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I.T.C. G CARUSO VIA J. KENEDY

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Presentazione sul tema: "I.T.C. G CARUSO VIA J. KENEDY"— Transcript della presentazione:

1 I.T.C. G CARUSO VIA J. KENEDY
PROGETTO PON – EDUCAZIONE E ISTRZZIONE ATTRAVERSO IL TERRITORIO

2 LEGISLAZIONE AMBIENTALE

3 1. La politica ambientale: definizione.
La politica ambientale comprende l'insieme degli interventi posti in essere da autorità pubbliche e da soggetti privati al fine di disciplinare quelle attività umane che riducono le disponibilità di risorse naturali o ne peggiorano la qualità e la fruibilità. In concreto, oggetto della politica sono quei comportamenti che producono il degrado dell'ambiente, quali gli inquinamenti - ovvero l'emissione nell'ambiente di sostanze che alterino la qualità dei vari media (aria, acqua, suolo) - , oppure la sostanziale modificazione dell'assetto caratterizzante l'ambiente (ad esempio la realizzazione di una diga provoca l'allargamento di una vallata), o infine il prelievo di risorse naturali scarse (l'attività venatoria comporta una riduzione di specie animali rare). [Lewanski 1990, 281]. A partire dagli Anni '60 di questo secolo l'ambiente ha iniziato ad attirare l'attenzione di vasti strati dell'opinione pubblica; l'ambientalismo diventa un fenomeno di massa negli Stati Uniti con la proclamazione della Earth Day il 22 aprile del 1970, cui partecipano centinaia di migliaia di studenti nei campus universitari [Mc Cormick 1989, 47].

4 Il movimento ambientalista, pur avendo oltre un secolo di storia alle spalle, é rimasto a lungo un fenomeno elitario, circoscritto a ristrette cerchie di scienziati naturali che si battono per la conservazione di beni di particolare pregio. Le prime norme di tutela della fauna - in particolare degli uccelli - risalgono agli anni '60 dello scorso secolo in Australia. Il primo parco al mondo, quello di Yellowstone con un'estensione di ettari, viene creato nel 1872 negli Stati Uniti; su tale esempio negli anni seguenti parchi nazionali vengono istituiti in Australia, Canada e Nuova Zelanda. In Europa l'ambientalismo diviene un fenomeno politico qualche anno più tardi [Ingram e Mann, 1983, 702]. In alcuni paesi si sono affermati nuovi soggetti politici - i partiti "verdi" - in altri i temi ambientali vengono fatti propri dai partiti tradizionali. Pur essendo i sistemi politici occidentali contraddistinti da elevati livelli di mobilitazione politica, forte densità organizzativa e frammentazione dei gruppi, il movimento ambientalista rappresenta una manifestazione distintiva in questo panorama.

5 Forse in nessun'altra politica di settore "gruppi di pressione che si propongono di rappresentare l'interesse Comune e il pubblico in generale" (Freddi 1994, XIII) sono stati così attivi e visibili, nonché influenti sui processi politici; quello ambientalista potrebbe dimostrarsi uno dei movimenti sociali più rilevanti di questo secolo [Dalton, 1994, 243]. Per grandi linee, il problema ambientale é "sulla cresta dell'onda" durante gli anni '70, per declinare durante gli anni '80, per subire una nuova impennata nella seconda metà dello scorso decennio, e un nuovo calo all'inizio degli anni '90 [Hansen, 1993 a, XV]. Infatti, stando ai risultati di Eurobarometer, la parte della popolazione europea che sostiene la priorità della crescita economica risulta sorprendentemente inferiore a quella in favore della priorità ambientale (sebbene la maggioranza veda la possibilità di conciliare entrambe le esigenze) [Oecd, 1993, 287]. Sempre secondo i risultati di Eurobarometer, dal 1986 quella per l'ambiente é sempre in seconda-terza posizione tra le preoccupazioni degli italiani, mentre nel 1991 sale al primo posto, per poi scendere al quarto nel 1993. Per quanto gli esiti dei sondaggi possano essere discutibili, in termini indicativi un sostegno diffuso a favore delle politiche ambientali appare incontrovertibile.

6 Certo che l'irrompere sulla scena della questione ambientale ha creato nuove fratture e generato nuovi conflitti che investono i processi politici ad ogni livello, da quello locale a quello internazionale. Storicamente in Europa e Nord America si sono succedute quattro ondate nella nascita delle associazioni ambientaliste in corrispondenza con 1) la seconda metà dello scorso secolo; 2) gli anni '20; 3) la fine degli anni '50; 4) i primi anni '70 [Sartori, 1987, 113]. La prima associazione italiana risale al 1898, seguita dal Touring Club e da associazioni di tutela del paesaggio e dei monumenti all'inizio del secolo [Diani, 1988, 67].

7 L'ambientalismo del secondo dopoguerra si dedica ad attività divulgative miranti a sviluppare la sensibilità verso i temi naturalistici del grande pubblico, conduce attività di ricerca, e soprattutto si impegna in iniziative rivolte alla conservazione diretta del patrimonio naturale, e talvolta anche artistico-monumentale (come nel caso di Italia Nostra o del Fondo per l'ambiente italiano). L'associazione di maggior spicco in questo periodo é il WWF che nasce in Svizzera nel 1961 in seguito ad una crisi finanziaria dello Iucn. Il WWF si pone come finalità precipua la tutela della fauna selvatica mediante l'acquisizione delle aree in cui possa vivere indisturbata, e ha ormai sponsorizzato centinaia di progetti di questo tipo in decine di paesi, impiegando expertise professionale di elevato livello. In Italia, a questo periodo risalgono, oltre alla sezione nazionale del WWF creata nel 1966, Pronatura, istituita nel 1953, seguita da Italia Nostra nel 1955, dalla LIPU (1965) e dalla Federnatura (1970). Con lo sviluppo di queste associazioni che si apre la grande stagione del "protezionismo", del "conservazionismo" naturale.

8 In Italia fino alla seconda metà degli anni Settanta le organizzazioni presenti (Italia Nostra, WWF), si muovono quali gruppi di pressione, puntando su obiettivi circoscritti (la salvaguardia di uno specifico bene) o tutt'al più invitando in occasione delle competizioni elettorali i propri membri a convogliare i loro voti su candidati dei vari partiti che abbiano dato prova di sensibilità ambientalista. Italia Nostra nasce da un gruppo di personalità noti per essersi impegnati nel 1948, al momento di redigere la Costituzione repubblicana, per l'inserimento dell'articolo 9 che così recita: ´La Repubblica tutela il patrimonio storico, artistico e naturale della Nazioneª. Il WWF, invece, é una novità, una rottura culturale rispetto alle associazioni protezionistiche italiane: l'attenzione al tesseramento, all'organizzazione, al reperimento delle risorse finanziarie per la realizzazione privata di oasi naturalistiche, così come l'impegno concreto nelle campagne di massa di educazione e sensibilizzazione ambientale, sono le principali caratteristiche del WWF internazionale. Il WWF Italia ha successo: nel 1971 si supera la barriera dei soci, nel 1976 quella dei poi la crisi del 1980 e del 1981 (25.000) e la ripresa: oltre nel 1984, nel 1987, sino al massimo storico di oltre associati (più ragazzi delle scuole) del 1991.

9 Presidente dal 1980 sarà Fulco Pratesi, affiancato per la prima volta da un "direttore generale", con il compito di dirigere le campagne nazionali e gli uffici centrali di Roma in cui ormai lavorano decine di funzionari. in questo modo il WWF consolida al suo interno una sorta di "doppia" struttura: una partecipativa con cariche elettive, l'altra funzionariale e direttiva, la prima con il compito di rappresentanza politica esterna, la seconda con un forte ruolo nell'organizzazione delle campagne di opinione. Ma l'ambientalismo vero e proprio nasce negli anni '70, dopo l'incidente di Seveso, con il movimento antinucleare, la crescita di Legambiente, il sorgere delle Liste Verdi e la nascita di Greenpeace Italia. Nel marzo 1980 si costituisce presso l'Università di Roma la Lega per l'ambiente, che dal 1992 si chiamerà Legambiente. Essa dichiara di praticare l'ambientalismo scientifico, che significa estrema attenzione "a ricercare le cause reali del degrado ambientale e le forme efficaci per combatterlo", ritenendo "che sia necessaria una vasta mobilitazione di intelligenze tecnico-sientifiche e di saperi in generale. Così nasce l'idea di costituire un Comitato tecnico-scientifico che affianchi le scelte associative e, dalla fine del 1983, di redigere un rapporto tecnico annuale sullo stato dell'ambiente in Italia. Dal 1993 Legambiente interpella ogni anno ventimila famiglie per un sondaggio, in cui risulta che l'ambiente é costantemente al terzo posto tra le 12 principali preoccupazioni per il futuro degli italiani, superato di volta in volta dalla mafia (nel 1993), dalla corruzione politica (1994) e poi dalla disoccupazione.

10 Gli anni Novanta sono per l'ambientalismo gli anni di consolidamento delle grandi associazioni, anche se le adesioni crescono più lentamente, gli anni di un importante ricambio generazionale nelle direzioni delle principali organizzazioni, della nascita di Greenpeace Italia e della ricerca di nuove frontiere dell'azione sociale. Uno dei motti lanciati da Legambiente nel suo ultimo Congresso, é "voler bene all'Italia", per rappresentare l'aspirazione che l'ambiente divenga una grande questione nazionale. Anche in un periodo di scarsa visibilità nei telegiornali e nei palazzi della politica l'ambientalismo italiano non é mai stato così forte, la sua capacità di influenzare opinioni e abitudini degli italiani non é mai stata maggiore. Ma per ridurre i nostri consumi energetici, per preservarci dalle modificazioni climatiche, come discusso dai governi di tutto il mondo nella recente Conferenza di Kyoto, per imparare a gestire quel 50% di patrimonio artistico che secondo l'UNESCO é conservato in Italia, la questione ambientale deve ancora crescere, incrociarsi con la speranza di futuro e di autentico benessere di tutto un popolo.

11 In generale, sembra si possa affermare che gli ambientalisti hanno esercitato un'influenza significativa sulle politiche in numerosi paesi [Vogel, 1990, 269]: il movimento ambientalista ha sviluppato la propria azione ad ogni livello di policy, da quello locale a quello internazionale. A livello locale l'opposizione ecologista ha indubbiamente contribuito a rinviare, ridimensionare e talvolta cancellare progetti aventi significative ripercussioni sull'ambiente; gli ambientalisti certamente contribuiscono a formare e ad aggregare la domanda ambientale, ed esercitano un'influenza sulla selezione delle domande e sul processo decisionale. Almeno laddove ne hanno la forza, essi giocano un ruolo significativo anche in relazione alla fase attuativa delle politiche, ad esempio monitorandone la corretta applicazione da parte di autorità e dei soggetti le cui attività incidono sull'ambiente. In Italia le organizzazioni ambientaliste svolgono un'azione di controllo e monitoraggio del rispetto anche in relazione agli accordi internazionali e alle direttive comunitarie, incentivando così gli stati a dare reale seguito agli accordi.

12 2. Caratteristiche della politica ambientale.
Il problema ambientale presenta caratteristiche rilevanti per le loro ripercussioni sulla politica di settore, per esempio il fatto di avere come oggetto beni pubblici e la presenza di esternalità negative, ovvero di costi imposti a terzi che ne subiscono gli effetti senza godere dei benefici né avere la responsabilità delle cause. Le politiche ambientali sono "difficili", particolari, a tratti anomale e presentano caratteristiche quali: scarsa visibilità: i problemi ambientali non vengono percepiti immediatamente, ma richiedono, invece, l'obbligo di sofisticate strumentazioni, oppure si manifestano su tempi lunghi, o su scala dimensionale così vasta da poter essere colti solo attraverso elaborate ricerche scientifiche. I tempi sono sfalsati: i tempi dell'intervento pubblico sono profondamente dissonanti rispetto a quelli dei processi ambientali; gli attori politici preferiscono affrontare i problemi che attirano di volta in volta l'attenzione dell'opinione pubblica piuttosto che quelli di lungo periodo, per quanto scelte di questo tipo risultino meno efficaci e meno efficienti per il problema ambientale.

13 L’elevato contenuto tecnico scientifico: le normative ambientali rispecchiano tale caratteristica, richiedono continui aggiornamenti e una delle conseguenze sul piano politico é che, se é vero che un problema può coinvolgere un pubblico ampio solo se risponde al requisito della semplicità [Meny e Thoening, 1989; trad. it. 1996, 145], l'attenzione e la partecipazione di chi non é addetto ai problemi ambientali é scoraggiata in proporzione alla loro complessità, a prescindere dalla reale gravità delle specifiche questioni [Caldwell, 1990 a, 15]. Incertezza: si verifica quando non si hanno a disposizione adeguate informazioni circa le relazioni di causa-effetto; l'incertezza può giustificare il rinvio di ogni decisione, o al contrario spingere ad adottare a maggior ragione misure precauzionali (vorsorgeprinzip) al fine di prevenire il possibile insorgere di danni. Costi concentrati, benefici diffusi: i costi della protezione ambientale sono certi, immediati e concentrati presso specifici settori della società, mentre i benefici sono diffusi, incerti e dilazionati nel tempo. Per quel che riguarda la politica ambientale, é evidente che mentre i costi delle misure di riduzione degli inquinamenti sono destinati a ricadere su un numero ristretto di attori (gli inquinatori, appunto) - che quindi sono razionalmente motivati a investire le proprie risorse per cercare di evitare o quanto meno limitare tali misure - i potenziali benefici riguardano un numero molto ampio di soggetti, che quindi hanno scarse motivazioni a sostenere i costi insiti nella mobilitazione necessaria per ottenere politiche di tutela dell'ambiente (tali benefici sono inoltre difficilmente avvertibili nel breve periodo) [M. Olson, 1965];

14 Elevata interdipendenza: le politiche pubbliche si trovano ad affrontare grovigli di problemi e soluzioni che sono profondamente intrecciati. La politica ambientale é caratterizzata da una pervasività particolarmente accentuata che si ripercuote sul piano sociale, economico e politico; risulta difficile individuare un settore o aspetto che non sia ricollegabile in qualche modo all'ambiente proprio perché é all'interno dell'ecosistema che hanno luogo le azioni umane: salute umana, sicurezza, estetica, produzione di alimenti, risorse naturali, sopravvivenza di specie biologiche, attività produttive, occupazione, trasporti, energia, ricerca scientifica, relazioni internazionali e lo stesso funzionamento del sistema politico [Ingram e mann, 1983, 687]; come si vede, ben poco può essere escluso. Quindi dal carattere d'interdipendenza discende che ai fini di una comprensione adeguata dei processi e degli esiti della politica ambientale si deve tenere conto dei processi che si svolgono contestualmente in altre politiche settoriali connesse. Concludendo, affermiamo che la politica ambientale é figlia di un'epoca di ambiziose politiche riformiste avviate nei paesi occidentali nel corso degli anni '60, basate sulla fiducia nella capacità dello Stato di indurre modificazioni di grande portata nella società. Nel corso degli ultimi tre decenni, consistenti risorse politiche, legali, amministrative e finanziarie sono state investite in questo settore: carte costituzionali sono state aggiornate, normative approvate, limiti fissati, ministeri istituiti, apparati tecnico-burocratici predisposti, fondi stanziati e spesi, infrastrutture realizzate.

15 La politica ambientale si é dimostrata assai più intrattabile di quanto inizialmente stimato. Con il tempo, si é dovuto prendere atto che i risultati appaiono ben al di sotto delle aspettative di una rapida soluzione e soprattutto ancora lontani dall'assicurare livelli ambientali adeguati un po' in tutti i paesi industrializzati, sia pure con differenze significative.

16 3. L’Origine delle aree protette.
L'interesse delle popolazioni per la difesa degli ambienti naturali da un uso distruttivo delle risorse ivi presenti è notevolmente aumentato in concomitanza del peggioramento della qualità della vita soprattutto negli agglomerati urbani, nelle zone industrializzate e, più in generale, laddove esistono fonti di inquinamento di diverso tipo. In Italia, il tema della conservazione della natura, a lungo, trascurato, ha conquistato l'interesse dei cittadini e dei decisori pubblici a partire dai primi anni settanta, quando la diventata ecologica di origine nordamericana, inglese e francese richiama l'attenzione sul concetto elementare e basilare del rapporto uomo-ambiente. In un siffatto contesto ecologico, ai parchi viene rivolta un'attenzione particolare, tanto da essere considerati, secondo nuovi criteri nati negli Stati Uniti, territori rivolti ad un uso multiplo, la cui gestione deve tener conto sia dei delicati problemi connessi con la salvaguardia delle risorse naturali ed ambientali, sia dello sviluppo sociale, economico e culturale delle popolazioni residenti. I primi movimenti di opinione per un'amministrazione più corretta delle risorse naturali e per una differenziazione degli obiettivi di gestione nascono in alcune parti dell'Europa e negli Stati Uniti agli inizi del XIX secolo. Questi, sorretti da associazioni naturalistiche e culturali, determinano una discreta opera di sensibilizzazione nell'opinione pubblica, tanto è vero che nel 1864, per la prima volta, un'ampia area di proprietà demaniale (lo YOSEMITE VALLEY), viene riservata alla popolazione dello Stato della California per scopi ricreativi. Meno di dieci anni dopo, nel 1872, viene istituito negli Stati Uniti il Parco di Yellowstone, il più antico parco nazionale dell'era moderna.

17 In Italia il primo parco nazionale è quello del Gran Paradiso, istituito nel 1922 con R.D.L. n. 1584, già tutelato dalle Regie Patenti dal 1821, Riserva reale di caccia dal 1856 per volontà di Vittorio Emanuele II. La data di istituzione del Parco è da considerarsi storica per il nostro Paese sebbene il concetto di parco non sia stato sufficientemente recepito dall'opinione pubblica e i tempi non siano ancora maturi politicamente. Nasce da lì a breve anche il parco nazionale d'Abruzzo, progettato agli inizi del secolo e realizzato attraverso un ente privato. Sembrava che l'Italia si scuotesse per assumere addirittura un ruolo di leader nella conservazione della natura in Europa. Ma il fascismo imprime il suo marchio autoritario anche ai parchi nazionali. Il Parco del Gran Paradiso viene ben presto affidato alla Milizia nazionale e sorte analoga ha nel 1933 il parco nazionale d'Abruzzo. Nel 1935 viene istituito il parco nazionale dello Stelvio, senza alcuna consultazione locale sempre con personale della Milizia. Il parco nazionale del Circeo a sua volta viene amministrato dall'Azienda di Stato per le foreste, benché di tutt'altro si trattasse. Estranei all'economia e alla società, gestiti in forma repressiva senza però impedire il bracconaggio e le manomissioni, i parchi nazionali attraversano un periodo tristissimo. L'ostilità e i pregiudizi delle popolazioni locali non si attenuarono nel dopoguerra. Anche dopo il ritorno all'autonomia gestionale i parchi del Gran Paradiso e d'Abruzzo ebbero anni di stenti, di paralisi, di incomprensioni; i parchi esistenti, con la sola eccezione del parco d'Abruzzo, riuscirono a dare limitati benefici alle popolazioni locali, martellate da una propaganda che metteva l'accento su divieti e regolamenti burocraticamente fastidiosi (si pensi che i permessi per rifare un tetto, per riparare una stalla, costruire un muro o un serbatoio d'acqua potevano tardare mesi o anni).

18 4. Parchi e aree protette: una classificazione.
In Italia si parla comunemente di parchi, riserve naturali, oasi faunistiche, ma la terminologia è tuttora oggetto di discussione. Significativa appare la definizione di "parco" data da Giacomini e Romani (1982), in base alla quale il parco è l'assetto giuridico amministrativo di un insieme territoriale, in virtù delle cui finalità globali e specifiche la salvaguardia e lo sviluppo degli elementi naturali ed umani che lo costituiscono sono promossi e disciplinati in un regime di reciproca compatibilità. Secondo gli esperti del Comitato per i parchi nazionali e le riserve è però opportuno procedere ad alcune distinzioni: parchi nazionali: sono "aree di eccezionale importanza e complessità naturalistica, di vasta estensione e di valore e interesse internazionali, rappresentative di ambienti unici o tipici di un certo territorio, famosi anche per la presenza di particolari entità o associazioni vegetali o animali". Ogni parco nazionale ha la sua particolare regolamentazione che stabilisce anche i limiti territoriali quantitativi o qualitativi delle modifiche apportabili all'ambiente per lo sviluppo controllato del turismo e delle altre attività umane. In Italia i parchi nazionali proteggono specie o ambienti unici in tutto il territorio nazionale, come ad esempio lo stambecco nel Gran Paradiso e l'orso marsicano nel Parco d'Abruzzo.

19 Parchi regionali sono "aree di notevole estensione, spesso coincidenti con un comprensorio naturale non ancora trasformato dalla civiltà industriale metropolitana, idoneo per vocazione ad assolvere finalità composite, tra le quali, accanto alla esigenza prioritaria della conservazione, trovino giusto posto anche gli scopi della ricreazione, della educazione e del tempo libero". Spesso per dette aree, in sede di istituzione, è stata prevista la realizzazione di appositi piani di conservazione e di sviluppo, alcuni dei quali fanno ricorso ad una suddivisione del territorio in zone omogenee sottoposte a vari gradi di tutela: da quella integrale, a quella guidata, alla zona preparco in cui sono ammesse le infrastrutture ricettive per il turismo, quelle ricreative, sportive etc. Riserve naturali e rifugi faunistici: sono "aree di estensione limitata, a volte addirittura identificabili con un singolo biotopo, fenomeno o entità naturale, pregevoli sul piano ecologico e paesaggistico, significative dal punto di vista scientifico e rappresentative di aspetti di determinati territori". Ne sono un esempio: le riserve naturali integrali, in cui l'accesso ai visitatori è vietato e l'ecosistema viene lasciato all'evoluzione naturale, costituendo pertanto un modello per la gestione "naturalistica" delle aree circostanti; le riserva naturali orientate, in cui vengono effettuati interventi guidati da parte dell'uomo, allo scopo di "orientare" l'evoluzione dell'ecosistema verso un determinato modello culturale; le riserve biogenetiche, istituite allo scopo di conservare particolari caratteristiche genetiche delle specie che vivono al loro interno, o perché queste sono in pericolo di estinzione o per riprodurle e riutilizzarle; e le riserve faunistiche, che proteggono l'ambiente vitale per determinate specie animali.

20 Proprio per la loro specifica natura, le riserve naturali sono generalmente inserite in un'area tutelata più ampia e con diverse finalità istitutive. L'U.I.N.C. (Union International Nature Conservation, Organizzazione internazionale non governativa specializzata nei problemi della conservazione della natura), attraverso la C.P.N.A.P. (Commission Parcs National and Areas Protected) ha redatto un documento di base secondo cui i parchi nazionali, qualora ufficialmente riconosciuti, rientrano fra le categorie di aree protette sotto la diretta sorveglianza internazionale. La dizione parco nazionale, deve essere limitata esclusivamente a territori che rispondono ai seguenti requisiti: una sufficiente estensione; la presenza di uno o più ecosistemi poco o affatto alterati dall'uomo in cui anche le utilizzazioni in epoche remote non hanno inciso significativamente sugli habitat delle consociazioni vegetali e sulla presenza degli animali. Il territorio dovrà risultare particolarmente interessante dal punto di vista estetico, scientifico, didattico e ricreativo. Il divieto da parte della più alta autorità del Paese di utilizzazione ed occupazione su tutta la superficie e l'impegno a rimuovere eventuali occupazioni preesistenti. Infine l'accesso al pubblico è consentito, previa autorizzazione, per scopi ricreativi, educativi e culturali.

21 Secondo l'U.I.N.C., sono inoltre vietate le utilizzazioni delle risorse naturali e in particolare l'estrazione di risorse minerali; i tagli del bosco, la raccolta di altri tipi di vegetazione, l'allevamento di animali, la costruzione di sbarramenti per l'irrigazione oppure per scopi idroelettrici, le colture agricole, la caccia, la pesca etc. Sono ammesse attività antropiche quando queste costituiscono parte integrante del patrimonio culturale di un particolare ambiente da proteggere; sono ammesse le attività esistenti de facto, oppure acquisite di diritto dalle popolazioni residenti ancor prima dell'istituzione del parco, a condizione però che queste non interessino una parte troppo elevata della superficie totale dell'area del parco; sono ammesse le attività necessarie alla gestione del territorio protetto e quelle necessarie ad un equilibrato sviluppo turistico-ricreativo della zona. I territori classificati "parchi nazionali" possono includere: aree in cui la protezione è integrale;aree antropologiche protette (qualora esistano);aree protette da interesse storico o archeologico (qualora esistano). Ogni parco deve avere un suo piano che suddivide il territorio in zone (A, riserva integrale; B, riserva generale; C, di protezione; D, sviluppo). Ma la suddivisione in zone non è tutto, molto dipende dai modi con cui la "zonizzazione" viene applicata e dagli indirizzi che l'hanno suggerita.

22 Il quadro offerto dalla legislazione regionale antecedente alla legge quadro in riferimento al problema dell'individuazione delle aree sulle quali istituire parchi e riserve è sufficientemente articolato. Alcune Regioni prevedono un piano regionale delle aree protette, formulato con il supporto di apposito organo tecnico, il quale esprime pareri (Piemonte) o proposte (Lombardia). Altre Regioni (Veneto, Friuli Venezia Giulia, Emilia Romagna) fanno riferimento al piano territoriale urbanistico della Regione. In sostanza la istituzione di parchi e delle riserve avviene sempre per determinazione dell'organo politico (si tratta quasi sempre di legge regionale), ma la programmazione, o se si preferisce il piano per la individuazione delle aree protette, si avvale molto dell'apporto di appositi organi tecnici. Sul retroterra di questa esperienza statale e regionale è intervenuta la legge quadro la quale ha operato una scelta di fondo: ha optato per una programmazione autonoma della protezione del patrimonio naturalistico. A tal fine essa ha istituito due organi: uno operativo, di carattere politico, denominato Comitato per le aree naturali protette e costituito da sei Ministri o sottosegretari delegati e da sei Presidenti di Regioni o assessori delegati, e l'altro consultivo, di carattere tecnico, denominato Consulta tecnica per le aree naturali protette, e costituita da esperti particolarmente qualificati.

23 Il programma per le aree naturali protette è adottato dal Comitato, sentita la Consulta e sulla base della Carta della natura predisposta dai Servizi tecnici nazionali, la quale individua lo stato dell'ambiente naturale in Italia, evidenziando i valori naturali ed i profili di vulnerabilità territoriale. Il programma, innanzitutto, identifica le linee fondamentali dell'assetto del territorio con riferimento ai valori naturali ed ambientali e svolge inoltre i seguenti compiti: specifica i territori che formano oggetto del sistema delle aree naturali protette di interesse internazionale, nazionale e regionale, operando la necessaria delimitazione dei confini; indica il termine per l'istituzione di nuove aree naturali protette o per l'ampliamento e la modifica di quelle esistenti, individuando la delimitazione di massima delle aree stesse; definisce il riparto delle disponibilità finanziarie per ciascuna area e per ciascun servizio finanziario; prevede contributi in conto capitale per le attività nelle aree naturali protette istituite dalle Regioni relativi all'istituzione di dette aree; determina i criteri e gli indirizzi di gestione delle aree protette nell'attuazione del programma per quanto di loro competenza, ivi compresi i compiti relativi all'informazione ed all'Educazione Ambientale delle popolazioni interessate, sulla base dell'esigenza di unitarietà delle aree da proteggere.

24 La differente realtà ambientale delle aree protette impone la necessità di differenziare per categorie le aree stesse, in modo da assicurare da un lato sufficiente omogeneità di raggruppamento, in base a caratteri comuni, e d'altro lato corrispondenza piena tra caratteristiche dell'area e strumenti di protezione. La differenziazione per categorie, del resto, discende direttamente oltre che da realtà di fatto, anche da correnti di pensiero scientifico internazionale che pur non costituendo vincolo in senso giuridico, sono un preciso punto di riferimento, anche ai fini di un avvicinamento delle legislazioni. La classificazione delle aree protette tiene conto di due fattori diversi: l'ampiezza dell'area da proteggere e il differenziato regime di tutela. In ordine di ampiezza, i parchi naturali costituiscono le più ampie aree di protezione, le riserve naturali e le zone di particolare rilevanza ambientale sono di regola medie aree di protezione, i monumenti naturali corrispondono a beni di piccola entità e superficie. Il regime di protezione, infatti, deve essere direttamente proporzionale alle qualità intrinseche del bene ambientale. E' questa una immediata conseguenza del concetto di bene ambientale, costituito non dalla somma di singole cose unitarie, ma da un valore di interesse pubblico che accomuna le cose stesse in un unico complesso. La politica di protezione quindi deve stabilire quali attività umane vadano escluse, in quanto incompatibili con gli obiettivi di interesse pubblico collettivo alla conservazione e al potenziamento del bene ambientale.

25 Da quanto esposto discende che a maggiore valore naturalistico deve corrispondere maggiore protezione, nonché maggiore limitazione alle attività antropiche e viceversa. La protezione per il parco naturale assume, dunque, una duplice funzione: da un lato la tutela delle singole componenti di particolare pregio ambientale, dall'altro la tutela, il coordinamento, il recupero dell'ambiente nel suo insieme unitario di aree, normalmente composite e di differente rilievo naturalistico. Per ciò che riguarda l'atto istitutivo delle aree protette, esso può essere un semplice atto amministrativo. Per altro, la tradizione dell'ordinamento statale, che ha sempre istituito i parchi mediante legge, sembra essere stata recepita da tutte le regioni. La effettiva disciplina di tutela di un'area protetta può essere stabilita unicamente con strumenti normativi di dettaglio; potrà essere contenuta in atti amministrativi (regolamenti, strumenti di pianificazione, programmi etc.) solo se con legge si sia determinata quella sufficiente specificazione della portata delle potestà amministrative, diversamente, anche la disciplina di dettaglio dovrà essere contenuta in atto legislativo, derivandone, altrimenti la illegittimità della disciplina stessa, per violazione della riserva di legge. Compito primario del piano è, pertanto, la delimitazione delle aree di diversa protezione, attribuendo a ciascuna di esse la normativa tecnica più coerente con le qualità naturalistiche da proteggere. Mentre le zone A dei parchi (riserva integrale) richiedono solo le spese di sorveglianza, le altre zone esigono investimenti adeguati che consentano il restauro degli edifici rurali, il rilancio dell'agricoltura e della pastorizia, il turismo guidato etc.

26 E’ difficile dire quale sia il fabbisogno finanziario di un parco, essendo quanto mai varie le situazioni locali: il parco deve svolgere attività non direttamente produttive come quelle di tutela e quelle scientifiche (che tuttavia richiedono personale e perciò producono posti di lavoro); al tempo stesso deve agire come un'azienda autonoma che interviene nell'agricoltura e promuove il turismo, col risultato di un aumento dell'occupazione e del reddito nell'area interessata. Il 50% della spesa annua è assorbito dalla tutela e dalla riqualificazione ambientale: affitti di terreni, compensi ai proprietari per divieti di sfruttamento, indennizzi per danni provocati dagli animali protetti, ripopolamenti faunistici, piantagioni, spese di ripristino in zone dissestate etc. Il 30% delle spese è per il personale, per il finanziamento dell'ente-parco, per la manutenzione. Il 10% va alla ricerca scientifica e alle pubblicazioni, anche a carattere divulgativo. Il 10% alle organizzazioni di visite guidate, alla propaganda turistica, al funzionamento dei centri di informazione. Senza fondi sufficienti gli enti che amministrano i parchi non riusciranno mai a compiere il salto dalla funzione repressiva a quella dinamica e produttiva; non saranno mai paragonabili ad aziende che si presentano con spirito imprenditoriale, con un programma di investimenti e perciò con posti di lavoro. Comunque, la spesa pubblica per i parchi, che nel 1970 non arrivava a 500 milioni di lire l'anno, era salita nel 1980 a 8 miliardi (però con ritardi enormi nelle erogazioni).

27 La superficie di territorio inclusa nei parchi nazionali era passata da 200 mila a 270 mila ettari. Ai convegni tutti sono d'accordo, politici e amministratori, esperti e uomini di cultura, anche cacciatori, nel declamare sulla conservazione della natura. Ma le realizzazioni sono scarse; alla lentezza nelle decisioni si aggiunge quella nell'esecuzione di provvedimenti approvati e accolti con compiacimento generale.


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