Scuola di Psicoterapia Psicoanalitica Breve Docente: Tiziana SOLA IL COLLOQUIO CLINICO Scuola di Psicoterapia Psicoanalitica Breve Docente: Tiziana SOLA
COS’E’ IL COLLOQUIO CLINICO? E’ lo strumento principale dell’esame psicologico, irrinunciabile nell’osservazione clinica E’ la clinica a “mani nude” rispetto a quella strumentale o “armata” ovvero quella effettuata con l’aiuto di strumenti psicodiagnostici Ha diversi scopi: diagnostici, psicoterapeutici, di ricerca
IL COLLOQUIO CLINICO E’ un colloquio verbale: si guarda, si ascolta per vedere meglio e ascoltare meglio E’ caratterizzato da una comunicazione non verbale importante, che accompagna la parola ritmata dal silenzio Si situa nel quadro di una relazione di cura, in cui l’oggetto di studio è un soggetto ma anche lo psicologo/psicoterapeuta e il suo funzionamento intervengono in ciò che succede Attraverso il C. C. lo psicologo si apre alla conoscenza dell’altro ma anche alla sua implicazione nel dialogo con l’altro, e alla conoscenza di sé
SITUAZIONE DEL COLLOQUIO CLINICO Il clinico si situa al servizio dell’altro che chiede sempre qualcosa, anche se il soggetto non è sempre consapevole di ciò che chiede Ci sono due persone che parlano ma che non occupano posizioni simmetriche: uno viene in ragione della funzione che l’altro riveste. Funzione che presuppone una formazione , la quale gli permette di prendere una certa posizione nel dialogo C’è dunque un clinico (varie figure) e poi c’è un cliente o paziente
LA DOMANDA NEL C. C. L’asimmetria viene dalla domanda, la quale non è sempre chiara e non è da intendersi nel senso classico del termine: spesso i pazienti vengono inviati dal medico o dallo specialista o da altri. Ci sono persone che vogliono essere curate solo dei sintomi somatici: non hanno voglia di parlare di sé e della loro vita, non ne comprendono la connessione con ciò di cui si lamentano Ci sono inoltre ambienti, quali quelli carcerari, in cui tutti i parametri della situazione clinica sono modificati
ESPRESSIONE DELLA DOMANDA NEL C. C. Anche quando il p. sa di avere un problema egli non ha mai un’idea veramente chiara di ciò che riceverà E’ possibile che il p. chieda una soluzione miracolosa, come se il sintomo fosse qualcosa di estraneo che va eliminato come un farmaco ci libera dal dolore I malesseri sono sempre espressione di disagio esistenziale, di problemi della vita, e non si possono risolvere senza cambiare se stessi In realtà il p. non sa che ciò implica un prezzo alto : quello di rimettere in discussione il suo equilibrio, il suo modo di concepire la vita, e rinunciare ai “benefici” della malattia
COMUNICAZIONE AUTENTICA TRA CLINICO E PAZIENTE L’asimmetria dipende dalla particolare funzione del clinico che non riceve e non ascolta come un amico, anche se nella situazione di incontro può assumere un atteggiamento amicale. Ad esempio non risponde alle confidenze del paziente facendo a sua volta le sue confidenze Soprattutto non intende allo stesso modo. La narrazione del paziente viene intesa sapendo che questa implica una intenzione comunicativa nei confronti del clinico. Egli deve dunque saper intendere al di là del significato usuale delle parole.
LA COMPRENSIONE: FINALITA’ PRINCIPALE DEL COLLOQUIO Il clinico invita ad un tipo di discorso non direttivo, nel senso che egli è presente come interlocutore “vivente” e disponibile, cercando di non influenzare il paziente e di non far intervenire le sue problematiche Deve insomma facilitare una libertà di parola, aiutandolo se questo ha difficoltà a reperirsi nei suoi vissuti, senza aver fretta di comprendere o di indagare morbosamente su qualche aspetto che il paziente può non essere pronto ad affrontare. Freud chiamava tale atteggiamento “neutralità benevola”
IL LINGUAGGIO DEL COLLOQUIO Il colloquio è uno scambio di parole. Lo scambio avviene attraverso il canale verbale e non verbale. Il clinico lavora non solo sulle informazioni che ha ricevuto ma su ciò che si mobilizza in lui nel contesto del colloquio, senza dimenticare che egli è parte integrante di ciò che sta osservando, ovvero che si trova al tempo stesso all’interno e all’esterno di questa interrelazione Il clinico deve entrare nella modalità comunicativa del paziente cercando di adattarsi al suo linguaggio e di comprendere qualcosa dell’organizzazione dinamica interna del paziente.
LE ATTITUDINI SPECIFICHE DEL CLINICO Ciò che facilita uno svolgimento soddisfacente del colloquio da parte del clinico è la presa di coscienza e il superamento di ciò che rischia di ostacolare la comunicazione (il desiderio di comprendere se stessi si infiltra spesso nel desiderio di comprendere l’altro). Le attitudini specifiche da sviluppare sono tre: 1) La possibilità di identificarsi al paziente 2) La capacità di mantenere la buona distanza 3) la giusta misura degli interventi
L’IDENTIFICAZIONE COL PAZIENTE • E’ incontrando l’altro su qualche punto di simile che possiamo arrivare a comprendere la complessità e la ricchezza dei processi psichici del nostro interlocutore. Ciò si realizza attraverso l’empatia • Identificarsi è cercare di penetrare il senso del linguaggio del paziente, impiegando le sue parole, rappresentandosi il suo entourage e il suo passato. • La finalità è quella di riuscire a sentire, poco a poco, dall’interno i problemi che agitano il paziente, si da diventare atti a parlargli con un linguaggio che quest’ultimo comprenderà, sentendosi rispettato nella sua persona.