Elementi di psicopatologia Introduzione al corso
Cos’è la psicopatologia?
The mith of mental illness (T. Szasz) La malattia mentale – afferma Szasz - non è una «cosa» o un oggetto fisico; può esistere solo nel modo in cui esistono altri concetti teorici
È il nome con cui spesso ci spieghiamo i problemi del vivere (che in altri momenti storici abbiamo casomai spiegato ricorrendo a demoni, streghe …morsi di ragni)
Alcune scuole di pensiero ritengono che la malattia mentale abbia un fondamento organico, e sia dunque in qualche modo una «cosa», un elemento della realtà. L’unico aspetto che la differenzierebbe dalle malattie organiche è che quelle mentali hanno effetti sulla psiche, quelle organiche sul corpo.
Tuttavia, molti pensieri/credenze/fantasie che caratterizzano il disagio mentale non sono correlabili a qualche tipo di deficit organico definire un sintomo, il sintomo di un disagio mentale non è la semplice descrizione di un fatto – osserva Szasz: implica inevitabilmente un confronto tra ciò che vede o sente il paziente (es. di essere spiato) e quelle dell’osservatore e del contesto sociale, che deve riconoscere incongruenti tali idee.
Per esempio, culturalmente tendiamo a riconoscere incongruente (e patologico) l’atto di lavarsi continuamente le mani, meno la sistematica abitudine di frenare la macchina quando passa un gatto nero (più diffusa e socialmente accettata)
Altre scuole di pensiero riferiscono la malattia mentale a disturbi della personalità, che sarebbero all’origine di un non armonico modo di vivere
Ma – osserva Szasz - ritorna la domanda: Chi valuta come armonico o non armonico il modo di vivere? Anche in questo caso, il concetto di malattia mentale implica il riferimento implicito a norme, psicosociali, legali o etiche (come quando definiamo patologica un’ostilità cronica)
La posizione di Szasz (the mental ilness is a myth) può apparire provocatoria ma aiuta a confrontarci con il fatto che: in qualunque modo definiamo la psicopatologia, è difficile sottrarla all’influenza del contesto sociale e culturale è difficile pensare che il modo con cui ce ne occupiamo sia esente da valori o implicazioni etiche e sociali.
Ad esempio riconoscere nel rapporto esclusivo con la slot machine un «vizio», o piuttosto un sintomo di un disturbo definibile come addiction, ha profonde ripercussioni sul modo con cui le persone agiscono e reagiscono nei confronti dell’utilizzatore. Per un approfondimento: Venuleo, C., & Marinaci, T. (2017). The Social Construction of the Pathological Gambler's Identity and Its Relationship With Social Adaptation: Narratives From Members of Italian Gambling Anonymous and Gam-Anon Family Groups. Journal of Gambling Issues, (36): http://jgi.camh.net/index.php/jgi/article/view/3985
Una definizione piuttosto generale è quella proposta da Ossorio (1985). C’è psicopatologia quando c’è un significativo restringimento della propria capacità : A) di ingaggiarsi in azioni deliberate B) di partecipare alle pratiche sociali della comunità
A) significativo restringimento della propria capacità di ingaggiarsi in azioni deliberate La psicopatologia implicherebbe un certo livello di «non posso», più che di «non voglio» Non posso perché non so (es. ritengo di avere un peso adeguato anche se sono pelle e ossa) o perché non riesco a controllare il comportamento
Il criterio A consente di distinguere la psicopatologia dalla deliberata immoralità, dall’anticonformismo o dalla ribellione, che implicano rifiuto di comportarsi in un certo modo, non inabilità a farlo.
B) Restringimento della capacità di partecipare alle pratiche sociali della comunità Cosa tuttavia la persona dovrebbe essere capace di fare? Rispetto a quale criterio/standard possiamo considerare significativo il restringimento? In tempi e culture differenti non sono cambiate le pratiche sociali e le possibilità di gruppi sociali differenti di accedervi?
Da un documento rivolto a personale di un’azienda italiana «Dopo che un impiegato avrà lavorato 13 ore in ufficio, dovrà passare il rimanente tempo leggendo la Bibbia o altri buoni libri…Ogni impiegato che fumi sigari spagnoli, faccia uso di liquori in qualsiasi forma, frequenti biliardi o sale pubbliche, ci darà una buona ragione per sospettare della sua integrità…» (1839) L’esempio per evidenziare che in altri tempi l’estensione (e non il ristringimento) delle pratiche sociali veniva considerata segnale di mancata integrità
Anche la definizione generale di Ossorio evidenzia i limiti di qualunque sforzo concettuale volto ad attribuire sostanza ontologica alle nozioni di salute e patologia.
La valutazione della psicopatologia è inscritta in un certo milieu culturale
Il punto di vista socio-costruzionista Negli ultimi decenni, differenti prospettive teoriche hanno favorite una critica radicale alla visione dei problemi mentali come “stati del mondo”, incapsulati nella testa dell’individuo. L’azione e l’identità individuale è inerentemente sociale, e più specificatamente, derivate da significati condivisi (Sugiman et al., 2008).
Applicata alla psicopatologia, la prospettiva socio-costruzionista enfatizza come le categorie psicopatologiche che nel corso del tempo hanno assunto un privilegiato valore ontologico nella vita di pazienti, professionisti e servizi di cura (Gone & Kirmayer, 2010), non sono il prodotto di specifiche modalità di funzionamento della mente, localizzate nell’individuo, piuttosto script socialmente collocati nella sfera del discorso sociale, con la quale alcuni individui si identificano (Gergen, 1985, p. 268). L’enfasi è sulla costruzione dell’identità sociale (anche di quella di malato)
Processi sociali e politici (media, ricercatori, politiche della salute ed economiche, stigma sociale) influenzano il modo con cui le persone descrivono, spiegano e danno conto della loro realtà interna ed esterna (inclusi se stessi e i propri comportamenti (Muehlenhard & Kimes, 1999). Il fatto che molti pattern di comportamento siano stati nel tempo diversamente descritti come forme di peccato, di intrattenimento e poi come serio problema di salute mentale, dà conto di questo processo.
Questo non significa che la patologia non esiste al di fuori delle pratiche linguistiche ma enfatizzare che le pratiche linguistiche assumono valore di vita per le persone, orientando il mondo con cui esse (e i loro familiari) presentano I sintomi, le ragioni dell’aiuto, gli obiettivi dell’intervento (Conrad & Barker, 2010; Kleinman et al., 2006).
È tuttavia utile chiarire che le categorie psicopatologiche non sono prive di utilità dal punto di vista clinico. In primo luogo perché rappresentano un organizzatore semiotico della domanda, un linguaggio in grado di mediare la relazione tra offerta e domanda di servizi psicologici. In molti casi le persone si rivolgono allo psicologo sulla base della interpretazione dei propri problemi in termini di disturbo mentale.
In secondo luogo, le categorie psicopatologiche hanno una funzione specificamente clinica: esse rappresentano prototipi descrittivi delle configurazioni psicologiche di cui sono portatori i fruitori che orientano il lavoro clinico.
Per un clinico, riconoscere che il modo di agire dentro e fuori dal setting clinico di un certo fruitore sia descrivibile come un disturbo narcisistico di personalità o che il problema con cui è alle prese sia interpretabile come un sintomo ossessivo, e così via, è certamente utile. Tale riconoscimento, infatti, aiuterà il clinico: ad organizzare le modalità di lavoro (es. in termini di setting) a selezionare e modulare il tipo di interventi (es. interpretativi/supportivi) ad anticipare il tipo di impatto delle proprie azioni a comprendere quanto detto e/o fatto dal fruitore ad individuare i modi di regolazione della relazione …
Ad esempio, riconoscere nel paziente i marcati e repentini cambiamenti dell’umore che caratterizzano un disturbo borderline di personalità aiuterà il clinico a comprendere la confusione provata in seduta e a gestirla.
Questo tipo di utilità è coerente con il riconoscimento del carattere descrittivo della categoria psicopatologica, considerata una mappatura di contenuti ideativi, conativi, motivazionali, affettivi, di modalità comportamentali e di funzionamento mentale sufficientemente stabile nel tempo e tra i contesti.
I problemi nascono quando le categorie psicopatologiche, invece che in termini descrittivi di pattern di funzionamento, vengono interpretate in chiave normativa e assunte come ciò che motiva l’intervento.
In particolare: mentre sul piano descrittivo la categoria psicopatologica mappa un certo stato dei fatti, quando interpretata normativamente tale configurazione acquista il significato di scarto: lo stato dei fatti che la categoria riferisce (si tratti di impulsività, disinibizione, o altro) non è più considerato in quanto tale, ma in quanto deviazione dalla normalità attesa
Quale limite? Sul piano interpretativo, lo spostamento di focus sul carattere di deviazione della configurazione psicopatologica, porta a lasciare sullo sfondo, la specifica organizzazione psicologica e condizione soggettiva del paziente: il clinico vede il narcisismo, non il narcisista, la depressione, piuttosto che il depresso e così via.
La condizione soggettiva del paziente (es La condizione soggettiva del paziente (es. il so sentirsi anestetizzato emotivamente) non è ovviamente negata, ma trattata come uno stato causato dalla condizione psicopatologica, interpretato dunque, in ultima istanza come una funzione di tale condizione.
Sul piano dell’intervento, la connotazione della psicopatologia come deviazione, si riflette in una concezione ortopedica della funzione psicologica. Nella misura in cui il problema è interpretato nei termini di deviazione da una condizione di normalità, la funzione dell’intervento è di ripristinare tale condizione o comunque di raggiungere una condizione che riduca quanto più possibile la distanza da tale condizione.
Rispetto a tale scopo la realtà esistenziale propria del paziente è secondaria–può contribuire a determinare le condizioni e i vincoli entro cui l’intervento può realizzarsi, ma lo scopo in quanto tale è inscritto nella categoria psicopatologica: consiste nel suo superamento.
Ciò che in questo modo viene meno è la possibilità di concepire l’intervento psicologico come una funzione di servizio volta a sostenere il progetto del fruitore. Progetto che per definizione è specifico, idiosincratico, contingente alle condizioni di esistenza del fruitore, espressione del suo peculiare, incommensurabile modo di entrare in rapporto con le richieste di adattamento del suo contesto di vita
VALUTAZIONE IN CHIAVE DI SERVIZIO PROGETTO MODELLO DI ADATTAMENTO pattern di funzionamento mentale Il loro nesso qualifica – idiograficamente–l’utilità derivabile dall’esercizio della funzione psicologica in ragione di una particolare, unica ed irripetibile condizione del fruitore, per come veicolata dal suo atto di chiedere l’intervento psicologico.
Il progetto del fruitore Il fruitore si rivolge allo psicologo perché vuole affrontare una condizione critica, con l’aiuto dell’esperto. La criticità lamentata dal fruitore non ha un significato univoco; acquisisce il suo significato (quello che sostanzia il valore di utilità del servizio), nel contesto del progetto del fruitore.
Si prenda ad esempio chi si trova alle prese con una crisi sentimentale. Molte persone condividono una simile situazione; cosa tuttavia la “crisi” significhi per il soggetto varia da caso a caso: per qualcuno il riconoscimento della necessità di un ripensamento profondo del proprio modo di essere («mi sembra di ripetere sempre gli stessi errori»); per altri la perdita di un nutrimento sentito come essenziale («ho bisogno dello sguardo dell’altro»); e così via. Il servizio che lo psicologo può rendere non riguarderà dunque la crisi lavorativa in sé, ma ciò che essa significa entro il progetto della persona - vale a dire, secondo i casi: ripensare le proprie scelte e il proprio modo di essere, fare i conti con il senso radicale di perdita, recupere la capacità di investire e di ricercare gratificazione. In definitiva, il progetto di servizio è per definizione unico e irripetibile, disegnato sulla condizione esistenziale – il progetto – del fruitore che lo sollecita.
Il modello di adattamento Un modello di adattamento è un modello che almeno fino ad un certo punto nella vita della persona ha alimentato modalità di rapporto con il mondo con le quali la persona si è identificata, indipendentemente dai costi esistenziali che tale identificazione ha comportato. Da questo punto di vista, la decisione di rivolgersi allo psicologo va intesa come l’affermazione performativa dell’inaccettabilità di tali costi, funzione di variazioni delle condizioni di contesto (nuovi compiti evolutivi, nuovi vincoli).
Luana viene in terapia, motivata da un umore che definisce depresso Luana viene in terapia, motivata da un umore che definisce depresso. Nel corso dei primi colloqui emerge il suo grande investimento sul lavoro, che è stato gratificante e le ha permesso di assumere ruoli di responsabilità e coordinamento. Sono intervenute però altre situazioni contestuali: si è confrontata negli ultimi tempi con una serie di relazioni sentimentali che si sono chiuse per volontà del partner e ora, a 35 anni, si chiede se cominci ad essere troppo tardi per lei il progetto di costruire una famiglia e di avere dei figli Qualunque sia l’origine del super investimento lavorativo, è stato appagante fino a poco tempo fa. Sono intervenute però altre situazioni e altri obiettivi
Sul piano della valutazione, questo comporta l’opportunità di esplorare in chiave evolutiva le circostanze in rapporto alle quali il modello di adattamento risulta precipitare in costi esistenziali tali da indurre la persona a richiedere l’intervento dello psicologo.
Nella logica della patologia Nella logica di servizio un pattern di funzionamento mentale devia o no da una modalità attesa di funzionamento un pattern di funzionamento mentale in sé non è né positivo né negativo Lo scarto dalla norme attiva l’intervento la valutazione e l’intervento psicologico si giustificano (assumono senso) non in quanto il pattern di funzionamento mentale è in sé critico; piuttosto in quanto il modello di adattamento che esso alimenta pone vincoli al progetto della persona, poste le specifiche circostanze e le condizioni di contesto.
In un’ottica di servizio, l’identificazione della psicopatologia non è il primo organizzatore dell’intervento, o il primo scopo del colloquio clinico.
A orientare l’intervento sarà... la comprensione della domanda del cliente la comprensione degli eventi critici che hanno sollecitato la sua domanda di aiuto, la comprensione del suo progetto di sviluppo la comprensione delle condizioni soggettive e contestuali che – rispetto al suo progetto di sviluppo – rendono critico il suo modello di adattamento
È IMPORTANTE TUTTAVIA RIBADIRE CHE SIA LA VISIONE DELL’INTERVENTO PSICOLOGICO IN TERMINI DI SERVIZIO CHE LA VISIONE DELL’INTERVENTO IN TERMINI DI CURA DELLA PSICOPATOLOGIA ASSUMONO CHE: è possibile descrivere la persona in ragione di una certa modalità di relazione con il mondo che si riproduce in modo ridondante tra le situazioni. i modelli di adattamento possono differenziarsi quanto a capacità adattiva. I modelli di adattamento sono riconducibili a pattern di funzionamento mentale, che vanno riconosciuti ed elaborati.
Il corso si propone di sostenervi nella conoscenza dei principali pattern di funzionamento mentale e delle indicazioni che il loro riconoscimento può offrire alla gestione dell’intervento (non alla definizione degli obiettivi che – lo ripetiamo - passa anche attraverso la considerazione del progetto e del modello di adattamento del fruitore)
Testi McWilliams, N. (2012). La diagnosi psicoanalitica. Astrolabio Szasz, T. S. (1960). The myth of mental illness. American psychologist, 15(2), 113-118 (scaricabile da pagina docente – sezione documenti) Il materiale utilizzato a lezione (slide) e fornito nella piattaforma online dell’insegnamento Lettura consigliata: Cancrini, L., La Rosa, C. (2001). Il vaso di Pandora. Manuale di psichiatria e psicopatologia. Carocci
Modalità d’esame L'esame prevede un accertamento scritto. Lo studente ha a disposizione 30 minuti per rispondere ad un questionario composto da domande con risposte a scelta multipla, proposte in forma cartacea o tramite computer.