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CORSO DI DIRITTO PENITENZIARIO Anno accademico 2013/2014 Prof.ssa Rosita Del Coco.

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Presentazione sul tema: "CORSO DI DIRITTO PENITENZIARIO Anno accademico 2013/2014 Prof.ssa Rosita Del Coco."— Transcript della presentazione:

1 CORSO DI DIRITTO PENITENZIARIO Anno accademico 2013/2014 Prof.ssa Rosita Del Coco

2 NOTAZIONI PRELIMINARI Il diritto penitenziario ha per oggetto la disciplina della fase esecutiva della pena, la quale non è rimessa alla discrezionalità dell'amministrazione penitenziaria ma è caratterizzata da un controllo giurisdizionale sul momento applicativo della sanzione, nel segno di una crescita della civilità giuridica che ha ispirato l'evoluzione secolare della normativa in materia.

3 Il nucleo centrale della normativa penitenziaria è rappresentato dalla l. 26 luglio 1975 n. 354, Norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà. Tale articolato normativo prefigura un'amministrazione impegnata nell'assicurare condizioni umane di detenzione e un trattamento positivo nel quadro di un sistema moderno e progressivo.

4 PRINCIPI COSTITUZIONALI La fase esecutiva della pena è ispirata dal principio rieducativo sancito dall'art.27, comma 3 della Costituzione, in forza del quale “le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”. In altri termini, la norma costituzionale riconosce che le pene restrittive della libertà personale non sono, per ciò solo, inumane, ma potrebbero diventarlo attraverso modalità di espiazione vessatorie.

5 Nell'ottica costituzionale, il fine della pena non si esaurisce nella retribuzione del reato in misura adeguata alla gravità del fatto e della personalità del reo. Il legislatore, piuttosto, deve porsi il problema del rientro del condannato nella società dalla quale si è autoescluso col reato. Ciò anche in considerazione del fatto che il recupero sociale del condannato, ove correttamente perseguito, può rappresentare esso stesso un contributo ad una efficiente difesa sociale dal delitto. (CONCEZIONE POLIFUNZIONALE della PENA)

6 La finalità rieducativa della pena, sancita dall'art.27, comma 3 Cost., non va conseguita necessariamente con la permanenza in carcere del condannato fino alla decorrenza dei termini della pena inflittagli ma può essere perseguita con modalità espiative extracarcerarie e segnatamente attraverso una serie di istituti quali l'affidamento in prova al servizio sociale, la semilibertà, i permessi, la liberazione anticipata, tutti finalizzati a favorire la rieducazione del reo e il suo reinserimento sociale. (ABBANDONO della LOGICA CUSTODIALISTICA)

7 L'affermazione a livello costituzionale del principio rieducativo impone allo Stato di predisporre gli strumenti idonei a perseguire tale finalità. Ne sono conferma i principi direttivi affermati dall'art.1 comma 5° della legge 354/1975 alla stregua dei quali “nei confronti dei condannati e degli internati deve essere attuato un trattamento rieducativo che tenda, attraverso i contatti con l'ambiente esterno, al reinserimento sociale degli stessi”. La rieducazione, tuttavia, è un obiettivo che non può essere raggiunto manu militari ma che postula necessariamente la attiva collaborazione del soggetto interessato.

8 PRINCIPI SOVRANAZIONALI La materia della esecuzione penale è fortemente influenzata anche dalle direttive provenienti dalle sedi sovranazionali. In particolare, va segnalato l'art. 3 della CEDU, rubricato “Divieto della tortura”, in forza del quale “nessuno può essere sottoposto a torture né a pene o a trattamenti inumani o degradanti”. Proprio alla luce di tale divieto, l'Italia è stata condannata più di una volta dalla Corte europea dei diritti dell'uomo per l'emergenza rappresentata dal sovraffollamento delle carceri. (caso Sulejmanovic -2009; caso Torregiani- 2013)

9 IL TRATTAMENTO PENITENZIARIO La nozione lata di “trattamento” comprende tutte le norme e le attività organizzate all'interno dell'istituto sia per l'esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza, sia per l'esecuzione di una misura cautelare, rivolte, quindi a tutti i soggetti che si trovino, a vario titolo, ristretti in carcere. La nozione ristretta di trattamento allude invece al cd. “trattamento rieducativo” che è riservato soltanto ai condannati ed agli internati, NON già ai detenuti in attesa di giudizio i quali sono garantiti dalla presunzione di non colpevolezza sino alla condanna definitiva (art.27 comma 2 Cost.) e dunque non possono essere considerati diseducati.

10 Nei confronti degli imputati detenuti, che costituscono oltre il 50% della popolazione carceraria, l'impegno non può essere quello della rieducazione, bensì quello volto alla riduzione del protrarsi della custodia cautelare attraverso la previsione di limiti e controlli giurisdizionali su tale forma di restrizione anticipata della libertà personale.

11 IL TRATTAMENTO RIEDUCATIVO La legge di riforma dell'ordinamento penitenziario (L.354/1975) ha impostato il trattamento rieducativo fondandolo sulla qualità dei rapporti umani e sull'atmosfera di relazione che essi creano. Gli strumenti attraverso i quali viene attuato il trattamento rieducativo sono l'istruzione, il lavoro, la religione, le attività culturali, ricreative e sportive, i contatti con il mondo esterno. (cd. elementi del trattamento)

12 FINALITA' RIEDUCATIVA vs SICUREZZA PENITENZIARIA Accanto alla finalità di risocializzazione del condannato, che ispira il nostro ordinamento penitenziario, il legislatore si è preoccupato di garantire ulteriori esigenze di fondamentale importanza e cioè la sicurezza all'interno degli istituti e la prevenzione di situazioni di grave allarme sociale. Di qui, la previsione di un regime di doppio binario nel trattamento penitenziario, in particolare per coloro i quali appartengono ad organizzazioni criminali di stampo mafioso. (art.41 bis, Ord. Penit.)

13 Sono previste, altresì, limitazioni alla possibilità di essere ammessi a fruire dei benefici penitenziari per taluni soggetti che, in quanto condannati per specifici delitti di particolare gravità, si presumono socialmente pericolosi. (art. 4bis, Ord.Penit.)

14 CRISI DELLA PENA DETENTIVA BREVE e MISURE ALTERNATIVE alla DETENZIONE L'attuale sistema penitenziario è improntato alla logica del carcere quale extrema ratio, con la conseguente riduzione, ove possibile, di qualsiasi contatto diretto con il mondo carcerario. In tale ottica si collocano le misure alternative alla detenzione alle quali il condannato può essere ammesso da libero – quando la pena da scontare non è superiore, generalmente, a 3 anni – o, in alternativa, dopo aver espiato un periodo di pena durante il quale viene sottoposto all'osservazione scientifica della personalità.

15 Le misure alternative alla detenzione previste dal nostro ordinamento penitenziario sono: l'affidamento in prova al servizio sociale, la detenzione domiciliare, la semilibertà e la liberazione anticipata.

16 LA GIURISDIZIONALIZZAZIONE della FASE ESECUTIVA La giurisdizione “esecutiva”, intesa in senso lato, è costituita dal giudice dell'esecuzione (art.665 c.p.p.) a cui è devoluto il compito di garantire la legalità del procedimento d'esecuzione, essendo competente, tra l'altro, a conoscere di ogni questione concernente il titolo esecutivo e alla possibile rideterminazione della pena irrogata al termine del giudizio di cognizione.

17 Accanto al giudice dell'esecuzione, si pone la Magistratura di Sorveglianza (art.677 ss. c.p.p.) che ha giurisdizione sul trattamento penitenziario, dovendo assicurare, in particolare, la permanente corrispondenza tra contenuto sanzionatorio e finalità rieducative.

18 La Magistratura di Sorveglianza può essere definita ad un tempo come un giudice ordinario e specializzato in relazione alla particolare materia devoluta alla propria cognizione. A seconda delle materie di competenza, il Giudice di Sorveglianza opera o come organo monocratico (Magistrato di sorveglianza)o in funzione collegiale (Tribunale di sorveglianza). In tale ultima ipotesi, accanto a due giudici togati, intervengono a comporre il collegio anche due esperti laici.

19 La competenza per territorio appartiene al Tribunale o al Magistrato di sorveglianza che ha giurisdizione sull'istituto di prevenzione o di pena in cui si trova l'interessato al momento dell'instaurazione del procedimento di sorveglianza.(criterio del locus custodiae)


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