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ITES POLO COMMERCIALE PITAGORA NON SOLO SHOAH Un viaggio per “ virtute e conoscenza” … nella memoria per non dimenticare le vittime del nazifascismo le.

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Presentazione sul tema: "ITES POLO COMMERCIALE PITAGORA NON SOLO SHOAH Un viaggio per “ virtute e conoscenza” … nella memoria per non dimenticare le vittime del nazifascismo le."— Transcript della presentazione:

1 ITES POLO COMMERCIALE PITAGORA NON SOLO SHOAH Un viaggio per “ virtute e conoscenza” … nella memoria per non dimenticare le vittime del nazifascismo le vittime del nazifascismo e di altri stermini di massa e di altri stermini di massa 22, 27 GENNAIO MATTINA / POMERIGGIO NELL’AUDITORIUM E. BASILE nella Storia … nella Storia … per conoscere i contesti nei quali maturano i genocidi e riflettere e riflettere sulla “banalità del male” Il processo Eichmann, 1961 Il viaggio di Vera Vigevani Jarach dalla Shoah ai desaparecidos desaparecidos

2 IO RICORDO “ Il silenzio è il vero crimine contro l’umanità” Sarah Berkowitz (sopravvissuta ad Auschwitz)

3 Lugar = luogo Al mattino passo vicino a un luogo circondato da muri vicino a un luogo circondato da muri alti grigi tristi sporchi di manifesti, di vota lista azzurra un giorno guardo dentro una favela. Gente ancora gente. Vestita a buon prezzo nuda di felicità. Una ragazza mi offre dei limoni “cento lire per una dozzina, me li compra?” Ha tredici anni, più o meno la mia età. Un magazzino rumoroso con topi, sporcizia con microbi funesti. E’ un luogo circondato da muri sporchi di crimini umani che sono soltanto nostri. Vera, figlia di Franca Vigevani Jarach, a soli 13 anni denuncia miserie e ingiu-stizie sociali a un passo da casa sua di Buenos Aires. Desaparecida a 18 anni, sarà gettata in mare da un aereo come tanti della sua genera- zione impegnati per un mondo migliore. 3 G

4 5A

5 5B

6 6 Poi, nella baracca (..) facevamo progetti per un improbabile futuro nel quale, nonostante tutto, appassionatamente speravamo. Perché? In ognuno di noi, automaticamente, la risposta era: >. Perché il mondo potesse sapere; perché mai più, in nessun luogo, a nessun uomo potesse capitare quello che era capitato a noi. Siamo poi stati ascoltati? No, non lo siamo stati se in questi decenni altri eccidi, altri spaventosi massacri sono stati compiuti nell'indifferenza generale. Non siamo stati ascoltati se per decenni c'è stato un quasi totale, nocivo silenzio nelle case, nelle scuole, permettendo a chi minimizza e falsifica quanto è successo di diffondere le proprie menzognere predicazioni. Si, perché è l'ignoranza il brodo di coltura in cui le teorie di revisionisti e negazionisti trovano fertile terreno per proliferare. GOTI BAUER,Voci della Shoa, 1995 GOTI BAUER,Voci della Shoa, 1995 5C

7 Particolare attenzione meritano i ricordi di quanti vissero la terribile esperienza della shoah nell’infanzia. A tal proposito si vuole citare un passo del libro di Lidia Beccaria Rolfi e Bruno Maida, “Il futuro spezzato. I nazisti contro i bambini”, Firenze, Giuntina, 1997, p. 179 “Anche se mia mamma aveva tentato di nascondermi la verità, avevo sentito parlare le altre deportate e avevo intuito da sola il significato delle selezioni. Vedevo nella mia fila bambine più in salute, ancora ben messe, e nell'altra bambine magre come scheletri, affette da foruncolosi, con delle piaghe. Approfittai della confusione che si creava di solito in quelle situazioni, afferrai Lea per un braccio e la tirai sotto la mia coperta, mentre la Kapò aveva già dato ordine di uscire alla mia fila. Una volta tanto ci andò bene, lo capimmo subito. La nostra fila ritornava verso la baracca. Le altre non le vedemmo più”. “Anche se mia mamma aveva tentato di nascondermi la verità, avevo sentito parlare le altre deportate e avevo intuito da sola il significato delle selezioni. Vedevo nella mia fila bambine più in salute, ancora ben messe, e nell'altra bambine magre come scheletri, affette da foruncolosi, con delle piaghe. Approfittai della confusione che si creava di solito in quelle situazioni, afferrai Lea per un braccio e la tirai sotto la mia coperta, mentre la Kapò aveva già dato ordine di uscire alla mia fila. Una volta tanto ci andò bene, lo capimmo subito. La nostra fila ritornava verso la baracca. Le altre non le vedemmo più”. 5D

8 Tra i sopravvissuti di Auschwitz, particolare emozione suscita il racconto di Elisa Springer, Il silenzio dei vivi. Tra i sopravvissuti di Auschwitz, particolare emozione suscita il racconto di Elisa Springer, Il silenzio dei vivi. Ci aspettava l'ultima fase di iniziazione a questa nuova vita: la marchiatura. Questa operazione veniva eseguita con un ago rovente simile a un pennino e precedeva l'assegnazione alle baracche. Il numero, una volta tatuato, veniva trascritto su un apposito registro, in corrispondenza delle generalità del detenuto. Da qual momento scomparivamo come esseri umani, diventando numeri, pezzi per la macchina di sterminio del Reich. A me fu tatuato il numero A-24020 che, ancora oggi, deturpa il mio avambraccio sinistro. Molte volte ha suscitato curiosità in quanti non ne conoscevano il significato. Tanti anni fa, quando ancora insegnavo, spesso, i ragazzi mi chiedevano cosa significasse quel numero. Io rispondevo accennando ai campi di sterminio e alla mia triste esperienza, ma loro non capivano e qualcuno rideva. Fu cosi che decisi di nascondere il mio tatuaggio con un cerotto, chiudendomi sempre più nel silenzio […] Quell'inchiostro sul mio braccio non poteva in nessun modo essere cancellato, rimosso. Pochi potevano leggere attraverso quell'inchiostro, il significato di quel marchio impresso nella carne. Sulle nostre braccia, nelle nostre carni è raccontata la vita che ci era sfuggita, l'amore sottratto dei nostri cari, la disperazione della solitudine, i nostri sogni diventati fumo.

9 5E

10 5G

11 5H

12 Il silenzio dei vivi Elisa Springer

13 Ricordiamo Sergio de Simone, un bambino napoletano ebreo di 7 anni che, deportato ad Auschwitz nel 1944 con la sua famiglia, fu ucciso a seguito di esperimenti medici e, in seguito, impiccato nei sotterranei di una scuola di Amburgo il 20 aprile 1945. Ad Amburgo con lui furono impiccati altri bambini, e lì oggi a perpetua memoria c'è un giardino di rose bianche, e su una lapide c'è la scritta "Qui sosta in silenzio, ma, quando ti allontani, parla". Ricordiamo Marta, una ragazza ebrea di 17 anni di Trieste che il 31 dicembre 1944 fu internata nel campo di Bergen-Belsen. Da qui il 6 luglio 1945 riuscì ad andare via e tornò a casa; ma su Marta rimane un segno indelebile, un numero tatuato sul braccio sinistro che non ha mai cercato di nascondere: "Ho sempre pensato che la vergogna di averci marchiato doveva ricadere su chi ce l'aveva imposto". Ricordiamo l'ostetrica polacca Stanislawa Leszczynska, che nei campi di Auschwitz, nonostante la sporcizia insopportabile, è riuscita ad ottenere un successo: nessun bambino o madre morì a causa del parto, parchè il suo obiettivo era la vita! Noi crediamo che no, non si debba dimenticare mai. Occorre proteggere il ricordo di quel che fu soltanto vergogna e crudele, immane follia gestita dall'essere umano stesso 4S


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