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AvanguardiaVisionaria

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Presentazione sul tema: "AvanguardiaVisionaria"— Transcript della presentazione:

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Corso di Fotografia Digitale STORIA DELLA FOTOGRAFIA HENRY CARTIER-BRESSON

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Quando si parla di arti espressive come la pittura, la scultura o la musica, quasi sempre è possibile trovarne il suo simbolo più rappresentativo, ovvero colui che più facilmente di altri viene associato a quello specifico campo artistico. E così, ad esempio, Caravaggio è la pittura, Michelangelo è la scultura e Mozart è la musica. Certo, se ne potrà discutere all’infinito e ci sarà sempre chi preferirà l’uno all’altro. Ma se parliamo di fotografia, possiamo affermare con pochi dubbi che Henri Cartier-Bresson è unanimemente riconosciuto come “il fotografo” per eccellenza. Henri Cartier-Bresson nasce in Francia, nei pressi di Parigi, nel 1908 e inizialmente si dedica alla pittura, poi al cinema. In principio si interessa poco alla fotografia e quel poco è solo funzionale alla sua attività di pittore e aiuto regista (lavorerà nella realizzazione di tre film con Jean Renoir). L’amore vero per la fotografia, quello che lo fa innamorare del desiderio di riprendere fedelmente la realtà, avviene in un momento ben preciso, esattamente nel 1931.

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L’immagine qui sopra non è una fotografia di Cartier-Bresson, ma di Martin Munkacsi, un fotografo ungherese molto in voga negli anni ’30. E’ proprio questa immagine che fa scattare in Henri la passione per la fotografia. “E’ stata quella foto a dar fuoco alle polveri, a farmi venir voglia di guardare la realtà attraverso l’obiettivo”. Quell’obiettivo sarà precisamente un 50 mm che, accoppiato ad una Leica 35 mm, sarà il suo equipaggiamento preferito per quasi tutta la sua vita. “Ho scoperto la Leica; è diventata il prolungamento del mio occhio e non mi lascia più”.

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Armato della sua nuova passione e della sua macchina fotografica, Henri Cartier Bresson inizia a girare il mondo, inizialmente arruolandosi nella resistenza francese durante la Seconda Guerra Mondiale. “L’avventuriero che è in me si sente obbligato a testimoniare le cicatrici di questo mondo con uno strumento più rapido del pennello”. Nel 1931 lavora nel cinema come assistente del regista francese Jean Renoir e, nel 1937, firma personalmente il film Return to life. E negli anni successivi si reca in Asia. Intanto, nel 1934, conosce David Szymin, un fotografo e intellettuale polacco, che più tardi cambierà nome in David Seymour (1911–1956). Diventano subito ottimi amici, hanno molto in comune culturalmente. Sarà Szymin a presentare al giovane Bresson un fotografo ungherese, Endré Friedmann, che verrà poi ricordato col nome di Robert Capa. Durante la Seconda guerra mondiale, Cartier-Bresson entra nella resistenza francese, continuando a svolgere costantemente la sua attività fotografica. Catturato dalle truppe naziste nel 1940, riesce a fuggire dal carcere al terzo tentativo. Al suo rientro si unirà a un'organizzazione di assistenza ai prigionieri evasi. Nel 1944 fotograferà la liberazione di Parigi. Finita la guerra, ritorna al cinema e dirige il film Le Retour, documentario sul ritorno in patria dei prigionieri di guerra e dei deportati. Nel 1946 viene a sapere che il MOMA di New York intende dedicargli una mostra "postuma", credendolo morto in guerra: si mette in contatto con il museo e dedica oltre un anno alla preparazione dell'esposizione, inaugurata il 1947

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Negli anni successivi è negli Stati Uniti, dove fotografa per Harper's Bazaar. Nel 1947 fonda, insieme a Robert Capa, George Rodger, David Seymour, e William Vandivert la famosa Agenzia Magnum. Inizierà innumerevoli viaggi in cui farà molteplici reportage che gli daranno fama mondiale. La fotografia porta Henri in molti angoli del pianeta: Cina, Messico, Canada, Stati Uniti, Cuba, India, Giappone, Unione Sovietica e molti altri paesi. Cartier-Bresson divenne il primo fotografo occidentale che fotografava liberamente nell'Unione Sovietica del dopo- guerra.Tra il 1951 e il 1973 compie numerosi viaggi in Italia. Nel 1962 su incarico della rivista Vogue si reca in Sardegna dove si trattiene per una ventina di giorni. Qui visita i luoghi della tradizione: Nuoro, Oliena, Orgosolo, Mamoiada, Desulo, Orosei, Cala Gonone, Orani (dove viene ospitato dall'amico Costantino Nivola), San Leonardo di Siete Fuentes, e Cagliari. Nel 1968, Henri Cartier-Bresson inizia gradualmente a ridurre la sua attività fotografica per dedicarsi al suo primo amore artistico: la pittura, dichiarando: «In realtà la fotografia di per sé non mi interessa proprio; l'unica cosa che voglio è fissare una frazione di secondo di realtà». Con l'unica eccezione dei ritratti. Continuerà infatti a dedicarsi ai ritratti fotografici almeno fin al 1980, anno in cui fotografa Hortense Cartier-Bresson.

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Nel 1979 viene organizzata a New York una mostra tributo al genio del fotogiornalismo e del reportage. Nel 2000, assieme alla moglie Martine Franck ed alla figlia Mélanie crea la Fondazione Henri Cartier-Bresson, che ha come scopo principale la raccolta delle sue opere e la creazione di uno spazio espositivo aperto ad altri artisti; nel 2002 la Fondazione viene riconosciuta dallo stato francese come ente di pubblica utilità. Muore a Céreste, (Alpes-de-Haute-Provence, Francia) il 3 agosto 2004, all'età di 95 anni. Nella sua carriera ha anche ritratto personalità importanti in tutti i campi; Balthus, Albert Camus, Truman Capote, Coco Chanel, Marcel Duchamp, William Faulkner, Mahatma Gandhi, John Huston, Martin Luther King, Henri Matisse, Marilyn Monroe, Richard Nixon, Robert Oppenheimer, Ezra Pound, Jean-Paul Sartre ed Igor Stravinsky.

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Dalla morte di Cartier-Bresson, per evitare sfruttamenti commerciali slegati dal valore artistico delle opere, la Fondazione non autorizza più alcuna stampa di fotografie del maestro, offrendo però un servizio di autenticazione di eventuali stampe in circolazione in gallerie o antiquari. In una lettera datata 30 ottobre 2000, per evitare il commercio di stampe o lo smercio di copie sottratte, lo stesso fotografo dichiarava: «Io sottoscritto Henri Cartier-Bresson, domiciliato al 198 di rue de Rivoli, Parigi, dichiaro quanto segue. Ho sempre firmato e dedicato le stampe di mie fotografie a coloro ai quali intendevo donarle; tutte le altre stampe che recano solamente timbri o etichette Magnum Photos o il mio nome, Henri Cartier-Bresson, sono di mia proprietà. Tutti coloro che detenessero queste stampe non potranno invocare la buona fede». In linea con lo spirito che scaturisce da questo scritto, nel 1985 fece dono al Comune di Tricarico, città natale del poeta Rocco Scotellaro, di 26 fotografie che oggi costituiscono il primo e fondamentale nucleo di opere che saranno esposte nel museo delle arti figurative di quella cittadina.

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1. Cerca la semplicità Henri Cartier-Bresson è divenuto famoso per i suoi scatti realizzati nei “momenti decisivi”, grazie alla sua Leica. “Non ho mai abbondato la Leica, qualunque altro tentativo mi ha sempre fatto tornare da lei. Per me è LA macchina fotografica”. Ma cosa aveva di così speciale questa macchina fotografica? Ai tempi della sua uscita, in un certo senso Leica rivoluzionò il mondo della fotografia. Molto più leggera e meno ingombrante delle macchine a medio formato, la sua maneggevolezza la contraddistingueva decisamente dalle macchine professionali del tempo. Anche per questo motivo, venne inizialmente bistrattata dai professionisti (un po’ come succede con le mirrorless di oggi, forse…). Ad essa, Henri amava accoppiare un 50 mm e praticamente non utilizzava altri obiettivi, probabilmente per rendere il risultato dello scatto quanto più vicino possibile alla visione dell’occhio umano. “È attraverso un’economia di mezzi e l’abnegazione di sé che si raggiunge la semplicità espressiva”.

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Insegnamento Negli ultimi 10 anni il mondo della fotografia ha fatto passi da gigante e, di conseguenza, l’offerta tecnologica si è moltiplicata a livelli impressionanti. Esistono macchine per tutti i gusti, con innumerevoli funzioni, compresi gps e wifi e, parallelamente, sono stati fabbricati obiettivi utili a soddisfare le esigenze di queste macchine. Il risultato è che abbiamo macchine fotografiche appesantite da orpelli che probabilmente non useremo mai e quasi un obiettivo per ogni lunghezza focale, che ci fanno ritrovare con zaini pesanti e zeppi di accessori. Questo può condizionare notevolmente la tua fotografia, specialmente se parliamo di street photography e reportage. Un buon esercizio può essere quello di uscire a fotografare con un unico obiettivo fisso, in modo da avere più libertà nei movimenti. Inoltre, scattare fotografie utilizzando un solo obiettivo fisso per le tue sessioni, ti permetterà di avere una coerenza fotografica nel progetto che svilupperai. Come suggerisce Bresson, devi ricercare la semplicità espressiva attraverso la semplicità dei mezzi.

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2. “Guida” la tua fotocamera “Il mestiere di reporter si è perfezionato grazie alle macchine piccole e maneggevoli, agli obiettivi molto luminosi e alle pellicole a grana fine molto sensibili realizzate per soddisfare le esigenze del cinema. L’apparecchio per noi è uno strumento, non un giocattolino meccanico. È sufficiente trovarsi bene con l’apparecchio più adatto a quello che vogliamo fare. Le regolazioni, il diaframma, i tempi ecc., devono diventare un riflesso, come cambiare marcia in automobile In realtà la fotografia di reportage ha bisogno solo di un occhio, un dito, due gambe”. Per il suo tipo di fotografia, Bresson non poteva concedersi il lusso di perdere istanti preziosi per regolare la sua macchina fotografica. Cogliere l’attimo giusto era fondamentale e l’ottimizzazione dei tempi doveva necessariamente passare attraverso un uso istintivo ma consapevole dello strumento.

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Insegnamento Per un fotografo, sia esso un professionista oppure un semplice appassionato, scattare al momento “giusto” è tutto. Sia che ci si trovi in un conflitto bellico, ad un matrimonio oppure per strada a scattare della street photography, avere la capacità di cogliere il momento fa la differenza rispetto ad un “normale” fotografo. Certo, è possibile usare gli automatismi oppure la raffica (nel caso di macchine digitali), ma la fotografia di livello qualitativamente superiore puoi ottenerla soltanto se hai il totale controllo consapevole della macchina. Bresson paragonava la fotocamera all’automobile. Ricordate le prime volte che ci sedevamo in auto? C’erano una sacco di cose a cui pensare: marce, frizione, freno, acceleratore… All’inizio ci sembrava impossibile poter gestire tutto in maniera automatica. Poi, con l’esercizio costante e l’esperienza, ogni gesto è diventato naturale e quasi inconsapevole. Prova a scattare un certo numero di foto tutti i giorni, variando continuamente le impostazioni di tempi, diaframma, iso ed esposizione tra una foto e l’altra. Le moderne reflex danno addirittura la possibilità di dedicare alcuni tasti a delle funzioni specifiche, che quindi possono risultare immediatamente raggiungibili in un solo gesto. Una volta trovato il giusto feeling con la tua macchina, attraverso il costante esercizio, sarai in grado di ottimizzare i tempi e di gestire al meglio la tua fotocamera.

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3. Studia nel modo giusto L’approccio di Cartier-Bresson alla fotografia non fu né facile né immediato. Lo zio pittore lo instradò all’arte del disegno e imparò a fotografare passando intere giornate all’interno del museo del Louvre, studiando i grandi pittori e la loro composizione (come la “sezione aurea” di Piero della Francesca e Paolo Uccello), la luce naturale che illuminava i soggetti, l’efficacia di determinate pose. “La mia grande passione è il tiro fotografico, che è poi un disegno accelerato, fatto di intuizione e di riconoscimento di un ordine plastico, frutto della mia frequentazione dei musei e delle gallerie di pittura, della lettura e della curiosità per il mondo”. “Mentre si scatta una foto si realizza un quadro” disse, sottolineando quanto proprio la pittura fosse stata per lui fonte di ispirazione. La sua formazione artistica ebbe la conseguenza di farlo diventare anche profondamente ipercritico verso i suoi scatti: “le prime fotografie sono le peggiori” è una frase che sta ad indicare quanto fosse convinto che solo una lunga esperienza potesse migliorarlo.

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Insegnamento Per chi si avvicina al mondo della fotografia, i primi scatti possono essere molto deludenti. I lavori dei grandi fotografi che vediamo su internet, sulle riviste specializzate o sui libri, ci appaiono di una bellezza e una perfezione inarrivabili. E anche se cerchiamo di “copiarli”, ciò che otteniamo non è minimamente paragonabile alle loro fotografie. Per un fotoamatore alle prime armi, questo può risultare molto frustrante. Molte volte, il passo successivo è quello di abbandonare il nostro hobby e riporre la fotocamera nel cassetto. Quindi può farti bene sapere che anche per un grande come Henri Cartier-Bresson gli inizi non furono dei migliori. Lui avrebbe addirittura buttato le sue prime 10 mila foto, ma questo non fu sufficiente per farlo desistere (per fortuna!). Tutto quello che puoi fare è imparare dai tuoi errori.  Analizza i lavori altrui, ma non per imitarli. Piuttosto, cerca di capire come sono arrivati ad ottenere quel risultato, che tipo di attrezzatura hanno usato, come avevano impostato la fotocamera (ovvero i dati EXIF). Ed anche se è passato quasi un secolo dai tempi in cui Bresson visitava il Louvre, quello di studiare la composizione e la luce dei grandi maestri d’arte è un esercizio tuttora validissimo.

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4. Usa tutti i tuoi sensi “E’ un’illusione che le foto si facciano con la macchina. La fotografia è mettere sulla stessa linea di mira la testa, l’occhio e il cuore. È un modo di vivere…”. E’ probabilmente una delle frasi più conosciute di Henri Cartier-Bresson. A chi gli chiedeva da dove scaturisse questa sua capacità di cogliere momenti densi di emotività rispondeva: “È necessario sentirsi coinvolti in quello che si ritaglia attraverso il mirino. Fotografare è riconoscere nello stesso istante e in una frazione di secondo un fatto e l’organizzazione rigorosa delle forme percepite visualmente che esprimono e significano quel fatto”. C’è infine un aneddoto abbastanza divertente che descrive in maniera lampante il suo modo di intendere la fotografia. Pierre Assouline (scrittore e giornalista, divenuto poi biografo del fotografo francese) una volta gli chiese quando era stata l’ultima volta che aveva fotografato. La risposta fu spiazzante: “Ebbene, ne ho appena fatta una a lei, ma senza macchina… è venuta bene ugualmente… la stanghetta degli occhiali perfettamente parallela alla parte superiore del quadro dietro di lei, è sorprendente”. Bresson “vedeva” costantemente come attraverso un mirino…

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Insegnamento La fotografia non è un semplice scatto effettuato attraverso uno strumento fotografico, ma una vera e propria filosofia di vita. Cartier-Bresson aveva l’innata capacità di calarsi completamente nel contesto che era chiamato a riprendere. Viveva le emozioni dei suoi soggetti e ne respirava drammi e gioie. Contemporaneamente, aveva sviluppato un tale “occhio fotografico” che anche quando non aveva appresso la fotocamera, “guardava” in termini fotografici. Una sorta di deformazione professionale, ma assolutamente funzionale alla riuscita dei suoi scatti. Allena il tuo occhio. Un buon esercizio potrebbe essere quello di munirti di una cornice di cartone per provare ad inquadrare ciò che ti sta intorno, cercando di comporre una foto all’interno di essa. Oppure, se non hai appresso la cornice, può essere sufficiente formare un rettangolo unendo i pollici e gli indici delle tue mani. Sarà come avere un mirino sempre a portata di mano e ti aiuterà a capire quali scene e quali azioni meglio si prestano ad essere fotografate. Ma se l’esercizio suddetto può allenare l’occhio, ricorda che è necessario utilizzare anche gli altri tuoi sensi. Ascolta, annusa, immedesimati nella situazione e vivila sulla tua pelle. Partecipa con il cuore, solo così potrai trasferire le tue emozioni alle tue fotografie.

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5. Stampa le tue fotografie “La “tecnica” è importante solo se riesci a controllarla al fine di comunicare quello che vedi. La tua personale “tecnica” devi creartela e adattarla all’unico fine di rendere la tua visione evidente sulla pellicola. Ma solo il risultato conta, e la prova conclusiva è data dalla stampa fotografica”. Cartier-Bresson era un fautore della stampa fotografica, a suo avviso l’unico modo per valutare appieno la bontà di uno scatto.

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Insegnamento Sempre più spesso il nostro “processo fotografico” si conclude con la pubblicazione sul web o sui social network delle foto che noi riteniamo le migliori. Abbiamo immensi hard disk pieni zeppi di foto, che molto probabilmente rimarranno lì e verranno presto dimenticate. E’ chiaro che non possiamo stampare tutte le nostre fotografie, visto che le moderne macchine digitali ci permettono di scattarne a centinaia senza costo alcuno, ma per migliorare la nostra tecnica sarebbe buona abitudine scegliere periodicamente quali sono le nostre foto migliori e farne una stampa. Toccare con mano le tue creazioni aumenterà la tua autostima e ti farà sentire un “fotografo vero”. E, contemporaneamente, ti permetterà anche di valutare i dettagli dei tuoi scatti (e quindi pregi e difetti). Oppure, se non hai tempo e voglia per stampare le tue fotografie, un altro buon esercizio può essere quello di visitare le mostre dei grandi fotografi. Guardare foto belle e importanti attraverso un monitor è come ascoltare musica raffinata con delle cuffiette da quattro soldi.

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6. Nel dubbio, sii di poche parole Cartier-Bresson non era mai molto contento quando i suoi redattori aggiungevano testi alle sue immagini: “lasciamo che le foto parlino da sé e non permettiamo che delle persone sedute dietro ad una scrivania aggiungano ciò che non hanno visto. Le immagini non hanno bisogno di parole, di un testo che le spieghi, sono mute, perché devono parlare al cuore e agli occhi”. E ancora: “ad una foto stampata si può far dire quello che si vuole. Una volta ho mostrato una foto del Papa a mia madre, che era una donna pia. Mi ha detto che era la mia foto più religiosa. Un mio amico ha affermato l’esatto contrario, che era la più antireligiosa in assoluto. E allora la stampa illustrata gioca con questa ambiguità delle immagini per manipolare, e in realtà spesso comunica più del giornalismo. Ciò che è terribile sono le didascalie sotto il titolo, che cambiano il senso delle immagini”.

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Insegnamento Personalmente non sono contrario alle didascalie a corredo delle fotografie. Ma, come dice Bresson, è necessario fare molta attenzione ad esse, perché possono essere un’arma potentissima. Se ben studiata, può certamente rafforzare il concetto che noi vogliamo trasmettere attraverso la foto e completarla. Al contrario, una didascalia approssimativa può essere fuorviante e “indebolire” il nostro concetto. Il mio consiglio è: nel dubbio, lasciate parlare la foto e non appesantitela di inutili orpelli che possono distrarre e ridurre la forza del vostro soggetto. Un’immagine, si sa, vale più di mille parole.

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Fine Ci vediamo alla prossima lezione! Buona luce a tutti.


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