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7. Politica e città: forme di territorializzazione urbana del potere

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1 7. Politica e città: forme di territorializzazione urbana del potere

2 7.1. Potere, politica, città La città è la forma territoriale privilegiata della politica. La politiké (= ciò che attiene alla polis) assume forma materiale nello spazio urbano, catalizzando nei suoi confini le funzioni, i ruoli e i significati del «fatto politico» (Roncayolo, 1988, p. 92).

3 Nella polis greca si compone la premessa originaria della relazione tra politica e condizioni urbane: l’appartenenza alla comunità (la cittadinanza); lo svolgimento e la localizzazione del potere istituito (il governo e i suoi simboli); le forme di controllo e di protezione (il dominio); i presupposti della partecipazione e dell’emancipazione (il consenso e il conflitto).

4 Polis-politica Nella radice della parola polis, che in origine designava sostanzialmente la cittadella reale, ovvero il seggio del potere politico più che l’abitato addensato come lo si concepirà più tardi (soprattutto in epoca medievale), si conciliano i significati vasti della politica e dello spazio urbano.

5 Se da una parte, come un archetipo, la polis ispira l’unicità ideale tra il corpo fisico della città, l’insieme dei suoi abitanti e le espressioni assunte del potere (Thibaud, 1991, p. 21), dall’altra, la relazione tra città e politica non si fonda su esigenze concettuali o teoriche quanto, piuttosto, sulle condizioni di vantaggio empirico rappresentate dagli agglomerati urbani per le ragioni del potere:

6 dalla città si governano, si amministrano, si organizzano, si controllano territori vasti e complessi, locali, nazionali e internazionali; nella città si determinano le condizioni migliori per la produzione, il contagio, la diffusione di teorie, di idee, delle lotte e delle pratiche della politica.

7 Potere politico urbano
Nelle città si concentrano, in prima evidenza, le forme visibili del potere (politico) inteso come l’insieme «degli apparati complessi che rinserrano il territorio, controllano la popolazione e dominano le risorse» (Raffestin, 1981, p. 64). Tali apparati, non avendo rilievo esclusivamente urbano, trovano nelle città la forza e i vantaggi della centralità territoriale che facilitano la gestione del potere. Esso, a sua volta, si concreta nell’estetica monumentale dell’istituzione, nelle rappresentazioni simboliche, nelle condizioni di riproduzione e di riformulazione.

8 non ci concentriamo sulla nozione potere tout-court ma sull’analisi di alcune forme, istituzionali e non, assunte dal potere politico nelle dimensioni urbane. Ma è evidente che, nell’indagare la relazione tra la città e la politica è necessario interrogarsi, rapidamente, sulla nozione di potere e sulle articolazioni che investono la geografia urbana.

9 Concetto di potere La politica, nell’atto di governare società e territori, utilizza il potere nella sua accezione di «codice di simboli generalizzati» (Luhmann, 1979, p. 7), adottando strutture, simboliche quanto operative, come: eserciti e forze di polizia, partiti e sindacati, parlamenti, corti, tribunali, ministeri, amministrazioni decentrate ecc.

10 Tutte queste strutture sono inerenti la capacità di vincolare i comportamenti collettivi in termini coercitivi o di uso della potenza. Potere come forza e potere come consenso E’ questa una distinzione operata da Max Weber che, nel 1922, nell’indagare le condizioni fondative del potere, ne individua una prima, basata sulla forza (Macht) e definita come «qualsiasi possibilità di far valere entro una relazione sociale, anche di fronte ad un'opposizione, la propria volontà, quale che sia la base di questa possibilità»; e una seconda, fondata sul consenso (Herrschaft: potere legittimo) inteso come «possibilità di trovare obbedienza, presso certe persone, ad un comando che abbia un determinato contenuto» (1922, pp dell’edizione italiana).

11 Tale approccio parrebbe riflettere, solo nella sostanza, la concezione marxista per la quale il potere costituisce la struttura dei rapporti e dei condizionamenti socio-economici, mentre le istituzioni politiche compongono una sovrastruttura che può essere di forza repressiva (la polizia) o di legittimazione (la scuola).

12 Concezione unidimensionale
Quella appena richiamata (sia nell’accezione weberiana che in quella marxista) è una concezione del Potere (anche quello che la città svolge nel territorio) che ne presuppone una forma unidimensionale ovvero ridotta alle sue manifestazioni politiche: si tratta del «potere visibile, massiccio, identificabile» (Raffestin, 1981, p. 64) che nelle istituzioni dello Stato, ad esempio, costituisce un sistema socio-territoriale in grado di «produrre decisioni capaci di vincolare comportamenti» (Turco, 1983, p. 46).

13 Eppure, questa dimensione “istituita” non soddisfa la condizione di perennità del potere stesso. In quest’accezione, sarebbe stato sufficiente, per usare un esempio facile, ai Rivoluzionari francesi decapitare Luigi XVI per liberarsi del potere definitivamente.

14 Concezione relazionale Il potere, invece, rinasce proprio nell’incontro tra il Re e coloro che lo condannano, confermando il suo essere «consustanziale di tutte le relazioni» (Raffestin, 1981, p. 64) perché comprende, secondo un’illuminante definizione di Foucault, «la molteplicità dei rapporti di forze che sono immanenti al campo in cui si esercitano, e sono costitutivi della loro organizzazione» (1978, p. 82). In questi termini, il potere fa parte dell’essenza del soggetto (sia il Re sia il suo oppositore) e non può esistere se separato da esso.

15 La “prima” concezione del Potere (istituzionale e unidimensionale), anche in virtù della sua evidenza materiale, ne maschera una “seconda” che qualifica il potere nella sua natura invisibile che si sostanzia e riproduce, appunto, in ogni relazione, e che si avvera in qualsiasi «processo di scambio o di comunicazione, allorché, nel rapporto che s’instaura, si fronteggiano o si affrontano due poli» (Raffestin, 1981, p. 64).

16 Foucault, potere e città
Foucault (1978, pp ) fornisce un elenco di proposizioni che ci aiutano a definire i contorni del concetto di potere e proviamo a tradurle al fatto urbano, avanzando possibili piste di approfondimento che restano da verificare sul piano empirico.

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21 Piuttosto che trascendente (esterno al mondo) il potere è dunque immanente (ovvero interno al mondo) e, conseguentemente, è del tutto superfluo cercarlo nell’esistenza originaria di un punto centrale, in un unico centro di sovranità dal quale si irradierebbero forme derivate e discendenti; è la base mobile dei rapporti di forza che inducono senza posa, per la loro disparità, degli stati di potere, ma sempre locali e instabili (Foucault, 1978, p. 122). Stati di potere Ogni stato di potere (tradotto meno efficacemente nell’edizione italiana del 1978 come “condizione di potere”) assume così forma politica finalizzata al controllo dell’entropia sociale e a ridurre “il rischio di disordine” che ne minaccia senza sosta la stabilità dell’assetto. Ma, contemporaneamente, in ogni stato di potere albergano le condizioni e le resistenze per il suo stesso rivolgimento politico, per la rigenerazione delle condizioni perennemente instabili. Dal nostro punto di vista, territoriale e urbano, a ogni stato di potere corrisponde una forma territoriale politica nella quale coesistono la determinatezza dell’organizzazione (istituzionale, economica, sociale, ecc.) e le condizioni della sua messa in discussione. Nella scena urbana si palesano sia le forme preponderanti del Potere politico (istanze istituzionali della gestione, dell’organizzazione e dell’amministrazione, del controllo del contesto comune), sia le forme discorsive del potere politico (la declinazione dei conflitti sociali, delle forme di rimodulazione delle diseguaglianze, dell’emancipazione ecc.).

22 Potere politico delle città e potere politico urbano
La distinzione tra un Potere politico delle città (nome proprio) e il potere politico urbano (nome comune) è puramente concettuale perché l’uno alimenta l’altro reciprocamente: l’istituzione si localizza in città dove assume forza maggiore derivante dall’urbanità che, a sua volta, risulta rafforzata dalla localizzazione dell’istituzione. In questo senso, proprio perché frutto di «agire relazionale» (Turco, 1988, p. 52), come ogni potere politico anche quello urbano si «costituisce unicamente attraverso la comunicazione» condizione che «può comportare simultaneamente l’aumento delle potenzialità di conflitto e delle potenzialità di consenso» (Luhmann, 1979, p. 2).

23 Attività di potere L’urbano rappresenta il luogo privilegiato di tale simultaneità. La natura stessa della politica risulta di fatto inscindibile dall’urbano attraverso «un potere inteso come forza per le altre forze su cui agisce, o perfino per forze che influiscono su di esso (incitamento, eccitamento, persuasione, seduzione, e così via)» (Deleuze in Amin e Thrift, 2005, p. 151). Gli elementi che concorrono alla relazione città-politica risalgono banalmente alla concentrazione negli ambiti urbani delle funzioni di maggiore prestigio rispetto a quelle assolte negli spazi rurali. Nella città si svolgono in maniera più che prevalente le attività che procurano, assicurano, replicano e riproducono il potere (commercio, industria, amministrazione, funzioni religiose, politiche, ricreative). «Sia che fosse stato un tempio, un mercato, un tribunale o una residenza reale a determinare inizialmente la nascita di una città in un dato luogo, essa era sempre sede di un qualche genere di potere» (Gottmann, 1994, p. 160).

24 Forme materiali e simboliche
La città accumula ricchezza, funzioni di dominio, autorità e responsabilità e esercita, sia pure a scale e per ruoli differenti, compiti d’ordine territoriale e di «coordinamento delle collettività» (Toschi, 1966, p. 537). Attorno a tali compiti si configura l’aspetto primordiale della complessità urbana: i luoghi nei quali il potere assume forma materiale e simbolica danno e assumono significato politico proprio in virtù della loro condizione o natura urbana. Nella polis greca come nella civitas romana e, in altra misura, nelle città medievali europee si assolvono tre condizioni inerenti la politica: - le funzioni di governo (costituzione del potere); - il privilegio sociale (status individuale di cittadino); - la dimensione simbolica e formale (materializzata nei luoghi del potere) (Weber, 1999). Si pone qui un tema molto dibattuto che riguarda la relazione tra cittadinanza e urbanità e la forza con la quale «l’immagine della città antica si sia imposta ai fondatori della democrazia moderna, ma anche, ed è questo il punto capitale, di quanto fosse distante dall’essere univoca e unanime» (Roman, 1991, p. 14)

25 Città e formazione dello Stato nazionali
In questo senso, nel corso dell’evoluzione moderna degli Stati medievali, le prerogative urbane saranno, in parte, diluite in porzioni territoriali e forme statali sempre più vaste; per comporre comunità più ampie e far coincidere le condizioni della «popolazione urbana con la grande maggioranza di un paese» (Gottmann, 1994, p. 161). In questa chiave, la fondazione degli Stati nazionali parrebbe compiersi «a spese della città» (Roncayolo, 1988, p. 94): che prestigio può restare a quest’ultima di una «condizione che è condivisa da tutti?» (Gottmann, 1994, p. 161).

26 In realtà non è così. Per quanto lo Stato conceda i vantaggi della cittadinanza a tutta la sua popolazione, la città non perderà mai le sue rendite di “posizione” (inequivocabilmente centrale); i vantaggi di accumulazione economica (capacità di stoccaggio e di speculazione); il dominio culturale (esclusività nella produzione della conoscenza e della trasmissione controllata del sapere) la capacità di controllo territoriale (Lévy, 1994). Del resto, e in questo senso, nella formazione degli Stati nazionali si compone la dissociazione dell’idea di comunità intesa nella sua concezione medievale dell’appartenenza: “la comunità è ciò che appartiene a un collettivo e ciò cui questo appartiene come al proprio genere sostanziale: communitas entis”, (Esposito, 1998, pp. XX); mentre lo Stato moderno “coincide con l’abolizione di ogni legame comunitario. Con l’abolizione di qualsiasi relazione sociale estranea allo scambio verticale protezione-obbedienza” (ibid. p. XXVI).

27 Città capitale Il potere (monarchico come repubblicano, dispotico o democratico) assumerà “materialmente” tale consapevolezza designando «una propria città come capitale e insediandovi gli organi e le funzioni che ha giudicato necessari all’esercizio della vita pubblica» (Berengo, 1999, p. 3). Eppure, al governo politico territoriale non basta una città con la sola residenza del sovrano, è necessario, invece, che uno stesso luogo, una sola capitale, costituisca «il centro di gravitazione di uno Stato nazionale» (ibid. p. 11). Nella formulazione della cittadinanza nazionale, la città non delega le sue qualità di coordinamento territoriale allo Stato quanto, invece, pretende per sé uno spazio più vasto di governo e di dominio.

28 7.2. La capitale dello Stato
La fondazione degli Stati-territoriali, tutti e in tutte le epoche, necessita «di una città particolarmente grande e autorevole […]. Queste città primato sono spesso, ma non necessariamente, la capitale politica» (Gottmann, 1994, p. 347). Riprendendo Jefferson (1939), Gottmann descrive tale rapporto di primazialità come un composto di autorevolezza e di concentrazione di funzioni di rango elevato oltre che di popolazione.

29 Stato territoriale e capitale politica
La nascita stessa dello Stato è contestuale all’individuazione della propria città politica: «l’emergere di una capitale non è un fatto istituzionale, non solo, o almeno molto poco, ma un fatto socio-politico che è l’espressione di una crisi la quale, più sovente, nasce simultaneamente all’ascesa di un potere e dall’eclisse di un altro» (Raffestin, 1981, p. 193). La costruzione degli Stati moderni avviene attraverso la rimodulazione dei valori di «tradizione, patriottismo e organizzazione municipale» (Roncayolo, 1988, p. 95; Hobsbawm, 1991).

30 Una città, su tutte le altre, rafforza la sua centralità attraverso la riformulazione della rappresentazione politica del potere statale. Ciò vale nei casi in cui il potere e le sue forme materiali sono presenti nella cinta urbana (il castello, la corte, il sovrano, il vescovo ecc) come anche nella loro assenza. Carlo VI, per contrastare il potere rivoluzionario espresso dalla municipalità, rientra a Parigi nel 1415 e ne accetta la primazialità nazionale proclamando: «notre dite ville est la souveraine et la capitale de notre royaume”. Due secoli e mezzo più tardi (nel 1678), Luigi XVI userà le stesse esatte parole del suo predecessore per far accettare alla città di Parigi il trasferimento della corte a Versailles preoccupandosi, però, di riaffermarne i ruoli e il potere (Berengo, 1999, pp ).

31 Capitali europee Esempi simili sono forniti dalla storia di altre città europee (Lisbona, Madrid, Vienna, Londra) che confermano il legame costitutivo tra città-primato e formazione degli Stati nella loro forma moderna. Una comparabilità che spinge verso l’individuazione di una tipologia di città-politica e città-capitale, nonostante le differenze delle singole evoluzioni territoriali.

32 Classificazione tradizionale delle capitali
Molte capitali sono città-potere già prima della costituzione dello Stato (antecedenti), altre sono fondate ad-hoc (susseguenti); alcune nascono dallo spostamento da una centralità precedente; in altri casi, infine, si assiste alla scissione delle funzioni strategiche in due o più centri. Attraverso queste categorie tradizionali degli studi geografici, si sono definite capitali originarie, fondate e designate (Toschi, 1966, p. 540) al fine di comporre un ordine disciplinare che incardini le città in una possibile casistica.

33 Ciononostante, si tratta di una definizione che permane incerta visto che l’evoluzione, la storia, la geografia delle singole aree urbane difficilmente può adeguarsi alla natura tassonomica delle categorizzazioni. Tra le capitali originarie possiamo certamente annoverare alcune grandi città europee: Parigi souveraine di Francia; Roma caput mundi e poi capitale d’Italia; Londra d’epoca medievale unica vera città in quel paese in formazione e, al tempo, pochissimo urbanizzato; o, ancora, Lisbona e Vienna.

34 Parigi La Parigi post-rivoluzionaria è, contemporaneamente, capitale antecedente quanto designata, in ragione delle differenze assunte rispetto a quella dell’ancien régime ovvero in virtù della risemantizzazione del suo ruolo politico, delle sue forme, della sua centralità. Nelle fasi di rivolgimento del potere, l’ambiente urbano è, al tempo, incubatore e scenario dei moti del cambiamento. Quanto la Rivoluzione s’imponga a Parigi o quanto, invece, non sia la città a imporre la Rivoluzione alla Francia (politicamente) e all’Europa intera (culturalmente) è questione apparentemente complessa, quanto tautologica.

35 La Rivoluzione francese non può che nascere, avvenire (e annichilirsi) a Parigi come, del resto, nessun’altra città francese potrà svolgere il ruolo della centralità dello Stato ri-nato dai moti dell’1789. Parimenti non sarà casuale se, alla metà del secolo successivo, proprio a Parigi si comporrà, in maniera rinnovata e rivoluzionaria, una forma di città-stato esclusiva o autarchica nell’esperienza della Comune del 1871.

36 Roma Similarmente, la Roma capitale dell’Italia unitaria è tanto originaria quanto designata partecipando, in maniera morale e politica, al compimento dell’unità del paese e rendendo indissociabili il suo destino di città-storia da quello dello Stato sabaudo, prima, e repubblicano poi. Nell’idea di Roma si ri-fondano i miti della nazione italica (assurti al parossismo durante il ventennio fascista) e si propone un modello di centralità geografica del potere statale invero poco coerente con le vicende territoriali del Novecento italiano. Se nella penisola si rafforza la dissociazione tra le funzioni economiche (concentrate a Milano e Torino) da quelle politiche (della Roma capitale appunto), la città permane perno dell’identità nazionale avvalorata, nel bene e nel male, dalla discussione tra pro e contro la città eterna e la sua veste di simbolo del malcostume delle burocrazie.

37 Una volta di più la città-capitale concentra su di sé i gradi simbolici del potere come quelli della sua messa in discussione. Il caso romano parrebbe, però, definirsi come un’ipotesi disciplinare “di mezzo”, frutto della mediazione confusa tra la capitale originaria, quella designata e quella da dimezzare. Roma è fondativa dell’appartenenza nazionale, agognata e ottenuta; centro del governo del paese e, infine, recentemente posta in discussione proprio in ragione della sua essenza politica. In ognuno di questi tempi, e di questi temi, la sua centralità trova nuova forza e non pare mai realmente posta in questione.

38 Londra Londra, la cui popolazione negli anni Venti del Cinquecento (nel pieno delle riforme di Enrico VIII) era pari a un quinto di quella di Parigi e due volte e mezzo quella di Venezia, segna un impressionante incremento proprio nel contesto inglese della Riforma. La capitale nel 1640 (negli anni della Guerra civile) raggiunge i abitanti mentre le due città “seconde” si attestano appena a (Norwich) e (Bristol). Il suo predominio demografico non esplicita da solo i ruoli del potere ma, certo, l’ampiezza del divario ne rappresenta una riprova più che valida. Anche per Londra valgono le definizioni di una città, contemporaneamente, originaria e designata dalla monarchia, quanto dallo strapotere del capitale e di una crescita caotica e irruenta fatta di opifici, manifatture, mercato finanziario, porto trans-oceanico ecc.

39 Lisbona e Vienna Anche nei casi di Lisbona e Vienna l’espansione, sia in termini spaziali sia funzionali, è contestuale alla nascita dei rispettivi Stati nazionali. La crescita di Lisbona e la fondazione del Portogallo vanno di pari passo fin dalla nascita del regno (XII secolo), per poi stabilizzarsi in epoca coloniale. Tra il 1527 e il 1551 la popolazione della capitale passa da a abitanti per poi giungere ai nel 1620 (Berengo, 1999). Vienna, dal canto suo, già capitale del Ducato d’Austria nel 1281, svolge la funzione di centro di potere per molti secoli e lungo tutte le vicissitudini del Regno, rendendo «meno rilevante, quasi accessoria» la presenza o l’assenza della residenza di corte degli Asburgo (ibid. p. 7).

40 Principali cause di ridefinizione della capitale
Alle città dell’Europa continentale, fanno da contraltare gli esempi delle capitali fondate, designate o spostate nei contesti di recente urbanizzazione e in presenza di importanti rivolgimenti politici anche d’ordine simbolico. La ridefinizione della capitale politica dello Stato si è verificata innumerevoli volte e in tanti paesi in conseguenza di cause e condizioni conflittuali di natura politica, territoriale, strategica, civica, culturale (cfr. Tab. 7.1.). Ne consideriamo alcune tipologie, le più consuete e rilevanti, nella consapevolezza che tali distinzioni formano un’elencazione di eventi e comportamenti che confermano l’impossibilità di costruire una tipologia di cause e effetti agevolmente assimilabili.

41 a) Cambio di quadro politico generale del paese.
Il mutamento di scenario politico è sovente accompagnato dallo spostamento della città capitale quale segno simbolico, materiale e strategico delle avvenute modificazioni. Si tratta, nella pratica, di soddisfare l’esigenza di ogni nuovo potere di escludere il notabilato e le classi dirigenti del regime precedente. Si vedano i casi di Cina, Giappone, Persia e Polonia (in epoche medioevale e moderna); gli avvenimenti degli Stati africani negli anni seguenti le decolonizzazioni (Congo, Tanzania, Costa d’Avorio); o il cambio di centralità determinato dalla Rivoluzione d’ottobre del 1917 che riporta la capitale dalla “europea” San Pietroburgo alla maggiormente “orientale” Mosca. Iscriviamo, in questa categoria, i casi di investimento simbolico determinati dalla ridenominazione della stessa città. Tali pratiche non valgono solo per le capitali, naturalmente, quanto per tutte le città che assolvono rilievi di particolare ordine immaginifico e di rappresentazione. E’ il caso di Saigon/Ho-Chi-Minh (rinominata alla fine della guerra del Viet-nam); di Bombay/Mumbai (il primo lusitano-britannico e coloniale, il secondo adottato in ragione delle pressioni nazionaliste hindu) o, ancora, di Leopoldville/Kinshasa (in virtù della politica culturale dell’autenticità del Presidente Mobutu: la città cambiò nome come, del resto, avvenne per il Congo stesso divenuto Zaire e poi ritornato Repubblica Democratica del Congo). Caso esemplare è quello dei numerosi cambi di nome di San Pietroburgo fondata nel 1703 che, per “eccesso” di germanicità, divenne San Pietrogrado nel 1914, poi Leningrado nel 1924, alla morte del leader della Rivoluzione d’ottobre, e infine nuovamente San Pietroburgo nel 1991.

42 Altri casi di spostamento del ruolo di capitale coincidono con specifiche condizioni politiche straordinarie e temporanee come si può verificare durante i conflitti bellici (Vichy della Francia occupata; Valencia nella II Repubblica di Spagna; Brindisi e Salerno dell’Italia post-armistizio; Berlino e Bonn nella Germania prima scissa e poi riunificata). Si tratta, in questi casi, di città che assolvono l’impossibilità di mantenere il “naturale” equilibrio territoriale presto riaffermato al ristabilimento della pace. Anche gli accadimenti dei primi anni dell’Italia unitaria sono, in questo senso, esemplari: lo spostamento delle funzioni di capitale da Torino a Firenze, prima, e a Roma, poi, oltre a sancire la volontà di casa Savoia di dare giusto peso alle acquisizioni territoriali successive e l’esigenza di centralizzare il potere sul piano territoriale, contiene anche la volontà di concedere al nuovo corso politico dello Stato nascente l’imprinting storico e il peso simbolico della città eterna conquistata allo Stato Pontificio.

43 b) Riposizionamento politico territoriale.
In alcuni casi (Brasilia, New Delhi, Ankara), lo spostamento della capitale avviene in ragione di un cambio strategico di direzione e ri-equilibrio territoriale dello spazio nazionale. Pur motivati da ragioni di riposizionamento politico, questi esempi assumono connotati di grande rilievo segnando un cambio di passo deciso e irreversibile nella vita dei paesi. In alcuni casi tale intenzionalità impiega molti anni a trovare realizzazione (i.e. in Nigeria la decisione di spostare la capitale da Lagos a Abuja, sita al centro geografico del paese, venne assunta nel 1976 ma resa operativa solo nel 1991); in altri con un vero e proprio stravolgimento accelerato. E’ il caso del Brasile nel quale la forte volontà del presidente (in carica tra 1956 e 1961) Juscelino Kubitschek di sottrarre a Rio de Janeiro la centralità politica verso un’altra città del paese, diede corpo alla costruzione dal nulla (e nel nulla, “no meio do nada” diranno i suoi detrattori) la nuova capitale federale. La nascita di Brasilia, che già nel nome evoca la grandiosità della missione attraverso la femminilizzazione del nome del paese, propone molti significati:

44 - marca fisicamente lo spostamento del cuore strategico del paese dalla costa (di connotazione coloniale) verso l’interno del territorio; - dimostra la volontà della nazione, in quegli anni in forte crescita economica e di peso geopolitico, di dare corpo a un progetto monumentale unico al mondo; - placa la rivalità tra i due poli di São Paulo e di Rio de Janeiro le cui comunità si contendono il dominio economico, culturale, politico del paese intero; - pretende isolare il “cuore” del paese dagli interessi lobbistici localizzati nell’ambiente carioca (Ministeri, grandi enti, fondazioni, imprese, burocrati, televisioni); - attraverso la realizzazione del progetto utopico, ri-genera le parole d’ordine del Brasile: ordem e progreso anche grazie al piano urbanistico e architettonico in bilico tra le funzioni definite dalla Carta di Atene (circolare, lavorare, distrarsi, abitare) e la città futuribile disegnata da Lucio Costa e Oscar Niemeyer e destinata a incantare (e in parte a deludere) il mondo intero (Cattedra, 1995; Memoli, 2005; cfr. cap 2).

45 Per alcuni di questi esempi (Brasile, Turchia), possiamo anche scorgere un elemento soggiacente alla necessità di distinguere la città luogo dell’istituzione politica dai centri principali e di maggiore potere. La metropoli primaziale (eccessiva in forza, autorità, predominio, funzioni, dominanza, indipendenza, relazioni internazionali) presenta il rischio elevato di esporre il territorio nazionale agli interessi e ai legami esterni più che a quelli interni. Come per Platone concentrare nella polis «traffici e affari dovuti al commercio, fa nascere negli animi modi di vita incostanti e infingardi, e rende lo stesso Stato infido e nemico di se stesso» (Leggi, Libro IV, p. 41), parimenti negli Stati moderni l’ambiente internazionale delle città-primato comporta rischi ancora maggiori sia in termini di “esterofilia” quanto nelle condizioni di potenziale “indolenza” della comunità-capitale nei confronti del territorio nazionale. Lo spostamento verso centri minori e isolati, lasciando alle città principali la gran parte dell’attività inter- e trans-nazionale, protegge, in quest’ottica, l’indipendenza e l’autonomia dello Stato.

46 c) Pacificazione tra più poli in conflitto
c) Pacificazione tra più poli in conflitto. Nei territori coloniali e, soprattutto, nei giovani Stati nati dalle indipendenze, troviamo esempi di mobilità delle funzioni di capitale derivante dalle fasi di strutturazione territoriale e di armature urbane ancora poco definite. E’ il caso degli Stati Uniti, del Sudafrica, dell’Australia, del Canada, della Nuova Zelanda, per altro verso tutti Stati Federali. In questi paesi, nei primi anni dalle loro indipendenze, lo spostamento delle capitali è pratica molto comune. Gli interessi locali contrastanti (i.e. tra le comunità anglofona e francofona del Canada o tra i mercati e le piazze dei primi Stati fondatori della confederazione americana) trovano esempi di compromesso politico-territoriali sui rischi di egemonizzare il governo del paese da parte di una comunità (di una città) sulle altre.

47 Lo spostamento frequentissimo delle funzioni di capitale, tra 7 città e 4 Stati fondatori, avvenuto nei primi 25 anni dell’Indipendenza statunitense (Tab. 7.2.), sarà risolto in via definitiva con la nascita del Distretto di Columbia e della capitale Washington. La decisione, assunta dal Congresso nel 1790, di costruire una capitale federale ad-hoc rileva dell’esigenza di non affidare un ruolo preminente a nessuno degli Stati Confederati e fissare il baricentro al confine tra quelli Nordisti e Sudisti. La città nata sulle rive del fiume Potomac (tra Maryland e Virginia) rimarrà “confinata” in una sorta di spazio extraterritoriale della Federazione cui saranno concessi gli onori della rappresentanza istituzionale (per il suo piano urbanistico il francese Pierre Charles L’Enfant si ispirerà alla monumentalità di Versailles) e imposto l’onere di uno statuto di “indipendenza forzata” (tra il 1870 e il 1964 i cittadini di Washington non avranno diritto di voto alle elezioni presidenziali).

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49 7.3. Forme della politica nella città: occasioni internazionali e ribellismo urbano
Classi di città Lo status delle città contemporanee si compone di elementi difficili da classificare, elencare, definire. I molti fattori da considerare, e la loro mutevolezza temporale e congiunturale, richiedono analisi quanto più localizzate, singolari, uniche e, dunque, inconciliabili con la costruzione di una possibile tassonomia. Alcune categorie possono rendere tale complessità più evidente.

50 Città-dimensione In primo luogo valgono le condizioni dimensionali nazionali e locali delle città capitali. L’estensione territoriale, la dimensione demografica, le risorse, la ricchezza della popolazione, i tassi di crescita, sono elementi quantitativi che conferiscono autorevolezza e peso territoriale ma che, pur nella loro rilevanza, non ne esplicitano da soli il ruolo. Infatti, in molti casi la capitale è una città in questo senso “minore”, in tantissimi altri le “maggiori” non lo sono.

51 Città-relazione Una seconda possibile classe di fattori attiene alle condizioni relazionali di natura politica, interne ed esterne, locali, nazionali e internazionali, intessute dalla città capitale. Siamo nell’alveo delle ricadute dinamiche e territoriali che la sola assunzione di decisioni di governo impone a campi spaziali e funzionali differenti. Come abbiamo visto: «la capitale è un crocevia dove si incrociano e interagiscono fasci di relazioni» (Gottmann, 1994, p. 352). La presenza di tali elementi “dinamici” non consente di individuare in modo inequivocabile le qualità primaziali delle città capitali: perché, ad esempio, città “seconde” (Lione, Barcellona) o ex-capitali (Napoli, San Pietroburgo), città più internazionali che nazionali (Strasburgo, Ginevra) espandono il loro dinamismo politico a spazi regionali e internazionali nonostante la loro “perifericità” istituzionale.

52 Città-controllo Una terza classe di fattori risiede, poi, nelle qualità di tali relazioni e nella capacità di una città di operare in termini di controllo territoriale sulle popolazioni, sulle attività produttive, sulla redistribuzione della ricchezza e sulla capacità di incidere in termini spirituali, culturali e simbolici. La città-politica promuove o impone stili di vita, modelli comportamentali, mode, tendenze, indirizzi tanto economici quanto emozionali. L’interconnessione sempre maggiore tra regole di governo e di mercato interviene nella definizione degli scenari socio-territoriali quanto nella riproduzione del consenso. La città politica comunica al territorio i tempi, le logiche, le pratiche, in una parola, ancora il potere. Nell’attuale congiuntura di “debolizzazione” della politica e di decostruzione delle categorie epistemologiche (Derrida, 2008), i tentativi di classificare gli elementi d’analisi paiono transitori perché incerti (nella definizione delle classi d’appartenenza), precari (nei metodi coerenti al concepimento d’ordine teorico), effimera (perché continuamente mutevole nelle temporalità e nelle spazialità).

53 Parafrasando Foucault, così come
il potere non è qualcosa che si divide tra coloro che lo possiedono, o coloro che lo detengono esclusivamente, e coloro che non lo hanno o lo subiscono. Il potere deve essere analizzato come qualcosa che circola, o meglio come qualcosa che funziona solo a catena. Non è mai localizzato qui o lì, non è mai nelle mani di alcuni, non è mai appropriato come una ricchezza o un bene. Il potere funziona, si esercita attraverso un'organizzazione reticolare (1977, p. 18) le città del potere politico si diffondono, diventano tutte, non si concentrano in una sola sede, non rispondono più al gioco tra dominanti e dominati: ognuna di esse è le due cose insieme. Ciò vale, a maggior ragione, nell’interpretazione che Gilles Deleuze (1996) opera del ragionamento foucaultiano, assegnando tali connotati anche al potere pubblico e statale.

54 Ogni città territorializza la politica
Ogni città è prova di territorializzazione della politica. Ogni città esprime proprie formalizzazioni dimensionali e condizioni relazionali; singole capacità di controllo e diffusione. E, in base a tali considerazioni, nel volerle censire si tratterà tutt’al più di concepire la giusta scala di osservazione per individuare le caratteristiche soggettive piuttosto che le possibili differenze oggettive.

55 La diffusione delle occasioni della politica
Ancora di più nella congiuntura di flessibilizzazione delle scale territoriali della politica (relative al nuovo rilievo delle gerarchie globali, regionali, locali o a rete, Brenner, 2000), lo sforzo di categorizzare la quota politica del fatto urbano pare transitorio perché è incerta la definizione delle classi d’appartenenza (a quale scala si esercita il potere di una città o del suo Sindaco?), e, abbiamo detto, sempre più effimera perché continuamente mutevole nelle temporalità e nelle spazialità (per quanto tempo e per quale spazio una città può gestire il proprio ruolo?). Negli ultimi decenni, la politica internazionale ha diffuso momenti e atti simbolici anche di notevolissima rilevanza nei centri minori o periferici in ragione di due grandi motivazioni di ordine strategico: di decentramento dello svolgimento (temporaneo) delle funzioni politico/simboliche e di controllo delle potenzialità di conflitto.

56 Decentramento temporaneo della politica Il decentramento temporaneo delle funzioni politiche, e del loro rilievo simbolico, ha a che vedere con la fase di indebolimento degli Stati nazionali e la contestuale emersione delle realtà locali (la competizione tra le città per attrarre investimenti, eventi ecc.). Tale prassi si traduce nell’avverarsi di una trasformazione istituzionale (decentramento alla scala locale, sussidiarietà, ecc.), ma anche nel concepimento della partecipazione, della rigenerazione della rappresentanza politica sempre più territorializzata, nell’indebolimento delle grandi posizioni ideali e la crescita della governance: «dopo la crisi della politica universalista imperniata sulla nazione, la città cosmopolita promette una politica delle differenze, che si basa sulla cultura e sull’identificazione» (Amin e Thrift, 2005, 188; cfr. cap. 8). La sfera politica non si concentra nelle capitali degli Stati, o nelle città primato, in esse non si esauriscono le funzioni alte della formulazione o della gestione del governo e della partecipazione che vanno a localizzarsi in spazi urbani sempre più diffusi. E’ sempre più chiaro che gli elementi di coerenza tra città e politica vadano, verosimilmente, riferiti alla natura delle condizioni materiali e immateriali urbane, alle strutture operative e concettuali, alle occasioni e alle pratiche che fanno della politica e della città un complesso intreccio di cause e effetti, le prime indissociabili dai secondi.

57 Le città globali, quelle regionali, le “capitali del capitale” (Garnier, 2010), poli secondari sul piano politico nazionale e primaziali su scale diverse e mutevoli (San Francisco, São Paulo, Shangai); città creative, metropoli in competizione; poli di indirizzo culturale; tutte queste formule (e altre ancora) contengono una qualità politica specifica e stratificata. In questo senso, la città oltre ad essere un grande successo dell’uomo […] è anche luogo di squallido fallimento esistenziale, parafulmine dello scontento disperato, arena del conflitto sociale e politico. E’ un luogo misterioso, dove l’inatteso è di casa, pieno di agitazione e fermento, di libertà, opportunità e alienazione; pieno di passione e repressione; di cosmopolitismo e campanilismo estremi; di violenza, innovazione e reazione. La città capitalista è l’arena dei massimi disordini sociali e politici, ed è insieme testimonianza monumentale e forza propulsiva nella dialettica dello sviluppo ineguale capitalista (Harvey, 1998, p. 266).

58 Le città globali, quelle regionali, le “capitali del capitale” (Garnier, 2010), poli secondari sul piano politico nazionale e primaziali su scale diverse e mutevoli (San Francisco, São Paulo, Shangai); città creative, metropoli in competizione; poli di indirizzo culturale; tutte queste formule (e altre ancora) contengono una qualità politica specifica e stratificata. In questo senso, la città oltre ad essere un grande successo dell’uomo […] è anche luogo di squallido fallimento esistenziale, parafulmine dello scontento disperato, arena del conflitto sociale e politico. E’ un luogo misterioso, dove l’inatteso è di casa, pieno di agitazione e fermento, di libertà, opportunità e alienazione; pieno di passione e repressione; di cosmopolitismo e campanilismo estremi; di violenza, innovazione e reazione. La città capitalista è l’arena dei massimi disordini sociali e politici, ed è insieme testimonianza monumentale e forza propulsiva nella dialettica dello sviluppo ineguale capitalista (Harvey, 1998, p. 266).

59 Le città globali, quelle regionali, le “capitali del capitale” (Garnier, 2010), poli secondari sul piano politico nazionale e primaziali su scale diverse e mutevoli (San Francisco, São Paulo, Shangai); città creative, metropoli in competizione; poli di indirizzo culturale; tutte queste formule (e altre ancora) contengono una qualità politica specifica e stratificata. In questo senso, la città oltre ad essere un grande successo dell’uomo […] è anche luogo di squallido fallimento esistenziale, parafulmine dello scontento disperato, arena del conflitto sociale e politico. E’ un luogo misterioso, dove l’inatteso è di casa, pieno di agitazione e fermento, di libertà, opportunità e alienazione; pieno di passione e repressione; di cosmopolitismo e campanilismo estremi; di violenza, innovazione e reazione. La città capitalista è l’arena dei massimi disordini sociali e politici, ed è insieme testimonianza monumentale e forza propulsiva nella dialettica dello sviluppo ineguale capitalista (Harvey, 1998, p. 266).

60 7.3.1. Le occasioni urbane della politica internazionale
I summit della politica internazionale Un esempio possibile attiene al moltiplicarsi nelle agende internazionali di incontri bi e multilaterali, i tanti summit tra i 6, gli 8, i 14, i 20, i 24, i 33 Grandi paesi industrializzati; e tra quelli in via di sviluppo: i forum, le manifestazioni, G77 (ONU), G90 (WTO) G100 (Compagnie private), che formulano una geografia temporanea, “periferica”, simbolica della politica (internazionale) localizzata nelle città. La candidatura, la gestione, l’organizzazione degli eventi di natura politica (comprese le grandi manifestazioni economiche, sportive e culturali) sono commisurate allo sforzo di ogni città di competere con le altre, di mettersi in mostra, di attrarre visitatori e affari, di espandere la forza gravitazionale. Tali occasioni politiche stratificano e sostanziano nelle città la possibile vocazione a addurre un potenziale di funzioni rilevanti che una volta era appannaggio delle città primato o delle capitali. In termini generali, i centri urbani investiti da tali eventi rappresentano delle nuove città della politica, magari solo temporaneamente o parzialmente investite da funzioni improprie e che pure ne possono qualificare (magari anche solo retoricamente nei discorsi del marketing urbano) la natura, il linguaggio, l’evoluzione, quanto la stessa dimensione urbanistica.

61 Dalle grandi città ai piccoli centri
D’altro canto, la scelta di delocalizzare verso il “piccolo” tali appuntamenti attiene anche alla possibilità di contrastare, nell’ultimo decennio (e soprattutto dopo Genova 2001), la concentrazione di movimenti di opposizione nelle sedi dei summit e di ridurre, così, le ricadute negative dei possibili scontri. Città più decentrate sono meno raggiungibili, più controllabili, e presentano ambienti sociali e aggregativi meno “complessi”. E del resto l’organizzazione, l’emersione e la pratica del conflitto rappresentano, anch’esse, caratteri precipui del metropolitano (Amato et al., 2008, vedi cap. 5) Valga il “girovagare” dell’organizzazione dei summit del G7/G8 che, nei primi anni fissati nelle capitali dei paesi partecipanti, si sono diffusi verso città di differente rilievo (cfr. tab. 7.3.), meno note o più isolate, in ogni caso via via più “distanti” dalle capitali. La Francia, il Giappone, la Germania e la Gran Bretagna sono, in questo, esemplificativi. Rambouillet e Versailles (non distanti da Parigi) e la stessa capitale rappresentano la storia diplomatica e politica della Francia (sedi di importanti sigle di accordi internazionali), mentre Lione e Evian-les-Bains sono decisamente più decentrate e meno “abituali” e “abituate” a svolgere un ruolo politico. In egual misura, lo spostamento da Tokyo a Toyako; da Bonn a Heilingedamm; da Londra a Geneagles.

62 Per altro verso in Canada e negli Usa la scelta delle città-sedi dei summit risponde alla logica evidentemente federale pur, anche qui, nell’elezione di località via via meno “politiche” e più decentrate come, ad esempio al Summit 2010 tenutosi a Muskoka, non una città ma una regione naturale turistica, fatta di laghi e cottage a 200 km a nord di Toronto. La specificità del caso italiano rinnova la genealogia dell’armatura urbana della penisola e la scelta che, nell’esempio del 2009 (della sede prima de La Maddalena poi spostata a L’Aquila) parrebbe confermare sia la volontà di decentramento quanto l’esigenza di fare di queste occasioni urbane un momento simbolico più che strutturalmente politico. Gli scontri avvenuti nei giorni del G8 di Genova nel luglio 2001 rappresentano solo uno, il più drammatico, degli episodi dell’opposizione ai summit globali organizzati dai paesi più industrializzati e dagli organismi internazionali (WTO, FMI ecc.). Già da qualche anno gli appuntamenti della politica internazionale avevano catalizzato la presenza di un vero movimento globale di opposizione nelle città sedi dei vertici. Palesatosi inizialmente a Porto Alegre, il movimento è poi divenuto più corposo, organizzato e, in parte, violento a Seattle (Conferenza WTO, novembre 1999), a Davos (Forum Economia Mondiale - gennaio 2001), Göteborg (Summit Europeo - giugno 2001), Napoli (Global Forum - marzo 2001).

63 Per altro verso in Canada e negli Usa la scelta delle città-sedi dei summit risponde alla logica evidentemente federale pur, anche qui, nell’elezione di località via via meno “politiche” e più decentrate come, ad esempio al Summit 2010 tenutosi a Muskoka, non una città ma una regione naturale turistica, fatta di laghi e cottage a 200 km a nord di Toronto. La specificità del caso italiano rinnova la genealogia dell’armatura urbana della penisola e la scelta che, nell’esempio del 2009 (della sede prima de La Maddalena poi spostata a L’Aquila) parrebbe confermare sia la volontà di decentramento quanto l’esigenza di fare di queste occasioni urbane un momento simbolico più che strutturalmente politico. Gli scontri avvenuti nei giorni del G8 di Genova nel luglio 2001 rappresentano solo uno, il più drammatico, degli episodi dell’opposizione ai summit globali organizzati dai paesi più industrializzati e dagli organismi internazionali (WTO, FMI ecc.). Già da qualche anno gli appuntamenti della politica internazionale avevano catalizzato la presenza di un vero movimento globale di opposizione nelle città sedi dei vertici. Palesatosi inizialmente a Porto Alegre, il movimento è poi divenuto più corposo, organizzato e, in parte, violento a Seattle (Conferenza WTO, novembre 1999), a Davos (Forum Economia Mondiale - gennaio 2001), Göteborg (Summit Europeo - giugno 2001), Napoli (Global Forum - marzo 2001).

64 La natura dello spazio urbano
Un primo, facilmente evidente, è determinato dalla natura dello spazio urbano nel quale essi avvengono che influenza e concede significati specifici a tali avvenimenti: le strutture urbane più grandi facilitano l’affluenza, l’accesso, l’accoglienza ecc. dunque l’organizzazione di eventi di grande portata. D’altro canto, lo svolgimento di manifestazioni di grande portata si rileva più articolato e complesso. Sul piano organizzativo nelle città è incorporata una competenza di gestione dell’ordine pubblico, affidata sia alle forze di polizia sia di tradizione sindacale, proprio in ragione di una maggiore complessità di controllo territoriale nella quale, dal punto di vista tattico, i movimenti oppositivi possono godere di un grado maggiore di libertà d’azione. Inoltre, su un piano ordine maggiormente simbolico, la natura politica della città e le condizioni privilegiate dell’ambiente urbano, favoriscono le pratiche del conflitto, del rivolgimento sociale, dello scontento, della messa in discussione del potere. I rischi di pratiche violente, nella formazione e emersione del ribellismo, nella condizione di prossimità di strati sociali oppositivi, nella formazione del conflitto alcuni costituiscono caratteri propri del fatto metropolitano.

65 Elementi psicogeografici
Come sottolinea Debord: «la società che sopprime la distanza geografica (addensando i propri abitanti nella città) raccoglie interiormente la distanza, in quanto separazione spettacolare» (1992, p. 164, cfr. cap. 6). E’ plausibile, in questo senso, riconoscere alla città la capacità di produrre effetti politici in virtù dei suoi significati simbolici, psicologici e materiali. La lezione psico-geografica di Guy Debord e Ivan Chtcheglov, entrambi affascinati dai «determinismi nascosti che i luoghi esercitano sugli individui che li traversano» (Apostolidès e Donné, 2006, p. 47, cit. in Cavazzini, 2008, p. 171), fornisce un’interpretazione degli elementi fisici inerziali anche relativi alla vocazione conflittuale dell’ambiente urbano: … e qualche tempo più tardi, nel maggio 1968, le barricate riappaiono nella notte, in via Guy-Lussac. L’idea straordinaria di depavimentare la strada non era un residuo di memoria collettiva e, ancor meno, un caso. Era un tentativo deliberato, sperimentale, per sbrindellare i meccanismi della nominazione facendo sorgere dal suolo la grande figura spettrale della rivoluzione. [...] E’ attraverso questa messa in gioco simbolica che la rivolte della Parigi rossa nel maggio 1968 poté appiccare il fuoco – come nel luglio 1789, come nel luglio 1830, come nel febbraio 1848 – non più alla sola Europa questa volta ma a tutto il pianeta, da Tokyo a Città del Messico, ciò che gli studenti di Berkeley non avevano potuto fare proprio a causa della mancanza di ancoraggio storico (Hazan, 2002, p , cit. in Cavazzini, 2008, p )

66 Debord riporta una dichiarazione di Isnard che chiarisce, una volta di più, quanto lo spirito rivoluzionario di Parigi permanga nel tempo: «L’infame Isnard, presiedendo la Convenzione nel maggio 1793, aveva già avuto l’impudenza di annunciare, prematuramente: «Se, dico, con queste insurrezioni sempre rinascenti, si dovesse giungere ad attentare alla rappresentanza nazionale, ebbene ve lo dichiaro, in nome della Francia tutta, Parigi sarebbe rasa al suolo; e presto si cercherebbe sulle rive della Senna se mai questa città fosse esistita» (2005, p. 28). Pratica rivoluzionaria e logica deterministica L’interpretazione debordiana renderebbe palese una continuità deterministica quanto psicologica nei luoghi dove la pratica rivoluzionaria assume condizione fattuale e che «trova nell’urbanistica il suo campo privilegiato» (Debord, 1992, p. 166). Quello delle lotte urbane è uno specifico campo di studi che ha raggiunto un suo apice negli anni Settanta soprattutto grazie ai lavori di Manuel Castells (1974a; 1974b; 1975), in corrispondenza con «l’emersione e la generalizzazione progressiva di movimenti sociali urbani, vale a dire di sistemi di pratiche sociali contraddittorie che rimettono in causa l’ordine stabilito a partire di contraddizioni specifiche della problematica urbana» (1975 p. 7, cfr. cap. 4). Castells fa riferimento a tutta una serie di «atti e di situazioni della vita quotidiana» che pur essendo dipendenti dall’organizzazione sociale generale assumo connotati specifici nello spazio urbano (ibid.).

67 Connotati urbani e cause di conflitto
Si tratta delle condizioni legate all’alloggio; all’accesso ai servizi collettivi (scuole, ospedali, asili, giardini, centri culturali, trasporti ecc.) ma anche alle temporalità, all’isolamento delle periferie, alla condizione delle minoranze etniche, alle problematiche specifiche vissute dai giovani e dalle donne ecc. L’insieme di questi fenomeni urbani forma un “tutto” inerente, per Castells, a un «processo strutturale derivante dalle contraddizioni sociali» (ibid.) che forma una consapevolezza politica della partecipazione e alcune pratiche della messa in discussione dell’ordine esistente. Giustizia sociale e città Tale campo investe la sfera più generale della giustizia sociale e delle condizioni formali e sostanziali spaziali, e urbane, a questa legate. Si tratta di temi molto studiati in letteratura e attraverso molti approcci (marxista o post-strutturalista nelle loro varie declinazioni), sintetizzati, ad esempio in Lancione, 2010, e che recentemente paiono soprattutto concentrati sui legami tra pratiche conflittuali tese alla democrazia dello spazio (pubblico) (Purcell, 2006; Barnett, 2008; Rossi, 2009); alla geografia sociale (Loda, 2008; Leontidou, 2010), alla giustizia ambientale e alle questioni delle minoranze etniche (Chambers, 2007) o della marginalità (Revue Tiers Monde, 2006; Sierra e Tadié, 2008; Brawley, 2009).

68 Occasioni d’opposizione
Le modificazioni che hanno investito le città e le società urbane negli ultimi decenni hanno riformulato l’organizzazione e i temi d’aggregazione dei movimenti oppositivi o delle rivolte urbane. Tant’è che questi movimenti «mettono in discussione il rapporto tra politica e soggettivazione, com’è stato pensato fino ad oggi, [… e ] si caratterizzano per un rapporto del tutto particolare con il linguaggio, con la spazialità, con la temporalità» (Amato et al., 2008, p. 7; De Certeau, 1990;). Ciononostante, alcuni caratteri di queste occasioni d’opposizione (dunque, di potere) paiono reiterarsi proprio in ragione della specificità urbana. «Le aree urbane sono sempre più divise e conflittuali. Negli ultimi trent’anni, la svolta neoliberista ha accentuato le differenze di classe nella popolazione» producendo una molteplicità di situazioni di marginalizzazione e di condizioni di conflitto urbano e suburbano (Harvey, 2008, p. 56).

69 I casi sono numerosi e non enumerabili in questa sede, vale tuttavia fare riferimento ad alcuni momenti/movimenti oppositivi (Paba, 2003). E’ il caso delle banlieues francesi nel 2005 (Lagrange e Oberti, 2006,) o dei sobborghi neri di Los Angeles nel 1992 (Petrillo, 2004); della riappropriazione dello spazio pubblico del centro storico di Napoli (Rossi, 2009); dei movimenti di lotta aggregati nella marginalità urbana e della “povertà infiammabile” di molte città del Terzo Mondo (Davis, 2006, p. 134; Memoli e Rivière d’Arc, 2006); delle rivolte legate alle raccolta dei rifiuti (Musella, 2008; Maurano, 2010) o di quelle di matrice economica di Caracas e Buenos Aires (Chatterton, 2005) (Figg. 7.1., 7.2.)

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72 Città soggetto della violenza
Questi esempi riassumono la condizione della lotta politica che la specificità urbana produce e alimenta in particolare nelle forme della marginalità proprie delle città contemporanee: «una società urbana produce necessariamente la sua alterità interiore (il margine, detto altrimenti) che è al tempo stesso la sua valvola di sfogo, il suo specchio e il suo alibi» (Lautier, 2006, p. 19). Comprendere le riconfigurazioni dei territori urbani, il loro funzionamento e le loro dinamiche d’integrazione e esclusione significa, ancora una volta, investigarne le forme e le cariche politiche che si palesano nelle pratiche di potere espresse dal basso, dalle forme di partecipazione, di opposizione, di contestazione, di resistenza: «E’ la città, con le sue storie e le sue solidarietà, il “soggetto” della violenza, rivendicata come luogo d’origine dei giovani in sommossa, stigmatizzata dai politici, dai poliziotti, dai datori di lavoro, scelta come “obiettivo” delle politiche sociali» (Balibar, 2008, p. 49) (cfr. Fig. 7.3.).

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74 Rivoluzioni e diritto alla città
D’altra parte i luoghi della marginalità urbana rappresentano lo spazio (sociale e fisico) dell’inventività, delle risorse, della solidarietà e dei legami sociali e il contesto di forme potenziali di resistenza alle forme di potere e di affermazione della cittadinanza, che “ripoliticizzano” le ineguaglianze, e rilanciano le corrispondenze tra il diritto alla città e il vivere insieme (Semmoud e Chignier-Riboulon, 2007). Quella del diritto alla città ri-diviene metafora delle dinamiche di potere e delle pratiche di conflitto politico che Harvey sintetizza dando ragione, ancora, a Lefebvre «nel sostenere che la rivoluzione sarebbe stata urbana, nel senso più ampio del termine, o non sarebbe stata affatto» (Harvey, 2008, p. 56).


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