Lezione 9 Logica di correzione del deficit vs

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Transcript della presentazione:

Lezione 9 Logica di correzione del deficit vs Logica di promozione dello sviluppo

Il posizionamento dello psicologo clinico su ciascuna delle dialettiche dell’intervento discusse (utente vs cliente, obiettivi di stato vs obiettivi metodologici, modelli tecnicali vs modelli situati) rimanda a due principali modelli di azione professionale, che Renzo Carli e Rosa Maria Paniccia (2003) propongono di chiamare: La logica di correzione del deficit La logica di promozione dello sviluppo della relazione individuo-contesto

La logica di correzione del deficit L’unità conoscitiva e di intervento alla quale viene rivolta l’attenzione è un individuo (o un insieme di individui), i cui comportamenti, atteggiamenti, pensieri, condizioni di vita “deviano” da un modello atteso (e legittimato socialmente*).

Porre la diagnosi significa in questo caso raccogliere sotto una particolare configurazione psicopatologica una serie di sintomi che il paziente presenta, dare loro un nome e passare poi ad un eventuale trattamento successivo. A B D E F

La domanda di consultazione, il significato che assume la richiesta per chi la pone, il modo in cui viene espresso e formulato il problema, le fantasie e gli scopi con cui il cliente giunge a consultazione, non sono considerati dati rilevanti per orientare il processo diagnostico, né l’intervento successivo, “comunque” rivolto alla “guarigione” (Merendino, 1984).

L’intervento clinico tende ad essere identificato con l’intervento psicoterapeutico e questo ad essere concepito come prassi di cura di problemi “appartenenti” all’individuo

I: se il paziente le porta un problema non identificabile come malattia rintracciabile nel DSM cosa fa? P: se il paziente ti porta un problema non clinico tu non puoi fare niente e glielo dici I: cosa è per lei un problema clinico? P: un problema che abbia a che fare con la sofferenza I: la clinica quindi si occupa solo di sofferenza? P: si, di sofferenza personale ...

Si può, in termini più ampi, concepire l’intervento clinico al servizio di individui, gruppi, organizzazioni. E tuttavia definirne le modalità di funzionamento in termini invarianti, disancorate (indipendenti) dal contesto (organizzativo e culturale) di questi individui, gruppi, o organizzazioni. Si allarga il campo delle prospettive di intervento ma non si pone, come nel primo caso, il problema di valutare il contesto (organizzativo e culturale) che motiva la domanda

La logica di promozione dello sviluppo È una logica comprensibile entro un generale paradigma socio-costruttivista

Alcune premesse comuni alle prospettive socio-costruttiviste Situatività: La conoscenza (e la comprensione che abbiamo della realtà) è storicamente e culturalmente situata: ciascuna forma di conoscenza ha radici e rapporti con un tempo specifico ed con una cultura particolare e non può mai essere presa come una descrizione assoluta della natura o dell’esperienza umana. (neanche la narrazione del cliente lo è; lo stesso individuo potrà produrre narrazioni diverse dello stesso evento in tempi diversi) Anti-realismo: le nostre percezioni non sono la traduzione diretta della realtà esterna, è la realtà piuttosto ad essere il prodotto della costruzione delle nostre percezioni. (es. le mie anticipazioni di cosa l’altro prova e sente o le mie teorie su ‘che tipo di persona è’ contribuiscono a costruire le azioni e re-azioni dell’altro)

Anti-essenzialismo: il mondo sociale, così come l’individuo, è il prodotto di complessi processi sociali, per cui non vi sono delle particolari “essenze” o “attributi”, dentro alle cose o alle persone, che di per sé le farebbero diventare nel modo in cui esse sono. Inter-soggettivismo: la realtà osservata, in quanto prodotto di una continua co-costruzione con i soggetti interagenti può essere descritta come “realtà intersoggettiva”. Sono principi che mettono in radicale discussione i cardini dell’epistemologica individualista

La logica di promozione dello sviluppo Si assume che quanto può essere funzionale in un certo contesto (simbolico, culturale, organizzativo) può non esserlo in un altro. Il «problema» in questa ottica non concerne un certo tipo di deficit e di modalità di funzionamento, ma il rapporto tra tale modalità e lo sviluppo che entro un certo contesto (organizzativo e simbolico-culturale) si intende perseguire, in uno o più domini dell’esperienza.

L’intervento si configura come promozione del rapporto tra il (sistema) cliente e il contesto cui partecipa

Il processo può essere descritto nei termini di una promozione di costruzione di significati che possano implementare i modelli decisionali degli attori e la loro possibilità di ricomporre il gap tra modelli e obiettivi perseguiti.

Sergio Salvatore e Massimo Grasso (1997) parlano di ‘crisi di decisionalità’ per indicare la condizione motivante la possibile richiesta di aiuto psicologico. .

Definiamo “decisionalità” la qualità di un attore (sia esso individuo, gruppo, organizzazione) di mantenersi orientato allo scopo (Grasso, Salvatore, 1997). Definiamo “crisi di decisionalità” non semplicemente l’incapacità nel prendere decisioni, ma l’incapacità di prendere decisioni orientate allo scopo GRASSO M., SALVATORE S. (1997), Pensiero e decisionalità. Contributo alla critica della prospettiva individualistica in psicologia, Franco Angeli, Milano.

Poniamo ora un attore in crisi di decisionalità Poniamo ora un attore in crisi di decisionalità. Questi potrà adottare due modelli generali.

Modello 1 (assimilazione) Modello 1 (assimilazione). Ricerca di nuovi opzioni all’interno dello schema di azione dato. Modello 2 (accomodamento). La crisi di decisionalità è interpretata come una conseguenza dell’inadeguatezza del modello decisionale utilizzato.

Tale modello di azione non mette in discussione la strategia decisionale generale. Cerca di controllare (attraverso la ricerca di informazioni, strumenti, tecniche…), i fattori di contesto che la “disturbano Es. di fronte alla difficoltà dell’auto di fare una salita, cambierò marcia… Di fronte ai capricci di mio figlio, deciderò di essere ‘più’ autoritario …

Modello 2 (accomodamento) Modello 2 (accomodamento). La crisi di decisionalità è interpretata come una conseguenza dell’inadeguatezza del modello decisionale utilizzato. La soluzione è dunque ricercata nella revisione del modello, nel suo accomodamento al contesto ambientale, piuttosto che nella ricerca di nuovi strumenti. Es. di fronte alla difficoltà dell’auto di fare una salita, concluderò di aver bisogno di un fuori strada

La decisione di rivolgersi allo psicologo segnala la disponibilità ad una certa quota di accomodamento («sono, in certa misura, disponibile a riflettere su di me, non solo sugli «altri» o sulle cose che mi capitano»)

Il lavoro clinico sostiene il cliente nel recupero della propria decisionalità, dunque della sua capacità di compiere azioni (in senso lato) coerenti con gli obiettivi di sviluppo perseguiti nelle proprie relazioni.

Il modello dell’analisi della domanda (Carli, 1987; Carli & Paniccia, 1999) si propone come teoria della tecnica dell’intervento clinico volto a promuovere questo tipo di sviluppo.

Introducendo il modello dell’analisi della domanda (Renzo Carli)

Il modello dell’analisi della domanda prende le distanze dall’assimilazione della funzione psicologico clinica a quella medica. I modelli psicologici possono individuare eziologia e terapia del sintomo, non della “malattia” . Nel mimare la prassi medica, lo psicologo clinico finisce quindi per limitare la sua prassi a una terapia sintomatica

Anche a partire da queste considerazioni, Renzo Carli propone che in psicologia clinica il “sintomo” al quale prestare attenzione (da interrogare e da interpretare) sia la stessa DOMANDA di consultazione (non i sintomi dichiarati o rilevabili, ma il testo simbolico proposto attraverso la decisione di rivolgersi allo psicologo per quel problema, in quel modo presentato). .

Nell’accezione psicologica, con il termine domanda si intende il modello simbolico-culturale che motiva, orienta e configura la proposta che un attore sociale (il cliente) avanza ad un terzo (l’erogatore del servizio) di implicarsi nei propri scopi

L’ipotesi fondante il modello di analisi della domanda è che, nella relazione con lo psicologo, il cliente riproponga i modelli e le proposte relazionali agite nel contesto di appartenenza; gli stessi che sono andati in crisi, motivando la decisione di richiedere una consulenza.

La relazione clinica funziona da strumento conoscitivo (oltre che, come si vedrà, di intervento). Nel modo stesso di raccontarsi e di raccontare il proprio problema o il proprio progetto di sviluppo (con la moglie, con i dipendenti della sua azienda, con l’azienda per cui lavora, ecc.), il cliente segue percorsi discorsivi che rivelano le sue premesse e implicazioni identitarie e di valore. Tali premesse sostengono la ‘crisi di decisionalità’; non vanno dunque ‘rincorse’, ma analizzate e comprese; il setting clinico si configura come spazio-tempo per esplicitarle, pensarle, mobilitarle.

Lettura consigliata: l’identità della professione psicologica e la costruzione di una epistemologia comune, di Renzo Carli http://www.dialogopsicologia.it/articoli/psicologia_clinica/Lidentita_della_professione_psicologica_e_la_costruzione_di_una_epistemologia_comune42.html