Imposta sul reddito d’impresa Rif Longobardi ..
Assenza di traslazione dell’imposta Un’imposta generale sul reddito d’impresa non si trasla nei seguenti casi: L’imposta colpisce il vero profitto economico dato dalla differenza tra ricavi totali e costi totali economici comprendenti la remunerazione ai prezzi di mercato dei fattori interni all’impresa. Il mercato si trova in una della due condizioni polari: concorrenza perfetta e monopolio Le imprese massimizzano i profitti
Incidenza dell’imposta in concorrenza perfetta Consideriamo il mercato di concorrenza perfetta distinguendo il lungo ed il breve periodo. Nel lungo periodo non si realizzano profitti e quindi svanisce la base imponibile dell’imposta sui profitti Nel breve periodo si generano profitti. La traslazione dell’imposta avviene in seguito ad una contrazione dell’offerta che si può verificare per due motivi: Perché si riduce il numero delle imprese Perché ciascuna impresa riduce la quantità
Incidenza dell’imposta in concorrenza perfetta. Breve periodo Il numero d’imprese non si riduce perchè Le imprese marginali non guadagnano profitti e quindi non pagano l’imposta; se avevano convenienza a rimanere sul mercato prima dell’introduzione dell’imposta non avranno motivo ad uscirne dopo l’introduzione. Le imprese inframarginali non hanno convenienza a spostarsi in altri settori data la natura generale dell’imposta
Incidenza dell’imposta in concorrenza perfetta Breve periodo La quantità offerta dalle imprese inframarginali non si riduce perchè Il livello di prodotto dell’impresa è determinato dall’intersezione della curva dei costi e dei ricavi marginali. Un’imposta con una data aliquota sui profitti non modifica né i costi marginali né i ricavi marginali, quindi nessuna impresa è incentivata a cambiare la sua decisione di produzione. Poiché il livello di prodotto non varia, non cambia neppure il prezzo pagato dai consumatori, che perciò non vedono ridurre il loro benessere. L’imposta è tutta assorbita dalle imprese.
Incidenza dell’imposta in monopolio Anche in monopolio la quantità prodotta è data dall’eguaglianza tra ricavo marginale e costo marginale. L’imposta non modifica le curve di ricavo marginale e costo marginale e pertanto lo stesso livello di quantità massimizza il profitto prima e dopo l’introduzione dell’imposta. L’imposta riduce solo l’ammontare dei profitti
Traslazione dell’imposta generale sul reddito d’impresa Consideriamo due casi in cui l’imposta generale sui redditi di impresa si può traslare sui consumatori: La base imponibile dell’imposta non è costituita dal vero profitto economico Nelle forme di mercato diverse dalla concorrenza l’obbiettivo dell’impresa può essere diverso dalla massimizzazione del profitto.
La base imponibile non è il vero profitto economico Come abbiamo detto il profitto deve tener conto di tutti i costi, sia quelli contabili che i costi opportunità come, per esempio, la remunerazione che il capitale proprio potrebbe ottenere se fosse investito sul mercato anziché nella propria impresa. Un’imposta generale che tassa con la stessa aliquota sia i redditi d’impresa che i redditi da capitale modifica nella stessa proporzione i ricavi ed i costi dell’impresa e quindi non influenza la quantità d’equilibrio scelta prima dell’imposta. Se invece il sistema tributario riserva ai redditi da capitale un trattamento diverso da quello del reddito d’impresa, l’imposta si trasferisce.
Trattamento fiscale differenziato dei redditi da capitale Consideriamo un’impresa inframarginale in concorrenza perfetta che investe il proprio capitale nell’impresa rinunciando al rendimento del 5% che potrebbe ottenere investendo il capitale nel mercato obbligazionario. Il 5% rapresenta il costo opportunità del suo capitale che deve includere nei costi marginali. Supponiamo che lo stato introduca un’imposta sui redditi d’impresa con un’aliquota del 20% mentre i redditi da capitale restano esenti. Ciò vuol dire che il costo opportunità del capitale è sempre il 5%. Ne consegue che l’impresa dovrà includere nei costi marginali un costo opportunità del 6,25% che , in presenza di un’imposta del 20%, dà luogo ad un rendimento netto del 5%. L’introduzione dell’imposta ha determinato un aumento dei costi marginali delle singole imprese che comporta una riduzione dell’offerta aggregata e quindi una traslazione dell’imposta.
Massimizzazione del fatturato con vincolo di profitto minimo Nelle grandi imprese dove c’è separazione tra amministratori e proprietari i primi possono perseguire l’obbiettivo di massimizzare il valore delle vendite con il vincolo di assicurare un profitto minimo. Ciò può avvenire quando: Obiettivo del management è la massimizzazione delle dimensioni dell’impresa, misurate dal fatturato, da cui dipende la sua remunerazione; Obiettivo della proprietà sia la massimizzazione del profitto; I proprietari non possono controllare direttamente l’azione degli amministratori; Gli amministratori sono consapevoli che aldisotto di una soglia di profitto perdono la fiducia della società.
Massimizzazione del fatturato con vincolo di profitto minimo Supponendo che il profitto minimo sia pari a 5, la quantità scelta dall’impresa, q* , è quella che garantisce che la differenza tra ricavi totali (RT) e costi totali (CT) sia pari a 5
Massimizzazione del fatturato con vincolo di profitto minimo L’introduzione dell’imposta sul profitto con un’aliquota t riduce il profitto netto al disotto del 5
Massimizzazione del fatturato con vincolo di profitto minimo Poiché q* è nel tratto decrescente della funzione di profitto (elasticità della domanda in valore assoluto minore di 1 che implica ricavo marginale negativo, ), una riduzione della quantità comporta un aumento del ricavo totale , una riduzione del costo totale e quindi un aumento del profitto L’impresa ridurrà la quantità fino a riportare il profitto netto pari a 5 Ciò comporta un aumento dei prezzi e la traslazione parziale dell’imposta sui consumatori.