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Fratelli di Gesù.

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Presentazione sul tema: "Fratelli di Gesù."— Transcript della presentazione:

1 Fratelli di Gesù

2 LE BEATITUDINI IL VANGELO DELLA FELICITA’

3 BEATI I MITI PERCHE’ EREDITERANNO LA TERRA

4 Le beatitudini che troviamo nel Vangelo secondo Matteo ci presentano il volto di Gesù, in quanto è lui che realizza pienamente questa prospettiva di umanità nuova. Ma nello stesso tempo, mentre dipingono il volto di Gesù, ci dicono chi è il Padre, perché chi vede Gesù vede il Padre: l’unico modo di riconoscere Dio è passare attraverso Gesù Cristo, quindi nella sua realtà umana noi abbiamo la rivelazione di Dio stesso.

5 Dunque Gesù è il «povero in spirito», è colui che si affida totalmente, è veramente il Figlio, in quanto riconosce di derivare totalmente dal Padre e totalmente si dona a lui in un atteggiamento di dipendenza amorosa, non di costrizione - per cui si rassegnerebbe e si sottometterebbe - ma gioiosamente si affida. Gesù è l’afflitto nel senso che ha il coraggio di amare al punto da perdere se stesso, è l’immagine autentica della paternità di Dio, che, nonostante le delusioni immense che l’umanità gli ha dato, continua ad avere la forza di donarsi; è colui che rischia il rifiuto e sa sopportare questo rifiuto; è colui che ha sofferto la passione, ha sofferto questo rifiuto dell’uomo proprio per amore.

6 Allora Gesù è l’immagine della persona beata, della persona felice, pienamente realizzata, perché è consapevole che Dio è dalla sua parte, è consapevole che Dio è la sua consolazione. Ugualmente, Gesù rappresenta la mitezza, è lui il «mite che eredita la terra».

7 erediteranno la terra».
Siamo così giunti, nella nostra presentazione delle beatitudini, alla terza: «Beati i miti Perché erediteranno la terra».

8 Come sempre, l’elemento più importante è quello della causa: perché sono beati i miti? Non perché sono miti, ma perché erediteranno la terra. Manca il nome di Dio, però è chiaro che se qualcuno eredita significa che qualcun altro ha lasciato in eredità. Ancora una volta la persona di Dio viene nascosta da questi verbi e, nello stesso tempo, «rivelata».

9 È una caratteristica della rivelazione: il verbo infatti è di per sé ambiguo in quanto vuol dire «togliere il velo», ma vuole anche dire «velare di nuovo». Rivelare è un modo con cui Dio si fa vedere nascondendosi e anche queste espressioni contengono questo doppio movimento: di rivelazione e di nascondimento.

10 I Miti Dio lascia in eredità la terra ai «miti»: allora riflettiamo insieme su che cosa si intende per «mitezza» e su che cosa significa «ereditare la terra».

11 Per comprendere meglio il significato di questa formulazione di Gesù, leggiamo i versetti iniziali del salmo 37 (36), un salmo sapienziale che presenta la sorte del giusto e dell’empio. In questo testo compare più volte l’aggettivo «mite» e anche il concetto stesso di «eredità della terra»: sembra proprio che la formulazione di Gesù derivi da questo salmo.

12 “Non irritarti a causa dei malvagi, non invidiare i malfattori
“Non irritarti a causa dei malvagi, non invidiare i malfattori. Come l’erba presto appassiranno; come il verde del prato avvizziranno. Confida nel Signore e fa’ il bene: abiterai la terra e vi pascolerai con sicurezza. Cerca la gioia nel Signore: esaudirà i desideri del tuo cuore. Affida al Signore la tua via, confida in lui ed egli agirà: farà brillare come luce la tua giustizia, il tuo diritto come il mezzogiorno. Sta’ in silenzio davanti al Signore e spera in lui; non irritarti per chi ha successo, per l’uomo che trama insidie. Desisti dall’ira e deponi lo sdegno, non irritarti: non ne verrebbe che male; perché i malvagi saranno eliminati, ma chi spera nel Signore avrà in eredità la terra. Ancora un poco e il malvagio scompare:cerchi il suo posto, ma lui non c’è più. I poveri invece avranno in eredità la terra e godranno di una grande pace”.

13 Come vedete, questa terminologia compare nella riflessione sapienziale del salmista. Da questa impostazione noi dobbiamo ricavare una risposta alla domanda «Chi sono i miti?».

14 L’autore di questo salmo ci dice che «mite» è colui che non fa qualcosa contro i malvagi, è chi non si lascia trascinare dall’emozione di avversione: «Non irritarti contro i malvagi». «Mite» è chi non risponde al male con il male: «Non fare come loro, non invidiarli», nel senso di non voler fare come loro; non pensare:«Se loro hanno successo, allora io li imito; se facendo il male alla fine ci si guadagna, allora tanto vale fare il male». La tentazione viene a noi come veniva ai giusti di allora, ma il saggio che compone questa istruzione orienta in una direzione totalmente diversa.

15 «Mite», d’altra parte, è colui che si orienta fortemente verso Dio
«Mite», d’altra parte, è colui che si orienta fortemente verso Dio. In una frase parallela abbiamo trovato «Chi spera nel Signore possederà la terra»; allora potremmo dire che il mite non è soltanto colui che non si oppone al malvagio, ma è anche colui che confida nel Signore, che pone nel Signore il suo fondamento , la sua fede, la sua fiducia. Non si tratta semplicemente di un atteggiamento di esclusione - «Non fare qualcosa» - ma diventa un’azione positiva, è un porre la fiducia nel Signore anziché nella violenza.

16 Ereditare la terra L’altra domanda che ci facciamo è «Che cosa significa ereditare la terra?». In questo salmo, in cui troviamo l’espressione, vediamo che è contrapposta ad un’altra espressione: i malvagi saranno eliminati, ma chi spera nel Signore avrà in eredità la terra.

17 Dunque, si tratta di un’espressione tecnica che ricorre soprattutto nel Deuteronomio e nella tradizione deuteronomista per indicare la condizione di vita: fa parte della promessa di Dio, è la «terra promessa», e la terra è il fondamento della vita, è un elemento indispensabile, è la condizione per la sopravvivenza, per la possibilità di vivere. Siamo inseriti in un ambito prettamente agricolo, in un’ottica anche di seminomadi che cercano la sedentarizzazione, che sono alla ricerca della terra, per cui la «terra» è condizione di vita, «possedere la terra» significa potersi fermare.

18 Per molto tempo anche nella nostra cultura occidentale il possesso della terra è stato sinonimo di libertà: chi non possiede la terra è uno schiavo, è servo della gleba, è «schiavo» della terra, quindi il possesso della terra è una condizione di libertà, di esistenza matura, di realizzazione piena della vita, indica un’autonomia, una possibilità di disporre della propria vita, la terra è strettamente legata alla qualità della vita umana. Dunque, «possedere la terra» significa avere la possibilità di vivere. Ecco perché il salmista la contrappone allo sterminio: la prospettiva del malvagio è l’eliminazione; la prospettiva del giusto, del mite, di colui che non compie il male ma che pone la propria speranza nel Signore è una prospettiva di salvezza, di vita.

19 Questo è lo schema che abbiamo individuato nel salmo, perché sembra proprio che da questo tipo di linguaggio Gesù abbia dedotto la sua espressione. Allora, forti di queste osservazioni, cerchiamo nel Nuovo Testamento delle ricorrenze del termine «mite».

20 Non è un termine molto comune: in tutto il Nuovo Testamento, questo aggettivo - in greco praus - ricorre solo quattro volte, di cui ben tre ricorrenze sono nel Vangelo di Matteo. Ciò significa che Matteo ha un debole per questo aggettivo, che gli interessa in modo particolare. Più consistente invece è l’uso del sostantivo «mitezza», che, in tutto il Nuovo Testamento, ricorre undici volte; non sono moltissime, ma comunque tante quanto basta per dire che è testimoniato. Vediamo allora dove si parla di mitezza e in che senso.

21 Partiamo dal testo della lettera ai Galati (Gal 5,22), dove si dice che la mitezza è uno dei frutti dello Spirito Santo; quindi non intesa come una virtù umana, cioè come una realizzazione autonoma dell’individuo, bensì come un frutto prodotto dallo Spirito Santo, quindi un dono, una virtù divina: è un evento di grazia, una qualità che nella persona viene resa possibile dalla presenza dello Spirito di Dio.

22 San Paolo insiste sulla necessaria mitezza per unire la Chiesa: nelle relazioni all’interno della Chiesa è necessaria la mitezza. È necessaria nella correzione dei peccatori: Paolo fa riferimento a dei casi concreti in cui insiste sulla necessità di riprendere i peccatori, cioè di non lasciar correre, di non far finta di niente. Eppure, ogni volta che nomina il dovere di correggere i peccatori aggiunge anche la modalità: «con mitezza». Comprendiamo che è il contrario della durezza, il che non esclude la correzione. Quindi «mitezza» non è un atteggiamento indifferente che non vede la realtà, ma è l’atteggiamento di chi riconosce il male e sa dargli il nome di male; di chi interviene concretamente, anche in una situazione personale, riconoscendo che è male, ma non con asprezza, con acidità.

23 Il comportamento cattivo non deve suscitare in te un comportamento altrettanto cattivo: il riconoscimento del male funziona se lo riconosci con mitezza. Ritroviamo questa indicazione in consigli generali che l’apostolo offre ai predicatori, sempre quello dell’annuncio, della parola, dell’insegnamento dato con questo carattere della dolcezza, della mansuetudine.

24 In un altro contesto, l’apostolo Giacomo dice che la mitezza è necessaria per accogliere la Parola; è un atteggiamento che assomiglia molto all’umiltà, alla caratteristica del terreno fertile, cioè il terreno che accoglie la Parola e produce. L’accoglienza della Parola di Dio con mitezza significa una disponibilità, una ricezione che pone in secondo ordine le mie prospettive, per mettere al primo posto ciò che ascolto - che è appunto la rivelazione di Dio.

25 Nel Vangelo di Matteo ricorre con una certa insistenza l’aggettivo «mite», ma ricorre sempre a proposito di Gesù: quando Matteo adopera questo aggettivo lo applica a Gesù. Vediamo quali sono questi casi; è interessante prenderli in considerazione perché ci permettono di verificare l’affermazione iniziale «Le beatitudini dipingono il volto di Gesù» e, nello stesso tempo, ci permettono di capire che cosa significhi questa mitezza. La prima citazione è al capitolo 11: «Venite a me voi tutti, che siete affaticati e oppressi e io vi ristorerò. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per le vostre anime. Il mio giogo infatti è dolce e il mio carico leggero» (Mt 11, 28-30).

26 È un testo molto noto, ma che merita un’attenzione particolare
È un testo molto noto, ma che merita un’attenzione particolare. Il linguaggio che Gesù adopera lo caratterizza come un «maestro»; il termine del giogo deriva da una metafora corrente nella scuola rabbinica. «Prendere il giogo di qualcuno» significa mettersi alla scuola di un certo maestro. Oppure, si adopera anche l’espressione tecnica: «Prendere il giogo della legge», cioè aderire alla legge di Dio, metterci tutta la buona volontà per osservarla. Quindi, Gesù si rivolge all’uditorio dopo aver detto: «Nessuno conosce il Padre, se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare». Gesù sta dicendo una cosa molto importante, fondamentale: dice alla gente che lo circonda «Nessuno di voi conosce Dio, nessuno di voi può conoscere Dio, lo conosco soltanto io; io, che sono il Figlio, ho una conoscenza autentica e profonda di Dio come Padre e solo io lo conosco. Voi lo potete conoscere solo se io ve lo faccio conoscere».

27 A quel punto negli ascoltatori si pone l’interrogativo «Ma tu vuoi farcelo conoscere? Se è vero che sei l’unico che lo conosce e l’unico che può farlo conoscere, vuoi farcelo conoscere?». A questa domanda inespressa Gesù risponde «Venite pure a me, se volete conoscere Dio dovete venire a me». È un invito: «Venite a me. Voi, che siete tutti affaticati e oppressi - non quelli che sono affaticati e oppressi, ma voi tutti, dal momento che siete affaticati e oppressi - venite a me, e io vi darò riposo, vi ristorerò».

28 In che senso «affaticati e oppressi»
In che senso «affaticati e oppressi»? Non perché lavorate tanto o avete tanti problemi. È un discorso tipicamente religioso, Gesù sta facendo riferimento ad una situazione religiosa, ad una mentalità, ad una prassi religiosa che è quella del suo mondo: «Schiacciati da una situazione pesante, venite a me e trovate riposo. Io vi propongo una strada riposante: diventate miei discepoli, prendete il mio giogo sopra di voi, imparate da me, sceglietemi come vostro maestro, mettetevi nelle mie mani, perché io sono un maestro, un superiore, un capo, mite e umile di cuore, non vi schiaccio. Imparate da me proprio perché io sono mite e umile di cuore; e in questo modo troverete ristoro. Prendete il mio giogo perché il mio giogo è dolce e il mio carico è leggero».

29 È il linguaggio dell’imbonitore che sta adoperando Gesù, è un linguaggio sapienziale che nell’Antico Testamento ricorre molte volte in bocca alla Sapienza, che invita a seguire questo insegnamento. Gesù sta facendo réclame a se stesso e sta caratterizzando la propria rivelazione come un atteggiamento che dà riposo alla persona, che realizza, che calma, che tranquillizza, che mette in una situazione di quiete, di pace, di realizzazione. È un giogo leggero, è il contrario di quello che subisce chi viene schiacciato.

30 Contemporaneamente dovremmo leggere i «guai» che si trovano alla fine del Vangelo di Matteo e qui troveremo un «guai ai maestri che legano pesanti fardelli e li mettono sulle spalle della gente»: è la contrapposizione all’atteggiamento di Gesù, che non pone «pesanti fardelli», ma propone un «peso leggero». Quindi Gesù, come maestro, si caratterizza in quanto non duro, non presuntuoso, umile di cuore.

31 Pensate come fa contrasto con questa espressione di Gesù una nostra abituale definizione del cristianesimo come «realtà difficile», come spesso viene presentata nel catechismo. Se non si sente come facile, vuol dire che c’è un problema di relazione con Gesù Cristo, perché egli dice il contrario. Non ha detto infatti «vieni a me e ti insegnerò una religione molto difficile»; ha detto invece «impara da me, che è molto facile». Se non lo concepiamo così, vuol dire che c’è qualcosa che non funziona. Probabilmente perché si è rimasti nell’ottica farisea di chi deve osservare tutte le regole e deve fare lui con le sue sole forze tutto quello che la legge prevede. Non è l’atteggiamento di chi si lascia portare, di chi confida in Dio, di chi riconosce la propria debolezza, dell’umile di cuore o del povero in spirito, di chi, consapevole della propria debolezza, si appoggia all’«Altro», confida in Dio e non nella propria forza; di chi non si irrita contro il male, non risponde al male con il male, nella convinzione di eliminare il male, perché affida a Dio la soluzione della sua causa.

32 Nel capitolo seguente, il capitolo 12, troviamo un’altra presentazione di Gesù «mite»: è una citazione dal profeta Isaia (capitolo 42, 1-4) che riguarda il servo di Dio. Matteo cita per esteso tutto questo testo: «Ecco il mio servo che io ho scelto; il mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto. Porrò il mio spirito sopra di lui e annunzierà la giustizia alle genti. Non contenderà, né griderà, né si udrà sulle piazze la sua voce. La canna infranta non spezzerà, non spegnerà il lucignolo fumigante, finché abbia fatto trionfare la giustizia; nel suo nome spereranno tutte le genti» (Mt 12, 18-21).

33 In questo testo non compare l’aggettivo «mite», ma è una descrizione della mitezza di Gesù; attraverso quella citazione del profeta Isaia, Matteo caratterizza Gesù come un profeta non-violento, che non contende, non grida, non spezza una canna incrinata. Non ci vuole molta forza per spezzare una canna; se poi la canna è già incrinata, ci vuole proprio poco.

34 Immaginate un lucignolo, uno stoppino della lucerna, quando è un po’ troppo imbevuto di olio, che è lì che sta per spegnersi, è fumigante, ha una fiammella così piccola che basta un alito e si spegne. Per parlare in modo tale da non spegnere uno stoppino fumigante, bisogna parlare sottovoce, con dolcezza. Queste caratteristiche che il profeta attribuiva al servo di Dio, l’evangelista le attribuisce a Gesù, lo mette cioè in un atteggiamento di rispetto estremo verso il debole, paragonato ad una canna incrinata o ad un lucignolo fumigante. È la caratteristica della mitezza di Gesù rispetto al debole, rispetto al peccatore, rispetto a colui che pensa male, che parla male, che si comporta male. È l’atteggiamento di chi non dice al peccatore che tutto va bene così, ma gli dice che è peccatore e deve cambiare, non peccare più, ma glielo dice con l’atteggiamento della dolcezza, della misericordia, di una proposta di salvezza, non di una condanna che schiaccia. È l’atteggiamento di chi sa riconoscere il male, ma non condanna il peccatore; riconosce il male e salva il peccatore.

35 Potremmo dire che innanzitutto è una virtù di relazione, per cui si evitano i contrasti: è l’atteggiamento di chi non è polemico, di chi non cerca la guerra, la battaglia, lo scontro, ma è capace di buona relazione, anche quando l’altro non se lo merita. Certamente, con la persona buona, onesta, mansueta, che ti fa tanto bene, è normale avere delle buone relazioni; la difficoltà di una buona relazione è proprio con chi non se lo merita, con chi è antipatico, con chi è cattivo, con chi ci tratta male.

36 «Non irritarti con il malvagio» - non occorre dire di non irritarsi con il buono - ma la mitezza è di chi non si irrita con il malvagio; e quindi il dominio delle proprie emozioni, delle tendenze disordinate, dei desideri negativi. Non si tratta di una repressione o di una rimozione, ma di un controllo, di una maturazione; non sembri che la mitezza sia una passività, è un’azione fortissima perché richiede un’enorme forza non rispondere al male con il male. Non è passività, è attività verso se stesso, verso le proprie istintive inclinazioni al male: il mite è una persona che vince innanzitutto se stesso e quindi è una caratteristica di forza e comporta una notevole dose di rispetto nei confronti della personalità dell’altro.

37 Ereditare il regno dei cieli
Potremmo dire che il mite è una persona che ha buone relazioni, con se stesso, con il prossimo, e con Dio: in questo senso «erediterà la terra», cioè avrà la possibilità di vivere. Provate a cercare nel Vangelo dove si adopera il verbo «ereditare» e provate a vedere «che cosa» si eredita: due cose, la vita eterna e il regno dei cieli.

38 In questa formulazione, «ereditare la terra» significa ereditare la vita eterna o ereditare il regno dei cieli; sono cioè i beni escatologici, è la pienezza finale, è Dio stesso.

39 Nel concetto di eredità, inoltre, è implicito il rapporto di paternità
Nel concetto di eredità, inoltre, è implicito il rapporto di paternità. È una caratteristica della paternità trasmettere l’eredità ai figli: i beni del padre passano ai figli, come anche le caratteristiche fisiche; si parla di qualità ereditarie, di situazioni positive o anche negative ereditate dalla famiglia, e si parla dei beni lasciati in eredità. Nel momento in cui Dio lascia erede della terra, afferma di essere in una relazione di paternità con i miti.

40 L’eredità non è pagata, non è conquistata, l’eredità è regalata: quando io lascio in eredità una cosa, la regalo. Il fatto che la terra venga ereditata implica un dono libero e generoso di Dio, non una conquista. Forse questa parola «conquista» può aiutarci a concludere il discorso sulla mitezza, proprio perché il mite è colui che non ha niente da conquistare e non vuole conquistare niente.

41 Non è un conquistatore, non è un polemico, non è uno che fa la guerra per avere, non è un avido, non è un arrivista. Allora, vedete che l’impostazione data all’inizio può essere ripetuta anche in questo caso: non «dovete» essere miti, ma «potete»; non è un imperativo morale, ma è una beatitudine.

42 Potete essere miti, potete essere mansueti, potete essere non violenti, non arraffoni né arrivisti, potete tranquillamente affrontare la vita perché Dio vi lascia in eredità la terra, la possibilità di vita, le condizioni buone per realizzare la vita. Siete degli ereditieri, avete ereditato da Dio, state ereditando, erediterete tutto ciò che serve. Beati voi! Vivete tranquilli, felici e sereni; potete essere miti.

43 La terra non vi appartiene, appartiene a Dio; ma egli ve la regala, ve la lascia, ve la dona. Non dovete combattere per averla. Beati voi! Potete vivere serenamente, senza rispondere al male con il male, senza irritarvi perché il mondo va male; potete affrontare la vita con questa serenità grande, perché ponete la vostra speranza in Dio: lui ha in mano tutto e vi lascia tutto in eredità. Beati voi! Potete vivere da miti, tranquilli e sereni.

44 GRAZIE PER L'ATTENZIONE


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