Le fonti del diritto comunitario

Slides:



Advertisements
Presentazioni simili
Prof. Bertolami Salvatore
Advertisements

FONTI DEL DIRITTO.
FONTI DEL DIRITTO.
Fonti del diritto internazionale
CORSO DI ISTITUZIONI di DIRITTO PUBBLICO a.a Docente Luigi Cozzolino Argomento n. 6 Gli atti delle pubbliche amministrazioni.
Corso IVA Università di Pisa Ottobre/Novembre 2011
Testo unico enti locali Art. 1, d.lgs. 18 agosto 2000, n Il presente testo unico contiene i princìpi e le disposizioni in materia di ordinamento.
ELEMENTI DI DIRITTO PUBBLICO
Le Fonti comunitarie.
Controllo di Gestione negli Enti Pubblici
Diritto tributario internazionale
Le fonti del diritto.
Le fonti del Diritto dell’Unione Europea
LE FONTI DEL DIRITTO COMUNITARIO
Fonti del diritto: atti o fatti idonei a creare, integrare o modificare regole giuridiche Fonti – fatto: Sono fatti e comportamenti umani che con il loro.
Potere sostitutivo: le origini Sent. 142/1972 trasferimento delegazione …ogni distribuzione dei poteri di applicazione delle norme comunitarie che si effettui.
LA DEFINIZIONE DI EFFETTI DIRETTI
I RAPPORTI TRA ORDINAMENTO UE E ORDINAMENTO INTERNO: PRINCIPI GENERALI
IL RICORSO DI ANNULLAMENTO
GLI ATTI DI DIRITTO DERIVATO
Università di Pavia LE FONTI DI DIRITTO DERIVATO ART. 249 TCE PER LASSOLVIMENTO DEI LORO COMPITI E ALLE CONDIZIONI CONTEMPLATE DAL PRESENTE TRATTATO IL.
L’EVOLUZIONE DELLA TUTELA DEI DIRITTI FONDAMENTALI
Schema fonti UE Diritto primario  Trattati
Sent. 303/2003: le condizioni della «chiamata» Quando si intendano attrarre allo Stato funzioni amministrative in sussidiarietà, di regola il titolo del.
Primato ed efficacia Diritto UE
Presentazione di Arberim Rudaj Eusebio Cepa.
Punti di riferimento essenziali
FONTI DEL DIRITTO DELL’UNIONE EUROPEA.
Le fonti del diritto italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
Il quadro delle fonti Diritto primario e diritto derivato
LE AUTONOMIE TERRITORIALI
LE FONTI DEL DIRITTO Le fonti del diritto sono "meccanismi" che pongono in essere regole giuridiche. Possibile distinzione: Fonti di produzione  pongono.
Atti con forza di legge e regolamenti dell’Esecutivo
L’organizzazione Il termine organizzazione ha due significati:  Da una parte designa un’entità soggettiva (lo stato, la regione, il comune);  Dall’altra.
Il provvedimento amministrativo è
La Costituzione e le altre fonti del diritto
LA CORTE COSTITUZIONALE
LA POTESTA’ AMMINISTRATIVA
Diritto Stato, servizi, imprese.
ISTITUZIONI DI DIRITTO PUBBLICO
FONTI DEL DIRITTO.
Criterio della competenza In molti casi, le fonti normative non sono distribuite secondo una linea verticale (gerarchia), bensì “orizzontalmente” (competenza).
Le fonti del diritto.
LA TUTELA DEI DIRITTI NELL’UNIONE EUROPEA LEZIONE 2 – 27 GENNAIO 2016 Dott.ssa Nicole Lazzerini Dipartimento di Scienze Giuridiche Università degli Studi.
LA TUTELA DEI DIRITTI NELL’UNIONE EUROPEA LEZIONE 3 – 2 FEBBRAIO 2016 Dott.ssa Nicole Lazzerini Dipartimento di Scienze Giuridiche Università degli Studi.
Il sistema delle fonti e la disciplina del turismo
LA TUTELA DEI DIRITTI NELL’UNIONE EUROPEA LEZIONE 4 – 3 FEBBRAIO 2016 Dott.ssa Nicole Lazzerini Dipartimento di Scienze Giuridiche Università degli Studi.
CORSO DI DIRITTO INTERNAZIONALE PRIVATO E PROCESSUALE a.a L’individuazione della legge applicabile (II)
Diritto privato Le fonti. Fonti del diritto Per fonti del diritto si intendono i “fattori” (atti o fatti) considerati dall’ordinamento come idonei a creare,
La locuzione “pubblica amministrazione” in diritto, identifica l'insieme degli enti pubblici che concorrono all'esercizio ed alle funzioni dell'amministrazione.
Istituzioni di diritto pubblico Lezione del 4 dicembre 2014
Brevi note sul regolamento comunale a cura del Segretario Generale Lucia Perna.
Fonti previste da accordi
13-14/12/20061 L’adattamento del diritto interno al diritto internazionale - I L’attuazione di regole internazionali convenzionali L’adattamento automatico:
CORSO DI DIRITTO INTERNAZIONALE PRIVATO E PROCESSUALE a.a (8) La legge applicabile alle obbligazioni extracontrattuali.
Corso di Diritto UE Il diritto dell’Unione e i soggetti degli ordinamenti interni (I)
LezioneAmm21 Regole costituzionali relative alla Pubblica amministrazione Regole di sistema: il principio di legalità - Legalità indirizzo I relativi atti.
Corso di Diritto UE L’ordinamento della UE: Il sistema delle fonti (IV)
L’ORDINAMENTO GIUDIZIARIO FRANCESCO MARIA FOTI ANTONIO GAROFALO.
01/06/20161 Gli atti degli Enti Locali a cura della Dott.ssa Paola Contestabile.
Corso Diritto UE (6) Le procedure decisionali: La individuazione della corretta base giuridica.
LE NORME GIURIDICHE E IL DIRITTO
Le imprese pubbliche Storicamente si sono registrati nel nostro Paese tre modelli di intervento dello Stato nell'esercizio dell'attività economica: enti.
Le fonti dei diritti fondamentali nell’ordinamento europeo Carta dei diritti fondamentali Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU) Principi generali.
L’EVOLUZIONE DELLA TUTELA DEI DIRITTI FONDAMENTALI
Diritto internazionale privato e dei contratti -prof. Sara Tonolo – - 9 novembre 2015– 1.
Diritto internazionale e diritto interno
Rilevanza interna dei trattati internazionali Trattato avente solo rilevanza internazionale –Il trattato prevede solo obblighi che si traducono in comportamenti.
Diritto Privato Europeo Traccia della lezione Sistema normativo dell’UE - 1 prof. A. Venchiarutti.
Transcript della presentazione:

Le fonti del diritto comunitario Diritto dell’Unione Europea

Le fonti del diritto comunitario Il sistema giuridico comunitario è costituito dall’insieme di norme che regolano l’organizzazione e lo sviluppo della Comunità europea ed i rapporti tra questa e gli Stati membri.

Il diritto comunitario si distingue in: - Diritto comunitario originario. Esso comprende i trattati istitutivi delle Comunità europee, nonché gli atti successivi che ne hanno operato una modifica o li hanno completati. A questi atti devono aggiungersi i principi generali del diritto comunitario, enucleati ad opera della CGE, i quali costituiscono il diritto comunitario non scritto.

- Diritto comunitario derivato - Diritto comunitario derivato. Rientrano in questa categoria tutte le norme giuridiche emanate dalle istituzioni comunitarie per la realizzazione degli obiettivi posti in essere dai trattati: i cd. atti tipici (regolamenti, direttive, decisioni e pareri) e i cd. atti atipici, quali ad es. atti di autorizzazione e concessione, atti interni con i quali le istituzioni regolano il proprio funzionamento, proposte, etc.

Il diritto comunitario originario rappresenta una fonte di primo grado del diritto comunitario (cd. diritto primario della Comunità): le norme in esso contenute formano il quadro giuridico costituzionale della Comunità e non possono essere disattese dagli atti delle istituzioni comunitarie.

Il diritto comunitario derivato, invece, costituisce una fonte di secondo grado in quanto gli atti che lo costituiscono sono gerarchicamente subordinati ai trattati.

La gerarchia degli atti comunitari La produzione normativa comunitaria che va a formare il diritto CE derivato è a tal punto ampia da sollevare un acceso dibattito sulla necessità di provvedere ad una gerarchizzazione degli atti tipici.

I trattati istitutivi, infatti, non prevedono alcuna forma di gerarchia degli atti comunitari, né per diversità di rango, né di valore formale.

Art. 249.1 Trattato CE Per l'assolvimento dei loro compiti e alle condizioni contemplate dal presente trattato il Parlamento europeo congiuntamente con il Consiglio, il Consiglio e la Commissione adottano regolamenti e direttive, prendono decisioni e formulano raccomandazioni o pareri.

Gli strumenti indicati all’art. 249 Gli strumenti indicati all’art. 249.1 Trattato CE sono differenziati in ragione della natura, del livello di azione prescelta e delle finalità che si intendono perseguire. Quando il Trattato non indica il tipo di atto da adottare, la scelta è lasciata alla discrezionalità delle istituzioni.

Nemmeno la diversa procedura d’adozione può costituire una condizione di differenziazione gerarchica, poiché essa cambia a seconda della materia da trattare, non a seconda del tipo di atto.

La creazione di una gerarchia avrebbe fatto corrispondere alle varie tipologie di atti uno specifico processo decisionale, in modo da evitare che una procedura più complicata potesse essere applicata ad atti di importanza secondaria.

La Commissione, durante i negoziati sul Trattato di Maastricht, ha proposto una gerarchia ed una nuova tipologia di norme comunitaria, proposta che si è duramente scontrata con le diverse tradizioni giuridiche degli Stati membri.

Il principale obiettivo della gerarchizzazione degli atti CE sarebbe di assoggettare quelli di rango costituzionale, per i quali è previsto il voto all’unanimità in seno al Consiglio, a procedure più complicate rispetto agli atti legislativi che dettano la normativa di principio per settori e materie. Procedure ulteriormente semplificate dovrebbero, invece, corrispondere agli atti di esecuzione, in genere di competenza della Commissione.

L’autonomia dell’ordinamento giuridico comunitario presenta la caratteristica di risultare completamente autonomo rispetto a quello degli Stati membri.

Nella sentenza 26/62, Van Gend en Loos c Nella sentenza 26/62, Van Gend en Loos c. Amministrazione olandese delle imposte, la CGE ha affermato che «la CEE costituisce un ordinamento giuridico di nuovo genere nel campo del diritto internazionale, a favore del quale gli Stati membri hanno rinunciato, seppure in settori limitati, ai loro poteri sovrani ed al quale sono soggetti non soltanto gli Stati membri, ma pure I loro cittadini»

L’esigenza di affermare il principio dell’autonomia del diritto CE deriva dalla necessità di impedire che quest’ultimo possa essere svuotato nei suoi contenuti da disposizioni nazionali e garantire una uniforme applicazione su tutto il territorio della Comunità.

In caso contrario, qualsiasi disposizione nazionale potrebbe introdurre un’interpretazione restrittiva delle norme comunitarie che non assicurerebbe più l’uniforme applicazione del diritto CE nel territorio della Comunità.

«Il diritto nato dal Trattato non potrebbe, in ragione appunto della sua specifica natura, trovare un limite in qualsiasi provvedimento interno, senza perdere il proprio carattere comunitario e senza che ne risultasse scosso il fondamento giuridico della stessa Comunità» (sent. 6/64, Costa c. Enel).

Tuttavia, l’autonomia del diritto comunitario non implica una netta separazione o una semplice sovrapposizione con gli ordinamenti degli Stati membri. A differenza di quanto avviene tra ordinamento interno ed internazionale, nel caso della Comunità si instaura una stretta integrazione ed interdipendenza tra i due ordinamenti.

Gli elementi dai quali si può desumere l’esistenza di tale rapporto sono i seguenti: - tra i due ordinamenti vi è comunità di soggetti, dal momento che i soggetti dell’ordinamento interno sono anche i destinatari delle norme comunitarie;

- è riscontrabile una comunità di poteri, in quanto gli organi comunitari possono talvolta emettere dei comandi che operano direttamente sui soggetti di diritto interno;

- infine, è rilevabile una comunità di garanzie, perché sia i soggetti di diritto comunitario che quelli di diritto interno possono adire direttamente gli organi giurisdizionali comunitari per ottenere il rispetto delle norme comunitarie.

Proprio questa stretta integrazione tra i due ordinamenti potrebbe condurre in alcuni casi a situazioni di conflitto tra norme comunitarie e disposizioni nazionali, sia anteriori sia posteriori, in particolare per quelle norme che attribuiscono direttamente ai singoli cittadini diritti e doveri.

Tale contrasto, più volte verificatosi nei primi anni di applicazione del Trattato CE, è stato risolto dalla CGE che, attraverso una costante giurisprudenza, ha delineato nettamente i due principi cardine che regolano i rapporti tra diritto CE e ordinamento degli Stati membri: - il principio della diretta applicabilità del diritto CE; - il principio della preminenza del diritto CE rispetto alla norme conflittuale statale.

Trattati istitutivi Il nucleo principale dell’ordinamento giuridico comunitario è rappresentato dai trattati che hanno istituito le Comunità europee, ossia: Atto costitutivo della CECA, Parigi, 18 aprile 1951 Atti costitutivi CEE ed Euratom, Roma, 25 marzo 1957 Trattato istitutivo dell’Unione europea, Maastricht, 7 febbraio 1992.

Atti che hanno modificato o integrato le disposizioni originarie Trattato sulla fusione degli esecutivi, 8.4.1965 Decisione del Consiglio 21.4.1970, che ha instaurato il regime di risorse proprie della Comunità Trattato di Lussemburgo, 22.4.1970 Trattato di Bruxelles, 22.7.1975 Decisione del Consiglio 20.9.1976, elezione del Parlamento a suffragio universale e diretto

Atto unico europeo, 28.2.1986 - Trattato sull’Unione europea e Protocolli allegati, già citato, 7.2.1992 - Trattato di Amsterdam, 2.10.1997 - Trattato di Nizza, 26.2.2001

Principi generali di diritto comunitario L’individuazione dei principi generali di diritto CE è avvenuta ad opera della CGE che, nello svolgimento della sua funzione volta ad assicurare il rispetto del diritto nell’interpretazione ed attuazione dei trattati, ha colmato lacune normative presenti nei trattati CE, dato il loro carattere iniziale prettamente economico, formando di conseguenza un diritto comunitario non scritto.

I principi generali di diritto, da includere fra le fonti di 1° grado dell’ord.to CE, non possono essere ordinati secondo una rigida gerarchia, ciononostante si suole distinguerli in 2 categorie: - principi generali di diritto mutuati dai sistemi giuridici nazionali che, essendo comuni ad ogni ord.to giuridico, rappresentano la base comune dell’ord.to CE (certezza del diritto, irretroattività della norma penale, proporzionalità dell’azione amm.va, il rispetto dei diritti quesiti etc.)

Principi generali del diritto CE Principi generali del diritto CE. Possono ricavarsi dai testi scritti dell’ord.to CE o possono desumersi dalla natura e dalle finalità dell’organizzazione. Rientrano in questo gruppo i principi di solidarietà tra gli Stati membri, del primato del diritto CE, del mutuo riconoscimento, della diretta efficacia del diritto CE, dell’equilibrio istituzionale, etc.

Il Trattato CE richiama espressamente i principi generali di diritto solo all’art. 288 in materia di responsabilità extracontrattuale della Comunità, quando afferma che essa “deve risarcire, conformemente ai principi generali comuni ai diritti degli Stati membri, i danni cagionati dalle sue istituzioni o dai suoi agenti nell'esercizio delle loro funzioni”.

Diritto comunitario derivato I trattati istitutivi della Comunità prevedono, per la realizzazione degli obiettivi, l’emanazione di norme giuridiche da parte delle istituzioni comunitarie. L’insieme di tali norme costituisce il diritto comunitario derivato.

Art. 249.1 Trattato CE Per l'assolvimento dei loro compiti e alle condizioni contemplate dal presente trattato il Parlamento europeo congiuntamente con il Consiglio, il Consiglio e la Commissione adottano regolamenti e direttive, prendono decisioni e formulano raccomandazioni o pareri.

In molti casi i trattati precisano quale tipo di atto le istituzioni devono utilizzare. Se, ad esempio, il trattato prevede l’emanazione di una direttiva mentre il Consiglio emana un regolamento, quest’ultimo atto potrà essere impugnato davanti alla CGE in base all’art. 230 TCE.

Atti giuridici della Comunità Gli atti giuridicamente vincolanti sono: i regolamenti; le direttive; le decisioni.

Atti giuridicamente non vincolanti: raccomandazioni e pareri.

I Regolamenti I regolamenti sono atti a portata generale, obbligatori in tutti i loro elementi e direttamente applicabili in ciascuno degli Stati membri (art. 249 TCE).

«Portata generale» Il regolamento presenta il carattere dell’astrattezza: non si rivolge a destinatari determinati né identificabili, ma a categorie considerate astrattamente e nel loro insieme. Destinatari del regolamento sono quindi tutti i soggetti giuridici comunitari: Stati membri e persone fisiche e giuridiche degli Stati stessi.

Il carattere della portata generale distingue il regolamento dalle direttive, che hanno come destinatari gli Stati membri, e dalle decisioni, che si rivolgono sempre a soggetti ben determinati.

«Obbligatorio in tutti i suoi elementi» Le norme che il regolamento pone in essere sono destinate a disciplinare la materia e che vanno osservate come tali dai destinatari. Nessuno degli Stati membri può applicare in modo incompleto o selettivo un regolamento della Comunità al fine di paralizzare quelle parti dell’atto in contrasto con la legislazione nazionale.

«Direttamente applicabile» La diretta applicabilità negli Stati membri è la caratteristica più originale dei regolamenti: essi acquistano efficacia negli Stati membri senza che sia necessario un atto di ricezione o di adattamento da parte dei singoli ordinamenti statali (cd. norme self-executing).

I regolamenti CE si inseriscono direttamente negli ordinamenti nazionali. Essi entrano in vigore per il semplice fatto della loro pubblicazione nella GUCE: ciò implica che non possono essere applicati dagli Stati membri provvedimenti legislativi, anche posteriori, incompatibili con i regolamenti stessi.

Gli Stati membri sono tenuti, in forza degli impegni assunti con la ratifica del Trattato, a non ostacolare l’efficacia diretta di tali atti, compromettendone la simultanea ed uniforme applicazione nell’intera Comunità.

Nonostante i regolamenti siano atti completi e direttamente applicabili, gli Stati membri sono obbligati ad emanare qualsiasi provvedimento di carattere generale o particolare idoneo a garantire l’adempimento degli obblighi derivanti dagli atti delle istituzioni. Può accadere, infatti, che in alcuni casi vi siano difficoltà di interpretazione del regolamento il quale necessita, quindi, di norme di attuazione.

Elaborazione, forma ed entrata in vigore I regolamenti sono atti a formazione complessa; essi, in genere, sono emanati dal Consiglio su proposta della Commissione. Al processo di formazione è associato il Parlamento, attraverso una delle procedure previste dal Trattato (consultazione, cooperazione, codecisione). Laddove è previsto devono essere richiesti i pareri di altri organi, come il Consiglio economico e sociale e il Comitato delle regioni.

Il principale requisito formale previsto per i regolamenti è la motivazione. Tuttavia, come la CGE ha sottolineato, l’obbligo di motivare dipende dalla natura del provv.to e, trattandosi di un atto destinato ad una applicazione generale, la motivazione può limitarsi ad indicare la situazione complessiva che ha condotto alla sua adozione e gli scopi generali che esso si propone.

Oltre alla motivazione, i regolamenti devono fare riferimento alle proposte ed ai pareri obbligatoriamente richiesti dal trattato.

I regolamenti sono pubblicati nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea ed entrano in vigore dopo una vacatio legis di 20 giorni, a meno che una data diversa non sia stata indicata dal regolamento stesso (art. 254 TCE).

Direttive La direttiva vincola lo Stato membro cui è rivolta per quanto riguarda il risultato da raggiungere, salva restando la competenza degli organi nazionali in merito alla forma e ai mezzi (art. 249.3 TCE). Le direttive non hanno portata generale, ma hanno come destinatari gli Stati membri.

Le direttive, inoltre, non sono obbligatorie in tutti i loro elementi, in quanto impongono un’obbligazione di risultato, lasciando liberi gli Stati di adottare le misure dagli stessi ritenute opportune.

Gli Stati devono scegliere le forme ed i mezzi più idonei a garantire la reale efficacia degli atti comunitari, alla luce della lettera e dello scopo della direttiva da recepire (sent. 48/75, Royer; sent. C- 106/89 Marleasing).

Gli atti di recepimento devono essere vincolanti e devono rispondere alle esigenze di chiarezza e certezza (ad esempio non possono essere considerate tali semplici prassi amministrative, essendo modificabili a piacimento dell’amministrazione, sent. 102/79 Commissione c. Belgio).

Infine, per quanto riguarda l’efficacia, le direttive non hanno efficacia diretta, cioè non producono diritti ed obblighi che i giudici nazionali devono far osservare. Perciò la dottrina (Pocar) sostiene che le direttive hanno un’efficacia mediata attraverso i procedimenti che gli Stati intenderanno adottare.

Direttive dettagliate Dalla formula dell’art. 249 TCE si desume che la direttiva dovrebbe limitarsi all’enunciazione di criteri generali, di regole finali destinate ad essere tradotte dal singolo Stato in norme di dettaglio.

Tuttavia, nella prassi comunitaria risulta sempre più frequente il ricorso a direttive dettagliate o particolareggiate, le quali indicano con precisione le norme interne che gli Stati sono tenuti ad adottare.

In tal modo la discrezionalità dello Stato si riduce soltanto alla scelta della forma giuridica interna da dare alla norma già fissata sul piano comunitario; scelta che si vanifica nei casi in cui la forma stessa sia praticamente vincolata, ad esempio in materie che necessariamente richiedano l’intervento legislativo.

Le direttive dettagliate sono ammissibili, non contrastano con lo spirito e la lettera dell’art. 249 TCE?  Ricorso al principio generale di interpretazione secondo cui la sostanza prevale sulla forma degli atti.

Ergo, una direttiva dettagliata che si indirizzi a tutti gli Stati membri e ponga norme di carattere generale è, nella sostanza, un regolamento. Così, pure una direttiva dettagliata che si indirizzi ad un singolo Stato membro è, sostanzialmente, una decisione.

Non osta la differenza di forme di pubblicità previste per regolamenti, direttive e decisioni: tale ostacolo è superato dalla prassi invalsa di far seguire alla notificazione delle direttive anche la loro pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale dell’Unione europea.

La dottrina, al fine di stabilire la legittimità o meno delle direttive dettagliate, distingue 2 casi: - se la direttiva dettagliata viene emanata in materia disciplinabile indifferentemente con regolamenti, direttive o decisioni, essa deve essere considerata legittima;

se, viceversa, è materia che può formare oggetto solo di direttive, si dovrebbe negare la legittimità dell’adozione di direttive dettagliate. La prassi comunitaria è, tuttavia, orientata in senso opposto a tale conclusione ed è caratterizzata dall’emanazione di direttive dettagliate anche in tali materie.

Elaborazione Per quanto riguarda l’elaborazione delle direttive, esse seguono lo stesso iter procedurale dei regolamenti. Anche i requisiti formali sono gli stessi, vale a dire la motivazione ed il riferimento alle proposte ed ai pareri obbligatori.

Pubblicità (art. 254 TCE) Le direttive del Consiglio e della Commissione che sono rivolte a tutti gli Stati membri sono pubblicate nella Gazzetta Ufficiale ed entrano in vigore alla data da essi stabilita (o, in mancanza, il 20° giorno successivo alla loro pubblicazione).

Si noti che l’entrata in vigore sul piano comunitario non equivale ad applicabilità nei singoli ordinamenti nazionali. Le direttive normalmente fissano un termine entro cui le autorità nazionali sono tenute ad adottare le misure necessarie per darvi attuazione. Soltanto al decorrere di tale data la direttiva diventa applicabile.

Le altre direttive sono notificate ai loro destinatari e hanno efficacia in virtù di tale notificazione.

Le misure nazionali di attuazione delle direttive comunitarie devono essere adottate entro il termine fissato dalla stessa direttiva: in caso di inosservanza, gli Stati membri commettono una violazione che può dare luogo non solo ad un’azione per infrazione in ambito comunitario (art. 226 TCE), ma possono anche essere invocate dagli individui con la richiesta di risarcimento danni.

Tuttavia, affinché possa configurarsi un diritto al risarcimento del danno devono verificarsi 3 condizioni: - il risultato prescritto dalla direttiva deve implicare l’attribuzione di diritti a favore dei singoli; - il contenuto di tali diritti deve essere chiaramente individuabile sulla base delle disposizioni della direttiva; - deve esistere un nesso di causalità tra la violazione dello Stato ed il danno subito dal soggetto leso.

Il compito di accertare l’esistenza delle condizioni citate nonché di quantificare il danno spetta al giudice nazionale.

Decisioni (art. 249.4 TCE) La decisione è obbligatoria in tutti i suoi elementi per i destinatari da essa designati. Caratteristica essenziale della decisione è la portata individuale. Pertanto, quando è rivolta a singoli individui, essa costituisce espressione di un’attività amministrativa piuttosto che normativa (Pocar).

Destinatari della decisione possono essere anche gli Stati membri, e in tal caso esse possono assumere carattere normativo (Monaco).

Le decisioni sono emanate normalmente dalla Commissione, mentre il Consiglio, di regola, emana solo le decisioni indirizzate agli Stati membri.

Poiché si tratta di atti a portata individuale, acquista particolare rilievo la motivazione, elemento essenziale al fine di evitare abusi da parte delle istituzioni (Pocar).

Le decisioni, come le direttive, vengono notificate ai destinatari ed acquistano efficacia dalla data della notifica o da altra data successiva, espressamente indicata.

Raccomandazioni e pareri. Le raccomandazioni e i pareri non sono vincolanti (art. 249.5 TCE). Le raccomandazioni possono essere emanate dal Parlamento europeo, dal Consiglio e dalla Commissione, alle condizioni contemplate dal Trattato.

I pareri possono essere emanati, oltre che dalle menzionate istituzioni, anche dalla CGE nella speciale ipotesi prevista dall’art. 300.6 TCE

Art. 300.6: Il Parlamento europeo, il Consiglio, la Commissione o uno Stato membro possono domandare il parere della CGE circa la compatibilità di un accordo tra la Comunità e uno o più Stati ovvero un'organizzazione internazionale con le disposizioni del presente trattato.

Infine, possono emanare pareri il Comitato economico e sociale ed il Comitato delle Regioni.

Art. 262 TCE Il Consiglio o la Commissione sono tenuti a consultare il Comitato economico e sociale nei casi previsti dal presente trattato. Tali istituzioni possono consultarlo in tutti i casi in cui lo ritengano opportuno. Il Comitato, qualora lo ritenga opportuno, può formulare un parere di propria iniziativa.

Art. 265 TCE Il Consiglio o la Commissione consultano il Comitato delle regioni nei casi previsti dal presente trattato e in tutti gli altri casi in cui una di tali due istituzioni lo ritenga opportuno, in particolare nei casi concernenti la cooperazione transfrontaliera.

Art. 265.5 TCE Il Comitato delle regioni, qualora lo ritenga utile, può formulare un parere di propria iniziativa.

Mentre la raccomandazione ha il preciso scopo di sollecitare il destinatario a tenere un determinato comportamento giudicato più rispondente agli interessi comuni, il parere tende piuttosto a fissare il punto di vista della istituzione che lo emette, in ordine ad una specifica questione.

A tale distinzione non deve però attribuirsi un significato decisivo, dal momento che talvolta certi pareri hanno come obiettivo quello di ottenere una modifica del comportamento del destinatario.

Le raccomandazioni ed i pareri non sono sottoposti ad alcuna forma particolare, fatta eccezione per alcuni pareri per i quali il TCE prevede una motivazione espressa (ad es. art. 226 TCE, il quale richiede il parere motivato della Commissione qualora questa ritenga che uno Stato membro non abbia adempiuto agli obblighi a lui derivanti dal Trattato).

Sia le raccomandazioni, sia i pareri possono avere come destinatari gli Stati membri, oppure le altre istituzioni comunitarie o ancora i soggetti di diritto interno degli Stati membri.

L’efficacia non vincolante di raccomandazioni e pareri non implica che essi siano totalmente sprovvisti di alcun effetto giuridico. In dottrina, si è posto in evidenza come essi producano il cd. effetto di liceità, nel senso che è da considerarsi pienamente lecito un atto, di per sé illecito, emanato per rispettare una raccomandazione di un’istituzione.

Le raccomandazioni non possono essere considerate del tutto prive di effetti giuridici, essendo compito del giudice nazionale tenerne conto per procedere all’interpretazione degli altri atti vincolanti emanati dalle istituzioni comunitarie e delle norme nazionali.

Rapporti tra norme comunitarie e norme interne Aderendo alla Comunità europea, l’Italia ha accettato le condizioni di appartenenza fissate dal Trattato: in particolare, ha accettato che le “leggi” comunitarie entrassero direttamente nel proprio ordinamento, senza l’intermediazione del legislatore nazionale.

La CGE ha poi precisato che l’effetto diretto comporta la prevalenza del diritto comunitario su quello interno, sicché le norme comunitarie non solo entrano direttamente nel nostro ordinamento, ma prevalgono sulle norme interne contrastanti.

Se la legge è la manifestazione più tipica della sovranità, la prevalenza del diritto CE sulle leggi nazionali segna dunque un “cedimento” della sovranità nazionale, che viene limitata in seguito all’adesione dell’Italia alla Comunità.

La Corte costituzionale si è appellata all’art La Corte costituzionale si è appellata all’art. 11 della Costituzione italiana al fine di garantire una copertura costituzionale alla “cessione di sovranità” intervenuta con l’adesione dell’Italia alla Comunità.

In particolare, la Consulta ha fatto riferimento a quell’inciso in cui si afferma che l’Italia “consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni”.

Sia il testo, sia il contesto di questa disposizione mostrano chiaramente che essa era stata pensata per tutt’altro scopo: avrebbe dovuto servire a consentire all’Italia di partecipare ad una riedificata Società delle Nazioni (ONU), nella prospettiva di un forte potenziamento dei suoi strumenti di intervento per garantire, appunto, la pace.

Che una disposizioni serva a fini diversi da quelli immaginati dal legislatore è assolutamente normale: la disposizione si “estranea” dalla volontà del legislatore e vive di vita propria.

Così la Corte ha potuto “leggere” nell’art Così la Corte ha potuto “leggere” nell’art. 11 un’autorizzazione costituzionale a “cedere” parte della sovranità nazionale per aderire, “in condizioni di parità”, alla Comunità europea.

L’evoluzione giurisprudenziale della Consulta Che accade se una norma interna è in contrasto con una norma comunitaria? La Corte costituzionale, più volte chiamata a decidere i contrasti tra leggi ordinarie e regolamenti CE, ha dato nel tempo risposte differenti, applicando in successione i diversi criteri di risoluzione delle antinomie.

Corte Cost. - Sentenza 14/1964. Criterio cronologico Corte Cost. - Sentenza 14/1964. Criterio cronologico. I conflitti fra leggi italiane e norme comunitarie si sarebbero dovuti risolvere secondo le regole della successione delle leggi nel tempo, le norme più recenti abrogando quelle meno recenti, senza dare luogo a questioni di costituzionalità.

Questa soluzione non era affatto gradita alla CGE, impegnata a garantire sempre e comunque la prevalenza del diritto CE: che una norma nazionale potesse abrogare un regolamento CE non poteva essere considerata che un’infrazione del diritto comunitario.

Corte cost. – Sent. 232/1975. Criterio gerarchico Corte cost. – Sent. 232/1975. Criterio gerarchico. La Consulta cercò di adeguare la propria giurisprudenza, applicando il criterio gerarchico: le leggi italiane che contrastavano con un precedente regolamento CE dovevano essere impugnate davanti alla Corte costituzionale stessa per violazione dell’art. 11 Cost., ossia degli impegni e delle limitazioni che l’Italia aveva assunto ratificando il Trattato di Roma.

Anche questa soluzione non era affatto priva di inconvenienti Anche questa soluzione non era affatto priva di inconvenienti. La Consulta, impegnata nello scandalo Lockheed, venne accumulando un arretrato robusto: ciò significa che per anni il regolamento CE violato dalla legge italiana restava paralizzato in attesa che la legge venisse dichiarata illegittima.

La CGE non può certo accettare una soluzione del genere: se l’applicazione del criterio gerarchico sembra assicurare sul piano concettuale la prevalenza del diritto CE, sul piano operativo la frustra (il caso “Granital” ha dovuto attendere 12 anni prima di ottenere soluzione dalla Corte costituzionale).

Il caso Granital offre alla Corte costituzionale l’occasione di una modifica radicale del sistema dei rapporti tra diritto CE e diritto interno.

Corte cost. – Sentenza 170/1984 La sentenza si sviluppa attraverso i seguenti punti: 1 – l’ordinamento comunitario e l’ordinamento interno sono 2 ordinamenti giuridici autonomi e separati, ognuno dotato di un proprio sistema di fonti (cd. teoria dualistica);

2 – la normativa CE “non entra a fare parte del diritto interno, né viene per alcun verso soggetta al regime disposto per le leggi dello Stato”. Non esiste neppure un vero e proprio conflitto tra le fonti interne e quelle CE, perché ognuna è valida ed efficace nel proprio ordinamento secondo le condizioni poste dall’ordinamento stesso;

3 – con la ratifica e l’ordine di esecuzione del Trattato, il legislatore italiano ha riconosciuto la competenza della Comunità a emanare norme giuridiche in determinate materie e che queste norme si impongono direttamente nell’ordinamento italiano per la “forza” che ad esse conferisce il Trattato. Quindi è il Trattato che segna la “ripartizione di competenza” tra i due ordinamenti e il regime giuridico delle proprie fonti;

4 – i conflitti tra norme che eventualmente sorgano vanno risolti dal giudice italiano applicando il criterio della competenza. Il giudice deve accertare se, in base al Trattato, sia competente sulla materia l’ordinamento comunitario o quello italiano e deve di conseguenza applicare la norma dell’ordinamento competente.

La norma interna, se non competente, non viene né abrogata, né dichiarata illegittima, ma semplicemente “non applicata”. Resta valida ed efficace, applicabile eventualmente in altri casi: ma per il caso specifico il giudice la ritiene non competente ed applica invece la norma comunitaria. b