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Il Postcoloniale come sintomo della contemporaneità

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Presentazione sul tema: "Il Postcoloniale come sintomo della contemporaneità"— Transcript della presentazione:

1 Il Postcoloniale come sintomo della contemporaneità

2 La condizione postcoloniale

3 La condizione postcoloniale o il presente oltre lo storicismo (oltre il globale, il post-moderno, il post-fordismo, l’imperialismo) Lo storicismo è la teoria per cui i fenomeni sociali e culturali sono storicamente determinati e ogni periodo storico ha valori propri non direttamente applicabili ad altre epoche (Dipesh Chakrabarty) Lo storicismo è la convinzione secondo cui la comprensione adeguata della natura di ogni fenomeno e un corretto giudizio sul suo valore possono essere raggiunti considerandolo nei termini del posto che esso occupa e del ruolo che esso ha svolto all’interno di un processo di sviluppo, di un unico tempo storico universale (Dipesh Chakrabarty)

4 Lo storicismo presuppone che vi sia una teleologia della storia, un tempo unico, progressivo e lineare, un soggetto della storia, una filosofia della storia. Il pensiero moderno europeo, l’umanesimo europeo, ha costituito l’Europa (l’uomo europeo) come soggetto trascendentale, comprimendo la sua storia nella Storia. Lo storicismo è stato uno dei fondamenti ideologici del colonialismo e dell’imperialismo europei, del dominio e della negazione dell’altro (Robert Young). Lo storicismo presuppone che vi sia una teleologia della storia, un tempo unico, progressivo e lineare, un soggetto della storia, una filosofia della storia. Il pensiero moderno europeo, l’umanesimo europeo, ha costituito l’Europa (l’uomo europeo) come soggetto trascendentale, comprimendo la sua storia nella Storia. Lo storicismo è stato uno dei fondamenti ideologici del colonialismo e dell’imperialismo europei, del dominio e della negazione dell’altro (Robert Young).

5 Gli studi postcoloniali o Postcolonialismo
Si sono costituiti come un campo di studi e ricerche trasversale alle varie discipline umanistiche, ovvero come una sorta di transdisciplina. Non vanno visti come un insieme coerente di teorie e non partono da un punto di vista comune a tutti gli approcci. Rappresentano un complesso di posizioni e orientamenti teorici e politici eterogenei. Come pratica e politica non comportano il riferimento a un unico sistema di pensiero, a una posizione politica o corrente teorica specifica. Sono il prodotto di una miscela particolare di esistenzialismo, marxismo, post- strutturalismo e femminismo. Come un archivio dai confini instabili, attraversato da tensioni e da posizionamenti politici e teorici eclettici e contestuali, in continuo fermento. Presentano quindi una genealogia complessa, origini molteplici, ibride e transnazionali.

6 Le radici del postcolonialismo
Il pensiero legato all’anticolonialismo classico Frantz Fanon Mahatma Gandhi Amilcar Cabral Kwame Nkrumah

7 I movimenti di liberazione nazionale e la loro critica all’eurocentrismo e all’imperialismo occidentali

8 Il radicalismo afro-americano, caraibico e sudamericano
W.E.B Du Bois C.L.R James , Malcolm X Black Panther Party Aimé Césaire

9 Il fermento intellettuale del movimento antirazzista e del femminismo nero e non occidentale (,,,) e la sua critica ai femminismi occidentali. Angela Davis Gayatri Spivak Chandra Mohanty bell hooks

10 Sotto lo sguardo occidentale Under Western Eyes

11 I teorici postcoloniali
Edward Said Gayatri Spivak Homi Bhabha Stuart Hall Paul Gilroy Robert Young

12 La letteratura postcoloniale
Chinua Achebe (Nigeria); Ngugi wa Thiong’o (Kenia); Camara Laye (Guinea); Edward Kamau Brathwaite (Barbados); Sam Selvon (Trinidad); Èdouard Glissant (Martinica); Derek Walcott (St. Lucia, Antille minori); Wole Soyinka (Nigeria); Doris Lessing (Iran, Zimbawe); Toni Morrison (Stati Uniti); Salman Rushdie (India); Hanif Kureishi (Inghilterra); Assia Djebar (Algeria);

13

14 L'arte Postcoloniale

15 Jean-Michel Basquiat Chris Ofili Sonia Boyce Keith Piper Lyle Ashton Harris
Ellen Gallagher Isaac Julien Bob Marley Asian Dub Foundation Ali Farka Zebda Fatih Akin

16 Orientalismo (Edward Said, 1978)

17 Orientalismo (Edward Said, 1978)
Non si può pensare la cultura moderna occidentale senza l’imperialismo così come non possiamo pensare l’imperialismo moderno senza la cultura occidentale moderna. Dominio dell’altro funziona attraverso la produzione di discorsi e rappresentazioni sull’altro. Ogni discorso sull’altro è prodotto all’interno di un sistema di potere, ha una funzione di dominio, non è obiettivo. Oriente: invenzione dell’occidente, ma non è un’entità immaginaria. L’orientalizzazione dell’Oriente ha avuto effetti sulla realtà materiale di tutti gli orientali. Ha reso silenzioso l’Oriente. Orientalismo: discorsi sull’Oriente finalizzati al suo dominio e sfruttamento coloniale così come all’autorappresentazione della cultura moderna occidentale come qualcosa di distinto e di superiore a tutte le altre.

18 La rappresentazione orientalista

19 La nozione di “discorso coloniale”
E’ un discorso sull’altro-coloniale finalizzato al suo dominio, all’egemonia dell’occidente sull’altro, ma anche alla propria autorappresentazione, alla costruzione dell’identità occidentale come qualcosa di diverso e di superiore a tutte le altre. Il sé si scrive e si narra in opposizione all’altro, attraverso il dominio, l’addomesticamento e la rimozione della differenza.

20 Il paradigma necropolitico nascosto della modernità occidentale

21 Già so tutto sulla realtà che sta dietro al progresso della Storia: ogni cosa nei secoli dipende dalla distinzione tra il sé e ciò che lo limita…così che quel che adesso minaccia il mio proprio benessere è l’altro. Che cos’è l’Altro? Se è veramente altro non vi è nulla da dire, non lo si può teorizzare. Ciò che è altro mi elude. E’ altrove, fuori, assolutamente altro. Non si stabilizza. Ma nella Storia, naturalmente, quel che si chiama altro è un’alterità che si stabilizza, che ricade nel cerchio dialettico. E’ l’altro di una relazione gerarchicamente ordinata in cui il Sé governa, nomina, definisce e designa il “proprio” altro. Con la tremenda semplicità che ordina il movimento eretto a sistema da Hegel, la società mi scorre davanti agli occhi riproducendo alla perfezione il meccanismo della lotta mortale: la riduzione di una persona a un nessuno, alla posizione di altro: l’inesorabile trama del razzismo. Deve esserci un qualche altro: non si dà padrone senza servo, né potenza politico-economica senza sfruttamento, né classe dominante senza bestiame al giogo, né monsieur senza Negri, né nazisti senza ebrei, né proprietà privata senza esclusione, proprio quella esclusione che ha per limite ed è parte della dialettica (Helene Cixous).

22 I presupposti degli studi postcoloniali
Il colonialismo è stato un evento centrale nella storia dell’umanità. E’ un fenomeno costitutivo di quella modernità da cui è sorto il nostro presente. L’espansione coloniale moderna ha avuto un ruolo di primo piano nella formazione dell’attuale sistema capitalistico mondiale. L’apparato ideologico del colonialismo è inscindibile dalla formazione e dallo sviluppo dei sistemi di (auto)rappresentazione della coscienza occidentale moderna e delle sue discipline (umanistiche). La persistenza di un “immaginario colonialista” nella cultura occidentale contemporanea.

23 Il colonialismo è una “formazione discorsiva”
In un primo momento le relazioni colonialiste sono state imposte dalle armi, dalla furbizia e dal dilagare delle malattie. Ma in seguito, nella loro fase interpellante, sono state mantenute in gran parte dalla testualità, sia a livello istituzionale che formale. Il colonialismo dunque (come il razzismo) deve essere concepito come una formazione discorsiva e quindi, in quanto operazione di discorso, esso ineluttabilmente assoggetta i soggetti che vi fanno parte incorporandoli in un determinato sistemi di rappresentazioni (Tiffin e Lawson). Molte delle categorie e nozioni disseminate nei più svariati campi del sapere e attraverso cui pensiamo la realtà non sono trasparenti, obiettive, neutrali o disinteressate. Le discipline umanistiche, così come l’identità moderna occidentale, si sono strutturate a partire da forme insidiose di “violenza epistemica” (Spivak)

24 La testualità del colonialismo

25 La colonialità dei testi della cultura moderna
Montesquieu: «Non si può concepire l’idea che Dio, che è un essere saggio, abbia messo un’anima, soprattutto un’anima buona, in un corpo del tutto nero (…). È impossibile supporre che quella gente siano degli uomini, cominceremmo a credere che non siamo noi stessi cristiani». Lo spirito delle leggi, 1748 Hume: «Sospetto i Negri e in generale le altre specie umane di essere naturalmente inferiori alla razza bianca. Non vi sono mai state nazioni civilizzate di un altro colore che il colore bianco ... Non vi sono tra di loro né manifatture, né arti, né scienze». Sui caratteri nazionali, volume III, 1854 Renan: «La natura ha fatto una razza di operai, è la razza cinese (…) una razza di lavoratori della terra, è il negro (…), una razza di padroni e di soldati, è la razza europea». Discorsi, Che cos’è una nazione? Kant: «I Negri d’Africa non hanno ricevuto dalla natura nessun sentimento che si elevi al di sopra della stupidità (…) . (…) sono così chiacchieroni che bisogna separarli e disperderli a colpi di bastone». Saggio sulle malattie mentali Hegel: «Questo continente [l'Africa, n.d.r] non è interessante dal punto di vista della sua storia, ma per il fatto che vediamo l’uomo nello stato di barbarie e di selvatichezza che impedisce ancora di far parte integrante della civilizzazione». La ragione nella storia, 1882 Tocqueville: «Gli indiani d’America occupano il territorio, ma non lo possiedono. Sembravano che fossero soltanto in attesa di essere sostituiti dagli europei, i proprietari legittimi. L’espansione degli Stati Uniti verso ovest deve essere il modello per la conquista dell’Algeria». La democrazia in America, 1835

26 La “violenza epistemica” o il potere del “discorso coloniale”
Distorce, nega ed espropria le soggettività e le culture dei colonizzati. Produce differenza, procede attraverso un “processo di alterizzazione dell’altro” (Spivak) Il discorso coloniale, in virtù della sua autorità coloniale, del suo potere di narrare e di rappresentare, si è iscritto nei corpi dei colonizzati Si è costituito anche come un potente dispositivo di “coercizione interiore”.

27 Il “post” di Postcoloniale
Il termine postcoloniale comprende anche quello di neocoloniale, ovvero non intende affermare che con la conclusione del colonialismo storico i suoi effetti e conseguenze siano finiti.

28 Post come Neo C’è un uso dell’idea di neo-colonialismo di cui non possiamo fare astrazione. Ne abbiamo bisogno per comprendere le forme stesse del post-colonialismo, che si tratti della condizione delle “popolazione trasferite” dalle ex colonie nelle ex metropoli o che si tratti di interventi delle ex metropoli nella politica e nell’economia delle vecchie colonie. Questa persistenza del neo-colonialismo (di una decolonizzazione incompiuta) all’interno del post-colonialismo si vede altrettanto bene nella composizione demografica di Bovigny (Nord di Parigi), di Dagenham (Est di Londra) o di Saschsenhausen (Sud di Francoforte) e nel modo in cui la polizia vi si comporta, quanto nelle spedizioni militari francesi nel Congo Brazaville e in Costa d’Avorio (Etienne Balibar)

29 Post come Anti Il termine postcoloniale comprende anche quello di anti-coloniale, ovvero sta a significare la presa di parola dei soggetti coloniali, la ribellione dei margini del mondo contro le forme coloniali di sfruttamento. L’originalità del termine postcoloniale, dunque, sta nel tentativo di fondere nel prefisso “post” altri due prefissi “neo” e “anti”

30 La condizione postcoloniale
Non sta a significare la fine di un processo storico e l’arrivo di una nuova fase storica libera da rapporti colonialisti e caratterizzata da maggior giustizia e libertà. Non esprime una frattura netta con il passato, anzi sta a significare l’impossibilità di leggere il presente al di fuori di esso. Il “post” di postcoloniale non ha un significato storico-cronologico, non esprime alcuna linearità. Descrive piuttosto le tensioni e i conflitti di una lunga transizione in corso, di una fase contraddittoria caratterizzata da un passato che non passa e da un futuro che non arriva. Mentre afferma la persistenza di una condizione coloniale nel presente, di forme o di dispostivi neocoloniali di dominio, allo stesso tempo contesta e respinge le loro finalità. E’ quindi il sintomo di un loro superamento.

31 La “frattura” postcoloniale contemporanea
Non è la semplice prosecuzione o la mera ripetizione del sistema coloniale del passato. Si esprime attraverso rapporti sia di continuità che di discontinuità con il passato. Si scompone e si ricompone costantemente, ma spesso lungo assi spaziali inediti e attraverso forme, pratiche, discorsi e logiche relativamente nuovi. Non esprime alcuna logica sistemica, si tratta di una frattura che presenta un’unica coerenza: l’origine storica comune dei processi che ingenera nell’attualità. Sta a significare un immaginario di origine coloniale che si perpetua, si trasforma, si riproduce e si ri-articola quotidianamente in campi diversi e non necessariamente interconnessi.

32 L’immaginario coloniale contemporaneo
Si manifesta in aree, campi e zone molto diversi tra loro, come: Le relazioni (politiche, economiche, giuridiche e culturali) internazionali. Le politiche migratorie. Le rappresentazioni mediatiche dell’altro. Le dinamiche di molti dei conflitti etnici e religiosi in corso in diverse zone del mondo (vedi Palestina, Kenia, Bolivia, Pakistan, Parigi, Londra, ecc.) La messa in atto di tecnologie di potere, di controllo e di assoggettamento tipicamente coloniali negli spazi metropolitani occidentali (CPT, nuovi campi di concentramento, migranti come soggetti d’eccezione, impronte digitali) La retorica delle nuove missioni umanitarie e civilizzatrici (esportare la civiltà, il mercato, la democrazia, ecc., retoriche della miserabilizzazione dell’altro, riduzione allo status di non-soggetti). Gli occidentalismi e strategie neocivilizzatrici che caratterizzano buona parte delle invettive contro il multiculturalismo nei paesi del Nord del mondo (polemiche sul velo, sul crocefisso, rilancio dell’assimilazionismo o della nazionalizzazione dei migranti, ecc.). Un certo tipo di femminismo eurocentrico e paradossalmente paternalistico.

33 I conflitti postcoloniali
La storica questione nera negli Stati Uniti. Le rivendicazioni indigene in America Latina (Messico, Brasile, Bolivia). Movimenti contadini in Asia e Africa (India, naxaliti e Chipko movement). Le dinamiche del conflitto mediorientale, l’apartheid in cui vivono le comunità palestinesi, non solo in Israele ma anche quelle della diaspora. Le lotte dei migranti in Europa, Usa e America del Nord contro il razzismo istituzionale e non e contro una cittadinanza di tipo coloniale (sciopero dei latinos negli Usa). Lo sfruttamento del lavoro femminile e minorile nelle Maquiladoras o nelle fabbriche tessili centroamericane e asiatiche. Lo scontro politico ideologico su argomenti come il velo o il crocefisso nelle scuole pubbliche. Le rivolte rurali contro la privatizzazione dell’acqua e contro i brevetti nel campo dei sementi nei tre continenti del Sud (contro una sorta di biocolonialismo). Le recenti insurrezioni nelle Banlieues francesi. La retorica dello scontro delle civiltà che ha fatto da sfondo alle guerre in Iraq e Afghanistan La retorica democratico-occidentale che sta facendo da sfondo alle rivolte in corso nel mondo arabo

34 Il postcoloniale come sintomo del contemporaneo
Effetto delle migrazioni sullo spazio sociale, culturale, politico e giuridico delle ex metropoli coloniali. Più specificamente della disomogeneizzazione sociale, culturale e giuridica dello spazio metropolitano. Sintomo di una sorta di pressione coloniale al contrario (Bauman), di una pressione postcoloniale sugli ex centri metropolitani. Di una ritorsione coloniale, dell’emergere della questione coloniale nel centro. Sintomo dell’irruzione dei margini nel centro, del ritorno del fantasma coloniale della razza e del razzismo nel cuore dell’Europa (Stuart Hall).

35 Ma è anche sintomo dell’eterogeneità costitutiva dell’attuale spazio globale, dei nostri spazi metropolitani. Della frammentazione della cittadinanza e dei soggetti giuridici all’interno stesso dei confini degli stati-nazione avanzati. Della costituzione di diverse categorie di soggetti: cittadini, semi-cittadini, illegali. Dell’infiltrazione nello spazio metropolitano della frammentazione giuridica tipica degli ex territori coloniali, in cui venivano distinti: cittadini, sudditi e stranieri.

36 Le cittadinanze postcoloniali
Cittadinanze di cui i migranti sono al tempo stesso “oggetto” e “soggetto” 1) Propongono uno spazio politico e giuridico differenziato e disomogeneo, la creazione di soggetti con diversi diritti e anche senza diritti. Introducono legalmente delle eccezioni alla norma, che ricordano da vicino lo stato d’eccezione permanente della storia di cui parla il filosofo Walter Benjamin. Hanno come scopo l’inclusione differenziata del lavoro migrante nel mercato del lavoro. 2) Ma sono postcoloniali anche perché i migranti stessi – attraversano e violando i confini stessi che tale cittadinanza impone – ne sanciscono un suo superamento, gettano le basi di una cittadinanza più inclusiva. L’esclusione diviene così richiesta di allargamento dei confini, dei limiti. 3) Ci fanno capire che non possiamo pensare alla cittadinanza moderna come a qualcosa di linearmente espansivo, come al frutto di un allargamento automatico lineare e progressivo. E’ vero il contrario: la cittadinanza moderna ha funzionato storicamente come una “macchina di differenziazione” (Balibar). 4) Allargamento progressivo dei suoi confini è toccato a chi di volta in volta ne è stato escluso: ieri schiavi, afro-americani, donne, oggi migranti, francesi di pelle nera delle Banlieues, movimenti indigeni nel Sud del mondo, migranti Latinos negli Usa, ecc.

37 Obiettivi 1) Rifiuto di ogni traduzione coloniale del mondo, delle sue culture e abitanti, ovvero di ogni istituto, pratica e discorso i cui effetti immediati abbiano a che fare con l’inferiorizzazione, il dominio, lo sfruttamento, la segregazione, il confinamento (spaziale o materiale) o l’assoggettamento fisico, economico o culturale dell’altro (non occidentale) in qualsiasi angolo del pianeta. 2) Configurarsi come un contro-sapere: come uno spazio discorsivo improntato alle voci, alle memorie, alle esperienze e ai saperi dell’altro: alle lotte per il riconoscimento delle classi e dei popoli oppressi di tutto il pianeta 3) Promuovere un pluralismo cognitivo all’interno delle strutture di potere occidentali e non; in quanto “portavoce” politico ed epistemologico delle molteplici istanze delle ex popolazioni coloniali e dei loro discendenti: migranti, profughi, rifugiati, diaspore, contadini, indigeni.

38 4) Proseguimento del lavoro di decolonizzazione della Storia e della Cultura attraverso la decostruzione di tutti i testi (scientifici, politici, storici, letterari) della tradizione europea che hanno favorito l’istituzione del grande racconto occidentale in quanto pietra di paragone di tutte le storie e culture “altre”. 5) Mettersi in ascolto di tutti quei discorsi, auto-rappresentazioni, pratiche e lotte emergenti – disseminati nello scenario politico e culturale della vita pubblica, ma anche nella letteratura, nelle arti visive, nella musica – che stanno tessendo giorno dopo giorno la trama di un immaginario postcoloniale alternativo e di resistenza, di un nuovo cosmopolitismo o internazionalismo fondato sull’uguaglianza, la tolleranza e la convivialità e quindi sul rifiuto di qualsiasi forma di assolutismo etnico, razziale e/o culturale, così come di ogni concezione gerarchica o elitaria dei rapporti interculturali e intraculturali.


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