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I REATI CONTRO LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

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Presentazione sul tema: "I REATI CONTRO LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE"— Transcript della presentazione:

1 I REATI CONTRO LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE
25/06/13 25/06/13 I REATI CONTRO LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE TIFORMA c/o UNIONCAMERE Firenze, giugno - luglio 2013 Relatori Avv. Agnese Del Nord Amministrativista - Consulente per Enti Locali e Aziende Professore a contratto in Legislazione urbanistica e edilizia presso l'Università La Sapienza, Roma, Facoltà di Architettura Avv. Gabriele Martelli Amministrativista e penalista – Consulente per Enti Locali e Aziende

2 GLI ELEMENTI COSTITUTIVI DEL REATO
25/06/13 25/06/13 CAP. I. GLI ELEMENTI COSTITUTIVI DEL REATO

3 I COMPORTAMENTI ILLECITI CHE COSTITUISCONO REATO
25/06/13 25/06/13 I COMPORTAMENTI ILLECITI CHE COSTITUISCONO REATO Prima di esaminare i vari singoli reati occorre necessariamente illustrare, seppur brevemente, gli elementi costitutivi dei reati, al fine di tratteggiare i presupposti in ragione dei quali un fatto è qualificabile come REATO. Non tutti gli illeciti rilevano sul piano del diritto penale, soltanto alcuni comportamenti sono infatti penalmente rilevanti (gli altri, possono essere fonte di responsabilità di altra natura, per esempio civile/disciplinare/amministrativa...)

4 PAR. I.I. DISAMINA DEI SINGOLI ELEMENTI COSTITUTIVI DEL REATO
25/06/13 25/06/13 PAR. I.I. DISAMINA DEI SINGOLI ELEMENTI COSTITUTIVI DEL REATO Vigente il principio di tassatività e di riserva di legge, non vi è reato se non ricorrono nella fattispecie concreta tutti gli elementi costitutivi del reato stesso individuati dalla fattispecie astratta. Gli elementi costitutivi del reato sono: Fatto tipico Antigiuridicità Colpevolezza

5 25/06/13 25/06/13 A) Fatto Tipico Affinché sussista un reato, la fattispecie concreta deve essere identica alla fattispecie astratta, prevista appunto come reato. Ciò significa che deve verificarsi un fatto tipico: è tale un fatto quando contiene l’insieme di tutti gli elementi oggettivi e soggettivi che servono per la corrispondenza dello stesso alla Fattispecie di reato descritta nella norma incriminatrice. La fattispecie è articolata in due diverse componenti, anch'esse composite, parimenti rilevanti oggettiva (l'insieme di tutti gli elementi materiali): soggetto attivo; soggetto passivo e/o danneggiato dal reato; oggetto o bene giuridico; oggetto materiale; condotta; rapporto di causalità materiale; evento. soggettiva (l'insieme degli elementi riferiti al nesso psichico) coscienza e volontà, dolo, colpa.

6 25/06/13 25/06/13   A) Soggetto attivo. L’art. 27 della Costituzione sancisce il principio di personalità della responsabilità penale secondo cui la natura strettamente personale del reato implica che nessuno possa essere considerato responsabile per un fatto compiuto da altre persone. Da tale principio consegue che tutte le persone fisiche possono essere considerate soggetti attivi del reato (l’età, le situazioni di anormalità psico-fisica e le immunità non escludono la sussistenza del reato ma incidono solo ed esclusivamente sull’applicabilità o meno della sanzione penale) mentre resterebbero escluse da responsabilità penale le persone giuridiche (societas delinquere non potest, recita un antico brocardo latino).

7 25/06/13 25/06/13 Diverse sono state le opinioni della dottrina su come potesse conciliarsi il principio di personalità della responsabilità penale ovvero di colpevolezza con la natura e la struttura della persona giuridica. L’orientamento prevalente preferisce parlare in questi casi di responsabilità amministrativa dell’ente collettivo, la quale comunque assume rilevanza in veste penale dato che anche tale responsabilità si lega ad un fatto di reato ed il suo accertamento avviene proprio nell’ambito del processo penale. (Responsabilità amministrativa per il fatto del dipendente D.LGS. 231/01)

8 C) Oggetto o bene giuridico.
25/06/13 25/06/13 B) Soggetto passivo: E’ la persona fisica o giuridica titolare del bene leso. Persona offesa. Il danneggiato può essere anche un soggetto diverso dalla persona fisica sulla quale ricade l'offesa conseguente al reato. È il soggetto relativamente al quale il fatto reato, seppure direttamente verificatosi su di una persona fisica, produce altresì danno per una ulteriore e/o diversa persona fisica. C) Oggetto o bene giuridico. E’ l’oggetto della tutela della norma in relazione anche alle scelte operate dal legislatore sulla base dei Principi di: legalità e riserva di legge; frammentarietà e sussidiarietà del diritto penale; tassatività della norma. Certezza del diritto.

9 25/06/13 25/06/13 La condotta e l’evento. La CONDOTTA è il comportamento posto in essere dal soggetto attivo del reato. Per quanto concerne l'EVENTO invece, sussistono due concezioni prevalenti. Concezione naturalistica: l'evento consiste nella modificazione della realtà esteriore. Possono esistere dei reati senza evento come ad es. nell'ipotesi dei reati di mera condotta in cui si ha la consumazione del reato con la semplice realizzazione della condotta tipica (es. omissione di referto). Concezione giuridica: l'evento è l'offesa del bene o il vulnus al valore tutelato dalla norma penale, offesa che può manifestarsi nelle due forme della lesione o della messa in pericolo. Non possono esistere dei reati senza evento perché lo stesso reato si sostanzia nell'aggressione di un bene giuridico.

10 25/06/13 25/06/13 A seconda del comportamento del soggetto agente, si possono distinguere i reati commissivi (quando l’evento si verifica per un comportamento attivo e volontario del soggetto agente che provoca una lesione a un bene tutelato giuridicamente) e i reati omissivi (quando il danno si concretizza a seguito di una condotta omissiva del soggetto agente). Per quest’ultima ipotesi l’Ordinamento impone a chi si trova in determinate situazioni, di agire in un determinato modo. Ai sensi di quanto dispone il secondo comma dell’art. 40 c.p. “non impedire un evento, che si aveva l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo” . È dunque qualificabile come reato: sia l'azione che non avrebbe dovuto compiersi, sia l'omissione dell'azione che avrebbe invece dovuto essere compiuta.

11 25/06/13 25/06/13 Rapporto di causalità. Il rapporto di causalità esprime, il nesso che lega la condotta all’evento in un rapporto tale per cui se la condotta non vi fosse stata, non vi sarebbe stato neppure l'evento. La sussistenza del nesso di causalità incide, dunque, in modo decisivo sulla realizzazione del fatto tipico, il quale consisterà proprio nell’abbinamento tra condotta umana e situazione di danno o di pericolo causalmente concatenati fra loro

12 2. ELEMENTI DELLA FATTISPECIE SOGGETTIVA:
25/06/13 25/06/13 2. ELEMENTI DELLA FATTISPECIE SOGGETTIVA: A) Coscienza e volontà (42 c.p.) costituiscono il requisito minimo di attribuibilità psichica del fatto al soggetto. B) Dolo (43 c.p. comma 1) Il dolo è l’elemento costitutivo del fatto illecito ed è la forma più grave in cui quest’ultimo può realizzarsi. Il reato è doloso quando il soggetto agente ha piena coscienza e volontà delle proprie azioni e delle conseguenze che ne derivano. Per l'esistenza del dolo si richiede un duplice coefficiente psicologico: la rappresentazione e la volizione del fatto antigiuridico. Art. 43 c.p. "Il delitto è doloso, o secondo l'intenzione, quando l'evento dannoso o pericoloso, che è il risultato dell'azione o dell'omissione e da cui la legge fa dipendere l'esistenza del delitto, è dall'agente previsto (rappresentazione) e voluto (volizione) come conseguenza della propria azione od omissione".

13 Il momento rappresentativo del dolo.
25/06/13 25/06/13 Il momento rappresentativo del dolo. Perché sorga una responsabilità dolosa occorre in primo luogo che il soggetto si sia rappresentato (abbia preveduto) il fatto antigiuridico. Il momento rappresentativo del dolo esige la conoscenza selettiva (previsione) di tutti gli elementi del fatto concreto che integra una specifica figura di reato: e tale conoscenza deve sussistere nel momento in cui il soggetto inizia l'esecuzione dell'azione tipica. Il momento rappresentativo del dolo si considera di regola integrato anche nei casi di dubbio, perché chi agisce in stato di dubbio (es.: chi sottragga una cosa mobile altrui, essendo in dubbio se si tratti di una cosa propria o altrui) ha un'esatta rappresentazione di quel dato della realtà, sia pure coesistente con una falsa rappresentazione di quel dato. Non vi è invece la rappresentazione del fatto antigiuridico necessaria per la sussistenza del dolo quando l'agente versa in errore sul fatto (art. 47 c.p.): quando cioè, l'agente, non si rappresenti almeno uno degli elementi del fatto a causa di un'errata percezione sensoriale (errore di fatto) o di un'errata interpretazione di norme giuridiche o sociali (errore di diritto).

14 25/06/13 25/06/13 Art. 47 c.p. "L'errore sul fatto che costituisce il reato esclude la punibilità dell'agente; se si tratta di errore determinato da colpa, la punibilità non è esclusa, quando il fatto è previsto dalla legge come delitto colposo". Es. di errore di fatto che impedisca all'agente di rappresentarsi il fatto concreto che in effetti va poi realizzato: un cacciatore crede di vedere agitarsi dietro un cespuglio un cinghiale, mentre (invece) si tratta di un altro cacciatore (errore di fatto determinato da una falsa percezione della realtà). Quello che causa lo sparo è la morte di un uomo, ma quel che si è rappresentato l'agente è un fatto diverso, l'uccisione di un animale; il cacciatore quindi non risponderà di omicidio doloso (perché l'errore di fatto esclude il dolo), ma, eventualmente di omicidio colposo (per la negligenza del suo comportamento). L'errore sul fatto dovuto ad un erronea percezione della realtà esclude il dolo; può però residuale una responsabilità per colpa, se all'agente si può muovere il rimprovero di non aver impiegato la diligenza o l'attenzione che avrebbe impiegato al suo posto un agente modello e che egli avrebbe consentito di rendersi conto di commettere quel fatto che ha in effetti realizzato (si sarebbe reso conto che dietro l'albero non c'era un animale bensì un uomo). Quindi, l'errore di fatto esclude la punibilità di un reato a titolo di dolo ma, se il fatto è punito anche a titolo di colpa, e questa sussiste, si risponderà di reato colposo. Art. 47 c.p. "L'errore su una legge diversa dalla legge penale esclude la punibilità, quando ha cagionato un errore sul fatto che costituisce il reato".

15 Il momento volitivo del dolo.
25/06/13 25/06/13 Il momento volitivo del dolo. Il dolo non si esaurisce nella rappresentazione del fatto: perché vi sia dolo, il soggetto deve aver voluto la realizzazione del fatto antigiuridico che si era previamente rappresentato, cioè deve aver deciso di realizzarlo. Tale volontà deve essere presente nel momento in cui il soggetto agisce. La decisione (volontà) di compiere il fatto antigiuridico, può essere la conseguenza immediata di un improvviso impulso ad agire (dolo d'impeto), o può essere presa e tenuta ferma fino al compimento dell'azione per un apprezzabile lasso di tempo (dolo di proposito). Il momento volitivo del dolo può assumere tre forme: - dolo intenzionale: si configura quando il soggetto agisce allo scopo di realizzare il fatto. Non è necessario che la realizzazione del fatto rappresenti lo scopo ultimo perseguito dall'agente, potendo essere anche uno scopo intermedio (ad es., si provoca intenzionalmente la morte della guardia del corpo di un uomo politico, all'ulteriore scopo di procedere al sequestro di quest'ultimo). Non è necessario che la causazione delle evento perseguito dall'agente sia probabile (vi è dolo intenzionale di omicidio anche se la persona uccisa, e che si intendeva uccidere, si trovava ad una distanza ai limiti della portata balistica dell'arma impiegata dall'agente). (In una più ampia serie di casi) Nei reati a dolo specifico, caratterizzati dalla presenza nel dettato normativo di formule quali "al fine di", "allo scopo di", "per"... il legislatore richiede che l'agente commetta il fatto avendo di mira un risultato ulteriore, il cui realizzarsi non è necessario per la consumazione del reato (es. il delitto di strage, che è integrato da colui che, al fine di uccidere, compie atti tali da porre in pericolo la pubblica incolumità. Ivi l'agente deve compiere atti pericolosi avendo di mira la morte di almeno un uomo, ma il reato è consumato anche se tale evento non si verifica: l'eventuale morte di una o più persone comporta solo un aggravamento della pena). (Nella maggior parte dei casi) Nei reati a dolo generico, le finalità perseguite dall'agente con la commissione del fatto sono irrilevanti per l'esistenza del dolo (es.: il dolo di omicidio consiste e si esaurisce nella rappresentazione e volizione di cagionare la morte di un uomo e le eventuali finalità perseguite dall'agente potranno rilevare solo ai fini della commisurazione della pena).

16 25/06/13 25/06/13 - dolo diretto: si configura quando l'agente non persegue la realizzazione del fatto, ma si rappresenta come conseguenza certa o comunque probabile al limite della certezza. Un primo esempio di dolo diretto in relazione ad un presupposto della condotta ("cosa proveniente da delitto") può essere modellato sulla ricettazione: si pensi ad un antiquario che sappia per certo che un determinato quadro è stato rubato e con questa piena consapevolezza decida di acquistare il quadro; (presupposto della condotta "cosa proveniente da delitto"; si rappresenta come certa che la cosa provenga da delitto). Un secondo esempio di dolo diretto relativo all'evento: l'armatore che per conseguire il premio di un'assicurazione faccia collocare su una propria nave una bomba a orologeria tarata per esplodere durante una traversata: la morte di uno o più membri dell'equipaggio non rappresenta il fine perseguito dall'agente, ma è presente nella mente di questi come una conseguenza pressoché certa della sua azione (tanto basta per integrare il dolo di omicidio nella forma del dolo diretto).

17 25/06/13 25/06/13 - dolo eventuale (o indiretto): si configura quando il soggetto si rappresenta come seriamente possibile (non come certa) l'esistenza di presupposti della condotta ovvero il verificarsi dell'evento come conseguenza dell'azione e, pur di non rinunciare all'azione e ai vantaggi che se ne ripromette, accetta che il fatto possa verificarsi (il soggetto agisce costi quel che costi, mettendo cioè in conto la realizzazione del fatto). "Sia presente o meno quella circostanza, avvenga questo o quest'altro, io agisco comunque" (notiamo che il dolo eventuale è caratterizzato dall'accettazione del rischio del verificarsi del fatto). Primo es. di dolo eventuale relativo ad un presupposto della condotta: sussiste il dolo eventuale di furto, rispetto all'elemento dell'attività della cosa, in un caso in cui l'agente dubiti di aver trasferito per contratto a Tizio la proprietà della cosa, ma, essendo fortemente interessato a rientrarne in possesso, decida comunque di sottrarre la cosa a Tizio, accettando l'eventualità che la cosa sia altrui. Secondo esempio di dolo eventuale relativo all'evento: esiste il dolo eventuale di omicidio se l'agente, animato dalla finalità di creare panico nella collettività, colloca in una piazza una bomba programmata per deflagrare a tarda notte: a quell'ora la presenza di passanti è possibile (non certa), ma la decisione dell'agente di collocare e far scoppiare la bomba è stata presa accettando l'eventualità che l'esplosione provochi la morte di un eventuale passante: piuttosto di rinunciare all'azione terroristica, l'agente non è arretrato di fronte alla prospettiva della morte del passante. Quando il fatto è punito sia se commesso con dolo sia se commesso con colpa, il dolo eventuale rappresenta la linea di confine che separa l'area della responsabilità per dolo da quella della responsabilità per colpa. Il dolo eventuale va nettamente distinto dalla colpa cosciente (colpa con previsione dell'evento). I due criteri d'imputazione della responsabilità (dolo eventuale, colpa cosciente) hanno in comune l'elemento della previsione dell'evento, ma presentano tratti ulteriori profondamente diversi: - nella colpa cosciente l'agente si rappresenta il possibile verificarsi dell'evento, ma ritiene per colpa che non si realizzerà nel caso concreto, e ciò in quanto, per leggerezza, sottovaluta la probabilità del suo verificarsi ovvero sopravvaluta le proprie capacità di evitarlo; - nel dolo eventuale l'agente ritiene seriamente possibile la realizzazione del fatto ed agisce accettando tale eventualità.

18 25/06/13 25/06/13 Oggetto del dolo. La rappresentazione e la volizione devono avere per oggetto non già gli elementi descritti in astratto dalla norma incriminatrice, bensì il fatto concreto che corrisponde alla figura legale del fatto incriminato: l'agente, quindi, può anche ignorare l'esistenza della norma che descrive il fatto da lui realizzato (ovvero può interpretarla erroneamente). Tutto ciò non toglie nulla né aggiunge nulla all'esistenza del dolo. Nei reati a dolo generico oggetto della rappresentazione e della volizione è solo il fatto concreto che integra gli estremi del fatto descritto dalla norma incriminatrice (fini ulteriori perseguiti dall'agente come conseguenza del fatto sono al di fuori dell'oggetto del dolo e, al massimo, rileveranno come motivi che aggravano o attenuano la pena); Nei reati a dolo specifico oggetto del dolo è sia il fatto concreto corrispondente a quello descritto dalla norma incriminatrice, sia l'evento, che l'agente deve perseguire come scopo e la cui realizzazione è irrilevante per la consumazione del reato.

19 25/06/13 25/06/13 Il dolo e l'erronea supposizione della presenza di cause di giustificazione. Art c.p.: "Se l'agente ritiene per errore che esistono circostanze di esclusione della pena (cause di giustificazione), queste son sempre valutate a favore di lui. Tuttavia, se si tratta di errore determinato da colpa, la punibilità non è esclusa, quando il fatto è previsto dalla legge come delitto colposo". Il dolo è rappresentazione e volizione di un fatto antigiuridico. L'erronea supposizione di trovarsi in una situazione che, se esistesse realmente, integrerebbe gli estremi di una causa di giustificazione riconosciuta dall'ordinamento esclude il dolo (se però l'erronea supposizione della presenza di una causa di giustificazione è stata determinata da colpa, perché nessuna persona ragionevole sarebbe caduta in quell'errore, il fatto antigiuridico viene addebitato all'agente a titolo di colpa, a condizione che quel fatto sia previsto dalla legge come delitto colposo). L'ipotesi delineata dall'art c.p. è quella dell'agente che erroneamente supponga l'esistenza nella realtà degli estremi di una causa di giustificazione riconosciuta dall'ordinamento. Altra cosa è invece l'ipotesi in cui l'agente supponga l'esistenza di una causa di giustificazione non contemplata dall'ordinamento ovvero ritenga erroneamente che una causa di giustificazione abbia limiti più ampi di quelli previsti dall'ordinamento: queste ultime ipotesi, estranee all'art c.p., sono invece riconducibili alla disciplina dell'art. 5 c.p., trattandosi di errori sulla legge penale, che rileveranno se e in quanto scusabili, cioè evitabili con la dovuta diligenza.

20 Il dolo nei reati omissivi.
25/06/13 25/06/13 Il dolo nei reati omissivi. Quanto al momento rappresentativo (del dolo). 1) Il soggetto che ha l'obbligo di agire deve innanzitutto essere a conoscenza, anche in forma dubitativa, dei presupposti di fatto dai quali scaturire il dovere di agire (ciò vale sia per i reati omissivi propri, sia per quelli omissivi impropri). Es.: il dolo di omissione di soccorso (reato omissivo proprio) esige (infatti) che il soggetto si renda conto di trovarsi di fronte ad un fanciullo minore di anni dieci o ad una persona incapace di provvedere a se stessa, che siano stati abbandonati o smarriti, ovvero ad un corpo che sia o sembri in animato, o, ancora, ad una persona ferita o altrimenti in pericolo. 2) In secondo luogo, il soggetto deve sapere qual è l'azione da compiere. Es. chi si imbatte nel minore o nell'incapace deve sapere che deve avvertire la pubblica Autorità...

21 25/06/13 25/06/13 Colpa ( 43 c.p. comma 3): La colpa si realizza quando il soggetto attivo commette un reato non perché aveva la volontà di provocalo ma perché non ha utilizzato la dovuta e richiesta diligenza. La colpa può essere: generica quando deriva da imprudenza, negligenza o imperizia; specifica quando deriva dall’inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline ovvero di norme che impongono determinate cautele; propria quando l’evento non è voluto dall’agente; impropria quando l’evento è voluto dall’agente ma non tanto da farlo rientrare nell’ipotesi del dolo; incosciente quando manca la volontà di cagionare un evento e la previsione dello stesso; cosciente quando manca la volontà ma non anche la previsione; professionale quando riguarda attività professionali di per sé pericolose ma che l’Ordinamento consente e autorizza nel loro svolgimento in quanto produttive di risultati ritenuti socialmente utili.

22 Cause di esclusione della tipicità:
25/06/13 25/06/13 Cause di esclusione della tipicità: Sono cause in presenza delle quali viene meno la colpevolezza (elemento soggettivo) del reato. Le cd. scusanti possono essere distinte in quelle che: - determinano l’esclusione del nesso psichico: incoscienza indipendente da volontà: il soggetto pone in essere una condotta criminosa trovandosi in uno stato di incoscienza; caso fortuito o forza maggiore (art. 45 c.p.): “non è punibile chi ha commesso il fatto per caso fortuito o per forza maggiore”. Il primo caso (caso fortuito) non è sempre relativo alla mancanza di colpevolezza e si verifica quando il fatto (evento lesivo) deriva dall’incrocio tra un accadimento naturale e la condotta umana. Il secondo (forza maggiore) invece si verifica quando la volontà del soggetto viene annullata giacché lo stesso è costretto da una forza esterna che, per il suo potere superiore, inevitabilmente, lo obbliga a compiere l’azione incriminata dall’Ordinamento; costringimento fisico (art. 46 c.p.): ”non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto, mediante violenza fisica, alla quale non poteva resistere o comunque sottrarsi. In tal caso, del fatto commesso dalla persona costretta risponde l’autore della violenza”. E’ la tipica ipotesi di forza maggiore in cui la forza esterna è determinata dalla violenza fisica di un altro soggetto. Il reato quindi non viene commesso da chi agisce materialmente ma da chi ha posto in essere la costrizione. - Quelle che determinano la mancanza di dolo e colpa: caso fortuito (art. 45 c.p.): si verifica quando un evento dannoso si realizza a causa di un comportamento dell’agente posto in essere senza la sua volontà né da lui causato per imprudenza e/o diligenza (es. ferito da una terza persona che muore dopo il ricovero a causa di un incendio fortuitamente scoppiato in ospedale). Il caso fortuito non esclude l’esistenza dell’azione ma impedisce che l’agente possa essere chiamato a rispondere dell’evento cagionato con il concorso di fattori che esulano dall’ordine normale delle cose; errore sul fatto costituente reato (art. 47 c.p.) l’’errore sul fatto si ha quando il soggetto che agisce ha un’errata percezione della realtà, è cioè convinto di porre in essere un fatto concreto diverso da quello vietato dalla norma penale. Per essere rilevante l’errore deve essere essenziale (cadere cioè su uno o più elementi essenziali richiesti per la sussistenza del reato) e scusabile.

23 25/06/13 25/06/13 B) Antigiuridicita’ Qualora il fatto umano, si configura come fatto tipico, perché possa sussistere un illecito penale, lo stesso deve essere anche antigiuridico, ossia, deve essere realmente contrario ad una norma di legge e portatore di una lesione del bene giuridico protetto dall'ordinamento . Si ricorre a questo requisito per introdurre accanto al fatto umano e alla colpevolezza un elemento negativo nella struttura del reato cioè l'assenza di scriminati: cause di esclusione del reato. Le cause di esclusione del reato sono tassativamente individuate dalla legge ed escludono l’antigiuridicità di una condotta che, in loro assenza sarebbe penalmente rilevante e sanzionabile. Sono situazioni normativamente previste in presenza delle quali viene meno il contrasto tra un fatto conforme ad una fattispecie incriminatrice e l’intero ordinamento giuridico. In presenza di tali circostanze, infatti, una condotta (altrimenti dalla legge punibile), diviene lecita e ciò in quanto una norma, desumibile dall’intero ordinamento giuridico, la ammette e/o la impone. Le cause di giustificazione sono desumibili dall’intero Ordinamento giuridico e, pertanto, la loro efficacia non è limitata al solo diritto penale ma si estende a tutti i rami del diritto (civile e amministrativo), si tratta tra le altre del Consenso dell’avente diritto della legittima difesa (52 c.p.); dello Stato di necessità (54 c.p.) ecc.

24 25/06/13 25/06/13 C) Colpevolezza La colpevolezza è un concetto giuridico del diritto penale che racchiude il complesso degli elementi soggettivi sui quali si fonda la responsabilità penale. Tale concetto, pur non essendo esplicitato nel nostro ordinamento giuridico (il codice penale italiano,infatti, non utilizza questo termine), ne rappresenta un imprescindibile fondamento giacché ha per funzione la delimitazione dell'area del penalmente illecito e costituisce il presupposto per l'applicabilità della pena.

25 PAR. I.II. LE CONSEGUENZE DEL REATO.
25/06/13 25/06/13 PAR. I.II. LE CONSEGUENZE DEL REATO. La pena In diritto penale, la pena è la conseguenza giuridica della violazione di un precetto penale. Caratteristica essenziale è l'afflittività; essa consiste, nella privazione o diminuzione di un bene individuale (libertà, vita, patrimonio).La pena viene applicata dall'autorità giudiziaria con le forme e le garanzie scaturentidal processo penale. La pena può essere definita come la sofferenza comminata dalla legge penale ed irrogata dall'autorità giudiziaria mediante processo a colui che viola un comando o un divieto della legge medesima.   I principi che regolano la pena sono: - il principio di personalità: la pena è personalissima e colpisce solo l'autore del reato art. 27 Cost.; - il principio di legalità, che in sede penale si specifica in riserva di legge (la pena non può essere comminata da fonti sub legislative), tassatività-determinatezza (divieto di interpretazione analogica sfavorevole al reo) e favor rei (divieto di applicazione retroattiva sfavorevole al reo e, viceversa, applicazione retroattiva della medesima laddove favorevole); - il principio di inderogabilità: una volta minacciata la pena deve essere applicata all'autore della violazione (ma vi sono deroghe con l'introduzione delle liberazioni condizionali e del perdono giudiziale); - il principio di proporzionalità: la pena deve essere proporzionata al reato. Costituiscono deroga a tale principio l'aumento facoltativo di pena previsto per i recidivi, l'art. 133 c.p. impone al giudice di tener conto, nell'applicazione della pena, anche della capacità criminale del reo.

26 25/06/13 25/06/13 Tipi di pene Le Pene principali sono per i delitti : ergastolo, reclusione e multa E per le contravvenzioni: arresto ed ammenda Le Pene accessorie sono: interdizione o sospensione dai P.U., interdizione o sospensione dalla professione, interdizione o sospensione da uffici direttivi di persone giuridiche ed imprese, incapacità di contrattare con la P.A., decadenza o sospensione dalla potestà genitoriale, interdizione legale, estinzione del rapporto di lavoro o di impiego, pubblicazione della sentenza.(artt.29/36 c.p.)

27 CAP. II. I REATI CONTRO LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE
25/06/13 25/06/13 CAP. II. I REATI CONTRO LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

28 25/06/13 25/06/13 PAR. II.I. PREMESSA. I reati contro la pubblica amministrazione sono suddivisi in due settori. Da un lato si collocano i reati che rappresentano un’aggressione ad interessi della pubblica amministrazione che proviene dall’interno della stessa, cioè commessi da soggetti che appartengono alla pubblica amministrazione. Si tratta di reati propri commessi da pubblici ufficiali o incaricati di pubblico servizio (articolo ). E’ poi prevista un a seconda categoria di reati commessi da privati ai danni della pubblica amministrazione (articoli ), comprendente situazioni molto diverse, quali, ad esempio, violenza e resistenza a pubblico ufficiale, i reati di oltraggio e di interruzione di pubblico servizio.

29 25/06/13 25/06/13 Prima di entrare nel merito dei reati contro la pubblica amministrazione, è necessario cercare di capire quando un soggetto possa essere definito pubblico ufficiale od incaricato di pubblico servizio. La versione originaria del codice conteneva due definizioni sostanzialmente tautologiche; infatti, si riteneva pubblico ufficiale il soggetto che svolgeva una pubblica funzione. Si sosteneva, cioè, che al concetto di pubblico ufficiale corrispondesse una pubblica funzione, peraltro non definita in quanto il codice rinviava espressamente all’elaborazione dottrinale nell’ambito del diritto amministrativo. Nella norma erano poi indicate alcune connotazioni di contorno, ma che non spostavano i termini della questione. Questa definizione, come è intuibile, era stata fonte di molte incertezze, soprattutto per il motivo che l’assetto della pubblica amministrazione è andato trasformandosi negli anni assumendo caratteristiche assai differenti rispetto agli anni venti e trenta. Non deve, infatti, essere dimenticato che nel corso degli anni si è verificato un ampliamento notevolissimo dell’ambito di operato della pubblica amministrazione, che è andato ben oltre le previsioni del legislatore del codice Rocco. Gli stessi problemi, forse maggiori, nascevano dalla definizione di incaricato di pubblico servizio che molto tautologicamente sanciva che fosse incaricato di pubblico servizio chi svolgeva un pubblico servizio. Il legislatore del 1990, con la legge 86, nel quadro di una modifica non complessiva, ma sicuramente articolata, dei reati contro la pubblica amministrazione, ha cercato di affrontare la questione cercando di offrire qualche indicazione in più rispetto al passato.

30 ARTICOLO 357 CODICE PENALE – Nozione di pubblico ufficiale
25/06/13 25/06/13 ARTICOLO 357 CODICE PENALE – Nozione di pubblico ufficiale [1] Agli effetti della legge penale sono pubblici ufficiali coloro i quali esercitano una pubblica funzione legislativa, giudiziaria o amministrativa. [2] Agli stessi effetti è pubblica la funzione amministrativa disciplinata da norme di diritto pubblico e da atti autoritativi e caratterizzata dalla formazione e dalla manifestazione della volontà della pubblica amministrazione o dal suo svolgersi per mezzo di poteri autoritativi o certificativi. Il nuovo articolo 357 definisce pubblici ufficiali i soggetti che esercitano una pubblica funzione legislativa, giudiziaria o amministrativa. - Ricoprono una pubblica funzione legislativa i membri del Parlamento ed i membri dei Consigli Regionali. - Ricoprono una pubblica funzione giudiziaria, concetto forse meno intuitivo di quello precedente, ma ricollegabile all’esercizio di uno dei classici poteri individuati dalla tripartizione risalente a Montesquieu, coloro che operano nel settore della giurisdizione, compresi i soggetti che non svolgono propriamente una funzione giurisdizionale, ma una semplice funzione di supporto alla stessa. Area magmatica e di difficile individuazione risulta quella residuale, che, in maniera puramente riassuntiva, viene definita pubblica funzione amministrativa. Il legislatore del 1990 ha cercato di cimentarsi proprio su questo terreno, dettando qualche direttiva di identificazione. Ai sensi del secondo comma dell’articolo 357, si considera pubblica funzione amministrativa quella disciplinata da norme di diritto pubblico o da atti autoritativi o certificativi. La norma enuncia, inoltre, una serie di parametri che, però, nella realtà dei fatti, servono soltanto per identificare le aree delle qualifiche pubblicisticamente rilevanti. Infatti, i concetti di formazione e manifestazione della volontà della pubblica amministrazione oppure il suo svolgersi per mezzo di poteri autoritativi o certificativi servono per identificare la pubblica funzione, ma in relazione all’area degli altri soggetti che ricoprono una qualifica pubblicistica, cioè gli incaricati di pubblico servizio. Nell’articolo 358, superando la precedente tautologia, si è cercato di aggiungere qualche connotato al concetto di pubblico servizio (materia scivolosa anche nell’ambito dello stesso diritto amministrativo).

31 25/06/13 25/06/13 ARTICOLO 358 CODICE PENALE – Nozione della persona incaricata di un pubblico servizio: [1] Agli effetti della legge penale, sono incaricati di pubblico servizio coloro i quali, a qualunque titolo, prestano un pubblico servizio. [2] Per pubblico servizio deve intendersi un’attività disciplinata nelle stesse forme della pubblica funzione, ma caratterizzata dalla mancanza dei poteri tipici di questa ultima, e con esclusione dello svolgimento di semplici mansioni di ordine e della prestazione di opera meramente materiale. Per pubblico servizio, ai sensi del secondo comma dell’articolo 358, si intende un’attività disciplinata nelle stesse forme della pubblica funzione (quindi, di nuovo, con norme di diritto pubblico ed atti autoritativi). Alla persona incaricata di pubblico servizio non sono attribuiti i poteri tipici della pubblica funzione. Inoltre, situazioni che, di per sé, rientrerebbero nella definizione di pubblico servizio, vengono escluse per evitare un’eccessiva dilatazione delle qualifiche soggettive (e quindi dell’applicazione dello Statuto Penale della Pubblica Amministrazione). Non sono considerate persone incaricate di pubblico servizio coloro che svolgono semplici mansioni di ordine o prestano opera meramente materiale. Dall’analisi delle due disposizioni, così come sono state riformulate da legislatore nel 1990, si evince che, in definitiva, la prima operazione da effettuare (di fatto piuttosto difficoltosa) consiste nell’identificare l’attività pubblicisticamente qualificata, all’interno della quale occorrerà poi distinguere la pubblica funzione dal pubblico servizio in senso stretto, contrapponendolo alle attività di natura privata (non soggette allo Statuto Penale della Pubblica Amministrazione). Proprio in quest’ambito si gioca la partita più importante in quanto una volta che è stato chiarito che un certo settore rientri tra le attività pubblicisticamente rilevanti sarà sufficiente individuare l’esercizio di determinati poteri, segnalati nella seconda parte della definizione della funzione amministrativa, per distinguere tra pubblico ufficiale ed incaricato di pubblico servizio. In pratica, risulta pubblico ufficiale il soggetto che ricopre poteri autoritativi ed autocertificativi che lo distinguono dal semplice incaricato di pubblico servizio, cui questi poteri non sono attribuiti.

32 DISTINZIONE TRA SOGGETTI QUALIFICATI E SOGGETTI NON QUALIFICATI
25/06/13 25/06/13 DISTINZIONE TRA SOGGETTI QUALIFICATI E SOGGETTI NON QUALIFICATI Il problema maggiore, come si avrà modo di evincere in seguito, consiste nel delimitare il rapporto esterno, in quanto la distinzione interna fra pubblici ufficiali ed incaricati di pubblico servizio, in virtù dei criteri dati dal legislatore (articoli 357/358), non presenta grossi difficoltà. E’ evidente che nel campo delle attività pubblicisticamente rilevanti sono impiegati soggetti in grado di manifestare la volontà del servizio pubblico, in quanto dispongono di poteri di accertamento degli illeciti ed hanno, in qualche caso, poteri coercitivi o poteri certificatvi di attestazione. All’interno dei settori pubblicisticamente rilevanti, chi è dotato di simili poteri assume la qualifica di pubblico ufficiale, mentre chi è ne privo, rimane, eventualmente (ma non necessariamente), un incaricato di pubblico servizio. In merito alla qualifica di incaricato di pubblico servizio, deve essere rimarcato che l’articolo 358 presenta una definizione in negativo in quanto, dopo aver precisato che la nozione di incaricato di pubblico servizio risulta residuale, viene posto uno sbarramento verso il basso. Quindi chi svolge semplici mansioni d’ordine o attività puramente materiali, pur rientrando nell’ambito di un’attività pubblicisticamente rilevante che costituisce un pubblico servizio, non viene considerato un incaricato di pubblico servizio in quanto il legislatore ha ritenuto opportuno limitare ad un certo livello l’attribuzione di qualifiche ai soggetti. Si tratta di soggetti che svolgono la loro attività inquadrati nell’ambito di un pubblico servizio, ma non risultano incaricati di pubblico servizio perché il loro compito è puramente esecutivo o comunque si esaurisce nel compimento di attività meramente materiali.

33 25/06/13 25/06/13 Attenzione, non si tratta di un’esclusione da poco, in quanto, ad esempio, nel settore sanità, il barelliere, che svolge un’attività meramente materiale, non dispone della qualifica di incaricato di pubblico servizio. Lo stesso discorso è valido per la dattilografa del palazzo di giustizia o dell’università, che ricopre una mansione puramente d’ordine. In merito alla distinzione tra soggetti qualificati e soggetti non qualificati, di recente sono stati espressi alcuni dubbi inerenti determinate professioni. E’ stato, per esempio, posto il problema se l’autista di un mezzo, inquadrato nell’ambito del servizio pubblico, risulti un incaricato di pubblico servizio. La risposta è stata in generale negativa, ma con qualche eccezione. In particolare, in riferimento all’autista di un mezzo pubblico, è stata negata la qualifica pubblicistica in virtù del fatto che sia tenuto ad eseguire un’attività prevalentemente programmata da altri e non abbia alcun margine di autonomia e di scelta. Qualche discussione in più si è avuta riguardo gli autisti di mezzi di soccorso (autoambulanze) cui, in alcuni casi è stata attribuita la qualifica di incaricati di pubblico servizio. In un caso passato sotto il vaglio della Cassazione, era stato richiesto dalla polizia l’intervento di un’autoambulanza il cui autista si era, però, rifiutato di caricare sul mezzo la persona che secondo gli agenti della polizia di Stato, doveva essere trasportata in ospedale.

34 25/06/13 25/06/13 Il fatto configurava senza problemi un’omissione di soccorso, ma la questione si è incattivita a tal punto che gli agenti avevano denunciato l’autista per omissione di atti d’ufficio, ai sensi dell’articolo 328, comma 1. La Cassazione ha confermato la tesi, proposta dai giudici dei gradi precedenti, secondo cui l’autista fosse investito di una qualifica pubblicistica, anche se, nel caso specifico, poteva sorgere il dubbio che non si trattasse di un semplice autista di un’autoambulanza, ma di un soggetto maggiormente qualificato. Infatti, in genere, con il mezzo di soccorso si muovono due o tre persone, di cui almeno una ricopre un ruolo di coordinamento e di direzione. In questo caso, sarebbe stato forse più corretto appurare se l’autista ricoprisse il ruolo di capo equipaggio dell’autoambulanza in grado, per esempio, nel momento in cui si ricevono più chiamate via radio di decidere sulle priorità di intervento. In questo caso l’attribuzione di compiti non meramente esecutivi può essere idonea a ritenere l’autista un incaricato di pubblico servizio, qualifica che non spetta, invece, al soggetto posto ai suoi ordini, il quale deve eseguire le direttive senza discutere. Per come è stata valutata dalla Cassazione, la questione è rimasta un po’ ambigua in quanto se il soggetto si fosse realmente rivelato un semplice autista non si sarebbe potuto vedere di quali margini di autonomia avrebbe potuto disporre. Il semplice autista di un’autoambulanza è tenuto a rispettare un cliché ben prestabilito (in base al quale è obbligatorio prima soccorrere il soggetto leso e poi trasportarlo, attraverso la via più breve, in l’ospedale), ma non dispone, in genere, della possibilità di redigere una scala di priorità di intervento. Si tratta insomma di una situazione in cui occorre valutare, con meno superficialità di quanto fatto dalla Cassazione in qualche pronuncia, i compiti che la disciplina del settore attribuisce ad un determinato soggetto.

35 25/06/13 25/06/13 In particolare è opportuno distinguere se i compiti risultino meramente esecutivi o implichino un ambito, seppure molto ristretto, di scelta. Tra l’altro, occorre, rimarcare che le categorie previste dal comma 2 dell’articolo 358 si rivelano di vecchio tipo, perché facendo riferimento alla nozione di mansione d’ordine, la norma si riallaccia all’inquadramento del pubblico impiego prima dell’istituzione delle qualifiche funzionali. Comunque, sia dottrina che giurisprudenza sostengono che per includere un soggetto nel novero degli incaricati di pubblico servizio sia necessaria la possibilità di svolgere un’attività almeno autonoma (se non discrezionale). Non è, per esempio, ritenuto qualificato un soggetto che svolge funzioni di autista dipendente di un ufficiale giudiziario quando queste funzioni restano circoscritte ad un’attività meramente materiale in quanto non rientra nell’esercizio dei poteri certificativi neppure l’obbligo di annotare i chilometri percorsi ed i relativi consumi di carburante (mansioni espletata solamente al fine di ottenere un rilascio di buoni carburante equivalente ai chilometri percorsi)

36 25/06/13 25/06/13 Recentemente, si è posto un problema di qualifica anche per il conducente di taxi. Il fatto che il servizio taxi possa essere considerato un pubblico servizio è decisamente plausibile, anche se il servizio non si svolge in regime di concessione. L’attività è peraltro scrupolosamente disciplinata da determinate norme poste dagli enti locali (rispetto di certe informazioni, prenotazioni, orari, ecc…). Quindi si potrebbe ritenere che siano presenti elementi sufficienti per ritenere il servizio taxi un servizio pubblico a tutti gli effetti e non un semplice servizio al pubblico. Una pronuncia della Cassazione (riguardante un soggetto che effettuava arrotondamenti sulle tariffe praticate agli utenti) ha, tuttavia, negato che in capo al tassista ricada la qualifica di incaricato di pubblico servizio in quanto l’attività non lascia al soggetto margini di autonoma determinazione. Il taxista è, infatti, obbligato a contrarre con il pubblico ed è obbligato a seguire il percorso più conveniente per raggiungere la meta indicatagli dal cliente (quindi si presenta con una veste analoga a quella dell’autista della linea filoviaria, tranviaria o automobilistica che è tenuto a seguire un percorso più o meno obbligato ed è privo di margini di autodeterminazione).

37 25/06/13 25/06/13 Tra l’altro, occorre, rimarcare che le categorie previste dal comma 2 dell’articolo 358 si rivelano di vecchio tipo, perché facendo riferimento alla nozione di mansione d’ordine, la norma si riallaccia all’inquadramento del pubblico impiego prima dell’istituzione delle qualifiche funzionali. Comunque, sia dottrina che giurisprudenza sostengono che per includere un soggetto nel novero degli incaricati di pubblico servizio sia necessaria la possibilità di svolgere un’attività almeno autonoma (se non discrezionale). Non è, per esempio, ritenuto qualificato un soggetto che svolge funzioni di autista dipendente di un ufficiale giudiziario quando queste funzioni restano circoscritte ad un’attività meramente materiale in quanto non rientra nell’esercizio dei poteri certificativi neppure l’obbligo di annotare i chilometri percorsi ed i relativi consumi di carburante (mansioni espletata solamente al fine di ottenere un rilascio di buoni carburante equivalente ai chilometri percorsi). Recentemente, si è posto un problema di qualifica anche per il conducente di taxi. Il fatto che il servizio taxi possa essere considerato un pubblico servizio è decisamente plausibile, anche se il servizio non si svolge in regime di concessione. L’attività è peraltro scrupolosamente disciplinata da determinate norme poste dagli enti locali (rispetto di certe informazioni, prenotazioni, orari, ecc…). Quindi si potrebbe ritenere che siano presenti elementi sufficienti per ritenere il servizio taxi un servizio pubblico a tutti gli effetti e non un semplice servizio al pubblico. Una pronuncia della Cassazione3 (riguardante un soggetto che effettuava arrotondamenti sulle tariffe praticate agli utenti) ha, tuttavia, negato che in capo al tassista ricada la qualifica di incaricato di pubblico servizio in quanto l’attività non lascia al soggetto margini di autonoma determinazione. Il taxista è, infatti, obbligato a contrarre con il pubblico ed è obbligato a seguire il percorso più conveniente per raggiungere la meta indicatagli dal cliente (quindi si presenta con una veste analoga a quella dell’autista della linea filoviaria, tranviaria o automobilistica che è tenuto a seguire un percorso più o meno obbligato ed è privo di margini di autodeterminazione).

38 25/06/13 25/06/13 Quali sono quindi gli elementi per individuare le attività di natura pubblicistica? La risoluzione del problema inerente l’identificazione dell’attività che possa rientrare nella definizione di pubblica amministrazione, venendo di conseguenza regolamentata da norme di diritto pubblico e da atti autoritativi, risulta fondamentale perché determina l’applicazione della disciplina penalistica. Infatti, deve essere tenuto ben presente che il ricorso alla disciplina penalistica prevede in alcune situazioni l’applicazione del reato A anziché del reato B (vedi ad esempio la dicotomia peculato – appropriazione indebita) ed in altri casi l’applicazione di una norma penale in vicende che se commesse da un privato risulterebbero penalmente irrilevanti (rifiuto di atti d’ufficio, abuso d’ufficio, ecc…). Determinate attività disciplinate da norme di diritto pubblico, che assumono quindi una valenza pubblicistica (si pensi all’attività di polizia), non pongono alcun problema di Individuazione, ma via via che si esce da quei tre quattro settori classici, monopolizzati dalla mano pubblica, qualunque forma abbia l’intervento dello Stato, si apre la discussione. Si pensi al settore dei trasporti. In origine, aveva chiaramente una matrice privatistica in quanto non era previsto alcun intervento da parte dello Stato, ma in seguito ha acquisito connotati pubblicistici.

39 25/06/13 25/06/13 Per evitare di incorrere in banali equivoci, occorre distinguere da subito fra pubblico servizio e servizio al pubblico. Il panettiere realizza un servizio al pubblico, però non dispone di una qualifica pubblicistica, in quanto si occupa di un servizio diretto al pubblico attraverso un’attività privata. Il salumiere, ad esempio svolge senza ombra di dubbio un’attività privata, pur essendo rivolta al pubblico. Il commercio, in genere, si rivolge al pubblico, ma non risulta un pubblico servizio, anche se nel suo ambito si incontrano situazioni non sempre chiare (le farmacie, per esempio, seguono una disciplina che potrebbe consentire di qualificarle come pubblico servizio). In pratica, è presente una serie di settori in cui il problema si pone in maniera più complessa di quanto potrebbe apparire a prima vista. In questi campi non si può mai dare per scontato che vi sia una qualifica pubblicistica in gioco in quanto è necessario analizzare attentamente la disciplina di settore. Gli strumenti indicati dall’intervento legislativo del 1990 non risultano di fatto facilmente maneggevoli in quanto occorre chiedersi cosa si intenda, con precisione, con l’accezione “norme di diritto pubblico” e quale sia il coefficiente che connota una norma affinché questa possa risultare di diritto pubblico. Nei fatti non c’è concordanza nel dare indicazioni in questo settore, motivo per cui l’utilizzo dell’espressione “norme di diritto pubblico” in una disposizione penale pare una scelta assolutamente infelice.

40 25/06/13 25/06/13 Premesso che le norme in questione non devono essere confuse con le norme di ordine pubblico, si potrebbe ritenere che si tratti di norme con cui una determinata attività viene finalizzata al perseguimento di interessi pubblici ed in cui la pubblica autorità interviene in maniera più vincolante e più presente che in altri settori, con l’avvertenza, però, che difficilmente si incontreranno attività in cui i poteri pubblici non intervengano in qualche misura. Si è fatto in precedenza l’esempio del settore del commercio al minuto che è sicuramente privato. Eppure anche in questo campo esiste una disciplina che, in qualche misura, può essere definita di diritto pubblico in quanto per esercitare la professione occorre essere muniti di determinate autorizzazioni ed occorre seguire determinate regole. Peraltro è intuitivo che il fatto che viga una regolamentazione pubblicistica per l’accesso a determinate attività non significa che tali attività siano “ingabbiate” da norme di diritto pubblico, perché le norme di diritto pubblico, per esempio, non entrano nel merito del prezzo praticato sui prodotti, anche se è vero che esiste qualche piccola normativa di settore inerente, ad esempio, saldi o orari di chiusura. In linea generale, queste attività si svolgono secondo regole di diritto privato.

41 PAR. II.II. I SINGOLI REATI CONTRO LA P.A.
25/06/13 25/06/13 PAR. II.II. I SINGOLI REATI CONTRO LA P.A. Con tale accezione vengono identificate situazioni che possono essere realizzate soltanto da chi occupa una determinata posizione all’interno dell’ordinamento, rivestendo la qualifica di pubblico ufficiale o di incaricato di pubblico servizio, una qualifica quindi penalisticamente rilevante. Questo gruppo di fattispecie costituisce quello che con formula riassuntiva viene indicato come lo “Statuto penale della pubblica amministrazione”, cioè quella disciplina che riguarda la pubblica amministrazione in senso lato. Lo Statuto Penale della pubblica amministrazione prevede fattispecie reato che se commesse da soggetti non inquadrati nella pubblica amministrazione non costituirebbero illecito penale (ad esempio, l’omissione di atti d’ufficio individua comportamenti che fuori dal settore pubblico non hanno alcuna rilevanza penale), oppure darebbero vita ad una diversa imputazione (ad esempio certe forme di peculato se non fossero previste come tali sarebbero punibili ai sensi dell’appropriazione indebita).

42 _ARTICOLO 314 CODICE PENALE - Peculato
25/06/13 25/06/13 _ARTICOLO 314 CODICE PENALE - Peculato [1] Il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio che avendo per ragione del suo ufficio o servizio il possesso o comunque la disponibilità di denaro o di altra cosa mobile altrui, se ne appropria è punito con la reclusione da tre a dieci anni. [2] Si applica la pena della reclusione da sei mesi a tre anni quando il colpevole ha agito al solo scopo di fare uso momentaneo della cosa, e questa dopo l’uso momentaneo è stata immediatamente restituita. E’ stata tra le altre cose eliminata la vecchia dicotomia tra peculato (articolo 314) e malversazione a danno di privati (articolo 315, ora abrogato), fattispecie pressoché coincidenti che si distinguevano per il semplice fatto che nel peculato il denaro o la cosa mobile appartenevano alla pubblica amministrazione mentre nella malversazione appartenevano al privato, ancorché in possesso della pubblica amministrazione. Per fare un esempio, quando gli organi competenti sequestravano un bene ad un privato, affidandolo alla segreteria del giudice per la custodia ai fini giurisdizionali, il fatto dell’appropriazione di quel bene, da parte di un soggetto inquadrato nella pubblica amministrazione, dava luogo formalmente ad una malversazione anche si trattava né più né meno di una forma di peculato. Tra le altre cose, le pene previste per le due fattispecie erano perfettamente coincidenti. Il legislatore per risolvere il problema di dicotomia, ha utilizzato, parlando di denaro o di altra cosa mobile, nell’ambito del nuovo articolo 314, l’accezione “altrui”, che sta a significare l’appartenenza alla pubblica amministrazione o ad un privato. Oltre ad avere riscritto la figura di peculato in senso stretto, il legislatore ha introdotto nel secondo comma, l’ipotesi del peculato d’uso, che, è stata distinta sotto il profilo sanzionatorio, dalla fattispecie dal peculato in senso stretto. Con questo intervento, quanto mai opportuno, è stato definitivamente risolto il dubbio sulla configurabilità di un peculato mediante momentaneo utilizzo illecito di una cosa, differenziando la risposta sanzionatoria rispetto alla vera e propria appropriazione. Il secondo comma del vecchio articolo 314, inerente l’interdizione dai pubblici uffici, pena accessorie che consegue alla condanna, è confluito, senza alcun cambiamento rilevante, in una norma autonoma che riguarda anche il reato di concussione. Trattasi dell’art. 317 bis c.p. in base al quale la condanna per i reati di peculato e concussione comporta l’interdizione perpetua dai pubblici uffici E se per circostanza attenuanti viene inflitta la reclusione per un tempo inferiore a tre ani, la condanna importa l’interdizione temporanea.

43 A) Peculato in senso stretto
25/06/13 25/06/13 A) Peculato in senso stretto Nel quadro generale del reato di peculato, il punto di partenza, che consente di mantenere l’opportuna simmetria rispetto al reato comune di appropriazione indebita, è rappresentato dal fatto che l’autore del reato (pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio) detiene il possesso o la disponibilità del denaro o dell’altrui cosa mobile per ragioni dell’ufficio. Semplificando la questione, si può affermare che il peculato si rivela una sorta di appropriazione indebita commessa dal pubblico ufficiale o dall’incaricato di pubblico servizio ed avente oggetto non una qualsiasi cosa, bensì una cosa di cui abbia il possesso per ragioni d’ufficio o del servizio; questo collegamento è necessario affinché il fatto transiti da una semplice appropriazione indebita ad un peculato. 1. Possesso e disponibilità per ragioni dell’ufficio o servizio – Il possesso o la disponibilità per ragioni dell’ufficio o del servizio rappresenta elemento costitutivo e presupposto fondamentale della fattispecie di peculato. Il nuovo articolo 314 apparentemente amplificando il presupposto previsto dal codice del 1930, che faceva semplicemente riferimento al possesso. Apparentemente, perché, in realtà, anche l’interpretazione giurisprudenziale pregressa portava a dilatare il concetto di possesso per ragioni dell’ufficio o del servizio in maniera abbastanza ampia, consentendo l’applicazione della norma non solo quando era presente un rapporto molto stretto tra il denaro o la cosa mobile ed il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio (nel senso che la cosa era abbinata in via esclusiva alla cura ed alla possibilità di disporre da parte del pubblico ufficiale), ma anche quando era possibile, da parte del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio, esercitare in qualche misura un’azione illegittima sulla cosa o sul denaro approfittando della posizione occupata all’interno della pubblica amministrazione. In pratica, anche prima della riforma del 1990, si riteneva non indispensabile un rapporto di disponibilità immediata della cosa da parte del pubblico ufficiale, ma si riteneva sufficiente che il pubblico ufficiale, usando i propri poteri o comunque approfittando del suo inquadramento nella pubblica amministrazione, riuscisse a mettere le mani sul denaro o sulla cosa mobile appropriandosene nei termini della condotta descritta dall’articolo 314. Il rapporto, si noti, può essere materiale, ma anche giuridico. Infatti, sembra ridicolo che l’ordinamento consenta, per esempio, l’incriminazione di chi svolge servizio di cassa presso un’Unità sanitaria Locale e si appropria di poche centinaia di euro contenute in cassa non colpendo, invece, il soggetto che, emettendo un provvedimento cartaceo, riesce a spostare miliardi mettendoli a disposizione di un altro soggetto (a lui legato) in maniera illegittima. E’ evidente che il possesso non si realizzi soltanto quando il denaro o la cosa mobile sono posti nella diretta disponibilità del pubblico ufficiale, ma anche quando il pubblico ufficiale riesca ad influirne sulla destinazione. In questo caso, si realizza una forma di peculato in cui, almeno in partenza, non è presente un rapporto immediato con la cosa, anche se risulta chiaro, come si ricava dal codice, che il pubblico ufficiale gode della possibilità di utilizzarla.

44 25/06/13 25/06/13 Di conseguenza, si evince che il rapporto non deve essere valutato dal solo punto di vista naturalistico, anche se, a volte, la giurisprudenza ha dimostrato la tendenza a colpire con la norma sul peculato non il pubblico ufficiale che sposta somme significative, ma piuttosto il pesce piccolo, il vigile urbano o il carabiniere che, per intascare cifre irrisorie, si fa pagare “brevimanu” una contravvenzione. Mantenendo la visione comparativa con la norma sull’appropriazione indebita (articolo 646), si può ricordare che presupposto del reato di appropriazione indebita è il possesso di denaro (o di cosa mobile) da parte di un privato cui la pecunia è stata affidata a qualsiasi titolo da parte di un altro soggetto. Nella fattispecie di peculato il presupposto risulta differente, in quanto la norma fa riferimento ad un rapporto del soggetto qualificato con il denaro (o altra cosa mobile), che prevede il possesso o la detenzione non a qualsiasi titolo, bensì per ragioni dell’ufficio o del servizio. Attenzione, l’accezione “ragioni dell’ufficio o del servizio” non significa necessariamente che debba essere presente una stretta competenza funzionale da parte del soggetto in quanto si ammette che la disponibilità possa anche derivare da prassi illegittime, da situazioni normativamente non regolamentate o da situazioni di disponibilità di fatto (ipotesi in cui dovrebbero essere soggetti diversi a disporre di quel denaro o di quella cosa). Per la realizzazione del presupposto previsto dall’articolo 314, è sufficiente che sia presente un rapporto che consenta di dirottare l’utilizzazione della cosa dalla destinazione a pubblica utilità al patrimonio privato del soggetto che agisce (o di terzi a lui legati).

45 25/06/13 25/06/13 L’ampia interpretazione giurisprudenziale del concetto di possesso, è sfumato nella disponibilità e nel collegamento alla ragione dell’ufficio o del servizio, e consente, nella pratica, una larga copertura casistica escludendo solamente rapporti di mera occasionalità di tipo materiale. Ad esempio, il fatto che un soggetto, che ha un ufficio in un palazzo in cui operano diverse amministrazioni, riesca a farsi consegnare dal portinaio un mazzo di chiavi, riferendogli di dover entrare nell’ufficio di competenza, mentre poi, in realtà, penetra nell’ufficio di una diversa amministrazione appropriandosi di una somma di denaro, non può essere inquadrato nel peculato in quanto il collegamento con l’attività svolta è puramente occasionale. Secondo un orientamento giurisprudenziale nnon commette peculato il soggetto che si appropria di cose di modesto o insignificante valore. La ratio di questa posizione può essere ricercata, come sottolineato dalla Cassazione, nelle finalità della sanzione penale in base alle quali è volontà dell’ordinamento applicare la sanzione solo “in quei casi in cui l’afflizione legislativamente stabilita sia proporzionale al fatto commesso ed il soggetto appaia bisognoso dell’emenda connessa a quell’afflizione”. A tal proposito, merita di essere segnalata una lettura della Cassazione secondo la quale il soggetto qualificato, che nell’esercizio delle sue mansioni produca atti falsi utilizzando materiale di proprietà della pubblica amministrazione non risponde di peculato a causa dell’estrema esiguità di valore della cosa ed inoltre per assenza dell’elemento appropriativo. Secondo la Cassazione il soggetto deve rispondere solamente di falsità in atto pubblico. A conferma di questa lettura c’è anche un’altra pronuncia che sancisce che non commette peculato il soggetto che utilizzi beni appartenenti alla pubblica amministrazione privi di rilevanza economica. In ogni caso, al di là del valore delle cose oggetto di appropriazione, il possesso o la disponibilità della cosa risultano il primo elemento costitutivo del reato di peculato.

46 2. Condotta appropriativa
25/06/13 25/06/13 2. Condotta appropriativa L’individuazione della condotta appropriativa risulti meno semplice di quanto, si possa pensare. Il primo problema che si pone concerne la possibilità di far rientrare all’interno di tale concetto, quelle condotte caratterizzate dalla “distrazione delle somme di denaro o della cosa mobile a favore proprio od altrui”. A tal proposito occorre ricordare che prima della riforma del 1990, l’art puniva espressamente Il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico ufficiale che avendo per ragione del suo ufficio o servizio il possesso di denaro o di altra cosa mobile appartenente alla pubblica amministrazione, se l’appropria, ovvero la distrae a profitto personale o di altri…. Eliminata la distrazione, ci si è legittimamente domandati se davvero quei comportamenti, che in precedenza venivano qualificati come ipotesi di peculato per distrazione, potessero rimanere al di fuori delle condotte tipiche di peculato. La stessa giurisprudenza ha assunto in questi anni posizioni un po’ oscillanti. Se, infatti, non c’è dubbio che si sia di fronte a casi classici di appropriazione nelle ipotesi più banali (soggetto che ha dei soldi nel cassetto e li intasca), l’inquadramento diventa più problematico quando ci si imbatte in un comportamento con cui si ottiene una disponibilità anomala di una risorsa finanziaria o di una res appartenente alla pubblica amministrazione per finalità che si percepiscono come illecite. Proprio in questi casi è importante accertare se si possa realmente parlare in termini di appropriazione.

47 25/06/13 25/06/13 La Cassazione, in un intervento del 1992, ha provato a chiarire i rapporti tra appropriazione e distrazione. In base ad una prima lettura della vicenda si poteva sostenere di trovarsi di fronte ad un caso classico di peculato per distrazione. Il pubblico ufficiale aveva, infatti, distolto i fondi, destinati ad attività della pubblica amministrazione, per favorirne l’appropriazione da parte di un complice, sotto la copertura della partecipazione ad attività, in realtà estranee all’amministrazione. Nell’ipotesi era evidente lo spostamento delle somme dall’obiettivo A (perseguimento di un interesse pubblico) all’obiettivo B (privilegio di un interesse privato). Dalla lettura della vicenda effettuata dalla Cassazione, si evince come il soggetto si sia comportato con i soldi dell’amministrazione comunale come se fossero di sua proprietà (“uti propri”), come se li avesse dati come mancia ad una persona dietro la copertura della partecipazione ad attività in realtà estranee all’amministrazione. Secondo la Cassazione, in questo caso non si verifica semplicemente distrazione, ma si tratta di una condotta appropriativa rientrante nel peculato per appropriazione in quanto ci si comporta con la cosa “uti dominus”. In realtà, questa interpretazione non si è rivelata un dato pacifico in quanto nel 1999 la Sezione V della Cassazione ha sostenuto una tesi diversa, in un episodio nuovamente suscettibile di due letture differenti. In questo caso, soggetti appartenenti alla Polizia di Stato si occupavano di un autoparco della Polizia stessa ed avevano rapporti con officine esterne che intervenivano per effettuare lavori di manutenzione sugli automezzi della Polizia. In questo quadro, si erano verificate finte riparazioni e “riparazioni gonfiate” (cioè forniture in parte non corrispondenti a quanto veniva dichiarato nella documentazione). In pratica, l’amministrazione pagava somme maggiori rispetto alla prestazione effettivamente ricevuta (con tutta evidenza, avveniva una spartizione ex post, fatto comunque irrilevante in quanto conta solamente che una parte delle risorse destinate alla manutenzione dei veicoli della Polizia finisse, come minimo, nelle tasche dei titolari di queste officine private). Questi fatti si sarebbero potuti leggere nell’ottica della sentenza della Sezione VI di poco anteriore ritenendoli episodi in cui i pubblici ufficiali, amministrando il denaro della pubblica amministrazione, avevano effettuato elargizioni come se si trattasse di denaro loro (cioè disponendone uti domini). In questo senso si sarebbe potuto perciò ravvisare una condotta appropriativa. Il tribunale di Milano, in effetti, aveva inquadrato in prima battuta, il fatto come peculato, mentre la Corte d’Appello, due anni dopo, aveva spostato il fatto fuori dal peculato, affermando che non si trattasse di un fatto di appropriazione, ma sostanzialmente, come si ricava dalla motivazione, di un caso di distrazione, non più prevista all’interno della norma sul peculato.

48 25/06/13 25/06/13 La Cassazione ha confermato l’impostazione dei giudici d’Appello, negando che si fosse verificata nell’episodio una vera appropriazione ed affermando testualmente: “è pertanto configurabile solo la distrazione quando si tratti di pagamenti indebiti in favore di terzi, operati pur sempre in nome e per conto della pubblica amministrazione”. D’altra parte, pare un po’ difficile pensare che un pubblico ufficiale riesca a realizzare un’appropriazione in nome proprio in quanto verrebbe meno anche la giustificazione formale dell’erogazione.

49 25/06/13 25/06/13 Nel Novembre 2002 la Cassazione ha confermato la lettura del 1992, pronunciandosi su un caso di erogazione indebita di pubblico denaro a terzi privati, tipica condotta distrattiva, provando a mettere chiarezza negli intricati rapporti tra condotte di distrazione riconducibili al peculato, in quanto vere e proprie appropriazioni, e condotte distrattive riconducibili all’abuso d’ufficio. Nel caso discusso due soggetti, dotati di firma congiunta sul conto bancario di un ente pubblico avevano indebitamente effettuato vere e proprie erogazioni di denaro in favore di altri soggetti non riconducibili ad adeguate controprestazioni rese in favore dell’Ente ed in mancanza di qualsiasi rispondenza a necessità dell’Ente. La Cassazione ha sottolineato che l’appropriazione da parte del pubblico ufficiale (o dell’incaricato di pubblico servizio) del denaro o della cosa mobile altrui di cui abbia il possesso o la disponibilità per ragioni del suo ufficio rappresenta l’elemento centrale della fattispecie astratta del peculato, rimarcando il fatto che quando del denaro o della cosa mobile altrui sia beneficiato un terzo semplice privato non è quest’ultimo ad appropriarsi della cosa, ma è pur sempre il pubblico ufficiale che ne ha il possesso o la disponibilità, sia pure allo scopo di farne beneficiare il terzo. Secondo la Cassazione, è del tutto indifferente il fatto che il pubblico ufficiale si appropri della risorsa altrui (denaro o altra cosa mobile) a suo vantaggio oppure a vantaggio di altri in quanto in entrambi i casi si verifica una condotta appropriativa che lede il medesimo bene giuridico protetto

50 25/06/13 25/06/13 B) Peculato d’uso L’introduzione della norma sul peculato d’uso si è rivelata estremamente opportuna in quanto ha risolto un problema delicato. Sotto il vigore della vecchia normativa, ci si era domandati più volte se un uso improprio, quindi non il comportamento che determina o l’appropriazione o il dirottamento definitivo della cosa mobile, ma semplicemente l’uso improprio di una cosa appartenente alla pubblica amministrazione, che rimaneva nell’ambito del patrimonio della pubblica amministrazione, ma veniva utilizzata in maniera illegittima, potesse essere apprezzabile alla stregua della norma sul peculato. In particolare, si discuteva se questo comportamento potesse rappresentare una forma di peculato per distrazione. A tal proposito, alcuni davano risposta negativa, ritenendo che la distrazione punibile dovesse essere affine all’appropriazione, dovendo, in altre parole, portare ad un definitivo allontanamento della cosa dal patrimonio della pubblica amministrazione. Altri, invece, ritenevano che si potesse parlare di peculato in quanto la norma non prevedeva esplicitamente che la distrazione dovesse essere a titolo definitivo. Per questa seconda corrente di pensiero, l’uso indebito dell’auto blu della pubblica amministrazione, ad esempio per andare in gita nel week-end, rappresentava un distoglimento della cosa, sia pure limitato nel tempo, sia pure non così devastante come l’alienazione della res o il suo introitamento nel patrimonio del privato. La discussione era resa complicata dal fatto che si poneva l’alternativa di rispondere di peculato (3 anni di minimo) o rimanere impuniti. Il legislatore del 1990 ha definitivamente risolto la questione, inerente la configurabilità del peculato d’uso, istituendo un apposita cornice sanzionatoria. La fattispecie di peculato costituisce un reato autonomo ove il fine perseguito dall’agente di fare un uso momentaneo impedisce di inquadrare il fatto nel peculato ordinario, che prevede, invece, un’appropriazione definitiva o continuata. Quindi, la classica utilizzazione indebita dell’autoveicolo appartenente alla pubblica amministrazione viene oggi pacificamente ricondotta al peculato d’uso.

51 25/06/13 25/06/13 1. Concetto di uso momentaneo - Naturalmente l’uso deve risultare momentaneo e deve essere accompagnato dalla restituzione della cosa. Uso momentaneo significa che si può avere peculato d’uso quando si è di fronte ad abusi di tipo sporadico, mentre, invece, quando si è di fronte ad un abuso sistematico può scattare il reato più grave, cioè il peculato per appropriazione. Per la Cassazione ha più volte confermato che l’uso prolungato della cosa di proprietà della pubblica amministrazione, non risulta condotta tipica della fattispecie di peculato d’uso, ma della più grave fattispecie di peculato. Naturalmente vi rientra anche l’ipotesi in cui venga effettuato un impossessamento per un’utilizzazione momentanea, ma la restituzione non possa avvenire per un fatto non imputabile al soggetto (caso fortuito, caso forza maggiore, ecc…).

52 25/06/13 25/06/13 2. Peculato d’uso su cose fungibili - Un punto che rimane dubbio, ed è oggetto di pronunce contraddittorie, riguarda la possibilità di configurare il peculato d’uso su cose fungibili ed in particolare sul denaro. Normalmente si ravvisa peculato per appropriazione non solo nell’ipotesi in cui il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio intaschi definitivamente i soldi della pubblica amministrazione, ma anche nel caso in cui il denaro venga trattenuto indebitamente per un tempo apprezzabile per poi essere restituito, ipotesi in cui sistematicamente si ritarda il versamento delle somme riscosse a vario titolo. La possibilità di configurare il reato di peculato d’uso si nega in quanto, essendo il denaro una cosa fungibile (cioè una cosa, che una volta spesa, non può essere sostituita con un’altre equivalente), non si può realizzare un’appropriazione momentanea perché l’appropriazione riguarda proprio quella cosa determinata di cui si aveva il possesso e di cui si è fatto un uso indebito. Su questa base, l’orientamento prevalente era indirizzato nel senso di ritenere non configurabile il peculato d’uso nei confronti delle cose fungibili e, quindi, ovviamente, di ritenere in questi casi configurabile il peculato in senso proprio. Tra l’altro deve essere rimarcato che il comma 1 dell’articolo 314 parla di denaro o di altra cosa mobile, mentre il comma 2 (peculato d’uso) fa riferimento solamente ad una cosa mobile.

53 25/06/13 25/06/13 3.Uso indebito dell’utenza telefonica - Per quanto concerne l’ipotesi dell’uso indebito dell’utenza telefonica per finalità private, si riteneva, in passato, che fosse configurabile il peculato d’uso. Impropriamente, tra il 2000 ed il 2001, la Cassazione si è improvvisamente irrigidita al punto che al momento attuale pare consolidata l’interpretazione che l’uso del telefono risulti peculato ordinario. La Cassazione sostiene che quando un soggetto utilizza l’apparecchio non realizza semplicemente un uso momentaneo, ma si appropria dell’energia elettrica che viene utilizzata per consentire la trasmissione della voce. Il consumo di energia elettrica equivale ad appropriazione di cosa non restituibile e secondo la Cassazione lo stesso eventuale rimborso delle somme corrispondenti all’entità dell’utilizzo non potrebbe valere come ristoro del danno arrecato. Ciò premesso, la Cassazione, in presenza di uso indebito dell’utenza telefonica, ha poi prosciolto gli imputati rifacendosi all’articolo 10 comma 5 del decreto del ministro per la funzione pubblica del 31/03/1994, in base al quale il pubblico dipendente, in casi eccezionali può effettuare chiamate personali della linee telefoniche dell’ufficio. La Cassazione ha, infatti, sostenuto che di fronte ad un uso sporadico si possa richiamare la norma del decreto ministeriale (quindi l’uso straordinario) e non si possa configurare un illecito rilevante, ma un’infrazione disciplinare. Secondo una certa dottrina, sembra preferibile continuare a ricorrere ad un’imputazione per peculato d’uso. ED INFATTI Cassazione Penale Sez. Unite, 2 maggio 2013, n PREMESSO CHE Con ordinanza 24 settembre 2012, n , è stata rimessa alle Sezioni Unite la seguente questione: "Se l’utilizzo per fini personali di utenza telefonica assegnata per ragioni di ufficio integri o meno l’appropriazione richiesta per la configurazione del delitto di peculato ex art. 314, comma primo, cod. pen. ovvero una condotta distrattiva o fraudolenta rispettivamente inquadrabile nel delitto di abuso di ufficio o in quello di truffa aggravata a danno dello Stato". HA STATUITO Con sentenza resa all'esito dell'udienza del 20 dicembre 2012 le Sezioni Unite, superando il precendente più rigoroso orientamento che qualificava la condotta in esame in termini di peculato ordinario, hanno invece accolto la tesi favorevole alla configurabilità del peculato d'uso.

54 25/06/13 25/06/13 4. Uso di internet. In alcuni casi viene configurato il peculato d’uso ; in altri il peculato ordinario. La Corte di Cassazione, con sentenza n /08, ha fissato il principio in base al quale il dipendente pubblico che navighi su Internet per scopi personali, indipendentemente dal tipo di connessione utilizzato dal datore di lavoro, incorre nel reato di peculato al pari di chi utilizza il telefono d'ufficio per scopi personali. La Suprema Corte ha anche chiarito che la circostanza che il computer utilizzato sia sempre collegato alla rete elettrica e Internet, indipendentemente dal suo concreto utilizzo, non ha alcun rilievo ai fini del reato di peculato (articolo 314 del codice penale). Il reato di peculato ha infatti natura plurioffensiva, pertanto non si tratterebbe solo di un danno al patrimonio della Pubblica Amministrazione (qualora la connessione ad Internet del datore di lavoro abbia una tariffa a consumo), ma anche di una lesione del rapporto di fiducia e di lealtà con il personale dipendente. La sesta sezione penale della Corte di Cassazione sulla base di questo principio ha accolto il ricorso della Procura di Bari contro la revoca della sospensione dall'esercizio di pubblico servizio accordata ad un dipendente comunale sorpreso a servirsi per scopi personali della rete informatica del comune. L'impiegato comunale, spiega la Corte, «navigava in Internet su siti non istituzionali, scaricando su archivi personali dati e immagini non inerenti alla pubblica funzione, prevalentemente materiale di carattere pornografico, con danno economico dell'ente». L'uomo, in un primo tempo sospeso, era stato riammesso dal Tribunale di Bari sulla base del fatto che il reato di peculato «tutela il patrimonio della PA e che lo stesso non poteva essere depauperato a seguito dei collegamenti in questione di un computer comunque e sempre collegato alla rete elettrica e telefonica indipendentemente dall'uso della navigazione».

55 25/06/13 25/06/13 Di diverso avviso la Corte di Cassazione che nella sentenza ricorda come «l'art. 314 c.p., oltre a tutelare il patrimonio della pubblica amministrazione, mira ad assicurare anche il corretto andamento degli uffici della stessa basato su un rapporto di fiducia e di lealtà con il personale dipendente». Abbiamo anche sentenze contrarie. Premesso che l'ordinanza impugnata sembra quasi trascurare la circostanza che la disposizione dell'articolo 314 codice penale oltre a tutelare il patrimonio della pubblica amministrazione mira ad assicurare anche il corretto andamento degli uffici della stessa basato su un rapporto di fiducia e di lealtà col personale dipendente, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, il Tribunale del riesame dà per scontato un dato che non emerge affatto dagli atti, cioè che il computer fosse perennemente collegato alla rete elettrica e telefonica in modo da comportare costi fissi per !a pubblica amministrazione indipendente dalla navigazione in internet. Ora, a parte il fatto che tale assunto è errato per ciò che attiene alla energia elettrica, che viene consumata in quanto l'apparecchio sia acceso, ciò che più conta è che da nessun dato si ricava che il tipo di convenzione con il provider prevedesse un accesso costante al web a un costo fisso anziché un accesso di volta in volta consentito solo previo contatto telefonico, non occorrendo spendere parole per dimostrare come in questo secondo caso l'indagato si sarebbe appropriato anche delle energie appartenenti all'ente sotto forma di telefonate di volta in volta eseguite per la navigazione in internet per finalità totalmente estranee alla pubblica funzione (masterizzazione di DVD audio e scaricamento di immagini e di film). Questa sentenza appare criticabile anche in quanto la norma non prevede l’evento-danno per la P.A. , anzi ne prescinde; ciò che è colpito è l’approfittamento del soggetto agente.

56 ARTICOLO 323 CODICE PENALE – Abuso d’ufficio
25/06/13 25/06/13 ARTICOLO 323 CODICE PENALE – Abuso d’ufficio [1] Salvo che il fatto non costituisca un più grave reato (clausola di sussidiarietà) , il pubblico ufficiale, o l’incaricato di pubblico servizio, che, nello svolgimento delle funzioni o del servizio, in violazione di norme di legge o di regolamento (tipizzazione della condotta ) ovvero omettendo di astenersi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto o negli altri casi prescritti, intenzionalmente procura (escluso dolo eventuale) sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale (solo vantaggio economicamente valutabile) ovvero reca ad altri un danno ingiusto (reato di evento) è punito con la reclusione da uno a quattro anni. [2] La pena è aumentata nei casi un cui il vantaggio o il danno hanno un carattere di rilevante gravità. Il soggetto qualificato per realizzare un abuso d’ufficio nello svolgimento delle funzioni o del servizio deve commettere una violazione di legge o di regolamento oppure una violazione del dovere di astensione incombente in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto o di eventuali altri casi in cui l’astensione sia imposta dalla legge. Nella norma sull’abuso d’ufficio rientrano solamente condotte che siano espressione dell’attività pubblica affidata all’agente, al contrario quando la funzione ed il servizio risultano del tutto estranei alle attribuzioni dei soggetti qualificati, non è ravvisabile la fattispecie di abuso d’ufficio ma tutt’al più differenti fattispecie reato (ad esempio usurpazione di funzioni pubbliche, ex articolo 347)

57 A) Concorso dell’estraneo nel reato proprio
25/06/13 25/06/13 A) Concorso dell’estraneo nel reato proprio Deve essere ricordato che il soggetto avvantaggiato dall’abuso d’ufficio non necessariamente concorre nel reato proprio in quanto l’abuso d’ufficio non risulta un reato plurisoggettivo obbligatoriamente qualificato dalla presenza dell’extraneus (si tratta di un reato proprio esclusivo). Ciò non esclude che si possa delineare una responsabilità, ai sensi dell’articolo 110 di parte generale, quando il soggetto avvantaggiato abbia posto in essere una condotta aggiuntiva ulteriore, che vada oltre la condotta minima non punibile di parte speciale, ossia il semplice usufruire del vantaggio patrimoniale. In pratica, quando il soggetto compie un ulteriore comportamento (per esempio istigare il pubblico ufficiale ad intervenire in suo favore) non è messo a riparo dalla disciplina del 323 e ne risponde in base all’articolo 110 (concorso ) . Quindi, per la configurabilità del concorso non basta il riferimento al vantaggio che ne è derivato, in quanto occorre la concreta dimostrazione che il privato abbia posto in essere una condotta tale da aver svolto un ruolo causalmente rilevante nella realizzazione della fattispecie criminosa (determinazione, accordo, istigazioni, ecc…). Nell’ipotesi in cui si scopra che il soggetto passivo ha remunerato il soggetto qualificato per commettere un abuso d’ufficio entrambi risponderanno del più grave reato di corruzione propria.

58 B) Clausola di riserva espressa
25/06/13 25/06/13 B) Clausola di riserva espressa Salvo che il fatto non costituisca più grave reato si risponde di abuso d’ufficio. Il reato di abuso d’ufficio è norma tipicamente residuale e come tale, in virtù della clausola di riserva, è applicabile solo quando non si configuri un reato più grave. Ad esempio, il reato di corruzione assorbe quello di abuso d’ufficio nell’ipotesi in cui l’abuso d’ufficio consista in condotte funzionali all’accordo corruttivo, in virtù della clausola di sussidiarietà presente nell’articolo 323 e della natura sussidiaria della fattispecie reato (tecnicamente si può affermare che la condotta di abuso d’ufficio è contenuta nel reato di corruzione e si configura, di conseguenza, un concorso apparente di norme) Tuttavia, quando corruzione ed abuso d’ufficio risultano condotte separate, secondo alcune pronunce della Cassazione del 2001, si configura un concorso materiale. A tal proposito, è importante sottolineare che la clausola di sussidiarietà opera qualora sia avvenuta una sola condotta che violi più fattispecie reato con conseguente esclusione del concorso formale di reati in quanto se le condotte risultano diverse e cronologicamente non coincidenti il reato di abuso d’ufficio concorre materialmente con altri reati. Il reato di turbata libertà degli incanti ex articolo 353, comma 2, non da luogo a concorso formale con l’abuso d’ufficio, che viene assorbito nel reato più grave (chiaramente in questo caso entrambe le norme tutelano lo stesso interesse ossia il buon andamento della pubblica amministrazione). Risultano più controversi i rapporti dell’abuso d’ufficio con i reati di falso in quanto la Cassazione ha assunto al riguardo posizioni diverse. Secondo una pronuncia del 2002, che ha confermato un indirizzo già emerso nel 2001, i reati di falso ideologico, ex articolo 479, ed abuso d’ufficio, ex articolo 323, risultano posti a tutela di due interessi diversi, buon andamento della pubblica amministrazione in una caso ed interesse alla veridicità dei mezzi di certezza pubblica nell’altro (il che sarebbe già sufficiente a negare un’eventuale concorso apparente di norme), ed inoltre non sarebbero nemmeno caratterizzati da un rapporto di specialità in astratto in quanto secondo la Cassazione il reato di falso non potrebbe assorbire il reato di abuso d’ufficio essendo privo di alcuni elementi costitutivi come il procurare un danno ingiusto o un vantaggio patrimoniale ingiusto. Nel 1999 la Cassazione si era invece espressa per il concorso apparente di norme in virtù della clausola di riserva prevista all’inizio dell’articolo 323, il che significherebbe l’assorbimento dell’abuso d’ufficio nel più grave reato di falso che prevede una cornice edittale da tre a dieci anni.

59 C) Elemento soggettivo e dolo intenzionale
25/06/13 25/06/13 C) Elemento soggettivo e dolo intenzionale In precedenza, l’abuso d’ufficio era un reato a dolo specifico, in cui si richiedeva per l’ipotesi meno grave (vecchio primo comma) che il soggetto agisse o per recare ad altri un danno o per far conseguire a sé o ad altri un vantaggio non patrimoniale e per l’ipotesi più grave (vecchio secondo comma) che il soggetto agisse per conseguire un vantaggio patrimoniale. Attualmente, la norma si presente come reato a dolo generico, ma qualificato, in quanto ciò che in precedenza rappresentava il dolo specifico è diventato l’evento del reato con la novità che è sparito il riferimento al vantaggio non patrimoniale. Il procurare, a sé o al altri, un ingiusto vantaggio patrimoniale o, in alternativa, l’arrecare ad altri un danno ingiusto risultano eventi che devono essere necessariamente realizzati perché il reato possa ritenersi consumato. Occorre chiedersi perché il legislatore abbia introdotto nella norma l’avverbio intenzionalmente. Evidentemente era sua intenzione qualificare il dolo, anche se, in realtà, le differenze rispetto al passato non risultano così rilevanti. Già in precedenza, rappresentando l’abuso d’ufficio un reato a dolo specifico, ed essendo, quindi, necessario che il soggetto abusasse dell’ufficio per perseguire un determinato vantaggio o per recare ad altri un danno, si escludeva, come elemento soggettivo, il semplice dolo eventuale. La pubblica accusa, infatti, doveva dimostrare che l’abuso d’ufficio avesse come fine fondamentale e principale il perseguimento del vantaggio patrimoniale ingiusto (o del danno ingiusto); non era sufficiente che il soggetto qualificato si rendesse conto che comportandosi in un certo modo per conseguire un obiettivo legittimo o comunque conforme al diritto, potesse avvantaggiare in maniera indebita qualcuno che poteva fruire di questo iter truffaldino per ottenere ciò che non avrebbe potuto ottenere seguendo la procedura normale. Era il caso di chi, per esempio, senza regalare niente a nessuno, utilizzava lo strumento della trattativa privata in situazioni non legittime non perché amico del soggetto invitato alla gara informale, bensì perché, a fronte di una scadenza vicina, riteneva di essere in difficoltà a seguire le normali procedure. La Cassazione, in un intervento del 2000, non ha ravvisato abuso d’ufficio per assenza del dolo intenzionale in un caso in cui alcuni amministratori comunali avevano violato la normativa edilizia al fine di evitare lo spopolamento della montagna favorendo però in questo modo alcuni proprietari immobiliari. In questo caso. In ultimo è opportuno ricordare che, come sottolineato anche dalla Cassazione nel 2001, ai fini della configurabilità del dolo intenzionale, risulta del tutto irrilevante il movente, che induce a perseguire, come fine della condotta, la realizzazione del reato. Di conseguenza dolo del reato “de quo” sussiste anche quando l’evento patrimoniale procurato è il mezzo che il pubblico ufficiale si raffigura e vuole per realizzare uno scopo ulteriore, magari lecito. 1) Rettore di Università che assume personale trimestrale con troppa disinvoltura - manca l’intenzionalità di attribuire ai trimestrali un vantaggio patrimoniale 2) Presidente di seggio elettorale che, sbagliando, non consente a un elettore di votare - manca il dolo intenzionale nei confronti dell’elettore 3) Presidente di un Municipio della città di Roma che aveva “requisito” alloggi vuoti a favore di persone sfrattate - manca il dolo intenzionale

60 D) Violazione del dovere di astensione
25/06/13 25/06/13 D) Violazione del dovere di astensione E’ importante ricordare la portata della cosiddetta violazione del dovere di astensione, in merito al quale è opportuno non ritenere automatica la realizzazione del reato con una semplice violazione. Non è possibile che la semplice violazione del dovere di astensione possa risultare sufficiente a configurare la fattispecie reato. E’ necessario, invece, che la violazione sia strumentale al perseguimento intenzionale di un vantaggio patrimoniale ingiusto, elemento che fa parte della struttura oggettiva della fattispecie. Tra i casi che sono stati fatti rientrare nell’abuso d’ufficio per dovere di astensione si può segnalare una pronuncia del 1999 in cui è stato condannato un medico in servizio presso una ASL che dopo aver visitato un paziente lo aveva indirizzato verso un laboratorio medico non convenzionato di cui era socio, non avvertendo il paziente della possibilità di eseguire l’esame anche presso una struttura convenzionata e violando di conseguenza il dovere di astensione cui era tenuto

61 25/06/13 25/06/13 E) Violazione di leggi La condotta del nuovo articolo 323 prevede la violazione di norme di legge o di regolamento. In particolare, con riferimento alla violazione di legge, è stato posto il problema se si intendesse negare rilevanza ad un comportamento non in contraddizione con una specifica disposizione, ma nel quale fosse ravvisabile quella figura tipica riconducibile all’eccesso di potere, quale vizio dell’atto amministrativo. Una corrente interpretativa sostiene che sia proprio intenzione del legislatore individuare la condotta in termini di violazione di norme per indicare quel vizio che è la violazione di legge, nell’ambito dell’atto amministrativo, in modo da escludere l’eccesso di potere (che potrebbe anche derivare dal malgoverno delle norme di buona amministrazione, che possono presiedere, per esempio, all’uso del potere discrezionale in cui non c’è una chiara contraddizione rispetto ad una specifica norma che tassativamente imponga di comportarsi in un certo modo). Su questa base, la giurisprudenza degli ultimi anni, si è sdoppiata. Deve essere ricordato che la Cassazione si è trovata a giudicare vicende, inquadrate sulla base del vecchio 323, alla luce del nuovo articolo 323 in quanto erano numerosi i procedimenti di abuso d’ufficio in itinere.

62 25/06/13 25/06/13 - Una prima linea interpretativa sostiene che l’accezione violazione di norme possa essere riferita anche alle disposizioni costituzionali cosicché pare possibile fare appello all’articolo 97 della Costituzione, che postula i principi di buon andamento e di imparzialità della pubblica amministrazione. In questo modo è possibile ricondurre all’abuso d’ufficio comportamenti che, in sé e per sé, non sono direttamente confliggenti con una specifica norma (penale, amministrativa, ecc…). Questo tipo di interpretazione può lasciare perplessi soprattutto perché si pone in rotta di collisone con le intenzioni dichiarate dal legislatore che erano di ridimensionare la portata applicativa dell’articolo E’ evidente che, richiamando l’articolo 97, possano rientrare nell’abuso d’ufficio tutte le condotte genericamente in conflitto con il perseguimento del buon andamento e dell’imparzialità. - Una seconda corrente di pensiero, ritiene che il concetto di violazione di legge debba essere interpretato in senso restrittivo ed altrettanto vale per la violazione di regolamento. Si avvalora tra l’altro la tesi secondo cui è esclusa la rilevanza dell’eccesso di potere e, comunque, di qualunque forma di strumentalizzazione dell’attività o del potere da parte del soggetto qualificato che non si ponga in chiara contraddizione con norme specifiche.

63 25/06/13 25/06/13 Un punto, sul quale la discussione era risultata controversa riguardava il dubbio se il riferimento alla violazione di norme intendesse escludere quelli che venivano genericamente definiti “comportamenti concretanti un abuso di potere” in quanto alcuni autori avevano sottolineato la mancanza di chiarezza nell’indicazione del legislatore, prospettando la volontà di privilegiare (fra le tre forme di vizi di legittimità dell’atto) soltanto la violazione di legge (tesi restrittiva). A parte il fatto che la norma parla di violazione di norme di legge e non di violazione di legge come vizio dell’atto e a parte il fatto che questo reato potrebbe operare anche non in correlazione stretta con un atto amministrativo in senso tecnico, parlare di vizio dell’atto in assenza di un atto amministrativo appare quantomeno discutibile. Una lettura di questo genere dovrebbe poi fare i conti col fatto che risulterebbe esclusa anche l’incompetenza che è uno dei vizi tipici dell’atto amministrativo). Se si volesse recuperare l’incompetenza, affermando che la violazione delle norme sulla competenza è pur sempre una violazione di norme di legge, diventerebbe a questo punto non difficile affermare che anche tutte le ipotesi di eccesso di potere risultino violazioni di qualche norma. Infatti, esistono norme di comportamento della pubblica amministrazione che sono norme di legge e descrivono comportamenti in termini tali da farvi rientrare anche l’eccesso di potere o, quantomeno, la forma più grave dello sviamento di potere (ipotesi in cui, formalmente, si rispetta la normativa, ma si indirizza palesemente la scelta verso il perseguimento di interessi privati e non dell’interesse pubblico che si dovrebbe tutelare).

64 25/06/13 25/06/13 Secondo l’indirizzo estensivo, il tentativo del legislatore di ridimensionare la norma sarebbe, in realtà, miseramente fallito in quanto non si sarebbe tenuto conto che in una serie di contesti è comunque possibile reperire comunque una violazione di norma di legge che consenta di andare ben al di là di quanto sostenuto dai fautori della tesi restrittiva. In ogni caso, al di là di qualsiasi disputa dottrinale, la tesi restrittiva ha da subito prevalso, come è possibile evincere da alcune pronunce della Cassazione in cui si è esclusa la valenza, nell’ambito dell’articolo 323, di norme esclusivamente programmatiche come l’articolo 97 della Costituzione o altre di analogo contenuto.

65 25/06/13 25/06/13 In particolare, il nuovo articolo 323 non punisce a titolo di abuso d’ufficio qualsiasi comportamento costituito da un illegittimo esercizio dei poteri inerenti a un pubblico servizio in quanto per aversi un abuso penalmente significativo occorre la violazione di una disposizione di legge (o regolamento) che puntualmente vieti il comportamento tenuto dal soggetto qualificato. Non risulta, invece, rilevante la violazione di una disposizione genericamente strumentale alla regolarità dell’azione amministrativa, anche se questo indirizzo è stato qualche volta contraddetto da alcune pronunce. Per quanto riguarda la casistica, una vicenda in cui una giunta comunale aveva rilasciato un’autorizzazione per la concessione di un parcheggio senza seguire l’itinerario previsto da una precedente delibera comunale, non è stato inquadrato nell’abuso d’ufficio in quanto è stato ritenuto una violazione di norme contenute nella delibera comunale, che risulta fonte diversa dalla legge. In altre vicende in cui sono state violate norme inerenti il servizio protesti e rimborso spese nella procedura di competenza dei notai (legge 329/1973), norme inerenti il codice della strada, norme inerenti la legislazione tributaria, norme di legislazione regionale, è stato ravvisato un abuso d’ufficio, ex articolo 323.

66 Ultime tendenze della giurisprudenza
25/06/13 25/06/13 Ultime tendenze della giurisprudenza Negli anni immediatamente successivi al 1997 la giurisprudenza respingeva la tesi della violazione dell’art. 97 cost. in quanto norma programmatica e non immediatamente precettiva. Successivamente però viene introdotta una sorta di distinzione: 1) Buon andamento = norma programmatica 2) Imparzialità = norma che può avere una valenza precettiva Quindi il dovere di imparzialità della P.A. ha avuto nel campo penale un recente recupero da parte della giurisprudenza.

67 La giurisprudenza ha più volte rilevato:
25/06/13 25/06/13 La giurisprudenza ha più volte rilevato: la assoluta inidoneità della prova in relazione alla sussistenza della violazione di legge o di regolamento che deve caratterizzare il reato di cui all'art. 323 c.p.. In particolare, dopo aver escluso che la violazione dei precetti costituzionali (art. 97 Cost.) e la violazione di norme di legge non direttamente strumentali al procedimento amministrativo (D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 2, comma 1, lett. d; del D.P.C.M. 28 novembre 2000, art. 2), ma solo programmatiche, possano influire sulla sussistenza del reato d'abuso di ufficio, ha ritenuto che l'attività relativa al rilascio delle pratiche per la nazionalizzazione dei veicoli fosse disciplinata, all'epoca dei fatti, soltanto dalla circolare del n. B59/200/MOT, atto non avente forza di legge e la cui violazione non determina l'integrazione del reato in questione. Che In materia di abuso di ufficio, la condotta del pubblico ufficiale o dell'incaricato di pubblico servizio che risulti lesiva del buon funzionamento e della imparzialità dell'azione amministrativa rileva alla duplice condizione che contrasti con norme specificamente mirate ad inibire o prescrivere la condotta stessa e che dette norme presentino i caratteri formali ed il regime giuridico della legge o del regolamento.

68 25/06/13 25/06/13 non è stata presa in alcuna considerazione neppure la normativa di cui alla L. 7 agosto 1990, n. 241, in materia di procedimento amministrativo, che all'art. 3 impone la completezza dell'istruttoria di una pratica. A questo proposito deve ritenersi che è idonea ad integrare la violazione di legge, rilevante ai fini della sussistenza del reato di abuso d'ufficio, l'inosservanza da parte del pubblico impiegato del dovere di compiere una adeguata e completa istruttoria diretta ad accertare la ricorrenza delle condizioni per il rilascio del provvedimento richiesto, incidendo la stessa direttamente sulla fase decisoria in cui i diversi interessi, pubblici e privati, devono essere ponderati (v. Sez. 6^, 14 giugno 2007, n , Serionne; Sez. 6^, 4 novembre 2004, n. 69, Palascino). Nel caso in esame dalla contestazione rivolta all'imputato risultava che l'evasione delle pratiche avveniva in carenza di una istruttoria completa, in quanto la condotta di favoritismo nei confronti di alcune agenzie automobilistiche si estrinsecava anche nel soddisfare le richieste di nazionalizzazione dei veicoli in mancanza della necessaria documentazione Nel caso in esame , secondo la Cassazione “deve ritenersi che ai fini della sussistenza del reato di cui all'art c.p., possa trovare applicazione anche l'art. 97 Cost., che stabilisce che i pubblici uffici devono essere organizzati secondo disposizioni di legge in modo che siano assicurati il buon andamento e l'imparzialità dell'amministrazione. Si tratta di principi il cui contenuto non è univoco. Ed infatti la giurisprudenza non è favorevole a considerare che il reato di abuso d'ufficio possa sussistere nella forma della violazione di uno dei principi di cui all'art. 97 Cost., in quanto norma generale che non fissa regole di comportamento precise, ma semplici principi privi di immediato contenuto precettivo (Sez. 6^, 12 ottobre 2005, n , P.G. in proc. Fucci; Sez. 6^, 8 maggio 2003, n , Zardini). L'inserimento del citato art. 97 Cost., fra le disposizioni di legge violabili e rilevanti per l'abuso d'ufficio avrebbe come effetto quello di dilatare eccessivamente l'ambito di applicazione della norma incriminatrice, finendo con l'incidere anche sul principio di precisione di cui all'art. 25 Cost.. Tali preoccupazione manifestate dalla giurisprudenza e da parte della dottrina appaiono sicuramente legittime, in quanto è reale il rischio paventato di estendere eccessivamente la portata dell'art. 323 c.p., mentre la norma presuppone che l'abuso sia collegato all'inosservanza di previsioni specifiche. Tuttavia, si osserva che possono essere identificato ipotesi residuali in cui l'art. 97 Cost., nel suo significato più precettivo, relativo all'imparzialità dell'azione amministrativa, può costituire parametro di riferimento per il reato di abuso d'ufficio. Nella sua essenzialità il significato del principio di imparzialità risiede nel diretto riferimento al criterio degli interessi tutelati. L'amministrazione deve essere imparziale assicurando tutela ad un interesse nel confronto con l'insieme degli altri interessi pubblici e privati con i quali deve essere "ponderato". In questo senso l'imparzialità dell'amministrazione non corrisponde al senso comune del termine, cioè come soggetto al di sopra delle parti, in quanto la sua azione è rivolta al perseguimento di obiettivi specifici.

69 25/06/13 25/06/13 Per questo l'imparzialità di cui parla l'art. 97 Cost., si traduce, nel suo nucleo essenziale, nel divieto di favoritismi, quindi nell'obbligo per l'amministrazione di trattare tutti i soggetti portatori di interessi tutelabili con la medesima misura. Inteso in questa limitata accezione il principio di imparzialità finisce con realizzarsi attraverso strumenti diversi, a seconda che venga calato nell'attività della pubblica amministrazione ovvero nella sua organizzazione. In quest'ultimo caso, riferito cioè all'aspetto organizzativo, il principio di imparzialità non avrà mai un immediato contenuto precettivo ai fini del rilievo in ordine alla sussistenza del reato di abuso d'ufficio, in quanto dovrà essere necessariamente mediato dalla legge; non così per quanto riguarda l'attività dell'amministrazione, in cui la decisione avviene alla fine di un procedimento amministrativo in cui il criterio di imparzialità comporta che vengano acquisiti gli interessi e gli elementi utili ad una deliberazione il più possibile ponderata. In questo caso, l'imparzialità amministrativa intesa come divieto di favoritismi ha i caratteri e i contenuti precettivi richiesti dall'art. 323 c.p., in quanto impone all'impiegato o al funzionario pubblico una vera e propria regola di comportamento, di immediata applicazione. Nel caso in esame, dal capo di imputazione emerge una condotta del funzionario pubblico volta a realizzare sistematicamente "il preferenziale disbrigo di pratiche" avviate da una sola agenzia, a discapito delle altre agenzie di pratiche automobilistiche: si tratta di una chiara ipotesi di favoritismo in violazione del principio fissato dall'art. 97 Cost., che, in quanto riferibile non solo all'organizzazione dell'ufficio, ma alla condotta della persona fisica del funzionario, può essere presa in considerazione come violazione di legge ai sensi dell'art c.p..

70 F) Violazioni di regolamenti
25/06/13 25/06/13 F) Violazioni di regolamenti Anche sul versante della violazione di regolamenti si è aperto un ampio dibattito. Il regolamento deve essere inteso in senso tecnico, quindi deve farsi riferimento alla tipica fonte di normazione secondaria della pubblica ammnistrazione, quali i regolamenti dipendenti, delegati e di esecuzione, di cui all’articolo 17 della legge 23 Agosto 1988, n.400 (regolamenti governativi) che presentano determinate caratteristiche (tra cui quella più importante di essere adottati, in genere, dall’autorità centrale)90. Per quanto riguarda gli enti locali si deve fare riferimento all’articolo 5 della legge 8 Giugno 1990, n.142 (ora, articolo 7 del D.Lgs. 18 Agosto 2000, n.267). Non hanno, invece, natura di regolamento le circolari, in quanto, essendo sprovviste di forza normativa, contengono soltanto criteri tecnico-amministrativi la cui violazione può integrare solo il vizio dell’eccesso di potere. Anche nel caso in cui vengano violate regole di competenza è stata riscontrata la violazione di legge Caso dubbio: violazione norme di CCNL In un caso la delibera di rimborso di spese legali per sindaco e dipendente del comune a causa di un procedimento penale costituisce una violazione di una norma del CCNL e quindi non integra l’abuso d’ufficio. In altro caso la nomina di un soggetto privo dei requisiti ad una determinata posizione organizzativa è stata configurata come abuso d’ufficio: se è vero che il regolamento e il CCNL prevedevano la laurea che il soggetto non aveva, questa violazione aveva portato di conseguenza anche la violazione di norme di legge.

71 G) Profitto ingiusto e danno ingiusto
25/06/13 25/06/13 G) Profitto ingiusto e danno ingiusto Vantaggio patrimoniale oppure in alternativa danno (non necessariamente patrimoniale). Attualmente, invece, una volta riscontrata la violazione di legge occorre dimostrare che la violazione abbia generato un vantaggio patrimoniale ingiusto in quanto, quando il vantaggio si può ritenere conforme al diritto, anche se è stato realizzato seguendo un iter sbagliato, vi potrà essere, tutt’al più, una contestazione di responsabilità sul piano politico, disciplinare amministrativo o contabile, ma non si potrà parlare di fatto penalmente rilevante. Illegittimità dell’atto, d’altra parte, non può significare automaticamente illiceità penale del comportamento. L’ingiusto vantaggio patrimoniale può essere ravvisato in qualsiasi utilità economicamente apprezzabile per il soggetto favorito dall’abuso, come per esempio la vittoria di un concorso pubblico per l’assunzione presso la pubblica amministrazione avvenuta sine iure grazie all’abuso d’ufficio realizzato da un commissario che ha suggerito la prova di esame. Lo stesso discorso è valido per l’illegittimo rilascio di una concessione edilizia in sanatoria o di una autorizzazione amministrativa, entrambe comportanti vantaggi di natura economica.

72 25/06/13 25/06/13 Riguardo al danno ingiusto è possibile ricordare un caso, giudicato quando era ancora in vigore la precedente normativa, in cui un primario aveva escluso un medico dipendente dalla struttura dei servizi inerenti la propria qualifica per via di dissapori violando la normativa in tema di organizzazione del servizio sanitario. Un altro caso riguarda l’autista (sempre che possa essere considerato pubblico ufficiale) che dopo un diverbio decide di fare scendere tutti i passeggeri dall’autobus causando loro un danno ingiusto. Un’ipotesi tutt’altro che infrequente di danno ingiusto è rappresentata ancora dall’atteggiamento ostruzionistico assunto da chi si trova al vertice di un ente locale nei confronti di chi occupa una posizione di minoranza, come avviene quando un sindaco impedisce ad un partito avversario di affiggere i propri manifesti. E’ stato, per esempio, ricondotto all’abuso d’ufficio, il comportamento di un Sindaco, che, per danneggiare la minoranza comunale, non convochi il Consiglio Comunale, portando avanti l’amministrazione a colpi di delibere della Giunta. In questa vicenda, essendovi regole precise per la convocazione del Consiglio Comunale, la violazione di legge risulta lampante. Nel caso di un Professore Universitario che rivelava i contenuti dell’esame agli studenti, il vantaggio acquisito dagli stessi non è stato giudicato a contenuto immediatamente patrimoniale

73 L) Momento consumativo del reato
25/06/13 25/06/13 L) Momento consumativo del reato L’aver spostato il vantaggio patrimoniale o il danno ingiusto da oggetto del dolo specifico a condizione di evento strutturale del reato ha portato cambiamenti sul piano delle conseguenze concrete nell’ipotesi in cui il vantaggio non venga raggiunto per l’intervento di qualche fattore impeditivo nella conclusione della vicenda. Per capire le differenze tra vecchia e nuova normativa, si può fare riferimento all’esempio di un soggetto che, per assegnare un appalto alla ditta x del suo amico Tizio, viene meno alle regole che disciplinano l’assegnazione, ma proprio nel momento dell’assegnazione dell’appalto viene scoperto, prima che Tizio acquisisca l’ingiusto vantaggio patrimoniale. Nella normativa precedente questo episodio sarebbe stato classificato come abuso d’ufficio già consumato in quanto bastava il dolo specifico del conseguimento del vantaggio patrimoniale perché si realizzasse la condotta di abuso d’ufficio. Oggi una vicenda del genere rimane a livello di abuso d’ufficio tentato in quanto non è stato realizzato l’evento previsto. Attualmente, infatti, per avere abuso d’ufficio consumato si dovrebbe arrivare al punto in cui l’imprenditore Tizio, indebitamente favorito attraverso le violazioni, abbia, perlomeno in parte, riscosso i pagamenti disposti della pubblica amministrazione. Il reato di abuso d’ufficio si considera, infatti, consumato anche qualora il profitto sia stato solo parzialmente realizzato. Secondo la Cassazione nelle ipotesi di abuso d’ufficio commesso mediante il rilascio di una concessione edilizia illegittima, il vantaggio patrimoniale ingiusto per il privato beneficiario del titolo è integrata dalla semplice attribuzione dello “ius aedficandi”, anche a prescindere dall’effettiva realizzazione dell’opera assentita. Un altro esempio può essere rappresentato dal soggetto qualificato che agisce per motivi di rancore personale nei confronti di un sottoposto, che non ha rispettato la sua posizione gerarchica, adoperandosi per farlo trasferire nel classico reparto ghetto in cui nessuno vuole andare, perché si lavoro molto e si è poco gratificati. Una volta disposto il trasferimento, qualora intervenga un’autorità superiore che rilevi l’illegittimità dell’atto, bloccando il trasferimento, il soggetto qualificato, che ha cercato di recare il danno ingiusto al sottoposto, è sanzionabile per tentativo di abuso d’ufficio. Ai sensi della normativa precedente, la situazione sarebbe stata valutata come un abuso d’ufficio consumato in quanto, in precedenza, era sufficiente agire al fine di recare un danno ingiusto.

74 ART. 328 c.p.: Rifiuto di atti d'ufficio. Omissione.
25/06/13 25/06/13 ART. 328 c.p.: Rifiuto di atti d'ufficio. Omissione. Il pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio, che indebitamente rifiuta un atto del suo ufficio che, per ragioni di giustizia o di sicurezza pubblica, o di ordine pubblico o di igiene e sanità, deve essere compiuto senza ritardo, è punito con la reclusione da sei mesi a due anni. Fuori dei casi previsti dal primo comma, il pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio, che entro trenta giorni dalla richiesta di chi vi abbia interesse non compie l'atto del suo ufficio e non risponde per esporre le ragioni del ritardo, è punito con la reclusione fino ad un anno o con la multa fino a euro Tale richiesta deve essere redatta in forma scritta ed il termine di trenta giorni decorre dalla ricezione della richiesta stessa

75 Esaminiamo gli elementi costitutivi del reato in questione.
25/06/13 25/06/13 Esaminiamo gli elementi costitutivi del reato in questione. 1) Soggetti attivi: Tale reato può essere commesso solo dal pubblico ufficiale o dall’incaricato di pubblico servizio. È necessario inoltre che questi abbiano COMPETENZA a compiere l’atto richiesto. Nel caso di procedimento amministrativo il cui iter coinvolga più uffici appartenenti alla medesima amministrazione, gli atti o le attività interne, la cui omissione dovrebbe trovare rimedio nella previsione di attività sostitutive di altri soggetti e sanzione nel promovimento del giudizio disciplinare, non sono penalmente rilevanti, ricadendo nella fattispecie della norma penale solo gli atti esterni, costituiti dal provvedimento finale o quelli che, precedendo il provvedimento finale, si presentano come atti necessari dotati di autonoma rilevanza.

76 2) Elemento oggettivo: 2 ipotesi:
25/06/13 25/06/13 2) Elemento oggettivo: 2 ipotesi: a) il I° comma fa riferimento al PU o IPS che “indebitamente rifiuta un atto del suo ufficio che per ragioni di giustizia o di sicurezza pubblica di ordine pubblico o di igiene e sanità deve essere compiuto senza ritardo”. Il reato si perfezione con la semplice omissione del provvedimento di cui si sollecita la tempestiva adozione, incidente su beni di valore primario (giustizia, sicurezza pubblica, ordine pubblico, igiene e santità) b) Il II° comma prende in considerazione la condotta consistente nel non compiere entro trenta giorni dalla richiesta di chi abbia interesse, l'atto dovuto, senza rispondere esponendo le ragioni del ritardo. Perché sia integrata la condotta di cui al secondo comma dell'articolo 328 c.p. è necessario che sussistano alcuni presupposti: una richiesta scritta da parte del privato (messa in mora), da cui decorre il termine di 30 giorni per l'adozione dell'atto dovuto o per la formulazione della risposta negativa. La richiesta deve provenire non da un privato qualsiasi, bensì solo da chi abbia un interesse qualificato al compimento dell'atto. N.B. Le norme che consentono di verificare l'idoneità della domanda ed il conseguente obbligo dell'ufficio sono quelle che regolano il procedimento amministrativo; un obbligo di avvio del procedimento, non essendo sufficiente la mera richiesta del privato, che potrebbe avere un oggetto non attinente ai compiti dell'Amministrazione interpellata; un'assenza di risposta da parte della Pubblica Amministrazione, la quale non giustifichi il ritardo nell'adozione del provvedimento. La forma scritta richiesta dal comma 2 dell'articolo 328 c.p. deve rispettare i principi generali dell'ordinamento, che richiedono la forma scritta per gli atti destinati ad essere controllati da un'autorità sovra ordinata e per quelli la cui verifica - l'esistenza ed il suo contenuto - sia rimessa non all'autorità amministrativa, ma a quella giudiziaria.

77 25/06/13 25/06/13 N.B. Per poter verificare se la condotta posta in essere da chi è preposto all'ufficio integri o meno il reato di omissione d'atti d'ufficio, è necessario individuare il momento in cui il termine di 30 giorni inizia a decorrere. Sul punto la giurisprudenza non è univoca: parte della giurisprudenza di legittimità ritiene che il comportamento inerte del pubblico ufficiale inizi a decorrere solo successivamente allo scadere del termine di 30 giorni, previsti in linea generale dalla legge 241 del 1990, dopo una successiva messa in mora. Questa tesi si basa sul fatto che, perché si possa configurare il delitto di cui all'articolo 328 c.p., è necessario una prima istanza alla quale è connesso l'avvio del procedimento amministrativo ed una seconda istanza di messa in mora, con la quale si richiede per iscritto all'Amministrazione di provvedere. E' necessario, infatti, perché l'istanza di messa in mora sia valida, che il termine del procedimento amministrativo sia scaduto, cioè sia decorso inutilmente l'originario termine di 30 giorni. Decorso l'ulteriore termine di 30 giorni previsto dall'articolo 328, 2° comma c.p., il reato si perfeziona. Per meglio comprendere in quali casi sia integrato il delitto di omissione di atti d'ufficio, è necessario tenere presente che non ogni silenzio della Pubblica Amministrazione è significativo: solo in alcuni casi, infatti, una norma specifica attribuisce al silenzio il significato di assenso o rifiuto e quindi il valore di atto amministrativo. Nel caso in cui il silenzio non sia significativo dal punto di vista amministrativo, i presupposti richiesti dalla norma penale di cui all'articolo 328 c.p. ricorrono, in quanto la sequenza "obbligo di attivazione - inadempimento" è pienamente integrata.

78 25/06/13 25/06/13 Nei casi, invece, di silenzio significativo il legislatore, come si è detto, attribuisce al silenzio il valore di un atto amministrativo positivo o negativo a tutti gli effetti. Ad esempio l'articolo 25 comma 4 della legge 241/90, nell'attribuire rilevanza giuridica al silenzio della P.A., funge da scriminante. Infatti di fronte alla legge penale che incrimina in linea generale la condotta del pubblico ufficiale, il quale richiesto di provvedere ad un atto del proprio ufficio non risponda nel termine previsto di 30, le disposizioni di legge specifiche, che prevedono la fattispecie del silenzio-assenso, autorizzano il pubblico ufficiale a non rispondere all'istanza rivoltagli per iscritto, potendosi avvalere di tale modalità di risposta. La tesi sopra prospettata, tuttavia, è stata criticata dalla giurisprudenza di legittimità, la quale ha sostenuto la tesi della rilevanza non scriminante della norma di legge speciale su quella generale. Esempio: se un genitore si rivolge all'Istituzione Scolastica con un'istanza di accesso agli atti. L'Istituzione Scolastica, nella persona del legale rappresentante, è tenuta a provvedere; in questo caso il silenzio, previsto dall'articolo 25 l. 241/90 equivale ad un provvedimento di assenso e quindi non sarà integrato il reato di omissioni di atti d'ufficio. Al contrario se vi è un obbligo in capo all'Istituzione Scolastica di provvedere attraverso un atto amministrativo scritto, per cui il silenzio non rientra tra i modi di provvedere, allora la mancata emanazione dell'atto fa sì che la condotta del soggetto preposto a provvedere integri il delitto di omissione di atti d'ufficio ai sensi dell'articolo 328, 2° comma c.p.. In tale caso l'elemento soggettivo richiesto per il soggetto agente è il dolo, inteso non solo come consapevolezza e volontà di omettere un atto del proprio ufficio, ma anche come consapevole volontà di agire indebitamente.

79 3) Elemento soggettivo:
25/06/13 25/06/13 3) Elemento soggettivo: Per la configurabilità del reato si richiede, sotto il profilo psicologico, il dolo generico, cioè la volontà cosciente da parte del pubblico ufficiale di rifiutare, ritardare, omettere l’atto da lui dovuto. L’avverbio indebitamente non comporta l’esigenza di un dolo specifico, ma sottolinea la necessità della consapevolezza di agire in violazione dei doveri imposti. Il dolo generico deve comunque ritenersi escluso in caso di omissione o rifiuto realizzati in buona fede, sempre che di questa sia stata fornita la prova. NB: recentemente la cassazione con la sentenza dell’8 maggio n ha condannato gli operatori del 118 che a seguito di una chiamata non avevano inviato l’autoambulanza.

80 25/06/13 25/06/13 Secondo parte della giurisprudenza il mero inadempimento ed il rilevo che l’atto amministrativo omesso sia anche qualificabile come dovuto, non si traducono in un’automatica responsabilità penale del pubblico ufficiale ove questo si sia limitato ad uniformare il proprio comportamento ad una prassi già in vigore ed attuata nei confronti di tutti. In tal caso se da un lato le ragioni che determinano l’insorgere ed il consolidarsi della prassi non possono assurgere a cause giustificative dell’omissione, dall’altro lato, ai fini della configurabilità del dolo è comunque necessario che si sia raggiunta la prova che il pubblico ufficiale, nel caso concreto abbia deliberatamente voluto omettere lo specifico atto (Cass. Pen. n /1987)

81 25/06/13 25/06/13 ART. 325 c.p.: Utilizzazioni d’invenzioni o scoperte conosciute per ragioni dell’ufficio. Il pubblico ufficiale, o l'incaricato di un pubblico servizio , che impiega, a proprio o altrui profitto, invenzioni o scoperte scientifiche, o nuove applicazioni industriali, che egli conosca per ragione dell'ufficio o servizio , e che debbano rimanere segrete, è punito con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa non inferiore a cinquecentosedici euro. NB: È sufficiente anche una mera competenza di fatto, purché l'ufficio non costituisca solo un'occasione per l'apprendimento della conoscenza E Il consenso del soggetto titolare dell'invenzione, della scoperta etc. scrimina il reato se la segretezza è posta nel suo esclusivo interesse.

82 ART. 326 C.P.: Rivelazione ed utilizzazione di segreti di ufficio.
25/06/13 25/06/13 ART. 326 C.P.: Rivelazione ed utilizzazione di segreti di ufficio. Il pubblico ufficiale o la persona incaricata di un pubblico servizio, che, violando i doveri inerenti alle funzioni o al servizio, o comunque abusando della sua qualità, rivela notizie di ufficio, le quali debbano rimanere segrete, o ne agevola in qualsiasi modo la conoscenza, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni. Se l'agevolazione è soltanto colposa, si applica la reclusione fino a un anno. Il pubblico ufficiale o la persona incaricata di un pubblico servizio, che, per procurare a sé o ad altri un indebito profitto patrimoniale, si avvale illegittimamente di notizie di ufficio, le quali debbano rimanere segrete, è punito con la reclusione da due a cinque anni. Se il fatto è commesso al fine di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto non patrimoniale o di cagionare ad altri un danno ingiusto, si applica la pena della reclusione fino a due anni.

83 25/06/13 25/06/13 L’articolo al primo comma punisce il pubblico ufficiale o la persona incaricata di un pubblico servizio che rilevi notizie segrete attinenti al suo ufficio, abusando, di fato, della propria qualifica MENTRE il secondo comma presuppone l’avvalimento illegittimo di notizie d’ufficio che devono rimanere segrete, al fine (specifico) di procurare a sé o ad altri un indebito profitto patrimoniale. Trattasi di un reato c.d. proprio dato il fatto evidente che lo stesso potrà essere commesso da persone che rivestono la determinata qualifica richiesta dalla norma

84 25/06/13 25/06/13 Per quel che riguarda l’elemento OGGETTIVO il reato si qualifica come plurisoggettivo a forma anomala e a condotte eterogenee OVE la plurisoggettività anomala discende dalla struttura stessa del reato che prescrive la necessaria presenza di più soggetti: pertanto rilevante sarà il comportamento del PU o IPS che ha carpito e diffuso la notizia segreta ad un soggetto estraneo. In merito invece all’elemento psicologico per la commissione del reato sarà richiesta, al primo comma, il DOLO GENERICO (in quanto la coscienza e volontà dell’agente dovranno essere rivolti soltanto alla commissione degli elementi tipici descritta dalla fattispecie) ed al terzo comma, il DOLO SPECIFICO (al fine di procurare a sé o ad altri un indebito profitto patrimoniale o un ingiusto profitto non patrimoniale ovvero di cagionare ad altri un danno ingiusto)

85 25/06/13 25/06/13 Infine il delitto di divulgazione di notizie viene ritenuto un reato di pericolo in quanto per la consumazione non è richiesto che un danno effettivo si verifichi, data la sufficienza della probabilità dello stesso. In particolare secondo la giurisprudenza si tratta di un reato di pericolo effettivo e non meramente presunto, nel senso che la rivelazione del segreto è punibile non già in sé e per sé ma in quanto suscettibile di produrre un qualche nocumento agli interessi tutelati a mezzo della notizia da tenere segreta. Di conseguenza il reato non sussiste ad esempio nell’ipotesi in cui la notizia sia divenuta di dominio pubblico OVVERO quando dette notizie sono rilevate a persone autorizzate a riceverle

86 25/06/13 25/06/13 In tale reato una posizione particolare la assume il soggetto estraneo che ha ricevuto la notizia. In tal caso se tale soggetto ha contribuito alla commissione del reato inducendo i PU tenuti a rispettare il dovere di segretezza a fare la rivelazione, o comunque accordandosi con lui a tal fine, risponde del reato di rivelazione di segreti d’ufficio come compartecipe, in applicazione dei principi generali sul concorso di persone del reato (Cass. Pen. n /2008). La Cassazione penale , sez. VI, con sentenza n° ha avuto modo di precisare che “Il bene giuridico protetto dalla norma di sui all'art 326 c.p. è il buon andamento, inteso anche come funzionamento, della pubblica amministrazione, con specifico riferimento al pregiudizio che ad essa può derivare dalla rivelazione di un segreto d’ufficio. L’illecito in esame configura un reato di pericolo concreto e non meramente presunto, posto che la rivelazione della notizia segreta è punibile non già in sé e per sé, ma in quanto dalla divulgazione della stessa sia derivato o possa derivare un qualche nocumento alla pubblica amministrazione o a terzi.

87 25/06/13 25/06/13 Sulla scorta di ciò ha ritenuto che “Non si ravvisano gli estremi del reato di rivelazione del segreto d’ufficio nella generica informazione fornita dall’imputato (sovrintendente della Polizia di stato) ad un amico (che non risulta destinatario diretto dell'operazione di polizia programmata) circa la prevista presenza di posti di blocco della Polizia, senza alcuna precisa indicazione di luoghi e modalità, in quanto non può avere concretamente determinato una potenziale situazione di pregiudizio per l’efficienza dell’operazione amministrativa programmata”

88 I nuovi reati: il reato di corruzione…
25/06/13 25/06/13 25/06/13 I nuovi reati: il reato di corruzione… Prima di esaminare le novità introdotte dalla L. 190/2012 occorre comprendere come era disciplinato, nel sistema previgente, il reato di corruzione. In particolare il codice penale distingueva due tipi di reati di corruzione: Il reato di corruzione per un atto di ufficio ex art. 318 (c.d. corruzione impropria) ove il fatto incriminato al comma primo era quello del “pubblico ufficiale che, per compiere un atto del suo ufficio, riceve per sé o per un terzo, in denaro o altra utilità, una retribuzione che non gli è dovuta o ne accetta la promessa” (c.d. corruzione impropria antecedente) e, al comma secondo, quello del pubblico ufficiale che “riceve la retribuzione per un atto d’ufficio da lui già compiuto” (c.d. corruzione impropria susseguente). Esempio di scuola: il pubblico ufficiale al fine di ottenere il pagamento di una tangente ritarda il rilascio di una licenza ad un privato legalmente qualificato ad ottenere tale licenza. Il reato di corruzione per un atto contrario ai doveri di ufficio ex art. 319 (c.d. corruzione propria) ove il fatto incriminato era (e tutt’oggi è) quello del “pubblico ufficiale che per omettere o ritardare o per aver omesso o ritardato un atto del suo ufficio, ovvero per compiere o aver compiuto un atto contrario ai doveri di ufficio riceve per sé o per un terzo denaro od altra utilità o ne accetta la promessa” . Esempio di scuola: il privato chiede al pubblico ufficiale l’ottenimento di un servizio che non ha diritto ad avere. La differenza tra i due reati si basava proprio sul binomio atto conforme (318 c.p.c.) e atto contrario ai doveri di ufficio (art. 319 c.p.). 88 88

89 25/06/13 25/06/13 25/06/13 Dunque l’elemento (c.d. costitutivo) dei reati era rappresentato proprio dall’atto conforme (318 c.p.) o contrario (319 c.p.) ai doveri d’ufficio e la pubblica accusa (visto il principio costituzionale di presunzione di innocenza sino a prova contraria) doveva provare (al di là di ogni ragionevole dubbio) la sua esistenza ED ANCHE che proprio in ragione di tale atto il pubblico ufficiale aveva ottenuto (o accettato la promessa di) una utilità non dovuta. Tale operazione però era particolarmente complessa, soprattutto in situazioni di illegalità diffusa, dove la dazione di una utilità andava a remunerare un pubblico ufficiale per atti assunti da altri pubblici ufficiali vicino al primo, in una logica di scambi e protezioni reciproche. Inoltre l’individuazione dello specifico atto oggetto di scambio risultava difficile nel caso di pubblici ufficiali c.d. “a libro paga”intendendo con ciò il pubblico ufficiale che veniva dal privato “pagato in maniera forfettaria o periodicamente non perché compia un determinato atto o ometta un determinato atto, ma perché sia disponibile a compiere od omettere tutti gli atti che dovessero essere utili al privato, che lo sovvenziona”. In questi casi ciò che viene pagato e remunerato non è un atto bensì l’impegno ad attivarsi su ordine del privato 89 89

90 25/06/13 25/06/13 25/06/13 Per sopperire a tale difficoltà la giurisprudenza (sia pure con riferimento alla sola corruzione propria) non solo ha attribuito alla nozione di atto di ufficio, intesa dunque in senso lato, una vasta gamma di comportamenti, effettivamente o potenzialmente riconducibili all'incarico del pubblico ufficiale (e quindi non solo il compimento di atti di amministrazione attiva, la formulazione di richieste o di proposte, l'emissione di pareri, ma anche la tenuta di una condotta meramente materiale o il compimento di atti di diritto privato (seppur individuabi): (vedi, tra le altre, Sez. 6, n del 26/09/2006,; Sez. 6, n del 17/03/2004), ma è giunta anche a prescindere dalla necessaria individuazione, ai fini della configurabilità del reato, di un atto al cui compimento collegare l’accordo corruttivo, ritenendo sufficiente che la condotta presa in considerazione dall'illecito rapporto tra privato e pubblico ufficiale sia individuabile anche genericamente, in ragione della competenza o della concreta sfera di intervento di quest'ultimo, così da essere suscettibile di specificarsi in una pluralità di atti singoli non preventivamente fissati o programmati (Sez. 6, n del 16/05/2012; Sez. 6, n del 02/10/2006), sino al punto di affermare che integra il reato di corruzione (in particolare di quella cosiddetta "propria“) SIA l'accordo per il compimento di un atto non necessariamente individuato "ab origine“ ma comunque individuabile, SIA l'accordo che abbia ad oggetto l'asservimento - più o meno sistematico - della funzione pubblica agli interessi del privato corruttore, che si realizza nel caso in cui il privato prometta o consegni al soggetto pubblico, che accetta, denaro od altre utilità, per assicurarsene, senza ulteriori specificazioni, i futuri favori (Sez. fer., n del 25/08/2009). 90 90

91 Le differenze rispetto al vecchio art. 318 c.p. sono molteplici:
25/06/13 25/06/13 25/06/13 Tale orientamento giurisprudenziale è stato positivizzato dal legislatore che con la L. 190/2012 ha riscritto l’art. 318 c.p. lasciando però immutato l’art. 319 c.p. (relativamente al quale sono state inasprite le pene). Il nuovo art. 318 c.p. rubricato, oggi, semplicemente “Corruzione per l’esercizio della funzione” dispone che “Il pubblico ufficiale che, per l’esercizio delle sue funzioni o dei suoi poteri, indebitamente riceve, per sé o per un terzo, denaro o altra utilità o ne accetta la promessa è punito con la reclusione da uno a cinque anni”. Le differenze rispetto al vecchio art. 318 c.p. sono molteplici: 1) Anzitutto viene meno la distinzione tra corruzione impropria antecedente e susseguente 2) Il secondo e più evidente segno di differenziazione tra la vecchia e la nuova ipotesi di “corruzione impropria” è rappresentato dalla soppressione del necessario collegamento della utilità ricevuta o promessa con un atto, da adottare o già adottato, dell’ufficio, divenendo quindi possibile la configurabilità del reato anche nei casi in cui l’esercizio della funzione pubblica non debba concretizzarsi in uno specifico atto (recependo così l’interpretazione giurisprudenziale sopra esposta). La nuova norma pur continuando ad essere formalmente rubricata come “corruzione”, avrebbe in realtà introdotto, secondo alcune prime letture dottrinali, la figura di un vero e proprio “asservimento” del soggetto pubblico ai desiderata del soggetto privato, stante la non necessità di dimostrare appunto un legame tra il compenso ed uno specifico atto di ufficio. 91 91

92 25/06/13 25/06/13 25/06/13 NOTA CRITICA: La eliminazione dalla fattispecie di cui all’art. 318 c.p. di qualsiasi riferimento all’atto oggetto di scambio sembrerebbe far venir meno quell’elemento che sino ad oggi ha distinto la corruzione impropria dalla corruzione propria, e costituito dalla promessa o dazione illecita per il compimento di un atto, rispettivamente, proprio dell’ufficio ovvero contrario ai doveri di ufficio del pubblico ufficiale. A seguito della novella, dunque, la sola corruzione “propria” (art c.p.) continua oggi ad essere impostata sul riferimento ad un atto dell’ufficio mentre quella impropria no. Insomma il fatto che il legislatore abbia deciso di escludere la necessità di individuazione dell’atto solo per il reato di cui all’art. 318 c.p (corruzione impropria) ed abbia altresì deciso coscientemente di non modificare l’art. 319 c.p. (corruzione propria) -ancorato all’atto contrario ai doveri d’ufficio- lascia intendere che per tale ultimo reato occorra la dimostrazione e la prova dell sinallagma dazione o promessa di utilità - compimento dell’atto contrario ai doveri d’ufficio NONOSTANTE la giurisprudenza richiamata nelle precedenti slides, con riferimento alla corruzione propria abbia sino ad oggi ritenuto di dover prescindere dalla individuazione di tale atto. 92 92

93 25/06/13 25/06/13 25/06/13 Il terzo elemento di differenziazione è costituita dal fatto che nel vecchio art. 318 c.p. si faceva riferimento ad una “retribuzione non dovuta” sotto forma di danaro o altra utilità mentre nel nuovo art. 318 c.p. si fa riferimento al pubblico ufficiale che indebitamente riceve denaro o altra utilità. L’inserimento dell’avverbio “indebitamente” in luogo di “retribuzione non dovuta” non sembra aggiungere efficacia selettiva alla norma, essendo riferito non all’atto amministrativo o alla condotta svolta nell’esercizio delle funzioni, ma alla ricezione o all’accettazione della promessa di denaro o altre utilità. Viene così esclusa la rilevanza penale dei casi in cui l’utilità promessa o corrisposta al pubblico ufficiale è effettivamente dovuta allo stesso, per ragioni inerenti all’ufficio, ovvero è dovuta all’amministrazione per conto della quale il soggetto pubblico la riceve. La sostituzione della locuzione “retribuzione” con “denaro o altre utilità” è invece di fondamentale importanza in quanto proprio la qualificazione “retributiva” della dazione aveva alimentato quelle posizioni giurisprudenziali secondo cui la stessa traduceva la precisa volontà del legislatore di escludere dall’ambito di operatività della incriminazione tutte quelle situazioni non caratterizzate da un vero e proprio rapporto “sinallagmatico” tra la prestazione del corruttore e quella del corrotto e di includervi, al contrario, solo quelle dazioni o promesse proporzionate al tipo e all’importanza della prestazione richiesta al pubblico ufficiale, sicché, in definitiva, il reato doveva essere escluso sia nel caso di minima entità dell’utilità sia in quello di evidente sproporzione rispetto al vantaggio ottenuto (Sez. 6, n del 09/02/1994) 93 93

94 25/06/13 25/06/13 25/06/13 Sotto il profilo soggettivo la legge 190/2012 è intervenuta modificando l’art c.p. attraverso l’eliminazione del riferimento al pubblico impiegato per la punibilità dell’incaricato di pubblico servizio. Nel senso che precedentemente l’art. 320 c.p. prevedeva che il reato di cui all’art. 318 c.p. si applicava alla persona incaricata di pubblico servizio “qualora rivesta la qualità di pubblico impiegato” mentre il nuovo art. 320 c.p. si limita a stabilire che “Le disposizioni degli art. 318 e 319 si applicano anche all’incaricato di un pubblico servizio.” e dunque anche se non riveste la qualità di pubblico impiegato” . E’ comunque prevista la riduzione di un terzo della pena. La pena prevista per il reato di cui all’art. 318 c.p. è stata aumentata. Prima era della reclusione da sei mesi a tre anni (comma 1) e di quella fino ad un anno (comma 2). Oggi invece è della reclusione da uno a cinque anni, il che consente l’utilizzo di tutti quegli strumenti investigativi , prima esclusi, tra i quali soprattutto le intercettazioni telefoniche. È stata inasprita (in maniera significativa) la pena per il reato di corruzione propria ex art. 319 c.p.. Prima era: reclusione da 2 a 5 anni. Oggi è: reclusione da 4 a 8 anni Le modifiche all’art. 318 hanno poi necessariamente comportato l’adeguamento alla nuova struttura del reato della previsione dell’art. 322 c.p. in tema di “istigazione alla corruzione”, il cui primo comma è stato modellato nel senso che chiunque offre o promette denaro o altra utilità non dovuti ad un pubblico ufficiale o ad un incaricato di pubblico servizio, per l’esercizio delle sue funzioni o dei suoi poteri, soggiace, qualora la promessa o l’offerta non sia accettata, alla pena stabilita dal primo (ed oggi unico) comma dell’art. 318 ridotta di un terzo, mentre, in forza del comma terzo, la medesima pena si applica al pubblico ufficiale o all’incaricato di un pubblico servizio che sollecita una promessa o dazione di denaro o altra utilità per l’esercizio delle sue funzioni o dei suoi poteri. 94 94

95 25/06/13 25/06/13 25/06/13 Vi sono due ulteriori tematiche da affrontare: La prima è quella della compatibilità del reato corruttivo con l’adozione di atti discrezionali. Prima della riforma dell’art. 318 c.p. la dottrina e giurisprudenza (ritenendo compatibile l’atto discrezionale con il reato corruttivo) si ponevano il problema di distinguere in quali casi l’atto discrezionale era conforme (corruzione impropria) o contrario (corruzione propria) ai doveri di ufficio. La distinzione era di fondamentale importanza sia sotto il profilo sanzionatorio (la corruzione per atto contrario era punita con pena sensibilmente più alta) sia sotto il profilo della prescrizione del reato, sia infine sotto il profilo dell’ammissibilità delle intercettazioni e delle misure cautelari personali, applicabili all’epoca solo per il reato di cui all’art. 319 c.p. (corruzione propria). La giurisprudenza e la dottrina ritenevano che l’esercizio della discrezionalità da parte del pubblico ufficiale viziata ed inquinata dalla promessa o indebita dazione di denaro, non poteva che dar luogo ad un atto contrario ai doveri di ufficio (con la conseguente applicabilità dell’art. 319 c.p.) comprendendo tali doveri anche i generali obblighi di imparzialità, onestà ed esclusivo perseguimento dell’interesse pubblico. 95 95

96 25/06/13 25/06/13 25/06/13 In particolare secondo la Cassazione si configurava il reato di corruzione impropria ex art. 318 c.p. in relazione ad un atto discrezionale solo ed esclusivamente “qualora sia dimostrato che lo stesso atto sia stato determinato dall’esclusivo interesse della pubblica amministrazione e che pertanto sarebbe stato comunque adottato con il medesimo contenuto e le stesse modalità anche indipendentemente dalla indebita retribuzione” (Cass. n del 2009), stabilendo così una “presunzione di contrarietà” per tutti gli altri atti discrezionali assunti dal p.u. a fronte dell’illecita retribuzione o promessa di remunerazione Con la nuova formulazione dell’art. 318 c.p., non ponendosi più problemi di distinzione tra atto conforme e atto contrario ai doveri di ufficio (art. 319 c.p.), può darsi che spinga la giurisprudenza a cambiare opinione sulla sopra detta “presunzione di contrarietà” (peraltro criticata da parte della dottrina) MA sinceramente non sembra in grado di mettere in discussione la compatibilità del reato corruttivo con l’attività discrezionale della P.A. 96 96

97 25/06/13 25/06/13 25/06/13 La seconda questione riguarda invece il momento consumativo dei delitti di corruzione. La nuova fattispecie dell’art. 318 c.p. punisce già l’accordo corruttivo senza che sia necessario che alla promessa segua la dazione dell’utilità. Analoga previsione è contenuta nell’art. 319 c.p. che non richiede per l’integrazione del reato, né che la illecita retribuzione venga effettivamente corrisposta né che l’atto contrario venga posto in essere dal pubblico ufficiale. Il problema principale concerne la rilevanza, ai fini di individuare il tempo ed il luogo del reato, dell’effettivo pagamento che intervenga successivamente ed in esecuzione dell’accordo già concluso. Secondo parte della dottrina il pagamento costituirebbe un post factum non punibile, con la conseguenza che per individuare il dies a quo di decorrenza del termine di prescrizione occorrerebbe far riferimento a tempo in cui l’accordo è stato raggiunto. La giurisprudenza invece ha elaborato una soluzione c.d. a duplice schema per cui “il delitto di corruzione si perfeziona alternativamente con l’accettazione della promessa ovvero con la dazione/ricezione dell’utilità, e tuttavia, ove alla promessa faccia seguito la dazione/ricezione è solo in tale ultimo momento che, approfondendosi l’offesa tipica, il reato viene a consumazione” (Cass. Sez. Unite n del 2010) 97 97

98 25/06/13 25/06/13 25/06/13 Per quanto attiene alla posizione del CORRUTTORE, l’art. 321 c.p., richiamando espressamente ed esclusivamente l’ art. 318 comma 1 sanzionava il corruttore solo in caso di c.d. corruzione impropria antecedente. L’art. 321 c.p., verosimilmente per un difetto di coordinamento, non è stato modificato dalla legge 190/2012; ciò non toglie che per effetto dell’inglobamento di corruzione antecedente e susseguente all’interno di un’unica fattispecie, il conduttore possa essere punito anche per la corruzione susseguente, configurandosi in tal modo una ipotesi di nuova incriminazione, insuscettibile, come tale, di applicazione retroattiva. 98 98

99 …il reato di istigazione alla corruzione.
25/06/13 25/06/13 …il reato di istigazione alla corruzione. Il reato di istigazione alla corruzione (articolo 322 codice penale) completa l'articolato sistema dei reati di corruzione (articoli da 318 a 321 codice penale), volti a tutelare il corretto funzionamento, il prestigio e l'imparzialità della Pubblica Amministrazione, preservando l'esercizio della funzioni pubbliche e dei pubblici servizi dai pericoli e dai danni che possono derivare da indebite retribuzioni private. La norma, in sostanza, punisce il tentativo di corruzione. L'articolo 322 codice penale prevede diverse ipotesi, distinguendo tra istigazione alla corruzione attiva (commi 1 e 2) e istigazione alla corruzione passiva (commi 3 e 4): le prime sanzionano il privato cittadino che offre o promette denaro o altra utilità non dovuta per indurre il soggetto pubblico a compiere, omettere o ritardare un atto dell'ufficio o contrario ai doveri dell'ufficio. Le seconde, invece, puniscono il soggetto pubblico che “sollecita”, esercitando una pressione psicologica sul privato, una promessa o dazione di denaro o di altra utilità per compiere, omettere o ritardare un atto conforme o contrario ai doveri d'ufficio.

100 25/06/13 25/06/13 In tutti i casi deve trattarsi di promesse, offerte o richieste effettive, serie e potenzialmente idonee a alla realizzazione dello scopo, ossia tali da turbare psicologicamente il soggetto e indurlo, sia pure in astratto, ad accettare la proposta illecita, anche se poi, in concreto, tale proposta non deve essere accettata. Il reato di istigazione alla corruzione attiva si realizza nel momento in cui viene messa disposizione l'utilità al soggetto pubblico o comunque allorché quest'ultimo venga a conoscenza della promessa. Il reato di istigazione alla corruzione passiva del pubblico funzionario, invece, si perfeziona nel momento in cui la sollecitazione viene a conoscenza del privato. Deve mancare, in entrambi i casi, l’accettazione della promessa o l’adesione alla sollecitazione perché altrimenti si risponde per il reato di corruzione consumato.

101 Alcune recenti sentenze:
25/06/13 25/06/13 Alcune recenti sentenze: 1) Corte di Cassazione Penale sez. VI 15/2/2013 n. 7505 I fatti traggono origine dal comportamento di un utente accusato di istigazione alla corruzione (art. 322 codice penale) per “aver offerto a due agenti della polizia stradale la somma di Euro 10,00 al fine di indurli a compiere un atto contrario al proprio dovere di ufficio e più precisamente l’omettere la contestazione dell’infrazione al codice della strada appena commessa dal omissis, condotta concretatasi nel porre la banconota in vista nella carta di circolazione consegnata ai due agenti, profferendo al contempo all’indirizzo degli stessi la frase “lassate stare e pilliatevi nu cafè”, ripetuta con insistenza.”

102 25/06/13 25/06/13 Ha ritenuto la Corte di Cassazione non sussistere il reato a carico del cittadino per l’improbabilità che l’offerta fosse accettata tenuto conto dell’irrisorio valore della somma (ovviamente avrebbe risposto dei reati previsti l’agente che comunque avesse accettato l’offerta). Ha ritenuto infatti la Corte di Cassazione Penale che “l’esibizione della somma di Euro 10,00, corrispondenti ad una utilità pari a Euro 5 per ciascuno dei pubblici ufficiali operanti e destinatari dell’istigazione, al fine di far loro omettere – e quindi in concreto impedire – la preannunciata contravvenzione, per la sua palese irrisorietà, possa semmai configurare il reato di oltraggio, per l’implicita offesa all’onore ed al prestigio del pubblico ufficiale destinatario della dazione stessa.”

103 2) Cassazione Penale Sez. VI, 3 maggio 2013, n. 19190
25/06/13 25/06/13 2) Cassazione Penale Sez. VI, 3 maggio 2013, n Anche dopo la riforma introdotta dalla legge n. 190 del 2012, integra il delitto di istigazione alla corruzione, e non quelli di tentata concussione ovvero di tentata induzione indebita, la condotta del pubblico ufficiale che sollecita il privato a remunerarlo, proponendogli uno “scambio di favori”, quando è assente ogni tipo di minaccia ed ogni ulteriore abuso della qualità o dei poteri che preceda o accompagni l’indebita richiesta. (Fattispecie in cui un consulente tecnico di ufficio in una causa civile per la determinazione dell’indennità di esproprio aveva contattato una parte prospettandole una supervalutazione del bene immobile come alternativa alla corretta valutazione, che avrebbe comunque effettuato, in cambio di una percentuale sulla differenza).

104 …il reato di concussione
25/06/13 25/06/13 25/06/13 …il reato di concussione L’intervento normativo in materia di concussione ha modificato profondamente il previgente impianto codicistico. Il previgente art. 317 c.p. disponeva che “Il p.u. o l’incaricato di pubblico servizio, che abusando della sua qualità o dei suoi poteri, costringe o induce taluno a dare o promettere indebitamente, a lui o ad un terzo, denaro od altra utilità, è punito con la reclusione da quattro a dodici anni”. La legge 190/2012 ha scisso la precedente fattispecie incriminatrice nelle due fattispecie di concussione per costrizione (nuovo art. 317 rubricato “Concussione”) e concussione per induzione (art. 319 quater, rubricato “Indebita induzione a dare o promettere utilità”). Il nuovo art.317 c.p. rubricato “concussione” dispone che “Il p.u. che abusando delle sue qualità o dei suoi poteri, costringe taluno a dare o promettere indebitamente, a lui o a un terzo, denaro o altra utilità è punito con la reclusione da sei a dodici anni”. La nuova formulazione limita il novero dei soggetti attivi ai soli pubblici ufficiali, in quanto il legislatore ha ritenuto che l’effetto della costrizione all’indebita dazione possa ricollegarsi soltanto all’abuso di alte prerogative amministrative. Configurazione questa che però non considera che anche condotte minacciose di un incaricato di pubblico servizio possono, nella realtà, avere un effetto di integrale soggezione del privato. In ogni caso, estromessa la figura dell’incaricato di pubblico servizio, qualora la condotta prevaricatrice di quest’ultimo si connoti in termini di minaccia o violenza, la prospettabile qualificazione del fatto sarà quella di estorsione aggravata dall’abuso di poteri inerenti un pubblico servizio (art. 61, n. 9, c.p.) con una conseguenza che appare irragionevole, in quanto, sia pure per effetto dell’aggravante suscettibile di bilanciamento, l’incaricato di p.s. è sanzionato con una pena più severa (pari al massimo a dieci anni di reclusione più l’aumento di un terzo) di quella massima prevista dall’art. 317 c.p. per il p.u. (pari a dodici anni di reclusione) 104 104

105 25/06/13 25/06/13 A) Abuso dei poteri Si realizza ogni qual volta un soggetto qualificato strumentalizza i poteri, che gli derivano dal fatto di ricoprire una determinata pubblica funzione o di svolgere un determinato pubblico servizio, come mezzo di pressione sul privato o come vero strumento coercitivo, o, comunque come strumento di pressione. L’agente di polizia che si fa consegnare una somma di denaro da un soggetto, minacciando di arrestarlo, evidentemente realizza una costrizione con abuso dei poteri inerenti alla sua funzione e strumentalizza i poteri per spingere il privato a compiere qualcosa che spontaneamente non avrebbe compiuto. Un episodio, che ha riguardato un vigile urbano, che si era fatto consegnare un oggetto d’oro minacciando una ritorsione consistente nel sequestro della vettura, in relazione ad un presunto illecito stradale, è stato chiaramente classificato come ipotesi di abuso dei poteri inerenti alla funzione. A volte può, infatti, accadere che un pubblico ufficiale prospetti l’uso di un potere, che, in realtà, esula completamente dalla sua competenza. Il privato, però, non sempre è in grado di percepire se il pubblico ufficiale disponga del titolo giuridico per esercitare quello specifico potere. Infatti, se chiunque è in grado di comprendere che un professore universitario non è nelle condizioni di sequestrare una macchina, non tutti capiscono che un pubblico ufficiale, che svolge funzioni di polizia giudiziaria, non può minacciare di sequestrare una macchina se il contesto non lo giustifica. Quindi, l’episodio del vigile urbano rientra nelle ipotesi di abuso dei poteri, anche se si tratta di un potere probabilmente non spettante al soggetto nel caso concreto. Lo stesso accade quando un’appartenente alle forze dell’ordine minaccia di arrestare un soggetto in flagranza per un reato che non ammette l’arresto in flagranza. Il privato, non conoscendo, spesso e volentieri, per quali reati sia previsto l’arresto in flagranza, subisce la pressione in relazione all’abuso dei poteri, non potendosi rendere conto che, in concreto, il soggetto qualificato non avrebbe potuto esercitare quel potere. La condotta di abuso dei poteri può essere realizzata anche con una condotta omissiva attraverso il mancato esercizio della funzione o del servizio, per esempio mediante un’omissione o il ritardo di un atto dovuto come accade quando un soggetto viene invitato a pagare dal pubblico ufficiale perché venga rallentata una verifica fiscale

106 25/06/13 25/06/13 B) Abuso delle qualità Il concetto di abuso delle qualità si presenta in maniera più sfumata in quanto non risulta sempre facilmente percepibile. In genere, ricorre ad un abuso della qualità il pubblico ufficiale che esercita una pressione sul privato, non collegandola con un concreto uso (o meglio abuso) dei poteri inerenti alla funzione o al servizio, bensì semplicemente facendo pesare, da un punto di vista statico, la sua funzione all’interno della pubblica amministrazione in modo che il privato non sia immediatamente minacciato dall’uso del potere, ma si renda conto che si trova a che fare con una persona inquadrata in una branca della pubblica amministrazione con la quale, un domani (non oggi, ma un domani), potrebbe avere a che fare e dalla quale, quindi, potrebbe anche subire un pregiudizio. Il soggetto passivo, per questo motivo, è spinto ad assecondare la condotta di costrizione, pur non essendo, come avviene, invece, nell’abuso dei poteri, di fronte al rischio di una ritorsione immediata effettuata attraverso una strumentalizzazione del potere da parte del soggetto qualificato. Quando si abusa delle qualità non viene posto un aut aut collegato ad una vicenda concreta, ma viene insinuato il dubbio, nella mente del soggetto passivo, che, non aderendo alla richiesta del soggetto qualificato, si potrà prima o poi intersecare la propria strada con quella del pubblico ufficiale ed avere problemi. Se, per esempio, un imprenditore edile si sentisse chiedere da un magistrato o da un prefetto la vendita di un immobile ad un prezzo stracciato, in assenza di minaccia o di prospettazione di immediate sanzioni o procedimenti esecutori nei suoi confronti, ma semplicemente venendo messo a conoscenza della veste importante ricoperta dall’interlocutore nel contesto sociale, potrebbe essere indotto a riflettere su quanto gli viene richiesto, mentre normalmente, se la stessa richiesta gli venisse effettuata da un privato, non la prenderebbe neppure in considerazione. L’imprenditore è indotto a riflettere sull’eventualità che, dietro la richiesta effettuata dai soggetti qualificati, vi sia una prospettazione futura di qualche problema finalizzata ad indurlo ad accettare una proposta sicuramente non vantaggiosa. Un caso capitato a Genova ha coinvolto alcuni agenti di un reparto celere che avevano l’abitudine di recarsi presso alcuni negozi per comprare merce a prezzi irrisori, non minacciando perquisizioni o conseguenze collegate alla loro funzione (sarebbe stata, in questo caso un’ipotesi classica di abuso dei poteri), ma semplicemente esibendo la divisa (d’altra parte ci sono situazioni, ad esempio in piccoli centri, in cui un maresciallo dei carabinieri può avere una posizione di prestigio e di peso tale da poter far pesare l’abuso delle qualità). Certamente, l’abuso della qualità non risulta sempre facilmente individuabile.

107 25/06/13 25/06/13 C) Costrizione Solitamente, la costrizione si presenta nel reato di concussione sotto forma di minaccia. E’, invece, più complicato che si possa ravvisare un’ipotesi di violenza in quanto, in genere, il pubblico ufficiale non ha bisogno di esercitare violenza sul soggetto passivo (tra l’altro se il soggetto qualificato fa ricorso alla violenza probabilmente non ricorre all’abuso dei poteri o delle qualità e risponde del reato di rapina autonomamente considerato). Quando il soggetto qualificato abusa dei poteri o della qualità, lo fa, in genere, prospettando una conseguenza spiacevole, quindi realizzando tipicamente la condotta di minaccia. In presenza di minaccia, esplicita o larvata si è di fronte a quella forma di concussione definita come concussione esplicita, ovvero mediante costrizione.

108 25/06/13 25/06/13 Il concetto di costrizione secondo la recente giurisprudenza: Sentenza del 14 marzo 2013 IL FATTO: Un appartenente alla Polizia di Stato minacciando il titolare di poligono di tiro di non rinnovargli la convenzione per i tiri, faceva risultare per ogni esercitazione un numero di agenti superiore a quelli effettivamente impegnati e si faceva poi consegnare le somme per le esercitazioni mai effettuate. Secondo la Corte di Cassazione nel caso di specie la coartazione del privato era tale da non lasciargli “libertà di scelta” E pertanto del tutto corretta era la qualifica del reato come reato di concussione. La Corte ha precisato che nel nuovo reato di concussione per costrizione il PU agisce con modalità ovvero con forme di pressione tali da non lasciare margine alla libertà di autodeterminazione al destinatario della pretesa illecita (come appunto accaduto nel caso di specie ove al privato era stato minacciato il danno della mancata rinnovazione della licenza) E proprio sotto tale profilo si distingue dalla nuova fattispecie di cui all’art. 31 quater c.p.

109 D) Oggetto della dazione o promessa
25/06/13 25/06/13 D) Oggetto della dazione o promessa Per quanto riguarda l’oggetto della dazione o promessa da parte del soggetto concusso la norma parla di denaro o altre utilità. Il concetto di denaro non pone alcun problema interpretativo a differenza della nozione di “altre utilità”, sul cui significato si sono profilate rilevanti incertezze interpretative. Un primo orientamento giurisprudenziale proponeva un’interpretazione ampia del concetto di utilità, facendovi rientrare qualsiasi forma di vantaggio, anche di natura morale. In base a questo orientamento, quando il pubblico ufficiale, anziché denaro o vantaggi economici, richiedeva alla vittima prestazioni di natura sessuale si configurava una concussione. Tuttavia, in seguito, questo orientamento era stato messo in discussione da una serie di pronunce che tendevano a negare la rilevanza delle prestazioni di natura sessuale nel quadro del concetto di utilità. In particolare, la Cassazione nel 1988, aveva affermato che l’utilità, idonea a configurare un reato di concussione dovesse rappresentare un vantaggio per il patrimonio e la personalità, negando che profili meramente sentimentali nonché vantaggi sessuali potessero rientrare in quest’ambito. In un altro intervento del 1991 la Cassazione, partendo dalla definizione di utilità in termini di vantaggio per il patrimonio o per la personalità del soggetto attivo, aveva avvallato la tesi restrittiva, che trovava fondamento nell’affinità che dovrebbe intercorrere tra denaro ed altra utilità, stabilendo che il concetto di altra utilità dovesse necessariamente denotare un contenuto economico patrimoniale. In particolare la Cassazione aveva sottolineato come il concetto di utilità nel reato di concussione, ex articolo 317, dovesse necessariamente consistere in un vantaggio per il patrimonio e la personalità del soggetto attivo qualificato sostenendo che la nozione di “altre utilità”, indicata senza alcuna specificazione in alternativa al denaro come dazione o promessa conseguente alla condotta del concussore, fosse stata posta come parametro di affinità con il denaro, nel senso che sia il denaro che le altre utilità dovevano denotare un contenuto economico patrimoniale. In pratica, in base ad una presunta natura giuridica del termine, potevano rientrare nel concetto di utilità macchine, gioielli, case ecc…, ma non rapporti di natura sessuale.

110 25/06/13 25/06/13 In ultimo, per risolvere definitivamente la questione, sono intervenute nel 1993 le Sezioni Unite della Cassazione che hanno negato l’omogeneità tra denaro ed utilità, sostenendo che l’intenzione del legislatore del 1990 fosse chiaramente quella di attribuire al termine “altre utilità” il significato utilizzato nel linguaggio corrente. Le Sezioni Unite hanno correttamente affermato che il termine utilità presente nell’ambito del reato di concussione indichi tutto quello che possa rappresentare un vantaggio per la persona materiale o morale, patrimoniale o non patrimoniale, consistente sia in un dare quanto in un fare e ritenuto rilevante dalla consuetudine o dal convincimento comune. Per questo motivo le prestazioni sessuali, che rappresentavano il problema maggiore, rientrano nella categoria delle “altre utilità” ogni qual volta il pubblico ufficiale ne ottenga la promessa o l’effettiva prestazione

111 … il reato di induzione indebita a dare o promettere utilità
25/06/13 25/06/13 25/06/13 … il reato di induzione indebita a dare o promettere utilità L’art. 319 quater, introdotto dalla L. 190/2012 dispone che “Salvo che il fatto costituisca più grave reato, il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio che, abusando della sua qualità o dei suoi poteri, induce taluno a dare o a promettere indebitamente, a lui o a un terzo, denaro o altra utilità è punito con la reclusione da tre a otto anni. Nei casi previsti dal primo comma, chi dà o promette denaro o altra utilità è punito con la reclusione fino a tre anni”. Nella nuova fattispecie incriminatrice la condotta del p.u. o dell’incaricato di p.s. è stata ritenuta meritevole di una pena mitigata MENTRE la condotta del privato che si lascia indurre all’indebita promessa o dazione è stata innovativamente ritenuta meritevole di sanzione penale 111 111

112 25/06/13 25/06/13 Che cosa significa Induzione? Sulla base di un’assonanza con un concetto usato nell’ambito della truffa, una parte della dottrina (ed in qualche caso anche la giurisprudenza) ha ritenuto che la condotta induttiva fosse equivalente all’induzione in errore di cui si parla all’articolo 640. La “induzione indebita a dare o promettere utilità” risulterebbe, di conseguenza, un comportamento in cui un soggetto qualificato, abusando dei poteri o delle qualità, trae in inganno il privato inducendolo ad una dazione o ad una promessa di denaro o di altra utilità. Da più parti si è obiettato se fosse plausibile questa equiparazione tra una condotta di concussione implicita ed un comportamento che, così descritto non sembra essere altro che una truffa. In realtà, non si vede il motivo di unificare queste due prospettive. Inoltre, potrebbe apparire squilibrato punire con la durezza della concussione un comportamento da semplici imbroglioni. Per uscire da questa interpretazione, si è sottolineato che la norma in questione non parla di induzione in errore, ma solo genericamente di induzione. L’articolo descrive quindi un fenomeno diverso, ossia una condotta meno pesante della costrizione, in quanto finalizzata ad esercitare una pressione sul privato, sia pure con maggiore garbo, senza essere esplicitamente aggressivi, ma sostanzialmente con lo stesso risultato.

113 25/06/13 25/06/13 La “induzione indebita a dare o promettere utilità” deve essere tenuta distinta dalla truffa che può essere commessa, senza problemi, anche da un pubblico ufficiale. Si configura reato di truffa, ai sensi dell’articolo 640 quando la qualità del pubblico ufficiale concorre in via accessoria alla determinazione della volontà del soggetto passivo che viene convinto con artifici o raggiri ad una prestazione che egli crede dovuta (in pratica, viene ingannato a dare o promettere ciò che non è dovuto); sussiste, invece, “induzione indebita a dare o promettere utilità” quando il pubblico ufficiale assume un atteggiamento prevaricatore allo scopo di ottenere una prestazione non dovuta e pretesa proprio in virtù del suo potere e non già inducendo in inganno la parte offesa (in pratica, il soggetto passivo dell’induzione, pur non essendo messo “nell’angolo” da un soggetto qualificato particolarmente aggressivo, si rende conto di essere di fronte ad una richiesta, ad una pressione che lo porta a dare o promettere quanto non dovuto).

114 25/06/13 25/06/13 Ad esempio, se il pubblico ufficiale ricorre a mezzi ingannevoli per convincere un soggetto a consegnargli una somma di denaro, si resta nell’ambito della truffa (è il caso dell’addetto alla riscossione dei ticket sanitari che convince un parente del paziente del fatto che occorra versare una cifra superiore rispetto al solito, in questo caso avviene un inganno ed il soggetto passivo adempie credendo di pagare il dovuto). Se, invece, il pubblico ufficiale tiene un comportamento che, pur se non esplicitato in forma minacciosa (è sufficiente l’utilizzazione di termini ambigui, come la prospettazione di difficoltà), rende il soggetto consapevole di dare o promettere ciò che non è dovuto, venendo “indotto” da colui che in quel momento sta abusando dei poteri inerenti il suo servizio, si rientra nell’ambito della “induzione”. Si configura tale reato, ad esempio, quando, di fronte ad un atteggiamento magari ostruzionistico o ad un’esplicita richiesta, il paziente è indotto a dare una somma di denaro per essere curato in tempi accettabili. Il soggetto passivo si rende perfettamente conto di consegnare una somma non dovuta, ma adempie in quanto indotto, attraverso un abuso dei poteri, dall’incaricato di pubblico servizio (magari perché gli viene prospettata la possibilità di fruire in tempi ragionevoli delle prestazioni del Servizio Sanitario Nazionale).

115 25/06/13 25/06/13 A fronte di quanto finora illustrato, sembra corretta quella formula, piuttosto risalente e che non deve essere interpretata in chiave strettamente psicologica, che, nella descrizione del fatto tipico della concussione, faceva leva sul cosiddetto “metus publicae potestatis”. Si sosteneva, infatti, che a caratterizzare la concussione fosse il fatto che il privato subisse il timore della pubblica autorità, fatto che significava che il soggetto passivo, per risultare vittima della concussione, dovesse percepire di subire una prevaricazione in quanto se fosse stato invece ingannato non avrebbe avvertito la pressione del soggetto qualificato. L’induzione consiste nello spingere un soggetto, senza ricorrere allo strumento della minaccia, ad una dazione o ad una promessa che, autonomamente, mai si sarebbe piegato a compiere.

116 25/06/13 25/06/13 La concussione mediante induzione (quella che oggi è induzione indebita a dare o promettere utilità), attraverso questa lettura, mantiene, una maggiore omogeneità rispetto alla concussione mediante costrizione, ponendosi come forma più sfumata di pressione. In questi termini, la concussione mediante induzione si rivela un fatto sostanzialmente omogeneo alla costrizione, ma meno evidente, e che viene previsto proprio perché il legislatore si è reso conto che, strumentalizzando la forza, derivante da una determinata posizione all’interno della pubblica amministrazione, il soggetto qualificato non è obbligato ad uscire allo scoperto e non è obbligato ad essere necessariamente aggressivo e minaccioso; anzi, può anche portare il privato a compiere la prima mossa, quasi a chiedere di essere concusso per sbloccare una situazione per lui difficoltosa.

117 25/06/13 25/06/13 Il comportamento induttivo non risulta vincolato a forme predeterminate e tassative, ma è necessario che si riveli in concreto idonea ad influenzare l’intelletto e la volontà della vittima convincendola dell’opportunità di provvedere all’immediata o differita esecuzione dell’ingiusta dazione per evitare conseguenze dannose. Di conseguenza il comportamento del concussore può realizzarsi anche attraverso comportamenti surrettizi, concretizzantisi in suggestione tacita, ammissioni o silenzi, per avere la vittima la convinzione di adeguarsi ad una prassi ineluttabile, confermata dal comportamento del pubblico ufficiale.

118 25/06/13 25/06/13 Una recente pronuncia della Cassazione: Sentenza n del 15 aprile 2013. IL FATTO: due funzionari, inducevano un imprenditore agricolo a promettere loro indebitamente una somma di denaro per ottenere l’esito positivo di un’istanza avente ad oggetto il contributo comunitario per favorire i metodi di agricoltura e di allevamento a regime biologico. La vittima, accortosi della stranezza della richiesta, si confrontava con il suo tecnico che gli consigliava di rivolgersi alla Polizia. Così è stato. All’incontro successivo con i funzionari l’imprenditore si presentava munito di registratore e i due funzionari ribadivano la richiesta di soldi. La corresponsione effettiva del denaro non avveniva solo perché i due funzionari si rifiutavano di riceverla. Tuttavia, i Giudici di merito condannavano gli imputati per il reato di cui all’art. 317 c.p. (concussione), atteso che tale ultimo comportamento si era verificato in un momento successivo alla consumazione del reato avvenuta con la promessa di denaro accettata dai due funzionari.

119 25/06/13 25/06/13 La Corte di Cassazione, dopo aver ENUNCIATO ILPRINCIPIO DI DIRITTO IN BASE AL QUALE la condotta di induzione richiesta per la configurabilità del delitto di cui all'art. 319-quater cod. pen. (introdotto dalla legge n. 190 del 2012) è integrata da un'attività di suggestione, di persuasione o di pressione morale, posta in essere da un pubblico ufficiale o da un incaricato di un pubblico servizio nei confronti del privato, che, percepita come illecita da quest'ultimo, non ne condiziona gravemente la libertà di autodeterminazione, essendo possibile di non accedere alla pretesa del soggetto pubblico; diversamente sarebbe configurabile la fattispecie di concussione di cui all'art. 317 c.p. a carico del pubblico ufficiale o quella di estorsione aggravata di cui agli artt , n. 9, c.p. a carico dell'incaricato di un pubblico servizio. HA RITENUTO CHE NEL CASO DI SPECIE non è revocabile in dubbio che la richiesta di tangente formulata dai due funzionari non recava con se alcuna costrizione della vittima, avendo il tempo ed il modo di agire a tutela dei suoi interessi riqualificando il fatto nel delitto di cui al 319 quater c.p.,

120 25/06/13 25/06/13 25/06/13 Quale è la differenza tra concussione e corruzione e tra induzione e costrizione? Le due problematiche chiaramente sono tra loro connesse, in quanto la condotta costrittiva ingenera il reato di concussione mentre quella induttiva il reato di induzione indebita a dare o promettere utilità La giurisprudenza formatasi durante la vigenza dei vecchi artt. 317, 318 e 319 c.p., per distinguere tra reato di concussione e corruzione (nei quali è identico il corpus delicti, che consiste sempre nella dazione o promessa di dare denaro o altra utilità) ha dapprima scartato una serie di criteri, tra i quali in particolare quello della iniziativa (in base al quale se era il privato a proporre l’illecita remunerazione si rientrava nel campo applicativo della corruzione mentre se la richiesta promanava dal p.u, sarebbe stato ravvisabile l’abuso della funzione e dei poteri e conseguentemente la concussione, criterio questo che non ha conosciuto fortuna perché: l’iniziativa del p.u. viene considerata al massimo come un possibile elemento sintomatico di un fatto concussivo; l’iniziativa del privato inoltre è ritenuta compatibile anche con il reato concussivo laddove tale iniziativa sia conseguenza di una situazione creata dal p.u. con condotte di abuso che abbiano inciso sulla determinazione finale del privato di dare o promettere l’indebita utilità , accogliendo il criterio del metus publicae potestatis in base al quale risulta determinante la presenza, nella concussione, di una volontà prevaricatrice del pubblico ufficiale cui consegua il condizionamento della volontà del privato (Sez. 6, n. 4898/04 del 03/11/2003), per effetto del quale quest'ultimo versa in stato di soggezione di fronte alla condotta del pubblico ufficiale, venendo invece, nella corruzione, i due soggetti a trovarsi in posizione di sostanziale parità (Sez. 6, n del 01/02/1993) 120 120

121 25/06/13 25/06/13 25/06/13 L'elemento distintivo tra le due figure criminose è stato pertanto individuato nel tipo di rapporto intercorrente fra le volontà dei soggetti, che nella CORRUZIONE è paritario e implica la libera convergenza delle medesime verso un comune obiettivo illecito, mentre nella CONCUSSIONE esprime la volontà costrittiva o induttiva dell’agente pubblico condizionante il libero esplicarsi di quella del privato, il quale, per evitare maggiori pregiudizi, deve sottostare alle ingiuste pretese del primo (da ultimo, Sez. 6, n del 05/10/2010). E proprio sulla scorta della intensità dell’effetto di coartazione psicologica e della persistenza o meno di una residua libertà di autodeterminazione che occorre ricostruire la distinzione tra induzione e costrizione (sino ad oggi non affrontata in maniera approfondita dalla giurisprudenza visto che il vecchio art. 317 c.p. accumunava in un’unica fattispecie le condotte di costrizione e induzione, con la conseguenza che era sicuramente meno urgente la necessità di una differenziazione). Solo nella condotta costrittiva, la pressione del p.u. è talmente intensa da rendere inesigibile una reazione di contrasto o rifiuto del privato. Ad esempio la minaccia di un male ingiusto da parte del pubblico ufficiale appare idonea ad integrare l’elemento della costrizione, in quanto il privato viene piegato ad una determinazione che altrimenti non assumerebbe. L’induzione invece parrebbe situarsi a mezza strada tra coercizione assoluta da un lato, tipicamente caratterizzante la concussione, e libertà di autodeterminazione dall’altra, tipicamente caratterizzante la pari partecipazione all’accordo illecito proprio della corruzione. La giurisprudenza prima della scissione del vecchio art. 317 c.p. sosteneva che l’induzione era ravvisabile nei casi in cui il p.u. pur non formulando aperte richieste operava di fatto in modo da ingenerare nel soggetto privato la fondata persuasione di dover sottostare alle decisioni del p.u. per evitare il pericolo di subire un pregiudizio. A seguito della scissione dell’art. 317 c.p. tale interpretazione non sembra più sufficiente per distinguere l’induzione dalla costrizione 121 121

122 …la concussione c.d. “ambientale”
25/06/13 25/06/13 25/06/13 …la concussione c.d. “ambientale” Si parla di concussione ambientale quando in un determinato ambito della P.A., la illecita remunerazione per l’adozione di provvedimenti amministrativi è talmente sistematica e nota all’esterno dove viene percepita come inevitabile, in maniera tale che il privato, in ragione proprio di tale consolidata ed inevitabile prassi illecita, è indotto ad aderirvi e dunque, si risolve a promettere o dare l’indebita retribuzione. Esempio: l’imprenditore edile paga tangenti per ottenere autorizzazioni legittime, dopo aver ricevuto conferma da un noto esponente locale, profondo conoscitore dei meccanismi decisionali di un’amministrazione locale, che quello è l’unico sistema per rimuovere una situazione di stallo in cui si trova la sua pratica, in un contesto in cui il prolungato ritardo nel rilascio delle autorizzazioni gli ha già prodotto una grave situazione finanziaria. Le difficoltà di definizione di tale reato hanno indotto la giurisprudenza a ritenere che, pur in presenza di una sistematica prassi illecita all’interno della PA, perché possa configurarsi concussione ambientale, è comunque necessaria una condotta costrittiva o induttiva del p.u. che abbia prodotto un effetto di coartazione e comunque di pressione sulla volontà del privato (Cass. n /2008). Vi è da dire che per quanto la giurisprudenza si riferisca alternativamente alle condotte di costrizione ed induzione il reato di concussione ambientale è da ritenersi più compatibile con la condotta di induzione. Circostanza questa che a seguito della riforma adoperata dalla L. 190/2012 è estremamente significativa, perché la condotta induttiva impone l’applicazione dell’art. 319-quater (che prevede la reclusione da 3 a 8 atti e soprattutto punisce anche il privato) anziché dell’art (che prevede la reclusione da 6 a 12 anni e soprattutto non punisce il privato) 122 122

123 …il reato di traffico di influenze illecite
25/06/13 25/06/13 25/06/13 …il reato di traffico di influenze illecite La legge 190/2012 ha introdotto, con l’art. 346-bis c.p., in adempimento delle indicazioni provenienti dalle Convenzioni internazionali in materia di corruzione ratificate dall’Italia, la nuova fattispecie, punita con la reclusione da uno a tre anni, di “Traffico di influenze illecite” consistente nel fatto di “chiunque, fuori dei casi di concorso nei reati di cui agli articoli 319 e 319 ter, sfruttando relazioni esistenti con un pubblico ufficiale o con un incaricato di un pubblico servizio, indebitamente fa dare o promettere, a sé o ad altri, denaro o altro vantaggio patrimoniale, come prezzo della propria mediazione illecita verso il pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio ovvero per remunerarlo, in relazione al compimento di un atto contrario ai doveri di ufficio o all'omissione o al ritardo di un atto del suo ufficio”. La stessa pena si applica, secondo quanto prevede il comma secondo della nuova disposizione, “a chi indebitamente dà o promette denaro o altro vantaggio patrimoniale”, mentre la pena è, dal comma terzo, aumentata “se il soggetto che indebitamente fa dare o promettere, a sé o ad altri, denaro o altro vantaggio patrimoniale riveste la qualifica di pubblico ufficiale o di incaricato di un pubblico servizio”. Infine, rispettivamente in forza del comma quarto e quinto, le previste pene “sono altresì aumentate se i fatti sono commessi in relazione all’esercizio di attività giudiziarie”, e sono invece diminuite “se i fatti sono di particolare tenuità”. Va ricordato che, sino ad oggi, proprio in considerazione della mancata attuazione delle Convenzioni menzionate, la giurisprudenza della Corte di Cassazione aveva sottolineato come il c.d. “trading in influence”, vale a dire l'utilizzo della carica pubblica per fini privati, fosse posto al di fuori della tipicità delle norme incriminatrici della corruzione contemplate dall’ordinamento, presupponendo, questa, “un nesso tra il pubblico ufficiale e l'atto d'ufficio oggetto del mercimonio” e non potendo essere dilatata “fino al punto da comprendervi, con una operazione analogica non consentita in materia penale……anche la mera venalità della carica” (Sez. 6, n del 04/05/2006,) 123 123

124 25/06/13 25/06/13 25/06/13 L’art. 346-bis fa espressamente riferimento all’atto “contrario ai doveri di ufficio”: ciò significa che se il mediatore si fa dare una somma di denaro per esercitare sul pubblico ufficiale un’influenza affinché questo “eserciti le sue funzioni” e quindi compia un atto conforme ai suoi doveri di ufficio non risponderà del reato di Traffico di influenze illecite”. In tali casi solo ove il mediatore corrompa il p.u. per compiere le sue funzione, tutti i soggetti risponderanno di concorso del delitto di cui all’art. 318 (Corruzione per l’esercizio della funzione) La clausola “fuori dai casi di concorso nei reati di cui agli articoli 319 e 319-ter” invece significa che nei casi in cui alla illecita intermediazione abbia fatto seguito un accordo corruttivo con i pubblici ufficiali, agevolato dall’attività e dall’intervento del mediatore, tutti i partecipanti dell’accordo (il privato, il mediatore, il p.u. corrotto) risponderanno di concorso in corruzione ex art. 319 e 319-ter (per atto contrario ai doveri d’ufficio ovvero corruzione in atti giudiziari). L’accordo prodromico tra il privato e l’intermediario rimane assorbito nel successivo e più grave patto corruttivo intervenuto con il p.u.. Il primo comma dell’art. 346 bis descrive la condotta tipica della nuova figura di reato: la fattispecie richiede che il mediatore, si faccia dare o promettere denaro, sfruttando relazioni esistenti con un pubblico ufficiale o un incaricato di pubblico servizio. Si tratta di un elemento decisivo per distinguere la nuova figura di reato dall’ipotesi delittuosa di millantato credito di cui all’art. 346 c.p.. Invero nella nuova fattispecie criminosa le relazioni con il pubblico funzionario vantate dall’intermediario devono essere, come segnalato dall’aggettivo “esistenti”, reali e non invece, come nel reato di millantato credito, meramente vantate dall’agente ( In tal senso, dovrebbe quindi anzitutto valutarsi la “tenuta” degli orientamenti giurisprudenziali che hanno ritenuto configurabile il reato di cui all’art. 346 c.p. anche laddove il credito vantato presso il pubblico ufficiale o impiegato sia effettivamente sussistente, ma venga artificiosamente magnificato e amplificato dall'agente in modo da far credere al soggetto passivo di essere in grado di influire sulle determinazioni di un pubblico funzionario e correlativamente di poterlo favorire nel conseguimento di preferenze e di vantaggi illeciti in cambio di un prezzo per la propria mediazione (Sez. 6, n del 18/05/1989; Sez. 6, n del 04/02/1991). 124 124

125 25/06/13 25/06/13 25/06/13 Sarà compito della giurisprudenza chiarire la natura delle possibili relazioni con il pubblico ufficiale e le modalità attraverso cui il mediatore deve sfruttare tali relazioni. Potrà trattarsi di relazioni familiari o amicali, ovvero della comune appartenenza del mediatore e del pubblico ufficiale/amministratore ad un medesimo partito politico. Dovrà comunque trattarsi di relazioni cui il mediatore, anche implicitamente, si sia avvalso nella trattativa avente ad oggetto la remunerazione del suo intervento presso il pubblico ufficiale. Il dato che comunque sembra emergere dalla descrizione della condotta tipica è che la promessa o la dazione di denaro da parte del privato all’intermediario siano effettuate in ragione di relazioni privilegiate dell’intermediario con pubblico ufficiale, relazioni che gli consentono di influire sull’operato del soggetto pubblico. NOTA CRITICA: Confrontando l’art. 346 e 346-bis c.p. ci si rende conto che sarà punito più gravemente (pena da 1 a 5 anni ovvero da 2 a 6 anni nell’ipotesi di cui al comma 2 art. 346) chi falsamente rappresenta al privato una inesistente capacità di incidere sull’operato della pubblica autorità, ovvero riceve denaro inventando di dover pagare il pubblico ufficiale rispetto a chi, invece sfrutta le effettive relazioni con il p.u. (da 1 a 3 anni). Infine un ulteriore elemento di fondamentale importanza è costituito dal fatto che la remunerazione procurata o promessa dal mediatore ex art. 346-bis c.p. è identificata nel “denaro o altro vantaggio patrimoniale” E NON nel “denaro o altra utilità” con ciò escludendo dall’ambito di applicazione della fattispecie i casi in cui il beneficio o il vantaggio ricevuto dal mediatore non sia traducibile in termini economici. 125 125

126 …il reato di corruzione privata
25/06/13 25/06/13 25/06/13 …il reato di corruzione privata L’art c.c. introduce, seppur debolmente, nel nostro ordinamento una fattispecie generale di corruzione tra privati. Esempi tipici del reato di corruzione tra privati sono: il responsabile dell’ufficio acquisti di un impresa che preferisce un fornitore, magari meno conveniente, agli altri in ragione della tangente che gli è stata promessa; il manager di un istituto di credito che chiede una remunerazione in denaro per prestare il proprio consenso ad una operazione di fusione non vantaggiosa per la banca; l’amministratore di una società commerciale che affida pratiche ad un legale in cambio di una percentuale sul compenso riconosciuto al professionista. Si tratta di condotte che, inserendosi in attività commerciali e d’affari, sono motivate dal perseguimento di un indebito vantaggio patrimoniale e si traducono nella violazione dei doveri collegati alla funzione ed alla posizione dell’agente nell’ambito della persona giuridica privata. 126 126

127 Infedeltà a seguito di dazione o promessa di utilità.
25/06/13 25/06/13 25/06/13 art c.c. ante riforma Infedeltà a seguito di dazione o promessa di utilità.  Gli amministratori, i direttori generali, i dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari, i sindaci e i liquidatori, i quali, a seguito della dazione o della promessa di utilità compiono od omettono atti, in violazione degli obblighi inerenti al loro ufficio, cagionando nocumento alla società sono puniti con la reclusione sino a tre anni. La stessa pena si applica a chi dà o promette l'utilità. La pena e' raddoppiata se si tratta di societa' con titoli quotati in mercati regolamentati italiani o di altri Stati dell'Unione europea o diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell'articolo 116 del testo unico di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58. Si procede a querela della persona offesa.". Art c.c. dopo riforma Corruzione tra privati Salvo che il fatto costituisca più grave reato, gli amministratori, i direttori generali, i dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari, i sindaci e i liquidatori, che, a seguito della dazione o della promessa di denaro o altra utilità, per sé o per altri, compiono od omettono atti, in violazione degli obblighi inerenti al loro ufficio o degli obblighi di fedeltà, cagionando nocumento alla società, sono puniti con la reclusione da uno a tre anni. Si applica la pena della reclusione fino a un anno e sei mesi se il fatto è commesso da chi è sottoposto alla direzione o alla vigilanza di uno dei soggetti indicati al primo comma. Chi dà o promette denaro o altra utilità alle persone indicate nel primo e nel secondo comma è punito con le pene ivi previste. Le pene stabilite nei commi precedenti sono raddoppiate se si tratta di società con titoli quotati in mercati regolamentati italiani o di altri Stati dell'Unione europea o diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell'articolo 116 del testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, e successive modificazioni. Si procede a querela della persona offesa, salvo che dal fatto derivi una distorsione della concorrenza nella acquisizione di beni o servizi 127 127

128 25/06/13 25/06/13 25/06/13 L’art nel descrivere la condotta tipica fa riferimento alla promessa o dazione di denaro o altra utilità, quindi potranno essere recepite le elaborazioni giurisprudenziali della nozione di utilità formatasi in tema di corruzione pubblica. Tra i soggetti corruttibili sono stati inclusi anche i dipendenti della società. La condotta tipica consiste nella violazione degli obblighi inerenti al loro ufficio o degli obblighi di fedeltà. Verranno pertanto in rilievo tutti gli obblighi in cui si traduce il rapporto fiduciario esistente tra l’agente e la società nonché il generale dovere di lealtà e buona fede nell’esecuzione del rapporto esistente con la società. La condotta antidoverosa deve produrre alla società un nocumento, che, non essendo specificato che deve essere di natura patrimoniale, potrà essere rappresentato anche dal c.d. danno all’immagine. L’ambito di rilevanza penale è circoscritto alle società commerciali, con esclusione quindi degli enti di diritto privato diversi dalle società (enti no- profit, fondazioni). Il reato è procedibile a querela della parte offesa (cioè società ed anche singolo socio) salve le ipotesi in cui sia prodotta una distorsione della concorrenza (procedibilità d’ufficio) 128 128

129 La posizione del dipendente pubblico che segnala gli illeciti
25/06/13 25/06/13 25/06/13 La posizione del dipendente pubblico che segnala gli illeciti Per favorire l’emersione di condotte fraudolente o corruttive poste in essere all’interno delle aziende private o enti pubblici la L. 190/2012 ha costruito un sistema di protezione per il dipendente che denuncia o segnala gli illeciti. In materia di responsabilità amministrativa già il D.Lgs. 231/2001 prevede una disposizione che se adeguatamente valorizzata in ambito giudiziario, potrebbe radicare il fondamento normativo del diritto- dovere di segnalazione degli illeciti. Si tratta dell’art. 6 comma 2 lett. d) che prevede obblighi di informazione nei confronti dell’organismo di vigilanza. La norma, però, non stabilisce veri e propri obblighi di segnalazione degli illeciti, non chiarisce l’ambito soggettivo dei potenziali segnalatori, né quello dei destinatari, posto che oltre all’organismo di vigilanza dovrebbe essere possibile rivolgersi a superiori o a terzi. E’ proprio per tale motivo che la L. 190/2012 ha deciso di disciplinare in maniera dettagliata tale situazione introducendo, al D.Lgs. 165/2001 l’art. 54-bis 129 129

130 Tutela del dipendente pubblico che segnala illeciti.
25/06/13 25/06/13 25/06/13 Art. 54-bis Tutela del dipendente pubblico che segnala illeciti. 1. Fuori dei casi di responsabilita' a titolo di calunnia o diffamazione, ovvero per lo stesso titolo ai sensi dell'articolo 2043 del codice civile, il pubblico dipendente che denuncia all'autorita' giudiziaria o alla Corte dei conti, ovvero riferisce al proprio superiore gerarchico condotte illecite di cui sia venuto a conoscenza in ragione del rapporto di lavoro, non puo' essere sanzionato, licenziato o sottoposto ad una misura discriminatoria, diretta o indiretta, avente effetti sulle condizioni di lavoro per motivi collegati direttamente o indirettamente alla denuncia. 2. Nell'ambito del procedimento disciplinare, l'identita' del segnalante non puo' essere rivelata, senza il suo consenso, sempre che la contestazione dell'addebito disciplinare sia fondata su accertamenti distinti e ulteriori rispetto alla segnalazione. Qualora la contestazione sia fondata, in tutto o in parte, sulla segnalazione, l'identita' puo' essere rivelata ove la sua conoscenza sia assolutamente indispensabile per la difesa dell'incolpato. 3. L'adozione di misure discriminatorie e' segnalata al Dipartimento della funzione pubblica, per i provvedimenti di competenza, dall'interessato o dalle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative nell'amministrazione nella quale le stesse sono state poste in essere. 4. La denuncia e' sottratta all'accesso previsto dagli articoli 22 e seguenti della legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni. 130 130

131 25/06/13 25/06/13 25/06/13 Il primo dato che viene in evidenza è il riferimento esclusivo al pubblico dipendente con la conseguente impossibilità di applicare la specifica tutela ai dipendenti privati. Tale scelta di escludere il privato appare del tutto ingiustificata, se si considera anche che in ambito pubblicistico sussiste già una norma che impone al dipendente pubblico di denunciare gli illeciti. L’art. 331 c.p.p. sancisce l’obbligo di denuncia da parte del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio dei reati conosciuti nell’esercizio o a causa delle loro funzione. Manca invece una tale previsione per il privato, e l’art. 54-bis rappresentava un’occasione importante per imporre (e contestualmente tutelare) anche al privato un obbligo di denuncia. Per quanto attiene ai destinatari della “denuncia” non si comprende quale valore possa avere la menzione espressa di autorità giudiziaria o Corte dei Conti, dovendosi per forza respingere un’interpretazione che escluda dall’ambito di tutela denunce rese ad esempio a polizia giudiziaria o forze dell’ordine in generale. Sul fronte interno il destinatario della “segnalazione” è individuato nel “superiore gerarchico” 131 131

132 25/06/13 25/06/13 25/06/13 Oggetto della denuncia o della segnalazione sono genericamente le condotte illecite conosciute in ragione del rapporto di lavoro, senza alcuna limitazione al rilievo penale, civile o amministrativo. Si potrà trattare ad esempio di irregolarità contabile, di false certificazioni, di pagamenti in nero, di violazioni delle norme in materia ambientale o di sicurezza sul lavoro. Non potranno essere ricomprese le semplici violazioni contrattuali fino a quando non integrano anche atti illeciti. L’unico limite oggettivo attiene alla fonte della conoscenza, che deve avvenire in ragione del rapporto di lavoro, così escludendo rilevanza alle notizie apprese aliunde. Rimane aperta la questione della esatta identificazione del collegamento quale causa determinante o mera occasione. Nulla è detto circa il grado di conoscenza che il dipendente deve avere perché la propria denuncia o segnalazione sia compresa nell’ambito di protezione assicurata dalla norma; se debba trattarsi di mero sospetto, di una conoscenza fondata su indizi, di una conoscenza dettagliata dei fatti. 132 132

133 25/06/13 25/06/13 25/06/13 Il fatto che l’art. 54-bis escluda la tutela nel caso di “calunnia o diffamazione ovvero per lo stesso titolo ai sensi dell’art. 2043” significa che laddove l’illecito denunciato o segnalato non risulti tali, il pubblico dipendente è comunque tutelato e non potrà essere rimproverato sotto il profilo penalistico né potrà essere chiamato a rispondere per responsabilità aquiliana laddove abbia agito in totale buona fede e senza colpa. L’art. 54-bis cerca di contemperare le esigenze di denuncia e segnalazione con quelle della privacy, prevedendo che: Nel procedimento disciplinare (ambito evidentemente privilegiato dell’operatività della norma), se la contestazione dell’addebito disciplinare è fondata su accertamenti ulteriori e distinti rispetto alla segnalazione che ha dato luogo al procedimento, allora l’identità del segnalante non può essere rilevata, salvo il suo consenso MENRE se la contestazione è fondata in tutto o in parte sul contenuto della segnalazione, l’identità del segnalante può essere rilevata, anche senza il suo consenso, ove ciò sia assolutamente indispensabile per la difesa dell’incolpato Al di fuori del procedimento disciplinare è espressamente previsto, a garanzia della privacy del segnalante ed anche del segnalato, che la segnalazione sia sottratta al diritto di accesso di cui agli artt. 22 e ss.gg. L. 241/1990 133 133

134 Infine i reati connessi con l’aggiudicazione dei contratti pubblici
25/06/13 25/06/13 Infine i reati connessi con l’aggiudicazione dei contratti pubblici ART Turbata libertà degli incanti. Chiunque, con violenza o minaccia, o con doni, promesse, collusioni o altri mezzi fraudolenti, impedisce o turba la gara nei pubblici incanti [c.p.c. 503, 534, 581; c.p.p. 264] o nelle licitazioni private per conto di pubbliche amministrazioni (2), ovvero ne allontana gli offerenti, è punito con la reclusione fino a due anni e con la multa da euro 103 a euro [c.p.p. 31] . Se il colpevole è persona preposta dalla legge o dall'autorità agli incanti o alle licitazioni suddette, la reclusione è da uno a cinque anni e la multa da euro 516 a euro [c.p. 29, 32]. Le pene stabilite in questo articolo si applicano anche nel caso di licitazioni private per conto di privati, dirette da un pubblico ufficiale [c.p. 357] o da persona legalmente autorizzata; ma sono ridotte alla metà [c.p. 63].

135 2. Questa norma mira a tutelare la libera concorrenza economica.
25/06/13 25/06/13 1.     La prima cosa che dobbiamo evidenziare è che l ’art. 353 c.p. tutela la P.A. nell’aspetto organizzativo di gare pubbliche, per l’aggiudicazione di beni o servizi, indette dallo Stato, da un Ente Pubblico, ovvero da un pubblico ufficiale o “persona legalmente autorizzata”. 2.     Questa norma mira a tutelare la libera concorrenza economica. o   Soggetto attivo del delitto può essere chiunque. o   Soggetto passivo è la pubblica amministrazione Ora dobbiamo chiarire il concetto di gara. In generale, per gara, si intende il concorso mediante il quale chi fa l’offerta economicamente più conveniente ottiene in esclusiva l’incarico di compiere certe opere, certe forniture, ecc… Le gare pubbliche tutelate dall’articolo in parola sono: o   i Pubblici incanti; o   la Licitazione Privata; Come insegna la legge di contabilità generale dello Stato ( R.D. n del 1923 ) la gara pubblica consiste in una gara fra diversi offerenti e l’aggiudicatario viene scelto in base alla migliore delle offerte presentate. Oggi, è anche una procedura di aggiudicazione, insieme alla licitazione privata, all’appalto- concorso, alla trattativa privata ( è, in effetti, la cd. Asta Pubblica).

136 25/06/13 25/06/13 Il reato in parola consiste nell’impedire o turbare una delle gare in questione, anche se non ufficialmente indetta, ma determinata ovvero, nell’allontanare uno o più offerenti con l’uso di violenza o minaccia, con doni, promesse, collusioni od altri mezzi fraudolenti. Stiamo parlando di un reato ad evento naturalistico, in quanto a causa del comportamento dell’agente la gara non si è potuta più svolgere o concludere, o si è svolta in modo irregolare. I mezzi idonei ad impedire o turbare la gara sono la violenza, la minaccia, i doni, le collusioni, gli altri mezzi fraudolenti ( cfr. ad esempio Cass. 15 luglio 1999, n ), Tra i mezzi fraudolenti si rileva che anche il mendacio ( cfr. Cass. 30 agosto 1993, n ). Il reato è doloso ed il dolo, qui, consiste nella consapevolezza e volizione riferita all’uso di violenza o minaccia, oppure all’offerta di doni o relativa promessa, ovvero accordi atti ad impedire/turbare la gara, anche nella forma dell’allontanamento di un solo offerente. Il comma 2 prevede una aggravante, nel caso in cui il reato sia commesso da “persona preposta dalla legge o dall’Autorità agli incanti od alle licitazioni private”. E’ un aggravante indipendente che, riferita ad una qualità del colpevole, si estende ai concorrenti che la conoscessero o l’abbiano ignorata per colpa ( da ultimo vedi Cass. 11/5/2007, n ) . Se la persona preposta sia a conoscenza dell’irregolarità della procedura e non impedisca il compimento, risponderà in concorso per omesso impedimento dell’evento ( vedi Cass. 30/9/2003, n )

137 25/06/13 25/06/13 Secondo la Cassazione “Non integra il tentativo del delitto di turbata libertà degli incanti la condotta di colui che presenta, all’atto di iscrizione ad una gara pubblica, una fotocopia, seppur alterata, contenente l’affermazione del possesso dei requisiti richiesti dal bando qualora venga richiesta la presentazione della documentazione in originale; pertanto, l’esibizione di una copia falsa, in luogo di quella originale prescritta, è inidonea ad arrecare una effettiva ed apprezzabile turbativa alla gara.” (N. 118 del 3 gennaio 2013)

138 25/06/13 25/06/13 Art. 353-bis Turbata libertà del procedimento di scelta del contraente Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque con violenza o minaccia, o con doni, promesse, collusioni o altri mezzi fraudolenti, turba il procedimento amministrativo diretto a stabilire il contenuto del bando o di altro atto equipollente al fine di condizionare le modalità di scelta del contraente da parte della pubblica amministrazione è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni e con la multa da euro 103 a euro 1.032

139 25/06/13 25/06/13 Il reato in questione, introdotto con la L. 136/2010 riguarda la fase di indizione della gara e, segnatamente, quella di approvazione del bando, al fine di scoraggiare il comportamento di coloro che, con la collusione della stazione appaltante, cercano di far redigere i c.d. “bandi- fotografia” e cioè quei bandi di gara che contengono requisiti talmente stringenti da determinare ex ante la platea dei potenziali concorrenti. Per capire bene il “senso” di tale reato occorre confrontarlo con quello di Turbativa d’asta. La differenza tra i due sembra più apparente che reale, dato che già il vecchio reato, riferendosi genericamente alle turbative di gara, finiva per ricomprendere (secondo parte della giurisprudenza) anche la fase iniziale di indizione della gara vera e propria e cioè quella di approvazione del bando. Onde il “nuovo” reato di turbata libertà del procedimento di scelta del contraente non sembra altro che una specificazione di quello già previsto in precedenza dall’art. 353 del codice penale per il reato di turbativa d’asta. Non a caso le pene previste per entrambi i reati sono le stesse (anche il reato di turbata libertà degli incanti, per effetto della modifica introdotta dall’art. 9 della legge in commento, prevede ormai una pena «da sei mesi a cinque anni»). La stessa rubrica della nuova disposizione – che genericamente fa riferimento al “procedimento di scelta del contraente” – può essere considerata furoviante, dato che sembra abbracciare l’intero procedimento di gara, mentre la disposizione riguarda, come già rilevato, solo un suo segmento e precisamente quello dell’approvazione del bando di gara.

140 25/06/13 25/06/13 E’ singolare il fatto che non siano stati riprodotti anche i commi 2° e 3° dell’art. 353 cit., i quali testualmente recitano: “2. Se il colpevole è persona preposta dalla legge o dall’autorità agli incanti o alle licitazioni suddette, la reclusione è da uno a cinque anni e la multa da euro 516 a euro 3. Le pene stabilite in questo articolo si applicano anche nel caso di licitazioni private per conto di privati, dirette da un pubblico ufficiale o da persona legalmente autorizzata; ma sono ridotte alla metà Per cui in pratica il nuovo reato, non solo non sembra aggiungere nulla di particolarmente nuovo rispetto a quanto già previsto (sia pure genericamente) dall’art. 353 c.p., ma sembra tradursi in una irragionevole diminuzione della tutela penale.

141 25/06/13 25/06/13 Com’è noto, in materia penale non è possibile considerare come reati fattispecie non espressamente previste tali dalla legge e non è consentita l’applicazione dell’analogia c.d. in malam partem, sia con riferimento alle norme aggravatrici della responsabilità del soggetto (nella specie, il comma 2 dell’art c.p.), sia a quelle incriminatrici (comma 3 dello stesso articolo). L’unico modo per applicare i commi 2 e 3 del “vecchio” articolo 353 anche al nuovo art. 353 bis c.p. sembra quello di considerare il “nuovo” reato di turbata libertà del procedimento di scelta del contraente nient’altro che una specificazione di quanto generalmente previsto dalla vecchia norma; il che conferma, sotto altro profilo, che si tratta di una riforma più apparente che reale, la quale tuttavia complica non poco le cose con riguardo all’applicabilità dei commi 2 e 3 dell’art. 353 c.p. anche alla “nuova” fattispecie incriminatrice prevista.

142 25/06/13 25/06/13 In realtà un elemento di innovazione è ben configurabile in tale fattispecie criminosa, visto e considerato che, per consolidato orientamento giurisprudenziale, il reato di turbata libertà degli incanti non è configurabile, neanche nella forma di tentativo, prima che la procedura di gara abbia avuto inizio, ossia prima che il relativo bando sia stato pubblicato, dovendosi ritenere carente in tale situazione il presupposto oggettivo per la realizzazione delle condotte previste dalla norma incriminatrice. Per effetto della nuova norma le condotte finalizzate ad interferire nella fase di preparazione del bando sono diventate punibili indipendentemente dal fatto che il bando stesso venga o meno pubblicato e, quindi, anche quando la successiva gara non abbia svolgimento. Per quanto attiene all’elemento soggettivo il reato è punibile a titolo di dolo specifico dovendo il fatto essere commesso al fine di condizionare le modalità di scelta del contraente da parte della pubblica amministrazione


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