria informativa fra fornitori e cittadini/con- sumatori difficoltà che l’esercizio della libertà incontra quando le persone in questione sono in uno stato di bisogno e fragilità.

16 V ouchers in Lombardia Un’altra questione è la portata concreta della libertà di scelta in situazioni in cui le opzioni dell’offerta sono predefinite e non è possibile entrare nel merito degli interventi per concorrere alla loro definizione, discuterli o cambiarli. Stando alle direttive regionali, fruitori e/o famiglie si limitano a sottoscrivere il progetto di assistenza prestabilito dai servizi, godendo comunque della facoltà di cambiare fornitore. Nei classici termini di Albert Hirschman [1970], la loro libertà implica potere di exit ma non di voice

17 Vouchers socio-sanitari I criteri di scelta: il caso, la posizione dell’erogatore nella lista o il passa-parola In molti casi non c’è funzione di accompagnamento in ossequio al principio della separazione delle funzioni. In pochi casi gli operatori accompagnano le famiglie e mediano con gli erogatori e gli altri attori della rete. (Giunco 2011)

18 Vouchers socio-sanitari Il desiderio di autonomia delle famiglie riguarda meno la scelta dell’erogatore e più aspetti quali orari, intensita, durata, professionalita, qualita degli operatori.

19 Budget di cura (progetti terapeutico- riabilitativi individualizzati) Friuli, Campania, Sicilia (dalla fine degli anni 90) Riconvertire la spesa Invertire istituzionalizzazione: ridurre e contrastare ricovero Riabilitazione basata su casa, lavoro, socialità Ruolo delle ASL: governano la misura, coordinando i diversi soggetti Soggetti: ASL, Comuni, Terzo settore, famiglia/utente Progetto individualizzato

20 Dimensione pubblica del welfare: quale: cos’è pubblico? perché

21 Gli ultimi dati Eurostat, aggiornati a novembre 2013, mostrano che nel 2011 l’Europa a 28 ha speso in media per la protezione sociale il 29,1% del prodotto interno lordo (europa.eu/rapid/press-release_STAT-13-174_en.pdf/13/174). I livelli più alti di spesa sono in Danimarca (34,3%), Francia (33,6%) e Olanda (32,3%). L’Italia destina il 29% del proprio Pil alla spesa sociale ed è perciò allineata con la media europea (29,1%). I valori più bassi sono invece registrati in Lettonia (15.1%), Estonia (16.1%), Romania (16.3%), Lituania (17.0%), Bulgaria (17.7%), Slovacchia (18.2%), Malta (18.9%) e Polonia (19.2). In Italia risultano marginali gli interventi per le funzioni dedicate al sostegno delle famiglie, alla disoccupazione e al contrasto delle condizioni di povertà ed esclusione sociale. La spesa in questi settori è, infatti, la più bassa in Europa, un dato abbastanza stabile nel corso degli anni. Nel 2011 è stato destinato solo lo 0,1 % della spesa a prestazioni relative all’abitazione e a rischi di esclusione sociale, contro il 4% della media Ue28. Il 2, 9 % è andato a politiche legate alla disoccupazione e il 4,0 % al sostegno delle famiglie, contro rispettivamente il 6 % e l’8 % della media Ue28.

22 Per quanto riguarda le prestazioni per le persone anziane, la percentuale italiana è del 61,3% contro la media europea del 45,8%. Un dato noto e normalmente invocato per motivare il taglio della spesa pensionistica. Il dato numerico della spesa previdenziale italiana potrebbe in realtà essere inferiore perché deriva da un calcolo che vale solo nel nostro paese e non in altri paesi in Europa, che include misure come i trattamenti di fine rapporto o i prepensionamenti, altrove non presi in considerazione. (Pizzuti, a cura di, 2013). Un altro dato abbastanza scontato è quello relativo agli squilibri territoriali. Secondo la rilevazione ISTAT (2013) sulla spesa per interventi socio- assistenziali, nel 2009 i comuni italiani, in forma singola o associata, hanno destinato agli interventi e ai servizi sociali 6,978 miliardi di euro, pari allo 0,46% del Pil nazionale, ma nel Sud la spesa non supera lo 0,3%.

23 Nessuna buona notizia neppure riguardo ai finanziamenti per il settore socio-assistenziale. Il Fondo Nazionale per le politiche sociali (previsto dalla riforma del 2000 e destinato alle Regioni) è diminuito costantemente. Nel 2004 lo stanziamento complessivo è stato di 1,884 miliardi di euro (il massimo storico). Nel 2012 arriva soltanto a 43,7 milioni di euro (il minimo storico). Nel 2013 lo stanziamento risale a 344,17 milioni di euro, che rappresenta comunque il 77,8% in meno rispetto a quanto stanziato nel 2004 (Arlotti, 2012).

24 Non va molto meglio al Fondo per la non autosufficienza, che dopo aver raggiunto quota 400 milioni per il 2009 e il 2010, precipita a 100 milioni nel 2011 e viene completamente azzerato nel 2012, per poi recuperare nel 2013 con uno stanziamento di 275 milioni. Il Fondo per le politiche della famiglia era riuscito a prendere un discreto peso, partendo da 3 milioni di euro per l'anno 2006 e arrivando nel 2008 a 173,13 milioni. Ma nel 2012 il finanziamento crolla a 10,8 milioni e nel 2013 viene azzerato (http://www.quotidianosanita.it/studi-e- analisi/articolo.php?articolo_id=15330) Per il 2014 il patto di stabilità ha previsto per il Fondo nazionale per le politiche sociali 317 milioni di euro (- 8 % rispetto all’anno precedente) mentre il Fondo Nazionale per la non autosufficienza mette a segno un aumento del 27 % arrivando a quota 350 milioni (Ranci, 2014).


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