La presentazione è in caricamento. Aspetta per favore

La presentazione è in caricamento. Aspetta per favore

STORIA DEL PENSIERO POLITICO CONTEMPORANEO Docente Prof. Scuccimarra

Presentazioni simili


Presentazione sul tema: "STORIA DEL PENSIERO POLITICO CONTEMPORANEO Docente Prof. Scuccimarra"— Transcript della presentazione:

1 STORIA DEL PENSIERO POLITICO CONTEMPORANEO Docente Prof. Scuccimarra
Lezione n. 1 I SEMESTRE A.A Facoltà di Scienze Politiche

2 Antoine L.C. Destutt de Tracy Sur la faculté de penser (1796)
Preferirei dunque di gran lunga che si adottasse il nome di ideologia o scienza delle idee. E’ molto saggio che non si presupponga niente di ciò che è dubbio o sconosciuto; essa non rammenta allo spirito alcuna idea di causa. Il suo significato è molto chiaro per tutti, se non si considera che quello della parola francese idea; perché ognuno sa che cosa intende con un’idea, sebbene pochi sappiano ciò che essa è. E’ rigorosamente esatto in questa ipotesi; perché ideologia è la traduzione letterale di scienza delle idee.

3 Antoine L.C. Destutt de Tracy Sur la faculté de penser (1796)
Ed è altrettanto esatto, se si fa riferimento all’etimologia greca della parola idea: perché il verbo eido vuol dire, io vedo, io percepisco, io percepisco attraverso la vista, e persino io so, io conosco. (…) Or, poiché di eido noi abbiamo fatto idea per esprimere una percezione in generale, possiamo ben farne ideologia per esprimere la scienza che tratta delle idee o percezioni…

4 Antoine L.C. Destutt de Tracy Sur la faculté de penser (1796)
Ed è altrettanto esatto, se si fa riferimento all’etimologia greca della parola idea: perché il verbo eido vuol dire, io vedo, io percepisco, io percepisco attraverso la vista, e persino io so, io conosco. (…) Or, poiché di eido noi abbiamo fatto idea per esprimere una percezione in generale, possiamo ben farne ideologia per esprimere la scienza che tratta delle idee o percezioni…

5 Antoine L.C. Destutt de Tracy Sur la faculté de penser (1796)
Questa parola ha un altro vantaggio ed è che dando il nome di ideologia alla scienza che risulta dall’analisi delle sensazioni, voi indicate allo stesso tempo il fine e il mezzo: e se la vostra dottrina si trova a differire da quella di qualche altro filosofo che coltiva la stessa scienza, la ragione la conosciamo prima: è che voi non cercate la conoscenza dell’uomo che nelle analisi delle sue facoltà; vi potete permettere di ignorare tutto ciò che non scoprirete…

6 Antoine L.C. Destutt de Tracy Elements d’idéologie (1804)
Non si ha una conoscenza completa di un animale, se non si conoscono le sue facoltà intellettuali. L’ideologia è una parte della zoologia, ed è soprattutto nell’uomo che questa parte è importante e merita di essere approfondita. (…) Ho tentato di offrire una descrizione esatta e circostanziata delle nostre facoltà intellettuali, dei loro principali fenomeni, e delle loro più rilevanti circostanze; in una parola dei veri e propri elementi di ideologia. E senza soffermarmi sulle difficoltà dell’impresa, non ne ho visto che l’utilità…

7 Antoine L.C. Destutt de Tracy Elements d’idéologie, Introduction (1804)
A voi mi rivolgo, o giovani, e per voi soli scrivo. Non pretendo affatto di dare degli insegnamenti a quelli che sanno già molte cose e le sanno bene: a loro chiederei lumi invece di offrirgliene. E quanto a coloro che le sanno male, vale a dire che avendo un gran numero di conoscenze ne hanno tratto dei risultati falsi di cui si credono molto sicuri, e a quelli sono attaccati da un lunga abitudine, io sono ancor più lungi da presentar loro le mie idee; poiché, come ha detto uno dei più grandi filosofi moderni; «Una volta che gli uomini abbiano acquisito delle opinioni false e le abbiano autenticamente registrate nei loro spiriti, è impossibile sia parlare loro in modo intellegibile quanto scrivere in modo leggibile su un foglio di carta già sporco di scrittura».

8 Antoine L.C. Destutt de Tracy Elements d’idéologie, Introduction (1804)
Nulla di più giusto di questa osservazione di Hobbes. Forse vedremo presto assieme la ragione di questo fatto; ma intanto la potete tenere per certa. Io sarei altresì molto sorpreso se la vostra piccola esperienza personale, per quanto poco estesa possa essere, non ve ne abbia già offerto la prova. Comunque sia, la prima volta che a qualche vostro compagno accadrà di ostinarsi in una idea la quale a tutti gli altri sembri assurda, osservatelo attentamente e vedrete che egli è in una disposizione mentale tale che gli è impossibile comprendere le ragioni che a voi altri sembrano chiarissime. E’ che quelle stesse idee si sono preventivamente messe nella sua testa con tutt’altro ordine che quello con cui si sono messe nelle vostre; e che sono congiunte a moltissime altre, le quali bisognerebbe smuovere dal posto che tengono nella sua mente, volendo rettificare quelle in cui tanto si ostina. In un’altra occasione gli concederete forse la rivincita. Ebbene amici miei è nello stesso modo che ci attacca ad un falso sistema di filosofia e ad una falsa combinazione in un gioco d’infanzia.

9 Antoine L.C. Destutt de Tracy Elements d’idéologie, Introduction (1804)
E’ per preservarvi dall’una e dall’altro che in questo libro voglio non già insegnarvi, ma farvi notare tutto quello che succede in voi medesimi quando pensate, parlate e ragionate. Aver delle idee, esprimerle, combinarle sono tre cose differenti, ma strettamente legate insieme. Queste tre operazioni si trovano in ogni minima frase; e sono sì unite insieme, e si eseguono con tanta prontezza e si rinnovano tante volte in un giorno, in un’ora, in un momento, che quasi pare a prima vista cosa impossibile a comprendere come ciò possa accadere in noi. Tuttavia vedrete presto che questo meccanismo non è così complicato come potreste credere. Per vederlo chiarito è sufficiente esaminarlo in dettaglio; e già sentirete che è necessario conoscerlo per essere certi di farsi delle idee vere, di esprimerle con esattezza e di combinarle con giustezza; tre condizioni senza le quali non si ragiona che a caso. Studiamo dunque assieme la nostra intelligenza…

10 Pierre Bayle Dictionnaire historique et critique (1695)
La ragione umana» è un principio di distruzione, non di edificazione; essa serve a formare dubbi e a volgersi a dritta e a manca in una interminabile disputa.

11 Pierre Bayle Dictionnaire historique et critique (1695)
E’ la libertà che regna nella République des lettres. Questa repubblica è uno Stato straordinariamente libero. Non vi si riconosce che l’impero della verità e della ragione; e sotto i loro auspici si fa innocentemente guerra a chiunque. Gli amici devono stare in guardia contro gli amici, i padri contro i loro figli, i suoceri contro i loro generi: proprio come in un secolo di ferro. (…) Ciascuno è allo stesso tempo sovrano e condannabile da ciascuno…

12 Encyclopédie, Voce “Critique”
Il lettore necessita di una guida morale. «Questa guida sarà una critica capace di distinguere la verità dall’opinione, il diritto dall’autorità, il dovere dall’interesse, la virtù dalla gloria, in una parola di ridurre l’uomo, quale che sia stato, alla condizione di cittadino, condizione che è la base della legge, la regola dei costumi, e da cui nessun uomo o società ebbe mai diritto di ribellarsi».

13 Immanuel Kant Kritik der reinen Vernunft (1781)
Il tempo nostro è proprio il tempo della critica, cui tutto deve sottostare. Vi si vogliono comunemente sottrarre la religione per la santità sua e la legislazione per la sua maestà: così esse lasciano adito a giusti sospetti, e non possono pretendere quella non simulata stima, che la ragione concede solo a ciò che ha saputo resistere al suo libero e pubblico esame.

14 Napoleone Bonaparte Discorso al Consiglio di Stato (1812)
E’ alla dottrina degli ideologi, a questa metafisica ossessiva, che cerca in modo artificioso le cause prime, e che su queste fondamenta vorrebbe erigere la legislazione dei popoli, invece di adattare le leggi alla conoscenza del cuore umano e alle lezioni della storia, che vanno attribuite tutte le disgrazie che si sono abbattute sulla nostra amata Francia.

15 STORIA DEL PENSIERO POLITICO CONTEMPORANEO Docente Prof. Scuccimarra
Lezione n. 2 I SEMESTRE A.A Facoltà di Scienze Politiche

16 Fenomenologia dello Spirito (1806-7), Prefazione:
Secondo il mio modo di vedere che dovrà giustificarsi soltanto mercé l’esposizione del sistema stesso, tutto dipende dall’intendere e dall’esprimere il vero non come sostanza, ma altrettanto decisamente come soggetto (…), ciò che è poi lo stesso, è l’essere che in verità è effettuale, ma soltanto in quanto la sostanza è il movimento del porre se stesso, o in quanto essa è la mediazione del divenir-altro-da-sé con se stesso (…). Il vero è il divenire di se stesso, il circolo che presuppone e ha all’inizio la propria fine come proprio fine, e che solo mediante l’attuazione e la propria fine è effettuale.

17 Fenomenologia dello Spirito (1806-7), Prefazione:
(…) Il vero è l’intero. Ma l’intero è soltanto l’essenza che si completa mediante il suo sviluppo. Dell’Assoluto si deve dire che esso è essenzialmente risultato, che solo alla fine è ciò che è in verità; e proprio in ciò consiste la sua natura, nell’essere effettualità, soggetto o divenir-se-stesso.

18 Fenomenologia dello Spirito (1806-7), Prefazione:
(…) Che il vero sia effettuale solo come sistema, o che la sostanza sia essenzialmente Soggetto, ciò è espresso in quella rappresentazione che enuncia l’Assoluto come Spirito – elevatissimo concetto appartenente all’Età moderna e alla sua religione.

19 Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio (1817):
Il “sopprimere” è una determinazione fondamentale che si manifesta ad ogni istante, di cui bisogna afferrare il senso con precisione e che si deve soprattutto distinguere bene dal nulla. Ciò che si sopprime (o si supera) non diventa nulla per questo: Il nulla è immediato; una cosa soppressa invece è mediata; essa è un non-essendo, ma, in quanto risultato che è sorto da un essere; essa quindi ha ancora in sé la determinazione da cui proviene.

20 Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio (1817):
Aufheben ha nella lingua un doppio senso: quello di conservare e quello di far cessare, di porre un termine. Conservare ha d’altronde un significato negativo, cioè per conservare qualcosa bisogna che gli si tolga la sua immediatezza, che gli si sopprima la sua esistenza, così che essa è sottomessa alle condizioni esterne. In questo modo ciò che viene soppresso è nello stesso tempo conservato, avendo perso solo la sua esistenza immediata, senza essere per questo annientato. Sul piano semantico, le due determinazioni di aufheben possono essere considerate significati della stessa parola. E’ sorprendente che una lingua sia giunta a usare una sola parola per due significati opposti.

21 Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio (1817):
(…) Una cosa è soppressa (superata) nella misura in cui essa è realizzata in unità con il suo opposto: in questa determinazione, la Cosa superata appare come riflessa e può essere designata come «momento»…

22 Scienza della logica (1812-16):
L’unico punto, per ottenere il progresso scientifico – e intorno alla cui semplicissima intelligenza bisogna essenzialmente adoprarsi, - è la conoscenza di questa proposizione logica, che il negativo è insieme anche positivo, ossia che quello che si contraddice non si risolve nello zero, nel nulla astratto, ma si risolve essenzialmente solo nella negazione del suo contenuto particolare, vale a dire che una tal negazione non è una negazione qualunque, ma la negazione di quella cosa determinata che si risolve, ed è perciò negazione determinata.

23 Scienza della logica (1812-16):
Bisogna, in altre parole, saper conoscere che nel risultato essenzialmente contenuto quello da cui esso risulta; - il che è propriamente una tautologia, perché, se no, sarebbe un immediato, e non un risultato. Quel che risulta, la negazione, in quanto è negazione determinata, ha un contenuto. Cotesta negazione è un nuovo concetto, ma un concetto che è superiore e più ricco che non il precedente. Essa è infatti divenuta più ricca di quel tanto ch’è costituito dalla negazione, o dall’opposto di quel concetto. Contiene dunque il concetto precedente, ma contiene anche di più, ed è l’unità di quel concetto e del suo opposto. – Per questa via deve il sistema dei concetti, in generale, costruir se stesso – e completarsi per un andamento irresistibile, puro, senz’accoglier nulla dal di fuori.

24 Scienza della logica (1812-16):
(…) Un tal metodo non è nulla di diverso dal suo oggetto e contenuto; - poiché è il contenuto in sé, la dialettica che il contenuto ha in lui stesso, quella che lo muove. E’ chiaro che nessuna esposizione può valere come scientifica, la quale non segua l’andamento di questo metodo e non si uniformi al suo semplice ritmo, poiché è l’andamento della cosa stessa. (…) Quello per cui il concetto si spinge avanti è quel negativo, dianzi accennato, che ha in sé; cotesto è il vero elemento dialettco. La dialettica, che venne trattata come una parte separata della logica e che, quanto al suo scopo e al suo punto di vista, rimase, si può dire, interamente disconosciuta, acquista con ciò una ben altra dignità…

25 Scienza della logica (1812-16):
(…) La contraddizione (…) è la radice di ogni movimento e vitalità; qualcosa si muove, ha un istinto e un’attività, solo in quanto ha in se stesso una contraddizione. (…) La comune esperienza riconosce che si dà una quantità di cose contraddittorie, di contraddittorie disposizioni, ecc., la cui contraddizione non sta semplicemente in una riflessione esteriore, ma in loro stesse. E la contraddizione non è poi da prendere semplicemente come un’anomalia che si mostri solo qua e là, ma è il negativo nella sua determinazione essenziale, il principio di ogni muoversi, muoversi che non consiste se non in un esplicarsi e mostrarsi della contraddizione…

26 Il sistema filosofico di Hegel
Logica Idea in sé e per sé= Puro pensiero (tesi) Filosofia della natura Idea fuori di sé= Natura (antitesi) Filosofia dello spirito Idea che ritorna in sé= Spirito (sintesi)

27 Il sistema filosofico di Hegel
Logica Dottrina dell’essere Dottrina dell’essenza Dottrina del concetto Filosofia della natura Meccanica Fisica Organica

28 Il sistema filosofico di Hegel
Filosofia dello Spirito Spirito soggettivo Antropologia Fenomenologia Psicologia Spirito oggettivo Diritto Moralità Eticità Spirito assoluto Arte Religione Filosofia

29 Il sistema filosofico di Hegel
Famiglia Eticità Società civile Stato

30 Lineamenti di filosofia del diritto
Lo Stato non esiste per i cittadini: si potrebbe dire che esso è il fine, e quelli sono i suoi strumenti. Peraltro tale rapporto generale di fine a mezzo non è in questo caso adeguato. Lo Stato non è infatti una realtà astratta che si contrapponga ai cittadini; bensì essi sono momento come nella vita organica, in cui nessun membro è fine e nessuno è mezzo, (§ 258 A).

31 Lezioni di filosofia della storia
Si può chiamare astuzia della ragione il fatto che quest’ultima faccia agire per sé le passioni, e che quanto le serve di strumento per tradursi in esistenza abbia da ciò scapito e danno (I, 97)

32 Lezioni di filosofia della storia
Questi sono i grandi uomini della storia, quelli i cui propri fini particolari contengono il sostanziale, che è volontà dello spirito del mondo. Questo contenuto è la loro vera potenza, esso è nell’universale istinto inconsapevole degli uomini. Essi sono spinti a ciò intimamente, e non hanno altro modo di resistere a colui che ha assunto, nel proprio interesse, l’esecuzione di un tale fine. I popoli piuttosto si uniscono intorno alla sua bandiera: egli svela loro e reca in atto quel che era impulso immanente della loro natura.

33 Epistolario Ho visto l’imperatore – quest’Anima del mondo – cavalcare in ricognizione attraverso la città; è davvero una sensazione meravigliosa vedere un tale individuo, che concentrato qui in un punto, dritto su di un cavallo, conquista il mondo intero e lo domina.

34 Epistolario Gli avvenimenti più universali (…) mi suscitano le più universali considerazioni, che mi riportano nella sfera del pensiero i particolari singoli e prossimi, per quanto questi possano interessare il sentimento. Io considero che lo Spirito del mondo ha dato al tempo la parola d’ordine di avanzare; un tale comando è obbedito; questo essere si avanza irresistibile come una falange corazzata, in ordine chiuso, e con il movimento impercettibile del sole, attraverso ogni ostacolo; innumerevoli truppe leggere si muovono nell’uno e nell’altro senso, e la maggior parte di esse non sa neppure di che si tratta e non fa che incassare colpi che provengono come da una mano invisibile. Tutte le millanterie temporeggiatrici (…) a nulla servono; (…) Il partito più sicuro (interiormente ed esteriormente) è quello di osservare questo gigante che si avanza…

35 Lezioni di filosofia della storia
La bandiera dello spirito libero (…) è la bandiera sotto cui serviamo e che teniamo alta. Il tempo, da allora fino a noi, non ha avuto e non ha altra opera da compiere all’infuori di quella di incorporare questo principio nel mondo (IV, 151)

36 Lezioni di filosofia della storia
Sembra che allo spirito del mondo sia ora riuscito di sbarazzarsi da ogni essenza estranea e oggettiva, e di cogliersi infine come Spirito assoluto, di generare da sé ciò che gli diviene oggettivo e, comportandosi con calma, di tenerlo in suo potere.

37 Lezioni di filosofia della storia
Sin qui è giunto lo spirito del mondo. L’ultima filosofia è il risultato di tutte le precedenti; nulla è perduto, tutti i principi sono conservati. Questa idea concreta è il risultato degli sforzi dello spirito attraverso quasi 2500 anni (…) del suo più serio lavoro per diventare oggettivo a se stesso e per conoscersi: Tantae molis erat se ipsam cognoscere mentem (parafrasi virgiliana).

38 STORIA DEL PENSIERO POLITICO CONTEMPORANEO Docente Prof. Scuccimarra
Lezione n. 3 I SEMESTRE A.A Facoltà di Scienze Politiche

39 Filosofia del diritto, Prefazione
La filosofia, poiché è lo scandaglio del razionale, appunto per ciò che è l’apprendimento di ciò ch’è presente e reale, non la costruzione di un al di là, che sa Dio dove dovrebbe essere, - o del quale di fatto si sa ben dire dov’è, cioè nell’errore di un vuoto, unilaterale raziocinare… Ciò che è razionale è reale: e ciò che è reale è razionale.

40 Filosofia del diritto, Prefazione
In questa convinzione sta ogni coscienza non prevenuta, e così pure la filosofia, e questa procede di qui nella considerazione così dell’universo spirituale, come di quello naturale. Se la riflessione, il sentimento o qualsiasi forma abbia la coscienza soggettiva, riguarda il presente per un qualcosa di vano, è al di là di esso, e giudica da saccente, esso si ritrova in uno spazio vano, e giacché essa ha realtà soltanto nel presente, così essa stessa è soltanto vanità. Se d’altro verso l’idea passa per ciò ch’è soltanto un’idea, una rappresentazione in un’opinione, la filosofia al contrario procura l’intellezione che nulla è reale al di fuori dell’idea.

41 Filosofia del diritto, Prefazione
Quel che importa allora è conoscere, nella parvenza di ciò ch’è temporale e transeunte, la sostanza che è immanente e l’eterno che è presente. Poiché il razionale, che è sinonimo dell’idea, allorché esso nella sua realtà entra in pari tempo nell’esistenza esterna, vien fuori in un’infinita ricchezza di forme, fenomeni e configurazioni, e circonda il suo nucleo con la scorza variopinta nella quale la coscienza dapprima dimora, che soltanto il concetto trapassa, per trovare il polso interno e pur nelle configurazioni esterne sentirlo ancora battere…

42 Filosofia del diritto, Prefazione
…Così, dunque, questo trattato, in quanto contiene la scienza dello Stato, dev’essere null’altro, se non il tentativo d’intendere e presentare lo Stato come cosa razionale in sé. In quanto scritto filosofico, esso deve restare molto lontano dal dover costruire uno Stato come dev’essere; l’ammaestramento che può trovarsi in esso non può giungere a insegnare allo Stato come deve essere, ma, piuttosto, in quale modo esso deve esser riconosciuto come universo etico.

43 Filosofia del diritto, Prefazione
…Intendere ciò che è, è il compito della filosofia, poiché ciò che è, è la ragione. Del resto, per quel che si riferisce all’individuo, ciascuno è, senz’altro, figlio del suo tempo; e anche la filosofia è il proprio tempo appreso col pensiero. E’ altrettanto folle pensare che una qualche filosofia precorra il suo mondo attuale, quanto che ogni individuo si lasci indietro il suo tempo, e salti oltre…

44 Filosofia del diritto, Prefazione
Ciò che sta tra la ragione come spirito autocosciente, e la ragione come realtà presente, ciò che differenzia quella ragione da questa ed in essa non lascia trovare l’appagamento, è l’impaccio di qualche astrazione, che non si è liberata, e non si è fatta concetto. Riconoscere la ragione come la rosa, nella croce del presente, e quindi godere di questa – tale riconoscimento razionale è la riconciliazione con la realtà, che la filosofia consente a quelli, i quali hanno avvertito, una volta, l’interna esigenza di comprendere e di mantenere, appunto, la libertà soggettiva in ciò che è sostanziale, e al modo stesso, di stare nella libertà soggettiva, non come in qualcosa di individuale e di accidentale, ma in qualcosa che è in sé e per sé.

45 Filosofia del diritto, Prefazione
(…) Del resto, a dire anche una parola sulla dottrina di come dev’essere il mondo, la filosofia arriva sempre troppo tardi. Come pensiero del mondo, essa appare per la prima volta nel tempo, dopo che la realtà ha compiuto il suo processo di formazione ed è bell’e fatta. Questo, che il concetto insegna, la storia mostra, appunto, necessario: che, cioè, prima l’ideale appare di contro al reale, nella maturità della realtà, e poi esso costruisce questo mondo medesimo, colto nella sostanza di esso, in forma di regno intellettuale. Quando la filosofia dipinge a chiaroscuro, allora un aspetto della vita è invecchiato, e, dal chiaroscuro, esso non si lascia ringiovanire, ma soltanto riconoscere: la nottola di Minerva inizia il suo volo sul far del crepuscolo.

46 STORIA DEL PENSIERO POLITICO CONTEMPORANEO Docente Prof. Scuccimarra
Lezione n. 5 I SEMESTRE A.A Facoltà di Scienze Politiche

47 K. Marx, Undicesima tesi su Feuerbach
I filosofi hanno solo interpretato il mondo in modi diversi; si tratta però di mutarlo.

48 K. Marx, L’ideologia tedesca
Finora gli uomini si sono sempre fatti idee false intorno a se stessi, intorno a ciò che essi sono o devono essere. In base alle loro idee di Dio, dell’uomo normale, ecc. essi hanno regolato i loro rapporti. I parti della loro testa sono diventati più forti di loro. Essi, i creatori, si sono inchinati di fronte alle loro creature. Liberiamoli dalle chimere, dalle idee, dai dogmi, dagli esseri prodotti dall’immaginazione, sotto il cui giogo essi languiscono. Ribelliamoci contro questa dominazione dei pensieri. Insegniamo loro a sostituire queste immaginazioni con pensieri che corrispondano all’essenza dell’uomo, dice uno; a comportarsi criticamente verso di esse, dice un altro; a togliersele dalla testa, dice un terzo, e la realtà ora esistente andrà in pezzi.

49 K. Marx, L’ideologia tedesca
Queste fantasie innocenti e puerili formano il nucleo della moderna filosofia giovane-hegeliana, che in Germania non soltanto è accolta dal pubblico con orrore e reverenza, ma è anche messa in circolazione dagli stessi eroi filosofici con la maestosa coscienza della sua criminosa spregiudicatezza. Il primo volume di questa pubblicazione ha lo scopo di smascherare queste pecore che si credono lupi e che tali vengono considerate, di mostrare come esse altro non fanno che tener dietro, con i loro belati filosofici, alle idee dei borghesi tedeschi, come le bravate di questi filosofici esegeti rispecchino semplicemente la meschinità delle reali condizioni tedesche. Essa ha lo scopo di mettere in ridicolo e di toglier credito alla lotta filosofica con le ombre della realtà, che va a genio al sognatore e sonnacchioso popolo tedesco…

50 K. Marx, L’ideologia tedesca
I presupposti da cui muoviamo non sono arbitrari, non sono dogmi: sono presupposti reali, dai quali si può astrarre solo nell’immaginazione. Essi sono gli individui reali, la loro azione e le loro condizioni materiali di vita, tanto quelle che essi hanno trovato già esistenti quanto quelle prodotte dalla loro stessa azione. Questi presupposti sono dunque constatabili per via puramente empirica.

51 K. Marx, L’ideologia tedesca
Il primo presupposto di tutta la storia umana è naturalmente l’esistenza di individui umani viventi. Il primo dato di fatto da constatare è dunque l’organizzazione fisica di questi individui e il loro rapporto, che ne consegue, verso il resto della natura. Qui naturalmente non possiamo addentrarci nell’esame né della costituzione fisica dell’uomo stesso, né delle condizioni naturali trovate dagli uomini, come le condizioni geologiche, oro-idrografiche, climatiche, e così via. Ogni storiografia deve prendere le mosse da queste basi naturali e dalle modifiche da esse subite nel corso della storia per l’azione degli uomini. Si possono distinguere gli uomini dagli animali per la coscienza, per la religione, per tutto ciò che si vuole; ma essi cominciarono a distinguersi dagli animali allorché cominciarono a produrre i loro mezzi di sussistenza, un progresso che è condizionato dalla loro organizzazione fisica. Producendo i loro mezzi di sussistenza, gli uomini producono indirettamente la loro stessa vita materiale.

52 K. Marx, L’ideologia tedesca
Il modo in cui gli uomini producono i loro mezzi di sussistenza dipende prima di tutto dalla natura dei mezzi di sussistenza che essi trovano e che debbono riprodurre. Questo modo di produzione non si deve giudicare solo in quanto è la riproduzione dell’esistenza fisica degli individui; anzi, esso è già un modo determinata dell’attività di questi individui, un modo determinato di estrinsecare la loro vita, un modo di vita determinato. Come gli individui esternano la loro vita, così essi sono. Ciò che essi sono coincide dunque con la loro produzione, tanto con ciò che producono quanto col modo come producono. Ciò che gli individui sono dipende dunque dalle condizioni materiali della loro produzione.

53 K. Marx Il compito della storia, una volta scomparso l’al di là della verità, consiste quindi nello stabilire la verità dell’al di qua. Compito della filosofia, che è al servizio della storia, è lo smascheramento, dopo che la figura sacra dell’estraneazione dell’uomo è già stata smascherata, dell’autoestraneazione dell’uomo nelle figure non-sacre. La critica del cielo si trasforma quindi nella critica della terra, la critica della religione nella critica del diritto, la critica della teologia nella critica della politica.

54 K. Marx Noi siamo i compagni filosofici del presente, senza esserne i compagni storici. La filosofia tedesca è il prolungamento ideale della storia tedesca… Ciò che presso i popoli progrediti è lo sfacelo pratico delle condizioni politiche moderne, è rappresentato in Germania, dove queste condizioni non esistono neppure ora, anzitutto dallo sfacelo critico del rispecchiamento filosofico di queste condizioni. La filosofia tedesca del diritto e dello Stato è l’unica storia tedesca che possa stare alla pari con la situazione ufficiale del mondo moderno.

55 K. Marx Il popolo tedesco deve quindi confrontare questa sua storia di sogno con le sue condizioni attuali, e sottomettere alla critica non soltanto queste ultime, ma anche la loro astratta continuazione. Il suo avvenire non può limitarsi né alla negazione immediata delle sue condizioni reali, né alla immediata realizzazione delle sue concezioni politiche e giuridiche ideali, poiché esso già possiede nelle sue concezioni ideali la negazione immediata delle sue condizioni reali, ed ha già quasi vissuto anticipatamente, vedendola concretamente nei popoli vicini, la realizzazione immediata delle sue concezioni ideali.

56 K. Marx Questo modo di considerare le cose non è privo di presupposti. Esso dipende dai presupposti reali, e non li abbandona neppure un istante. I suoi presupposti sono gli uomini, non però in una qualsiasi compiutezza o fissità fantastica, ma nel loro reale… processo di sviluppo sotto determinate condizioni. Non appena viene rappresentato questo attivo processo vitale, la storia cessa di essere una raccolta di morti dati di fatto, come avviene per gli empiristi, pur essi ancora astratti, oppure un’azione immaginaria di soggetti immaginari, come avviene per gli idealisti.

57 Marx, Critica del diritto pubblico hegeliano (1843)
Il lato più profondo di Hegel sta nel fatto di aver sentito come un contrasto la separazione della società civile da quella politica. Negativo è peraltro il fatto che egli si accontenti di avere apparentemente dissolto questo contrasto.

58 Marx, Critica del diritto pubblico hegeliano (1843)
Per comportarsi quindi come un vero cittadino dello Stato, per acquistare importanza ed efficacia politiche, egli deve uscire dalla sua realtà civile, deve astrarsene e rientrare nella propria individualità, abbandonando tutta questa organizzazione; l’unica esistenza infatti che egli trova, per essere cittadino dello Stato, è la sua individualità nuda e cruda, poiché l’esistenza dello Stato in quanto governo può fare a meno dell’individuo, e la sua esistenza nella società civile prescinde da quella dello Stato. Egli può essere cittadino dello Stato solo come individuo, e in contrasto con queste uniche comunità sussistenti. La sua esistenza come cittadino dello Stato è un’esistenza estranea alla sua esistenza come uomo sociale, è cioè un’esistenza puramente individuale.

59 Marx, Critica del diritto pubblico hegeliano (1843)
I droits de l’homme, cioè i diritti dell’uomo, sono come tali distinti dai droits du citoyen, cioè dai diritti del cittadino. Ma chi è l’homme distinto dal citoyen? Nessun altro fuorché il membro della società borghese. Perché dunque il membro della società borghese diventa un uomo, l’uomo semplicemente, è perché i suoi diritti sono chiamati diritti dell’uomo? Come ci spieghiamo questo fatto? Certo in base al rapporto tra Stato politico e società borghese, cioè in base alla natura dell’emancipazione (soltanto) politica.

60 STORIA DEL PENSIERO POLITICO CONTEMPORANEO Docente Prof. Scuccimarra
Lezione n. 6 I SEMESTRE A.A Facoltà di Scienze Politiche

61 K. Marx, L’ideologia tedesca
La divisione del lavoro offre anche il primo esempio del fatto che fin tanto che gli uomini si trovano nella società naturale, fin tanto che esiste, quindi, la scissione fra interesse particolare e interesse comune, fin tanto che l’attività, quindi, è divisa non volontariamente ma naturalmente, l’azione propria dell’uomo diventa una potenza a lui estranea, che lo sovrasta, che lo soggioga, invece di essere da lui dominata.

62 K. Marx, L’ideologia tedesca
Cioè appena il lavoro comincia ad essere diviso ciascuno ha un sfera di attività determinata ed esclusiva che gli viene imposta e dalla quale non può sfuggire: è cacciatore, pescatore, o pastore, o critico, e tale deve restare se non vuol perdere i mezzi per vivere, laddove nella società comunista, in cui ciascuno non ha una sfera di attività esclusiva ma può perfezionarsi in qualsiasi ramo a piacere, la società regola la produzione generale e appunto in tal modo mi rende possibile di fare oggi questa cosa, domani quell’altra, la mattina andare a caccia, il pomeriggio pescare, la sera allevare il bestiame, dopo pranzo criticare, così come mi vien voglia; senza diventare né cacciatore, né pescatore, né pastore, né critico.

63 K. Marx, L’ideologia tedesca
Questo fissarsi dell’attività sociale, questo consolidarsi del nostro proprio prodotto in un potere obiettivo che ci sovrasta, che cresce fino a sfuggire al nostro controllo, che contraddice le nostre aspettative, che annienta i nostri calcoli, è stato fino ad oggi uno dei momenti principali dello sviluppo storico. Il potere sociale, cioè la forza produttiva moltiplicata che ha origine attraverso la cooperazione dei diversi individui, determinata nella divisione del lavoro, appare a questi individui, poiché la cooperazione stessa non è volontaria ma naturale, non come il loro proprio potere unificato, ma come una potenza estranea, posta al di fuori di essi, della quale essi non sanno donde viene e dove va, che quindi non possono più dominare e che al contrario segue una sua propria successione di fasi e di gradi di sviluppo la quale è indipendente dal volere e dall’agire degli uomini e anzi dirige questo volere e questo agire…

64 Marx, Il Capitale Di dove sorge dunque il carattere enigmatico del prodotto di lavoro appena assume forma di merce? Evidentemente proprio da tale forma. L’eguaglianza dei lavori umani riceve la forma reale dell’eguale oggettività di valore dei prodotti del lavoro, la misura del dispendio di forza-lavoro umana mediante la sua durata temporale riceve la forma della grandezza di valore dei prodotti del lavoro, infine i rapporti fra i produttori, nei quali si attuano quelle determinazioni sociali dei loro lavori, ricevono la forma di un rapporto sociale dei prodotti del lavoro.

65 Marx, Il Capitale L’arcano della forma merce consiste dunque semplicemente nel fatto che tale forma, come uno specchio, restituisce agli uomini l’immagine dei caratteri sociali del loro proprio lavoro, facendoli apparire come caratteri oggettivi dei prodotti di quel lavoro, come proprietà sociali naturali di quelle cose, e quindi restituisce anche l’immagine del rapporto sociale tra produttori e lavoro complessivo, facendolo apparire come un rapporto sociale fra oggetti esistente al di fuori di essi produttori. Mediante questo quid pro quo i prodotti del lavoro diventano merci, cose sensibilmente soprasensibili, cioè cose sociali.

66 Marx, Il Capitale Quel che qui assume per gli uomini la forma fantasmagorica di un rapporto tra cose è soltanto il rapporto sociale determinato che esiste fra gli uomini stessi. Quindi, per trovare un’analogia, dobbiamo involarci nella regione nebulosa del mondo religioso. Quivi, i prodotti del cervello umano paiono figure indipendenti, dotate di vita propria, che stanno in rapporto tra loro e in rapporto con gli uomini. Così, nel mondo delle merci, fanno i prodotti della mano umano. Questo io chiamo il feticismo che s’appiccica ai prodotti del lavoro appena vengono prodotti come merci, e che quindi è inseparabile dalla produzione delle merci (I, I, 4)

67 Marx, Il Capitale In genere, la riflessione sulle forme della vita umana, e quindi anche l’analisi scientifica di esse, prende una strada opposta allo svolgimento reale. Comincia post festum e quindi parte dai risultati belli e pronti del processo di svolgimento. Le forme che danno ai prodotti del lavoro l’impronta di merci, e quindi sono il presupposto della circolazione delle merci, hanno già la solidità di forme naturali della vita sociale, prima che gli uomini cerchino di rendersi conto, non già del carattere storico di queste forme, che per essi anzi sono ormai immutabili, ma del loro contenuto (Vol. I, p. 107)

68 Marx, Scritti giovanili
“Quando il proletariato annuncia il dissolvimento dell’ordine finora esistente, rivela solo il segreto della sua propria esistenza, poiché esso il dissolvimento effettivo di quest’ordine mondiale”.

69 Marx, L’ideologia tedesca
Il comunismo per noi non è uno stato di cose che debba essere instaurato, un ideale al quale la realtà dovrà conformarsi. Chiamiamo comunismo il movimento reale che abolisce lo stato di cose presente. Le condizioni di questo movimento risultano dal presupposto ora esistente.

70 Marx, Il Capitale Il vero limite della produzione capitalistica è il capitale stesso, è questo: che il capitale e la sua autovalorizzazione appaiono come punto di partenza e punto di arrivo, come motivo e scopo della produzione; che la produzione è solo produzione per il capitale, e non al contrario i mezzi di produzione sono dei semplici mezzi per una continua estensione del processo vitale per la società dei produttori. I limiti nei quali possono unicamente muoversi la conservazione e l’autovalorizzazione del valore-capitale, che si fonda sull’espropriazione e l’impoverimento della grande massa dei produttori, questi limiti si trovano dunque continuamente in conflitto con i metodi di produzione a cui il capitale deve ricorrere per raggiungere il suo scopo, e che perseguono l’accrescimento illimitato della produzione, la produzione come fine a se stessa, lo sviluppo incondizionato delle forze produttive sociali del lavoro.

71 Marx, Il Capitale Il mezzo – lo sviluppo incondizionato delle forze produttive sociali – viene permanentemente in conflitto con il fine ristretto, la valorizzazione del capitale esistente. Se il modo di produzione capitalistico è quindi un mezzo storico per lo sviluppo della forza produttiva materiale e la creazione di un corrispondente mercato mondiale, è al tempo stesso la contraddizione costante tra questo suo compito storico e i rapporti di produzione sociali che gli corrispondono (Vol. III, p. 303).

72 Marx, Il Capitale Dato che la massa di lavoro vivo impiegato diminuisce costantemente in rapporto alla massa di lavoro oggettivato da essa messo in movimento (cioè ai mezzi di produzione consumati produttivamente) anche la parte di questo lavoro vivo che non è pagato e si oggettiva in plusvalore, dovrà essere in proporzione costantemente decrescente rispetto al valore del capitale complessivo impiegato. Questo rapporto tra la massa del plusvalore e il valore del capitale complessivo impiegato costituisce però il saggio del profitto, che dovrà per conseguenza diminuire costantemente (Vol. III, p. 261).

73 Marx, Epistolario (1858) Avevo cominciato lo studio di questa scienza a Parigi, e lo continuai a Bruxelles, dove ero emigrato in seguito ad un decreto di espulsione del sig. Guizot. Il risultato generale al quale arrivai e che, una volta acquisito, mi servì da filo conduttore nei miei studi, può essere brevemente formulato così: nella produzione sociale della loro esistenza, gli uomini entrano in rapporti determinati, necessari, indipendenti dalla loro volontà, in rapporti di produzione che corrispondono a un determinato grado di sviluppo delle forze produttive materiali. L’insieme di questi rapporti di produzione costituisce la struttura economica della società, ossia la base reale sulla quale si eleva una sovrastruttura giuridica e politica e alla quale corrispondono forme determinate della coscienza sociale.

74 Struttura e sovrastruttura
Il modo di produzione della vita materiale condiziona, in generale, il processo sociale, politico e spirituale della vita. Non è la coscienza degli uomini che determina il loro essere, ma è, al contrario, il loro essere sociale che determina la loro coscienza. A un dato punto del loro sviluppo, le forze produttive materiali della società entrano in contraddizione con i rapporti di produzione esistenti, cioè con i rapporti di proprietà (che ne sono l’espressione giuridica) dentro i quali tali forze per l’innanzi s’erano mosse.

75 Struttura e sovrastruttura
La produzione delle idee, delle rappresentazioni, della coscienza, è in primo luogo direttamente intrecciata all’attività materiale e alle relazioni materiali degli uomini, linguaggio della vita reale. Le rappresentazioni e i pensieri, lo scambio spirituale degli uomini appaiono qui ancora come emanazione diretta del loro comportamento materiale. Ciò vale allo stesso modo per la produzione spirituale quale essa si manifesta nel linguaggio della politica, delle leggi, della morale, della religione, della metafisica, ecc. di un popolo.

76 Il concetto di ideologia
La produzione delle idee, delle rappresentazioni, della coscienza, è in primo luogo direttamente intrecciata all’attività materiale e alle relazioni materiali degli uomini, linguaggio della vita reale. Le rappresentazioni e i pensieri, lo scambio spirituale degli uomini appaiono qui ancora come emanazione diretta del loro comportamente materiale. Ciò vale allo stesso modo per la produzione spirituale, quale essa si manifesta nel linguaggio della politica, delle leggi, della morale, della religione, della metafisica, ecc. di un popolo.

77 Il concetto di ideologia
Sono gli uomini i produttori delle loro rappresentazioni, idee, ecc., ma gli uomini reali, operanti, così come sono condizionati da un determinato sviluppo delle loro forze produttive e dalle relazioni che vi corrispondono fino alle loro formazioni più estese. La coscienza non può mai essere qualcosa di diverso dall’essere cosciente, e l’essere degli uomini è il processo reale della loro vita. Se nell’intera ideologia gli uomini appaiono capovolti come in una camera oscura, questo fenomeno deriva dal processo storico della loro vita, proprio come il capovolgimento degli oggetti sulla retina deriva dal loro immediato processo fisico… (L’ideologia tedesca, p. 13)

78 Il concetto di ideologia
Esattamente all’opposto di quanto accade nella filosofia tedesca, che discende dal cielo alla terra, qui si sale dalla terra al cielo. Cioè non si parte da ciò che gli uomini dicono, si immaginano, si rappresentano, né da ciò che si dice, si pensa, si immagina, si rappresenta che siano, per arrivare da qui agli uomini vivi; ma si parte dagli uomini realmente operanti e sulla base del processo reale della loro vita si spiega anche lo sviluppo dei riflessi e degli echi ideologici di questo processo di vita. Anche le immagini nebulose che si formano nel cervello dell’uomo sono necessarie sublimazioni del processo materiale della loro vita, empiricamente constatabile e legato a presupposti materiali. Di conseguenza la morale, la religione, la metafisica e ogni altra forma ideologica, e le forme di coscienza che ad esse corrispondono, non conservano oltre la parvenza dell’autonomia.

79 Il concetto di ideologia
Esse non hanno storia, non hanno sviluppo, ma gli uomini che sviluppano la loro produzione materiale e le loro relazioni materiali trasformano, insieme con questa loro realtà, anche il loro pensiero e i prodotti del loro pensiero. Non è la coscienza che determina la vita, ma la vita che determina la coscienza. Nel primo modo di giudicare si parte dalla coscienza come individuo vivente, nel secondo modo, che corrisponde alla vita reale, si parte dagli stessi individui reali viventi e si considera la coscienza soltanto come la loro coscienza. Questo modo di giudicare non è privo di presupposti. Esso muove dai presupposti reali e non se ne scosta per un solo istante. I suoi presupposti sono gli uomini, non in qualche modo isolati e fissati fantasticamente, ma nel loro processo di sviluppo, reale ed empiricamente constatabile, sotto condizioni determinate.

80 Il concetto di ideologia
Questo modo di giudicare non è privo di presupposti. Esso muove dai presupposti reali e non se ne scosta per un solo istante. I suoi presupposti sono gli uomini, non in qualche modo isolati e fissati fantasticamente, ma nel loro processo di sviluppo, reale ed empiricamente constatabile, sotto condizioni determinate. Non appena viene rappresentato questo attivo processo vitale, la storia cessa di essere una raccolta di morti dati di fatto, come avviene per gli empiristi, pur essi ancora astratti, oppure un’azione immaginaria di soggetti immaginari, come avviene per gli idealisti. (L’ideologia tedesca, pp. 12 s.).

81 Il concetto di ideologia
Le idee della classe dominante sono in ogni epoca le idee dominanti; cioè la classe che è la potenza materiale dominante della società è in pari tempo la sua potenza spirituale dominante. La classe che dispone dei mezzi della produzione materiale dispone con ciò, in pari tempo, dei mezzi della produzione intellettuale, cosicché ad essa in complesso sono assoggettate le idee di coloro ai quali mancano i mezzi della produzione intellettuale. Le idee dominanti non sono altro che l’espressione ideale dei rapporti materiali dominanti presi come idee: sono dunque l’espressione dei rapporti che appunto fanno di una classe la classe dominante, e dunque sono le idee del suo dominio. Gli individui che compongono la classe dominante posseggono tra l’altro anche la coscienza, e quindi pensano… (L’ideologia tedesca, pp. 35 s.)

82 Il concetto di ideologia in Marx
1) Credenze illusorie o socialmente sconnesse, che si considerano il fondamento della storia e che distraendo gli uomini e le donne dalle loro vere condizioni sociali (comprese le determinazioni sociali delle loro idee), servono a sorreggere un potere oppressivo. Il contrario di ciò è una conoscenza esatta e spregiudicata delle condizioni sociali materiali

83 Il concetto di ideologia in Marx
2) Idee che esprimono direttamente gli interessi materiali della classe sociale dominante e che sono utili alla difesa del suo dominio. Il contrario di ciò è o la vera conoscenza scientifica o la coscienza delle classi non dominanti.

84 Il concetto di ideologia in Marx
3) Tutte le forme concettuali in cui si combatte la lotta di classe, compresa rpobabilmente l valida coscienza di forze politicamente rivoluzionarie. Il contrario di ciò è qualsiasi concezione al momento non coinvolta nella lotta.

85 Il concetto di ideologia in Marx
4) Una non verità esistente, praticamente fondata, dotata di conseguenze pratiche ed infine interamente sopprimibile soltanto attraverso la prassi. (Il Capitale, Analisi del feticcio della merce)

86 STORIA DEL PENSIERO POLITICO CONTEMPORANEO Docente Prof. Scuccimarra
Lezione n. 7 I SEMESTRE A.A Facoltà di Scienze Politiche

87 Per la critica dell’economia politica (1859):
Nella produzione sociale della loro esistenza, gli uomini entrano in rapporti determinati, necessari, indipendenti dalla loro volontà, in rapporti di produzione che corrispondono a un determinato grado di sviluppo delle loro forze produttive materiali. (…) A un dato punto del loro sviluppo, le forze produttive materiali della società entrano in contraddizione con i rapporti di produzione esistenti, cioè con i rapporti di proprietà (che ne sono soltanto l’espressione giuridica) dentro i quali tali forze per l’innanzi s’erano mosse. Questi rapporti, da forme di sviluppo delle forze produttive, si convertono in loro catene. E allora subentra un’epoca di rivoluzione sociale. Con il cambiamento della base economica si sconvolge più o meno rapidamente tutta la gigantesca sovrastruttura.

88 Per la critica dell’economia politica (1859):
(…) Una formazione sociale non perisce finché non si siano sviluppate tutte le forze produttive a cui può dare corso; nuovi e superiori rapporti di produzione non subentrano mai, prima che siano maturate in seno alla vecchia società le condizioni materiali della loro esistenza. Ecco perché l’umanità non si propone se non quei problemi che può risolvere, perché, a considerare le cose dappresso, si trova sempre che il problema sorge solo quando le condizioni materiali della sua soluzione esistono già o almeno sono in formazione. A grandi linee, i modi di produzione asiatico, antico, feudale e borghese moderno possono essere designati come epoche che marcano il progresso della formazione economica della società.

89 Il Capitale: Con la diminuzione costante del numero dei magnati del capitale che usurpano e monopolizzano tutti i vantaggi di questo processo di trasformazione, cresce la massa della miseria, della pressione, dell’asservimento, della degenerazione, dello sfruttamento, ma cresce anche la ribellione della classe operaia che sempre più s’ingrossa ed è disciplinata, unita e organizzata dallo stesso meccanismo del processo di produzione capitalistico. Il monopolio del capitale diventa un vincolo del modo di produzione, che è sbocciato insieme ad esso e sotto di esso. La centralizzazione dei mezzi di produzione e la socializzazione del lavoro raggiungono un punto in cui diventano incompatibili col loro involucro capitalistico. Ed esso viene spezzato. Suona l’ultima ora della proprietà privata capitalistica. Gli espropriatori vengono espropriati. (…) La produzione capitalistica genera essa stessa, con l’ineluttibilità di un processo naturale, la propria negazione. E’ la negazione della negazione.

90 F. Engels, Lettera a Joseph Bloch (1890):
Secondo la concezione marxista della storia la produzione e riproduzione della vita reale è nella storia il momento in ultima istanza determinante. Di più né io né Marx abbiamo mai affermato. Se ora qualcuno distorce quell’affermazione in modo che il momento economico risulti essere l’unico determinante, trasforma quel principio in una frase fatta insignificante, astratta e assurda. La situazione economica è la base, ma i diversi momenti della sovrastruttura – le forme politiche della lotta di classe e i risultati di questa – costituzioni stabilite dalla classe vittoriosa dopo una battaglia vinta, ecc. – le forme giuridiche, anzi persino i riflessi di tutte queste lotte reali nel cervello di coloro che vi prendono parte, le teorie politiche, giuridiche, filosofiche, le visioni religiose ed il loro successivo sviluppo in sistemi dogmatici, esercitano altresì la loro influenza sul decorso delle lotte storiche e in molti casi ne determinano in modo preponderante la forma. .

91 F. Engels, Lettera a Joseph Bloch (1890):
E’ un’azione reciproca di tutti questi momenti, in cui alla fine il movimento economico si impone come fattore necessario attraverso un’enorme quantità di fatti casuali (cioè di cose e di eventi il cui interno nesso è così vago e così poco dimostrabile che noi possiamo fare come se non ci fosse e trascurarlo). In caso contrario, applicare la teoria a un qualsiasi periodo storico sarebbe certo più facile che risolvere una semplice equazione di primo grado.

92 F. Engels, Lettera a Joseph Bloch (1890):
Ci facciamo da noi la nostra storia, ma, innanzitutto, a presupposti e condizioni assai precisi. Tra di essi quelli economici sono in fin dei conti decisivi. Ma anche quelli politici, ecc., anzi addirittura la tradizione che vive nelle teste degli uomini ha la sua importanza, anche se non decisiva… Ma in secondo luogo la storia si fa in modo tale che il risultato finale scaturisce sempre dai conflitti di molte volontà singole, ognuna delle quali a sua volta è resa quel che è da una gran quantità di particolari condizioni di vita; sono perciò innumerevoli forze che si intersecano tra loro, un gruppo infinito di parallelogrammi di forze, da cui scaturisce una risultante – l’avvenimento storico – che a sua volta può esser considerata come il prodotto di una potenza che agisce come totalità, in modo non cosciente e non volontario. Infatti quel che ogni singolo vuole è ostacolato da ogni altro, e quel che ne viene fuori è qualcosa che nessuno ha voluto. Così la storia, quale è stata finora, si svolge a guisa di un processo naturale, ed essenzialmente è soggetta anche alle stesse leggi di movimento…

93 STORIA DEL PENSIERO POLITICO CONTEMPORANEO Docente Prof. Scuccimarra
Lezione n. 8 I SEMESTRE A.A Facoltà di Scienze Politiche

94 F. Nietzsche: Un grado, certo molto elevato, di cultura è raggiunto quando l’uomo si libera dalle idee e dalle paure superstiziose e religiose… Se egli è a questo grado di liberazione, gli resta ancora da superare con la massima tensione della sua riflessione la metafisica. Poi però è necessario un movimento all’indietro: egli deve capire la giustificazione storica, come pure quella psicologica di tali rappresentazioni, deve riconoscere come sia di là venuto il maggior progresso dell’umanità e come senza un tale movimento all’indietro, ci si priverebbe dei migliori risultati finora ottenuti dall’umanità.

95 F. Nietzsche: Che non ci sia verità; che non ci sia una costituzione assoluta delle cose, una “cosa in sé”; - ciò stesso è nichilismo, è anzi il nichilismo estremo (Frammenti postumi , pp. 13 s.).

96 F. Nietzsche: Quale che sia lo stato che questo mondo può raggiungere, deve averlo già raggiunto, e non una ma infinite volte. Così questo attimo: esso era già qui una volta e molte volte e parimenti ritornerà, tutte le forze distribuite esattamente come ora; lo stesso avviene per l’attimo che ha generato questo e per quello che sarà il figlio dell’attimo attuale. Uomo! La tua vita intera, come una clessidra, sarà di nuovo capovolta, e sempre di nuovo si vuoterà – un grande minuto di tempo frammezzo, finché tutte le condizioni dalle quali tu sei divenuto, nel corso circolare cosmico, si verificano di nuovo. E allora troverai di nuovo ogni dolore e ogni piacere e ogni amico e nemico e ogni speranza e ogni errore e ogni filo d’erba e ogni raggio di sole, la connessione totale di tutte le cose. (Frammenti postumi, 1881).

97 F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra:
Oggi i filosofi, partendo dallo spirito della funzione, riflettono su come trasformare l’umanità in un organismo – è l’opposto della mia tendenza: il numero maggiore possibile di organismi diversi e che si trasformano, i quali, giunti alla loro maturità e putrefazione, lasciano cadere il loro frutto: gli individui, dei quali certo la maggior parte perisce; ma solo i pochi contano

98 F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra:
La terra è divenuta piccola, e su di essa saltella l’ultimo uomo, che rende piccola ogni cosa. La sua stirpe è inestinguibile come quella degli scarafaggi; l’ultimo uomo vivrà molto a lungo… Non si diventa ormai più né poveri né ricchi: entrambe le cose costano troppa fatica. Chi vuole ancora regnare? Chi vuole ancora obbedire? Entrambe le cose sono troppo gravose. Nessun pastore e un solo gregge! Ognuno vuole allo stesso modo, tutti sono eguali: chi sente in maniera diversa se ne va spontaneamente al manicomio.

99 F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra:
Un tale spirito divenuto libero sta al centro del tutto con un fatalismo gioioso e fiducioso, nella fede che soltanto sia biasimevole quel che se ne sta separato, che ogni cosa si redima e si affermi nel tutto – egli non nega più. Ma una fede siffatta è la più alta di tutte le fedi possibili: l’ho battezzata col nome di Dioniso.

100 F. Nietzsche, Ecce Homo: Io conosco la mia sorte. Si legherà un giorno al mio nome il ricordo (…) di una crisi, come non ce ne fu un’altra simile sulla Terra, al più profondo conflitto di coscienza, ad una decisione, proclamata contro tutto ciò che sinora era stato creduto, richiesto, consacrato. Io non sono un uomo, sono una dinamite…

101 F. Nietzsche, Ecce Homo: Io contraddico come mai è stato contraddetto, e malgrado ciò sono l’antitesi di uno spirito negatore… Con tutto ciò sono necessariamente pure un uomo del destino. E infatti, se la verità entra in lotta con la menzogna di millenni, avremo di tali scuotimenti, tali convulsioni di terremoto che mai erano state neppure sognate. Il concetto di politica è ora entrato completamente in una guerra tra spiriti, tutte le forme di dominio della vecchia società sono saltate in aria – esse riposano tutte quante sulla menzogna; ci saranno guerre come non ce ne sono state mai sulla terra. Solo da me comincia sulla terra la grande politica.

102 F. Nietzsche: La mia opera ha tempo e non voglio essere per nulla scambiato con ciò che il presente ha da risolvere come proprio compito. Tra cinquant’anni, forse, alcuni (…) avranno occhi per vedere ciò che da me è stato compiuto. Ma al presente non è soltanto difficile, ma assolutamente impossibile (…) parlare di me pubblicamente senza rimanere illimitatamente dietro la verità.

103 F. Nietzsche, La volontà di potenza :
Ciò che racconto è la storia dei prossimi due secoli. Io descrivo ciò che viene, ciò che non può fare a meno di venire: l’avvento del nichilismo. Questa storia può già ora essere raccontata; perché la necessità stessa è qui all’opera. Questo futuro parla già per mille segni, questo destino si annunzia dappertutto; per questa musica del futuro tutte le orecchie sono già in ascolto. Tutta la nostra cultura europea si muove da lungo tempo in una torturante tensione che cresce di decenni in decenni, come protesa verso una catastrofe: irrequieta, violenta, precipitosa; simile ad una corrente che vuole giungere alla fine, che non riflette più e ha paura di riflettere.

104 F. Nietzsche, La volontà di potenza :
– Chi prende qui la parola non ha fatto, invece, altro sinora che riflettere: come filosofo e solitario di istinto che ha trovato il proprio vantaggio nello starsene appartato ed estraneo, nel pazientare, nel differire; come uno spirito che osa osare e tentare, e già si è smarrito una volta in ogni labirinto del futuro; (…) che guarda indietro quando racconta ciò che dovrà avvenire; come il primo compiuto nichilista europeo, che però ha già vissuto dentro di sé sino all’esaurimento il nichilismo stesso, e lo ha dietro di sé, sotto di sé, fuori di sé.

105 F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra:
Non sarebbe dunque per il movimento democratico una specie di scopo, di redenzione e di giustificazione, il fatto che venisse qualcuno a servirsi di esso, e che attraverso questa nuova (…) configurazione della schiavitù (…) trovasse la sua strada quella specie superiore di spiriti dominatori e cesarei, che su tutto ciò si appoggerebbe, si sosterrebbe e potrebbe innalzarsi’ (…) L’aspetto dell’attuale Europeo mi dà molte speranze: va formandosi una audace razza dominatrice sulla base di una massa estremamente intelligente… Le stesse condizioni che favoriscono lo sviluppo dell’animale del gregge provocano anche la formazione dell’animale capo.

106 F. Nietzsche: Chi ha conservato ed ha educato in sé una forte volontà, e possiede al tempo stesso uno spirito ampio, gode di possibilità più favorevoli che mai in precedenza. La plasmabilità degli uomini è infatti diventata grandissima in questa Europa democratica; uomini che imparano facilmente e si adattano facilmente rappresentano la regola: l’animale del gregge, per di più assai intelligente, è preparato. Chi può comandare trova quelli che debbono ubbidire.

107 F. Nietzsche: In tali condizioni, quali sono presentate alla nostra civiltà, di movimenti eccessivi per il ritmo e per i mezzi spiegati, il centro di gravità degli uomini si sposta… In questo caso il centro di gravità cade necessariamente sui mediocri: la mediocrità, in quanto garanzia e portatrice dell’avvenire, si consolida contro il dominio della plebe e dell’eccentricità (per lo più collegate tra loro). Dal che sorge per gli uomini di eccezione un nuovo avversario, o anche una nuova seduzione. Posto che essi non si adattino alla plebe e non cantino le loro poesie per compiacere all’istinto dei diseredati, dovranno essere necessariamente «mediocri» e «solidi»… Ancora una volta (…) tutto quanto il mondo completamente esaurito dell’ideale viene ad ottenere una pregiata difesa… Risultato: la mediocrità acquista spirito, arguzia, genio, diventa divertente, seduce…

108 STORIA DEL PENSIERO POLITICO CONTEMPORANEO Docente Prof. Scuccimarra
Lezione n. 9 I SEMESTRE A.A Facoltà di Scienze Politiche

109 F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra:
In passato l’anima guardava al corpo con disprezzo: e questo disprezzo era allora la cosa più alta: - essa voleva il corpo macilento, orrido, affamato. Pensava in tal modo, di poter sfuggire al corpo e alla terra. Ma quest’anima era anch’essa macilenta, orrida e affamata: e crudeltà era la voluttà di quest’anima (pp. 6-7).

110 F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra:
’Io’ dici tu, e sei orgoglioso di questa parola. Ma la cosa ancora più grande, cui tu non vuoi credere – il tuo corpo e la sua grande ragione: essa non dice ‘io’, ma fa ‘io’ (p. 34).

111 F. Nietzsche, Frammenti postumi:
Tutto ciò che entra nella coscienza costituisce l’ultimo anello di una catena, di una chiusura. Che un pensiero sia immediatamente causa di un altro pensiero, è cosa solo apparente. I veri avvenimenti concatenati si svolgono al di sotto della nostra coscienza: le serie e successioni di sentimenti, pensieri, eccetera, che si producono, sono solo sintomi del vero accadere.

112 F. Nietzsche, Frammenti postumi:
E anche quei piccolissimi esseri viventi che costituiscono il nostro corpo (o meglio: del cui cooperare ciò che chiamiamo corpo è la migliore immagine) non sono per noi atomi spirituali, ma qualcosa che cresce, lotta, si accresce e a sua volta muore: sicché il loro numero muta in modo variabile, e la nostra vita è, come qualunque vita, in pari tempo, un continuo morire

113 STORIA DEL PENSIERO POLITICO CONTEMPORANEO Docente Prof. Scuccimarra
Lezione n. 10 I SEMESTRE A.A Facoltà di Scienze Politiche

114 G. Lukàcs, Storia e coscienza di classe:
Il metodo dialettico è la predominanza metodologica della totalità sui momenti particolari. (…) La totalità concreta è la categoria autentica della realtà. (…) La considerazione della genesi della intellegibilità di un oggetto a partire dalla sua funzione nella totalità determinata (…) fa della concezione dialettica della totalità la sola che comprenda la realtà come divenire sociale.

115 G. Lukàcs, Storia e coscienza di classe:
Ciò che distingue in modo decisivo il marxismo dalla scienza borghese non è il predominio delle motivazioni economiche nella spiegazione della storia, ma il punto di vista della totalità. La categoria della totalità, il dominio determinante e onnilaterale dell’intero sulle parti è l’essenza del metodo che Marx ha assunto da Hegel riformulandolo in modo originale e ponendolo alla base di una scienza interamente nuova…

116 G. Lukàcs, Storia e coscienza di classe:
Il dominio della categoria della totalità è il veicolo del principio rivoluzionario della scienza. E’ solo in Marx che la dialettica hegeliana è diventata, secondo l’espressione di Herzen, un’algebra della rivoluzione. Ma essa non lo è diventata semplicemente per il rovesciamento materialistico. Piuttosto il principio rivoluzionario della dialettica hegeliana ha potuto manifestarsi in e per questo rovesciamento perché è stata salvata l’essenza del metodo, cioè il punto di vista della totalità (…) inteso come unità del pensiero e della storia.

117 G. Lukàcs, Storia e coscienza di classe:
Il metodo dialettico di Marx mira alla conoscenza della società come totalità. Per il marxismo non c’è dunque in ultima analisi una scienza giuridica, una economia politica, una storia, ecc. autonome: c’è una sola scienza, storia e dialettica, unica e unitaria dello sviluppo della società come totalità. (…) Totalità tanto come oggetto posto che come soggetto ponente.

118 G. Lukàcs, Storia e coscienza di classe:
L’empirismo crede di poter trovare un fatto importante in ogni dato, in ogni statistica, in ogni factum brutum della vita economica. Ed esso non si rende conto che l’enumerazione più semplice, la catalogazione di “fatti” più scarna di commenti è già un’ “interpretazione”; che già fin d’ora i fatti sono appresi a partire da una teoria, secondo un metodo; che sono stati strappati alla connessione vitale in cui originariamente erano inseriti e sono stati introdotti nel contesto di una teoria.

119 G. Lukàcs, Storia e coscienza di classe:
Il marxismo ha perso la capacità di vedere la totalità della società come totalità storica concreta, di intendere le forme reificate come processi tra uomini di portare positivamente alla coscienza e trasformare in prassi il senso immanente dell’evoluzione che si manifesta negativamente nelle contraddizioni della forma astratta della esistenza. Se in tale ideologia il principio dell’uomo come valore, come ideale, come imperativo morale, ecc. ha un ruolo sempre più importante (…), questo non è che un sintomo della ricaduta nella immediatezza borghese reificata.

120 Max Weber: «Come ogni altra attività,l’attività sociale può essere determinata: In modo razionale rispetto allo scopo (zweckrational), attraverso delle aspettative concernenti i comportamenti degli oggetti del mondo esteriore o quelli degli altri uomini; In modo razionale rispetto al valore (wertrational) attraverso la credenza cosciente nel valore intrinseco di un comportamento – di ordine etico, estetico, religioso o altro – indipendentemente dal successo sperato; Secondo gli affetti (in particolare le emozioni), a partire dalle passioni e dai sentimenti specifici degli attori; Secondo la tradizione, in virtù di abitudini inveterate».

121 Max Weber: «Gli agenti possono accordare a un ordine una validità legittima: In virtù della tradizione: validità di ciò che è sempre stato; In virtù di una credenza di ordine affettivo (del tutto emozionale): validità della nuova rivelazione o dell’esemplarità; In virtù di una credenza razionale secondo dei valori: validità di ciò che si ritiene essere un assoluto; In virtù di uua disposizione positiva, alla legalità della quale si crede»..

122 Max Weber: «Ci sono tre tipi di dominazione legittima. La validità di questa legittimità si può basare: Su dei motivi razionali, che si vasano sulla credenza nella legalità dei regolamenti emanati e del diritto di dare delle direttive che hanno coloro che sono chiamati a esercitare l’autorità con questi mezzi (autorità legale); Su dei motivi tradizionali, che poggiano sulla credenza quotidiana nella santità delle tradizioni immemoriali nella legittimità di coloro che sono chiamati ad esercitare l’autorità attraverso tali mezzi (autorità tradizionale); Su dei motivi carismatici, che poggiano sulla devozione nei confronti della santità eccezionale, della virtù eroica o del carattere esemplare di una persona individuale, o ancora che emanano da ordini rivelati o emanati da quella (autorità carismatica)».

123 Max Weber: «Agisce in maniera razionale rispetto allo scopo colui che orienta il suo agire allo scopo, ai mezzi e alle conseguenze concomitanti, misurando razionalmente i mezzi in rapporto agli scopi, gli scopi in rapporto alle conseguenze ed infine anche i diversi scopi possibili in rapporto reciproco: in ogni caso egli non agisce quindi né affettivamente né tradizionalmente»

124 Max Weber: Uno degli elementi costitutivi dello spirito capitalistico moderno (e non soltanto di questo, ma della civiltà moderna), ossia la condotta razionale della vita sul fondamento dell’idea di professione, è nato (…) dallo spirito dell’ascesi cristiana… Quando infatti l’ascesi fu trasferita dalle celle dei monaci alla vita professionale e cominciò a dominare l’eticità intra-mondana, essa cooperò per la sua parte all’edificazione di quel possente cosmo dell’ordinamento economico moderno, legato ai presupposti tecnici ed economici della produzione meccanica, che oggi determina con strapotente forza coercitiva – e forse continuerà a determinare finché non sarà bruciato l’ultimo quintale di combustibile fossile – lo stile di vita di tutti gli individui nati in questo ingranaggio, e non soltanto di quelli direttamente attivi nell’acquisizione economica.

125 Max Weber: Secondo l’opinione di Richard Baxter, la cura per i beni esteriori doveva avvolgere le spalle dei suoi santi soltanto come un ‘sottile mantello che si possa gettar via in ogni momento’. Ma il destino fece del mantello una gabbia di acciaio. Mentre l’ascesi intraprendeva lo sforzo di trasformare il mondo e di esercitare la sua influenza nel mondo, i beni esteriori di questo mondo acquistavano un potere crescente e, alla fine, ineluttabile sull’uomo, come mai prima nella storia. Oggi il suo spirito – chissà se per sempre – è fuggito da questa gabbia. In ogni caso il capitalismo vittorioso, da quando si fonda su una base meccanica, non ha più bisogno di questo sostegno.

126 Max Weber: Nessuno sa chi in futuro abiterà in quella gabbia e se, alla fine di questo enorme sviluppo, vi saranno profeti interamente nuovi o una potente rinascita di principi e di ideali antichi, oppure ancora – escludendo l’una e l’altra alternativa – una pietrificazione meccanizzata, adornata di una specie di convulso desiderio di sentirsi importante. Allora, certo, per gli ‘ultimi uomini’ di questo sviluppo culturale potrebbe diventare verità il principio: ‘specialisti senza spirito, gaudenti senza cuore – questo nulla s’immagine di essere salito a un grado mai prima raggiunto di umanità.

127 G. Lukàcs, Storia e coscienza di classe:
In opposizione all’accettazione dogmatica di una realtà semplicemente data ed estranea al soggetto, nasce l’esigenza di comprendere, a partire dal soggetto-oggetto identico, ogni dato come prodotto di questo soggetto-oggetto, ogni dualità come caso particolare derivato da questa unità primitiva. Ora questa unità e attività.

128 G. Lukàcs, Storia e coscienza di classe:
Solo l’unità del soggetto e dell’oggetto, del pensiero e dell’essere che la prassi ha intrapreso a provare e a dimostrare, trova realmente il luogo della sua realizzazione e del suo sostrato nella unità tra la genesi delle determinazioni pensate e la storia del divenire della realtà. Tale unità può tuttavia essere compresa come unità a condizione che non solo il luogo metodologico della soluzione possibile sia indicato nella storia, ma anche che il noi – soggetto della storia – e la cui azione è la storia reale – possa essere concretamente mostrato.

129 G. Lukàcs, Storia e coscienza di classe:
Nella misura in cui la coscienza viene riferita all’intero della società, si riconoscono quelle idee, sentimenti, ecc. che gli uomini avrebbero avuto in una determinata situazione di vita, se fossero stati in grado di cogliere pienamente questa situazione, e gli interessi da essa emergenti, sia in rapporto all’agire immediato, sia in rapporto alla struttura – conforme a questi interessi – dell’intera società… Ora, la coscienza di classe è la reazione razionalmente adeguata che viene in questo modo attribuita di diritto a una determinata posizione tipica nel processo di produzione.

130 G. Lukàcs, Prefazione a Storia e coscienza di classe (1967):
Il proletariato come soggetto-oggetto identico della storia dell’umanità non è quindi una realizzazione materialistica che sia in grado di superare le costruzioni intellettuali idealistiche: si tratta piuttosto di un hegelismo più hegeliano di Hegel, di una costruzione che intende oggettivamente oltrepassare il maestro stesso nell’audacia con cui si eleva con il pensiero al di sopra di qualsiasi realtà.

131 STORIA DEL PENSIERO POLITICO CONTEMPORANEO Docente Prof. Scuccimarra
Lezione n. 11 I SEMESTRE A.A Facoltà di Scienze Politiche

132 La Scuola di Francoforte:
Max Horkheimer Theodor W. Adorno Herbert Marcuse Erich Fromm Walter Benjamin

133 Max Horkheimer, Crepuscolo:
«Non so in che misura i metafisici abbiano ragione, forse da qualche parte esiste davvero un sistema o un frammento metafisico particolarmente calzante, so però che di solito i metafisici sono solo scarsamente impressionati da ciò che tormenta gli uomini»

134 Herbert Marcuse, Sul carattere affermativo della cultura :
La cultura affermativa è stata la forma storica, in cui sono stati custoditi i bisogni umani che andavano al di là della riproduzione materiale dell’esistenza; per questo verso, vale per la cultura affermativa quello che vale anche per la forma di realtà sociale in cui essa rientra: il diritto è anche dalla sua parte. E’ vero che ha tolto ai “rapporti esterni” il peso della responsabilità per la “destinazione dell’uomo”, rendendo stabile la loro ingiustizia; ma vi ha anche contrapposto l’immagine di un ordine migliore, la cui realizzazione è affidata, come un compito all’ordine presente.

135 Herbert Marcuse, Sul carattere affermativo della cultura :
Nella misura in cui la cultura ha dato forma alle nostalgie e agli impulsi appagabili, ma di fatto inappagati degli uomini, essa perderà il proprio oggetto… La bellezza si incarnerà diversamente, quando non dovrà più essere rappresentata come apparenza reale, ma dovrà esprimere la realtà e la gioia che si trarrà da essa.

136 Max Horkheimer, Materialismo e metafisica:
«Elevare il lavoro a concetto supremo dell’attività umana significa professare un’ideologia ascetica. (…) Mantenendo questo concetto generale i socialisti si fanno portatori della propaganda capitalistica»

137 Herbert Marcuse, Per la critica dell’edonismo :
«La realtà della felicità è la realtà della libertà come autodeterminazione dell’umanità liberata nella sua lotta comune con la natura. (…) Nella loro forma complessiva (…) la felicità e la ragione, coincidono»

138 Herbert Marcuse, Per la critica dell’edonismo :
«Nella misura in cui l’illibertà è già presente nei bisogni e non nella loro gratificazione, essi devono essere i primi a essere liberati – non con un’azione educativa o di rinnovamento morale dell’uomo, ma con un processo politico ed economico che comprende la possibilità per la comunità di disporre dei mezzi di produzione, il riorientamento del processo produttivo verso i bisogni e i desideri dell’intera società, l’accorciamento della giornata lavorativa e l’attiva partecipazione degli individui alla gestione della comunità. »

139 qualcosa da superare. La ragione era così eretta a istanza critica»
Herbert Marcuse: «La ragione è la categoria fondamentale del pensiero filosofico, l’unica per mezzo della quale questo si mantiene legato al destino dell’umanità. La filosofia voleva investigare le ragioni ultime e più universali dell’essere. Sotto la denominazione di ragione essa ha pensato l’idea di un essere autentico, in cui siano unificate tutte le opposizioni di importanza decisiva (tra soggetto e oggetto, essenza e fenomeno, pensiero ed essere). A questa idea di connetteva la convinzione che l’essente non fosse già razionale in modo immediato, ma dovesse ancora essere addotto a ragione… Essendo il mondo in quanto dato legato al pensiero razionale, anzi dipendendone nel suo essere, ogni cosa che contraddiceva la ragione, che non era razionale, era considerata qualcosa da superare. La ragione era così eretta a istanza critica»

140 Herbert Marcuse: Di per sé la scientificità non è mai una garanzia per la verità, e tantomeno in una situazione come quella odierna, n cui la verità è in stretta opposizione ai fatti e si trova anzi celata dietro ai fatti. E non è la prevedibilità scientifica che possa afferrarne il carattere futuro… Senza la fantasia, ogni conoscenza filosofica rimane sempre e soltanto legata al presente o al passato e tagliata fuori dal futuro, che è il solo a congiungere la filosofia con la storia reale dell’umanità.

141 Max Horkheimer, Teoria tradizionale e teoria critica:
L’obiettivo della teoria tradizionale è sempre stato la formulazione di principi generali internamente coerenti che descrivessero il mondo. Sebbene scopo della teoria tradizionale sia stato sempre la pura conoscenza, più che l’azione, nella misura in cui essa consente di prevedere e controllare teoricamente processi naturali e sociali nel loro complesso, tradisce il riferimento ad un nesso di azione che ha come fine il dominio tecnologico sia della natura fisica che di determinati processi economici e sociali.

142 Max Horkheimer, Teoria tradizionale e teoria critica:
La teoria critica si rifiuta di feticizzare la conoscenza come qualcosa di separato e superiore all’azione. Così facendo, essa si sottrae all’errore fondamentale della teoria tradizionale: mentre questa si è estraniata dalla prassi sociale come sua origine, credendo di poter fondare il proprio metodo esclusivamente su criteri conoscitivi immanenti, la teoria, intesa nel senso della critica, rimane costantemente consapevole del proprio nesso costitutivo.

143 Max Horkheimer, Teoria tradizionale e teoria critica:
Adottando tale prospettiva, la teoria critica diviene in grado di riconoscere che l’ideale della libertà dell’intellettuale è un mito: la ricerca scientifica disinteressata è impossibile in una società in cui gli uomini non sono ancora autonomi; il ricercatore è sempre parte dell’oggetto che intende studiare, e dato che la società che studia non è ancora il frutto di una scelta libera e razionale dell’uomo lo scienziato non può evitare di partecipare a quell’eteronomia. La sua percezione è necessariamente mediata dalle categorie sociali al di sopra delle quali non si può sollevare.

144 Max Horkheimer, Teoria tradizionale e teoria critica:
Per quanto in definitiva faccia parte della società, il ricercatore diviene così capace di sollevarsi al di sopra di essa. Effettivamente il suo dovere è quello di individuare quelle forze e tendenze negative della società che rinviano a una realtà diversa.

145 Herbert Marcuse: «La teoria conserverà la verità anche se la prassi rivoluzionaria devierà dalla sua giusta via. La prassi segue la verità e non viceversa. »

146 STORIA DEL PENSIERO POLITICO CONTEMPORANEO Docente Prof. Scuccimarra
Lezione n. 12 I SEMESTRE A.A Facoltà di Scienze Politiche

147 Herbert Marcuse, Prefazione a Cultura e società:
Una cosa (…) non era incerta per l’autore di questi saggi e per i suoi amici dell’Istituto: il riconoscimento del fatto che lo stato fascista era la società fascista, che il potere totalitario e la ragione totalitaria provenivano dalla struttura della società esistente, che era allora sul punto di lasciarsi alle spalle il suo passato liberale e di annettersi la sua negazione storica.

148 Herbert Marcuse, La lotta contro il liberalismo nella concezione totalitaria dello Stato (1934):
La totalità sociale, intesa come realtà autonoma e primaria rispetto agli individui diventa, semplicemente in grazia del suo carattere di totalità, anche un valore autonomo e primario: la totalità è, in quanto totalità, il vero e l’autentico. Qui non viene posta la questione se ogni totalità non debba prima di tutto legittimarsi di fronte agli individui, e in che misura le loro possibilità e necessità siano in essa superate e conservate. Spostando la totalità all’inizio anziché alla fine, si sbarra la via alla critica teorica e pratica della società, che porta appunto a questa totalità. La totalità viene mistificata in maniera programmatica

149 Carl Schmitt, Teologia politica (1922):
Sovrano è chi decide sullo stato di eccezione. Infatti ogni ordine riposa su una decisione e anche il concetto di ordinamento giuridico, che viene acriticamente impiegato come qualcosa che si spiega da sé, contiene in sé la contrapposizione dei due diversi elementi del dato giuridico. Anche l’ordinamento giuridico, come ogni altro ordine, riposa su una decisione e non su una norma.

150 Carl Schmitt, Teologia politica (1922):
(…) L’eccezione è ciò che non è riconducibile; essa si sottrae all’ipotesi generale, ma nello stesso tempo rende palese in assoluta purezza un elemento formale specificamente giuridico: la decisione. Nella sua forma assoluta il caso d’eccezione si verifica solo allorché si deve creare la situazione nella quale possano avere efficacia norme giuridiche. Ogni norma generale richiede una strutturazione normale dei rapporti di vita, sui quali essa di fatto deve trovare applicazione e che essa sottomette alla propria regolamentazione normativa. La norma ha bisogna di una situazione media omogenea. Questa normalità di fatto non è semplicemente un «presupposto esterno» che il giurista può ignorare; essa riguarda invece direttamente la sua efficacia immanente.

151 Carl Schmitt, Teologia politica (1922):
Non esiste nessuna norma che sia applicabile ad un caos. Prima dev’essere stabilito l’ordine: solo allora ha un senso l’ordinamento giuridico. Bisogna creare una situazione normale, e sovrano è colui che decide in modo definitivo se questo stato di normalità regna davvero. Ogni diritto è «diritto applicabile ad una situazione». Il sovrano crea e garantisce la situazione come un tutto nella sua totalità. Egli ha il monopolio della decisione ultima. In ciò sta l’essenza della sovranità statale, che quindi propriamente non dev’essere definita giuridicamente come monopolio della sanzione o del potere, ma come monopolio della decisione…

152 Carl Schmitt, Teologia politica (1922):
L’eccezione è più importante del caso normale. Quest’ultimo non prova nulla, l’eccezione prova tutto; non solo essa conferma la regola: la regola stessa vive solo dell’eccezione. Nell’eccezione, la forza della vita reale rompe la crosta di una meccanica irrigidita nella ripetizione…

153 Carl Schmitt, Il concetto di «politico»
La specifica distinzione politica alla quale è possibile ricondurre le azioni e i motivi politici, è la distinzione di amico (Freund) e nemico (Feind). Essa offre una definizione concettuale, cioè un criterio, non una definizione esaustiva o una spiegazione del contenuto. (…) Il significato della distinzione di amico e nemico è di indicare l’estremo grado di intensità di un’unione o di una separazione, di un’associazione o di una dissociazione; essa può sussistere teoricamente e praticamente senza che, nello stesso tempo, debbano venir impiegate tutte le altre distinzioni morali, estetiche, economiche o di altro tipo.

154 Carl Schmitt, Il concetto di «politico»
Non c’è bisogno che il nemico politico sia moralmente cattivo, o esteticamente brutto; egli non deve necessariamente presentarsi come concorrente economico e forse può anche apparire vantaggioso concludere affari con lui. Egli è semplicemente l’altro, lo straniero (der Fremde) e basta alla sua essenza che egli sia esistenzialmente, in un senso particolarmente intensivo, qualcosa d’altro e di straniero, per modo che, nel caso estremo, siano possibili con lui conflitti che non possano venir decisi né attraverso un sistema di norme prestabilite né mediante l’intervento di un terzo “disimpegnato” e perciò “imparziale”.

155 Carl Schmitt, Il concetto di «politico»
Solo chi vi prende parte direttamente può por termine al caso conflittuale estremo; in particolare solo costui può decidere se l’alterità dello straniero nel conflitto concretamente esistente significhi la negazione del proprio modo di esistere e perciò sia necessario difendersi e combattere, per preservare il proprio, peculiare, modo di vita.

156 Carl Schmitt, Il concetto di «politico»
Nemico non è il concorrente o l’avversario in generale. Nemico non è neppure l’avversario privato che ci odia in base a sentimenti di antipatia. Nemico è solo un insieme di uomini che combatte almeno virtualmente, e che si contrappone ad un altro raggruppamento umano dello stesso genere. Nemico è solo il nemico pubblico, poiché tutto ciò che si riferisce ad un simile raggruppamento, e in particolare ad un intero popolo, diventa per ciò stesso pubblico. Il nemico è l’hostis, non l’inimicus in senso ampio. (…) La contrapposizione politica è la più intensa ed estrema di tutte e ogni altra contrapposizione concreta è tanto più politica quanto più si avvicina al punto estremo, quello del raggruppamento in base ai concetti di amico-nemico…

157 Carl Schmitt, Il concetto di «politico»
Nel concetto di nemico rientra l’eventualità, in termini reali, di una lotta. Questo termine va impiegato prescindendo da tutti i mutamenti casuali o dipendenti dallo sviluppo storico della tecnica militare e delle armi. La guerra è lotta armata fra unità politiche organizzate, la guerra civile è lotta armata all’interno di un’unità organizzata (che proprio perciò però sta divenendo problematica). L’essenza del concetto di arma sta nel fatto che essa è uno strumento di uccisione fisica di uomini. Come il termine di nemico anche quello di lotta dev’essere qui inteso nel senso di un’originarietà assoluta. Esso non significa concorrenza, non la lotta «puramente spirituale» della discussione, non il simbolico «lottare» che alla fine ogni uomo in qualche modo compie sempre, poiché in realtà l’intera vita umana è una «lotta» ed ogni uomo un «combattente».

158 Carl Schmitt, Il concetto di «politico»
I concetti di amico, nemico e lotta acquistano il loro significato reale dal fatto che si riferiscono in modo specifico alla possibilità reale dell’uccisione fisica. La guerra consegue dall’ostilità poiché questa è negazione assoluta di ogni altro essere. La guerra è solo la realizzazione estrema dell’ostilità. Essa non ha bisogno di essere vista come qualcosa di ideale o di desiderabile: essa deve però esistere come possibilità reale, perché il concetto di nemico possa mantenere il suo significato…

159 Carl Schmitt, Il concetto di «politico»
Allo Stato, in quanto unità sostanzialmente politica, compete il jus belli, cioè la possibilità reale di determinare, in dati casi e in forza di una decisione propria, il nemico e di combatterlo. E’ poi indifferente con quali mezzi tecnici la guerra verrà condotta, quale organizzazione militare esista, quante probabilità vi siano di vincere la guerra, purché il popolo politicamente uno sia pronto a combattere per la sua esistenza ed indipendenza: nel che esso determina, in forza di decisione propria, la sua indipendenza e libertà.

160 Carl Schmitt, Il concetto di «politico»
(…) Lo Stato come unità politica decisiva ha concentrato presso di sé una competenza immensa: la possibilità di far la guerra e quindi spesso di disporre della vita degli uomini. Infatti il jus belli contiene una disposizione di questo tipo; esso comporta la duplice possibilità di ottenere dagli appartenenti al proprio popolo la disponibilità a morire e ad uccidere, e di uccidere gli uomini che stanno dalla parte del nemico. Il compito di uno Stato normale consiste però soprattutto nell’assicurare all’interno dello Stato e del suo territorio una pace stabile, nello stabilire «tranquillità, sicurezza e ordine» e di procurare in tal modo la situazione normale che funge da presupposto perché le norme giuridiche possano aver vigore, poiché ogni norma presuppone una situazione normale e non vi è norma che possa aver valore per una situazione completamente abnorme nei suoi confronti

161 Carl Schmitt, Il concetto di «politico»
Se uno Stato combatte il suo nemico politico in nome dell’umanità, la sua non è una guerra dell’umanità, ma una guerra per la quale un determinato Stato cerca di impadronirsi, contro il suo avversario di un concetto universale per potersi identificare con esso (a spese del suo nemico), allo stesso modo come si possono utilizzare a torto i concetti di pace, giustizia, progresso, civiltà, per rivendicarli a sé e sottrarli al nemico. L’umanità è uno strumento particolarmente idoneo alle espansioni imperialistiche ed è, nella sua orma etico-umanitaria, un veicolo specifico dell’imperialismo economico. A questo proposito vale, pur con una modifica necessaria, una massima di Proudhon: chi parla di umanità, vuol trarvi in inganno.

162 Carl Schmitt, Il concetto di «politico»
Se uno Stato combatte il suo nemico politico in nome dell’umanità, la sua non è una guerra dell’umanità, ma una guerra per la quale un determinato Stato cerca di impadronirsi, contro il suo avversario di un concetto universale per potersi identificare con esso (a spese del suo nemico), allo stesso modo come si possono utilizzare a torto i concetti di pace, giustizia, progresso, civiltà, per rivendicarli a sé e sottrarli al nemico. L’umanità è uno strumento particolarmente idoneo alle espansioni imperialistiche ed è, nella sua orma etico-umanitaria, un veicolo specifico dell’imperialismo economico. A questo proposito vale, pur con una modifica necessaria, una massima di Proudhon: chi parla di umanità, vuol trarvi in inganno.

163 Carl Schmitt, Il concetto di «politico»
Proclamare il concetto di umanità, richiamarsi all’umanità, monopolizzare questa parola: tutto ciò potrebbe manifestare soltanto – visto che non si possono impiegare termini del genere senza conseguenze di un certo tipo – la terribile pretesa che al nemico va tolta la qualità di un uomo, che esso dev’essere dichiarato hors-la.loi e hors-l’umanité e quindi che la guerra deve essere portata fino all’estrema inumanità. Ma al di fuori di questa utilizzazione altamente politica del termine non politico di umanità, non vi sono guerre dell’umanità come tale

164 Carl Schmitt, Il concetto di «politico»
[La] necessità di pacificazione interna porta, in situazioni critiche, al fatto che lo Stato, in quanto unità politica, determina da sé, finché esiste, anche il «nemico interno». In tutti gli Stati esiste perciò in qualche forma ciò che il diritto statale delle repubbliche greche conosceva come dichiarazione di polemios e il diritto statale romano come dichiarazione di hostis: forme cioè più o meno acute, automatiche o efficaci solo in base a leggi speciali, manifeste o celate in prescrizioni generali, di bando, di proscrizione, di estromissione dalla comunità di pace, di collocazione hors la loi, in una parola di dichiarazione di ostilità interna allo Stato. Questo è il segno, a seconda del comportamento di colui che è stato dichiarato nemico dello Stato, della guerra civile, cioè del superamento dello Stato come unità politica organizzata, pacificata al suo interno, chiusa territorialmente e impenetrabile ai nemici. Il successivo destino di questa unità sarà poi deciso dalla guerra civile…

165 Carl Schmitt, Il concetto di «politico»
Potere costituente è una volontà politica il cui potere o autorità è in grado di prendere la decisione concreta fondamentale sulla specie e la forma della propria esistenza politica, ossia di stabilire complessivamente l’esistenza dell’unità politica. Dalle decisioni di questa volontà si fa discendere la validità di ogni ulteriore disciplina legislativa costituzionale.

166 Carl Schmitt, Il concetto di «politico»
Stato è un determinato status di un popolo, e precisamente lo status dell’unità politica. Forma di Stato è la specie particolare della struttura di questa unità. Soggetto di ogni determinazione concettuale dello Stato è il popolo. Lo Stato è una condizione, e precisamente la condizione di un popolo.

167 Herbert Marcuse, La lotta contro il liberalismo nella concezione totalitaria dello Stato (1934):
L’attivizzazione e la politicizzazione totale strappano ampi strati sociali alla neutralità che li paralizzava, e creano nuove forme di lotta politica e nuovi metodi di organizzazione politica su tutto un fronte che ha una larghezza e profondità finora sconosciute. Viene abolita la separazione di Stato e società, che il XIX secolo nel suo liberalismo aveva cercato di metter ein atto: lo Stato fa sua l’opera di integrazione politica della società. E in seguito all’esistenzializzazione e totalizzazione della politica, lo Stato diventa anche il portatore delle possibilità autentiche dell’esistenza stessa. Non è lo Stato che deve rispondere all’uomo, ma l’uomo che deve rispondere allo Stato: l’uomo è alla mercè dello Stato.

168 Herbert Marcuse, La lotta contro il liberalismo nella concezione totalitaria dello Stato (1934):
Kant era convinto che ci fossero dei diritti «inalienabili» degli uomini, a cui «l’uomo non può rinunziare, nemmeno se vuole». (…) Kant aveva legato l’uomo al dovere che questi dà a se stesso, alla libera autodeterminazione in quanto unica legge fondamentale; l’esistenzialismo sopprime questa legge fondamentale e vincola l’uomo «al Führer e al movimento che a questi si è votato in maniera incondizionata» (Heidegger). Altra era stata la fede di Hegel: «Ciò che nella vita è vero, grande e divino, lo è grazie all’idea… Tutto ciò che tiene insieme la vita umana, che ha un valore e come tale viene considerato, è di natura spirituale, e questo regno dello spirito esiste soltanto grazie alla coscienza della verità e del diritto e alla comprensione delle idee». Oggi l’esistenzialismo la sa più lunga: «Le regole del vostro essere non siano dottrine e “idee”. Il Führer in persona, ed egli soltanto, è la realtà tedesca odierna e futura e la sua legge» (Heidegger).

169 Herbert Marcuse, La lotta contro il liberalismo nella concezione totalitaria dello Stato (1934):
(…) L’esistenzialismo, che una volta si considerava l’erede dell’idealismo tedesco, ha rigettato la massima eredità spirituale della storia tedesca. Non con la morte di Hegel, ma soltanto adesso ha luogo la «caduta dei Titani» della filosofia classica tedesca. Allora le sue conquiste più importanti erano state salvate e accolte nella teoria scientifica della società, nella critica dell’economia politica. Incerto è oggi il destino del movimento operaio, in cui si era conservata l’eredità di questa filosofia.

170 STORIA DEL PENSIERO POLITICO CONTEMPORANEO Docente Prof. Scuccimarra
Lezione n. 13 I SEMESTRE A.A Facoltà di Scienze Politiche

171 Walter Benjamin, Il surrealismo
(…) E ciò significa pessimismo su tutta la linea. Pessimismo assoluto. Sfiducia nella sorte della letteratura, sfiducia nella sorte della libertà, sfiducia nella sorte dell’umanità europea, ma soprattutto sfiducia, sfiducia e sfiducia verso ogni forma di intesa: tra le classi, tra i popoli, tra i singoli. E illimitata fiducia solo nel gruppo Farben e nel perfezionamento pacifico dell’aviazione.

172 Walter Benjamin, Sul concetto di storia
1. Si dice che ci fosse un automa costruito in modo tale da rispondere, ad ogni mossa di un giocatore di scacchi, con una contromossa che gli assicurava la vittoria. Un fantoccio in veste da turco, con una pipa in bocca, sedeva di fronte alla scacchiera, poggiata su un’ampia tavola. Un sistema di specchi suscitava l’illusione che questa tavola fosse trasparente da tutte le parti. In realtà c’era accoccolato un nano gobbo, che era un asso nel gioco degli scacchi e che guidava per mezzo di fili la mano del burattino. Qualcosa di simile a questo apparecchio si può immaginare della filosofia. Vincere deve sempre il fantoccio chiamato «materialismo storico». Esso può farcela senz’altro con chiunque se prende al suo servizio la teologia, che oggi, com’è noto, è piccola e brutta, e che non deve farsi scorgere da nessuno.

173 Walter Benjamin, Sul concetto di storia
2. «Una delle caratteristiche più notevoli dell’animo umano, - scrive Lotze, - è, fra tanto egoismo nei particolari, la generale mancanza di invidia del presente verso il principio futuro». La riflessione porta a concludere che l’idea di felicità che possiamo coltivare è tutta tinta del tempo a cui ci ha assegnato, una volta per tutte, il corso della nostra vita. Una gioia che potrebbe suscitare la nostra invidia, è solo nell’aria che abbiamo respirato, fra persone a cui avremmo potuto rivolgerci, con donne che avrebbero potuto farci dono di sé. Nell’idea di felicità, in altre parole, vibra indissolubilmente l’idea di redenzione. Lo stesso vale per la rappresentazione del passato, che è il compito della storia. Il passato reca con sé un indice temporale che lo rimanda alla redenzione. C’è un’intesa segreta fra le generazioni passate e la nostra. Noi siamo stati attesi sulla terra. A noi, come ad ogni generazione che ci ha preceduto, è stata data in dote una debole forza messianica, su cui il passato ha un diritto. Questa esigenza non si lascia soddisfare facilmente. Il materialista storico lo sa.

174 Walter Benjamin, Sul concetto di storia
6. Articolare storicamente il passato non significa conoscerlo «come propriamente è stato». Significa impadronirsi di un ricordo come esso balena nell’istante di un pericolo. Per il materialismo storico si tratta di fissare l’immagine del passato come essa si presenta improvvisamente al soggetto storico nel momento del pericolo. Il pericolo sovrasta tanto il patrimonio della tradizione quanto coloro che lo ricevono. Esso è lo stesso per entrambi: di ridursi a strumento della classe dominante. In ogni epoca bisogna cercare di strappare la tradizione al conformismo che è in procinto di sopraffarla. Il Messia non viene solo come redentore, ma come vincitore dell’Anticristo. Solo quello storico ha il dono di accendere nel passato la favilla della speranza, che è penetrato dall’idea che anche i morti non saranno al sicuro dal nemico, se egli vince. E questo nemico non ha smesso di vincere.

175 Walter Benjamin, Sul concetto di storia
8. La tradizione degli oppressi ci insegna che lo «stato di emergenza» in cui vivamo è la regola. Dobbiamo giungere a un concetto di storia che corrisponda a questo fatto. Avremo allora di fronte, come nostro compito, la creazione del vero stato di emergenza; e ciò migliorerà la nostra posizione nella lotta contro il fascismo. La sua fortuna consiste, non da ultimo, in ciò che i suoi avversari lo combattono in nome del progresso come di una legge storica. Lo stupore perché le cose che viviamo sono «ancora» possibile nel ventesimo secolo è tutt’altro che filosofico. Non è all’inizio di nessuna conoscenza, se non di quella che l’idea di storia da cui proviene non sta più in piedi.

176 Walter Benjamin, Sul concetto di storia
9. C’è un quadro di Klee che s’intitola Angelus Novus. Vi si trova un angelo che sembra in atto di allontanarsi da qualcosa su cui fissa lo sguardo. Ha gli occhi spalancati, la bocca aperta, le ali distese. L’angelo della storia deve avere questo aspetto. Ha il viso rivolto al passato. Dove ci appare una catena di eventi, egli vede una sola catastrofe, che accumula senza tregua rovine su rovine e le rovescia ai suoi piedi. Egli vorrebbe ben trattenersi, destare i morti e ricomporre l’infranto. Ma una tempesta spira dal paradiso, che si è impigliata nelle sue ali, ed è così forte che egli non può più chiuderle. Questa tempesta lo spinge irresistibilmente nel futuro, a cui volge le spalle, mentre il cumulo delle rovine sale davanti a lui al cielo. Ciò che chiamiamo progresso, è questa tempesta.

177 Paul Klee, Angelus Novus

178 Walter Benjamin, Sul concetto di storia
14. La storia è oggetto di una costruzione il cui luogo non è il tempo omogeneo e vuoto, ma quello pieno di «attualità» (Jetztzeit). Così, per Robespierre, la Roma antica era un passato carico di attualità, che egli faceva schizzare dalla continuità della storia. La Rivoluzione francese s’intendeva come una Roma ritornata. Essa richiamava l’antica Roma esattamente come la moda richiama in vita un costume d’altri tempi. LA moda ha il senso dell’attuale, dovunque esso viva nella selva del passato. Essa è un balzo di tigre nel passato. Ma questo balzo ha luogo in un’arena dove comanda la classe dominante. Lo stesso balzo, sotto il cielo libero della storia, è quello dialettico, come Marx ha inteso la rivoluzione.

179 Horkheimer e Adorno, Dialettica dell’Illuminismo
L’illuminismo, nel senso più ampio di pensiero in continuo progresso, ha perseguito da sempre l’obiettivo di togliere agli uomini la paura e di renderli padroni. Ma la terra interamente illuminata splende all’ insegna di trionfale sventura.

180 Horkheimer e Adorno, Dialettica dell’Illuminismo
Il programma dell’illuminismo era di liberare il mondo dalla magia. Esso si proponeva di dissolvere i miti e di rovesciare l’immaginazione con la scienza. (…) D’ora in poi la materia dev’essere dominata al di fuori di ogni illusione di forze ad essa superiori o in essa immanenti, di qualità occulte. Ciò che non si piega al criterio del calcolo e dell’utilità, è, agli occhi dell’illuminismo, sospetto. E quando l’illuminismo può svilupparsi indisturbato da ogni oppressione esterna, non c’è più freno.

181 Horkheimer e Adorno, Dialettica dell’Illuminismo
Alle sue stesse idee sui diritti degli uomini finisce per toccare la sorte dei vecchi universali. Ad ogni resistenza spirituale che esso incontra, la sua forza non fa che aumentare. Ciò deriva dal fatto che l’Illuminismo riconosce se stesso anche nei miti. Quali che siano i miti a cui ricorre la resistenza, per il solo fatto di diventare, in questo conflitto, argomenti. rendono omaggio al principio della razionalità analitica che essi rimproverano all’illuminismo. L’illuminismo è totalitario.

182 Horkheimer e Adorno, Dialettica dell’Illuminismo
Gli uomini si distanziano col pensiero dalla natura per averla di fronte nella posizione in cui dominarla. Come la cosa, lo strumento materiale, che si mantiene identico in situazioni diverse, e separa così il mondo – caotico, multiforme e disparato – da ciò che è noto, uno ed identico, il concetto è lo strumento ideale, che si apprende a tutte le cose nel punto in cui si possono afferrare

183 Horkheimer e Adorno, Dialettica dell’Illuminismo
Gli uomini pagano l’accrescimento del loro potere con l’estraneazione da ciò su cui lo esercitano. L’illuminismo si rapporta alle cose come il dittatore agli uomini: che conosce in quanto è in grado di manipolarli. Lo scienziato conosce le cose in quanto è in grado di farle. Così il loro in-sé diventa per-lui. Nella trasformazione l’essenza delle cose si rivela ogni volta come la stessa: come sostrato del dominio.

184 Horkheimer e Adorno, Dialettica dell’Illuminismo
L’umanità ha dovuto sottoporsi a un trattamento spaventoso, perché nascesse e si consolidasse il Sé, il carattere identico, pratico, virile dell’uomo, e qualcosa di tutto ciò si ripete in ogni infanzia. Lo sforzo di tenere insieme l’io appartiene all’io in tutti i suoi stadi, e la tentazione di perderlo è sempre stata congiunta alla cieca decisione di conservarlo.

185 Horkheimer e Adorno, Dialettica dell’Illuminismo
(…) La specie umana, comprese le sue macchine, i suoi prodotti chimici, le sue forze organizzative (…), è, in quest’epoca, le dernier cri dell’adattamento. Non solo gli uomini hanno superato i loro predecessori diretti, ma li hanno estirpati così radicalmente come di rado una specie più recente ha fatto con la specie anteriore, non eccettuati i sauri carnivori. Di fronte a ciò sembra quasi un capriccio voler costruire la storia universale, come ha fatto Hegel, in funzione di categorie come libertà e giustizia. Esse derivano, infatti, dagli individui marginali, da quelli che, considerati dal punto di vista del corso complessivo, non significano nulla, se non in quanto contribuiscono a introdurre condizioni sociali transitorie in cui si producono, in quantità particolarmente grandi, macchine e prodotti chimici per il rafforzamento della specie e la sottomissione delle altre.

186 Horkheimer e Adorno, Dialettica dell’Illuminismo
Dal punto di vista di questa storia seria tutte le idee, i tabù, le religioni, le fedi politiche, interessano solo nella misura in cui, sorte da casi molteplici, aumentano o diminuiscono le possibilità naturali della specie umana sulla terra o nell’universo. La liberazione dei borghesi dall’ingiustizia del passato feudale e assolutistico è servita, attraverso il liberalismo, a scatenare la produzione meccanica, come l’emancipazione della donna finisce nel suo addestramento come arma speciale. Lo spirito, e tutto ciò che vi è di buono, è . nella sua origine e nella sua esistenza – irretito senza scampo in questo orrore. Il siero che il medico somministra al bambino malato , è dovuto all’aggressione a una creatura inerme.

187 Horkheimer e Adorno, Dialettica dell’Illuminismo
(…) La funzione storica della cultura è tutta nel suo effetto di ritorno su questa organizzazione, che essa potenzia e sviluppa ulteriormente. Onde il pensiero autentico, che se ne libera, la ragione nella sua forma pura, assume tratti di follia, rilevati da sempre dagli autoctoni. (…) La parte svolta dalla ragione è quella di uno strumento di adattamento, e non di un sedativo della volontà, come potrebbe sembrare dall’uso che ne ha fatto a volte l’individuo. La sua astuzia consiste nel fare, degli uomini, belve di raggio sempre più vasto, e non nel produrre l’identità di soggetto e oggetto…

188 Horkheimer e Adorno, Dialettica dell’Illuminismo
Pur avendo osservato da molti anni che nell’attività scientifica moderna le grandi invenzioni si pagano con una crescente decadenza della cultura teoretica, credevamo pur sempre di poter seguire la falsariga dell’organizzazione scientifica, nel senso che il nostro contributo si sarebbe limitato essenzialmente alla critica o alla continuazione di dottrine particolari. Esso avrebbe dovuto attenersi, almeno nell’ordinamento tematico, alle discipline tradizionali: sociologia, psicologia e gnoseologia. I frammenti raccolti in questo volume mostrano che abbiamo dovuto rinunciare a quella fiducia.

189 Horkheimer e Adorno, Dialettica dell’Illuminismo
Se l’attento studio ed esame della tradizione scientifica (…) è un momento indispensabile della conoscenza, è entrata d’altra parte in crisi, nel presente sfacelo della civiltà borghese, non solo l’organizzazione, ma il senso stesso della scienza. Ciò che i fascisti di ferro ipocritamente lodano e i docili esperti di umanità ingenuamente eseguono, l’autodistruzione incessante dell’illuminismo, costringe il pensiero a vietarsi fin l’ultimo candore verso le consuetudini e le tendenze dello spirito del tempo. Se la vita pubblica ha raggiunto uno stadio dove il pensiero si trasforma inevitabilmente in merce e la lingua in imbonimento della medesima, il tentativo di mettere a nudo questa depravazione deve rifiutare obbedienza alle esigenze linguistiche e teoretiche attuali, prima che le loro conseguenze storiche universali lo rendano del tutto impossibile

190 Horkheimer e Adorno, Dialettica dell’Illuminismo
(…) In contrasto con i suoi amministratori, la filosofia rappresenta – fra le altre cose – il pensiero che non capitola di fronte alla vigente divisione del lavoro e non si lascia prescrivere da essa i propri compiti. L’esistente non costringe gli uomini solo con la violenza fisica e gli interessi materiali, ma anche con la strapotenza della suggestione. La filosofia non è sintesi, base o coronamento della scienza, ma lo sforzo di resistere alla suggestione, la decisione della libertà intellettuale e reale.

191 Horkheimer e Adorno, Dialettica dell’Illuminismo
(…) In contrasto con i suoi amministratori, la filosofia rappresenta – fra le altre cose – il pensiero che non capitola di fronte alla vigente divisione del lavoro e non si lascia prescrivere da essa i propri compiti. L’esistente non costringe gli uomini solo con la violenza fisica e gli interessi materiali, ma anche con la strapotenza della suggestione. La filosofia non è sintesi, base o coronamento della scienza, ma lo sforzo di resistere alla suggestione, la decisione della libertà intellettuale e reale.

192 Horkheimer e Adorno, Dialettica dell’Illuminismo
La divisione del lavoro, come si è formata sotto il dominio, non viene per questo ignorata. La filosofia non fa che penetrare la menzogna per cui sarebbe inevitabile. Non lasciandosi ipnotizzare dalla strapotenza, le tiene dietro in tutti gli angoli del meccanismo sociale, che – per prima cosa – non deve essere rovesciato né diretto ad altri fini, ma compreso al di fuori dell’incantesimo che esercita. [La filosofia] non riconosce norme o fini astratti, che si presterebbero ad applicazione in contrasto coi fini e con le norme vigenti. La sua libertà dalla suggestione dell’esistente consiste proprio in ciò che essa accetta – senza starci troppo a pensare – gli ideali borghesi: quelli che sono ancora proclamati – e sia pure in forma alterata – dagli esponenti dell’attuale stato di cose, o quelli che sono ancora riconoscibili come significato oggettivo delle istituzioni, tecniche e culturali, a dispetto di ogni manipolazione.

193 Horkheimer e Adorno, Dialettica dell’Illuminismo
Essa crede che la divisione del lavoro esiste per gli uomini e che il progresso conduce alla libertà: e proprio per questo entra facilmente in conflitto con la divisione del lavoro e col progresso. Essa presta una voce alla contraddizione di credenza e realtà e si attiene così strettamente al fenomeno temporalmente condizionato. Per essa il massacro su scala colossale non conta, come per il giornale, più della liquidazione di alcuni ricoverati. Essa non antepone l’intrigo dell’uomo politico che si mette d’accordo coi fascisti a un modesto linciaggio, i turbini di réclame dell’industria cinematografica all’intimo annuncio di un cimitero. Non ha nessuna particolare inclinazione per ciò che è «grande». Essa è ad un tempo estranea all’esistente e capace di comprenderlo intimamente. La sua voce appartiene all’oggetto, ma senza che questo lo voglia; è la voce della contraddizione, che, senza di essa, non si farebbe udire, ma trionferebbe muta.

194 Theodor W. Adorno La filosofia che una volta sembrò superata, si mantiene in vita perché è stato mancato il momento della sua realizzazione.

195 STORIA DEL PENSIERO POLITICO CONTEMPORANEO Docente Prof. Scuccimarra
Lezione n. 15 I SEMESTRE A.A Facoltà di Scienze Politiche

196 J. Habermas, Sul concetto di partecipazione politica (1958)
L’analisi si attiene alle regole della teoria critica che è libera proprio perché «accetta gli ideali borghesi, siano essi quelli ancora coltivati (seppure in senso distorto) dai rappresentanti della borghesia, o quelli in cui occorre riconoscere, a dispetto di ogni manipolazione, il significato oggettivo delle istituzioni tecniche e culturali.. Essa espone la lingua alla contraddizione tra fede e realtà e ciò facendo riflette un fenomeno del tempo».

197 J. Habermas, Sul concetto di partecipazione politica (1958)
La fede nella libertà politica e nell’influenza politica del cittadino viene contrapposta alla realtà della situazione attuale. Non si può avere più alcun dubbio sulla ristrettezza dello spazio in cui è stata confinata la partecipazione politica del cittadino medio. Questa partecipazione può concretizzarsi, una volta ogni due anni circa, nel processo elettorale in parte preformato in parte manipolato (oppure nella astensione elettorale). Nei libri destinati all’educazione politica e persino in molti dibattiti delle scienze politiche la «partecipazione» si condensa in un valore in sé, mentre l’espressione del voto e l’interesse politico diventano un feticcio. Questa reificazione rispecchia appunto una buona parte della realtà deformata.

198 J. Habermas, Sul concetto di partecipazione politica (1958)
D’altro lato, il senso obiettivo delle istituzioni esistenti nel nostro paese è in contraddizione con lo sviluppo concreto. Sul piano giuridico il popolo è ancora e sempre sovrano mentre su quello politico continua a disporre, nel parlamento, di una istituzione fornita di tutti gli auspicabili crismi costituzionali. Ci si può chiedere dunque se anche oggi un’autentica partecipazione dei cittadini alla vita politica, seppure non effettiva, non sia per lo meno possibile…

199 J. Habermas, Sul concetto di partecipazione politica (1958)
Occorre (…) stabilire fino a che punto una società riesca a trasformare il dominio in autorità razionale e cioè a dare equamente al lavoro ciò che spetta al lavoro e all’esperienza ciò che spetta all’esperienza, nell’interesse della collettività e sotto il suo controllo; e inoltre, fino a che punto essa riesca a superare la separazione fra il potere politico e la riproduzione apparentemente privata della vita. A parte il suo carattere molto (e forse troppo) generale questa formulazione indica la via di un possibile sviluppo storico sul quale noi crediamo oggi di poter fondatamente misurare il valore della coscienza politica…

200 Hannah Arendt, The Human Condition
Lavoro Opera Azione e discorso

201 Hannah Arendt, The Human Condition
Lo spazio pubblico o spazio dell’apparenza «si forma ovunque gli uomini condividano le modalità dell’azione e del discorso, e quindi anticipa e precede ogni costituzione formale della sfera pubblica e delle varie forme di governo, le varie forme cioè in cui la sfera pubblica può essere organizzata».

202 Hannah Arendt, The Human Condition
…Una vita spesa nell’esperienza privata, di “ciò che è proprio” (idion), fuori dal mondo comune, è idiota per definizione

203 Hannah Arendt, The Human Condition
La peculiarità dello spazio pubblico è che diversamente dagli spazi che sono opera delle nostre mani, non sopravvive alla realtà del movimento che lo crea, ma scompare non solo con la scomparsa degli uomini – come nelle grandi catastrofi, quando il corpo politico di un popolo viene distrutto – ma con la scomparsa e la fine delle loro stesse azioni.

204 Hannah Arendt, The Human Condition
«Il potere è ciò che mantiene in vita la sfera pubblica, lo spazio potenziale dell’apparire tra uomini che agiscono e parlano»

205 J. Habermas, Storia e critica dell’opinione pubblica (1961)
I fondamenti strutturali della «sfera pubblica borghese»: sistematica astrazione dalle disuguaglianze di status assenza di limiti al processo di problematizzazione riflessiva assoluta apertura verso l’esterno

206 J. Habermas, Storia e critica dell’opinione pubblica (1961)
La «sfera pubblica borghese» come luogo di una libera discussione razionale fondata sulla sola autorità dell’argomento migliore, una determinazione cooperativa del bene comune, non distorta da alcun interesse di parte

207 J. Habermas, Storia e critica dell’opinione pubblica (1961)
La sfera pubblica borghese può essere concepita in un primo momento come la sfera dei privati riuniti come pubblico; costoro rivendicano subito contro lo stesso potere pubblico la regolamentazione della sfera pubblica da parte dell’autorità, per concordare con questa le regole generali del commercio nella sfera – privatizzata in linea di principio, ma pubblicamente rilevante – dello scambio di merci e del lavoro sociale. Peculiare e storicamente senza precedenti è il tramite di questo confronto politico: la pubblica argomentazione razionale

208 J. Habermas, Storia e critica dell’opinione pubblica (1961)
(…) I borghesi sono privati; come tali non «dominano». Le loro rivendicazioni contro il pubblico potere si indirizzano perciò non contro la concentrazione del dominio che dovrebbe essere «spartito»; ma piuttosto attaccano il principio del dominio vigente. Il principi del controllo contrappostogli dal pubblico borghese, la pubblicità appunto, mira a modificare il dominio stesso. La rivendicazione di potere così come si viene delineando nell’argomentare pubblico, quella rivendicazione che eo ipso rinunci alla forma di una pretesa di dominio, se si realizzasse dovrebbe portare a qualcosa di più che a una mera sostituzione della base di legittimazione di una sovranità conservatesi in linea di principio

209 J. Habermas, Storia e critica dell’opinione pubblica (1961)
(…) Il processo con cui il pubblico di privati che discutono una funzione critica si appropria della sfera pubblica autoritariamente regolata e con cui questa viene istituita come momento della critica al pubblico potere, si compie con la ristrutturazione delle funzioni di quella sfera pubblica letteraria già dotata di istituzioni quali il pubblico e le relative piattaforme di discussione. Tramite questa mediazione, tutto il contesto delle esperienze dell’ambito privato riferito al pubblico penetra anche nell’ambito di una sfera pubblica politica.

210 J. Habermas, Storia e critica dell’opinione pubblica (1961)
(…) Con la nascita di una sfera del sociale, per la cui regolamentazione l’opinione pubblica si batte contro il potere pubblico, il tema dell’ambito pubblico moderno, paragonato a quello antico, si sposta dai compiti propriamente politici di una cittadinanza che agisce com’unitariamente (giurisdizione all’interno e autodeterminazione verso l’esterno) ai compiti prevalentemente civili di una società che discute pubblicamente (garanzia dello scambio di merci). La funzione politica dell’elemento pubblico borghese consiste nel disciplinare la società civile (civil society, société civile, in contrapposizione a res publica); con le esperienze di una sfera privata intimizzata alle spalle, essa tiene fronte all’autorità monarchica stabilita; in questo senso, sin dall’inizio, essa ha carattere insieme privato e polemico.

211 J. Habermas, Storia e critica dell’opinione pubblica (1961)
(…) I criteri di universalità e astrattezza che contrassegnano la norma la giuridica dovevano avere peculiare evidenza per i privati che, nel processo di comunicazione della dimensione pubblica letteraria, si accertano della loro soggettività, derivata dalla sfera dell’intimità. Infatti, in quanto pubblico, essi sono già sottoposti a quella legge non formulata che codifica la parità degli uomini colti, legge la cui astratta universalità è sola a garantire che gli individui sussulti in modo parimenti astratto sotto di essa come «puri e semplici uomini» vengano liberati nella loro soggettività proprio per tale via. I clichè di «eguaglianza» e «libertà», irrigiditi nelle formule della propaganda borghese rivoluzionaria, conservano qui ancora il loro nesso vivente: il dibattito pubblico del pubblico borghese si compie, in linea di massima, prescindendo da tutti i ranghi sociali e politici precostituiti, secondo regole universali che garantiscono un campo d’azione al dispiegamento letterario nella loro intimità, dal momento che restano, in quanto tali, assolutamente esteriori agli individui;

212 J. Habermas, Storia e critica dell’opinione pubblica (1961)
(…) Contemporaneamente, ciò che in tali condizioni risulta dal pubblico dibattito, richiede raziocinio; secondo tale idea, un’opinione pubblica nata dalla forza dell’argomento migliore aspira a quella razionalità moralisticamente pretenziosa che cerca di far coincidere giustezza e giustizia. L’opinione pubblica deve corrispondere alla «natura della cosa». Perciò le «leggi» che essa vorrebbe stabilire ora anche per la sfera sociale, possono pretendere, oltre ai criteri formali di generalità e astrattezza, anche quello materiale della razionalità. In questo senso i fisiocratici spiegano che soltanto l’opinion publique conosce e rileva l’ordre naturel perché il monarca illuminato lo possa porre a base del suo agire nella forma di norme generali. Il potere deve essere portato per questa via a una convergenza con la ragione.

213 J. Habermas, Storia e critica dell’opinione pubblica (1961)
Come privato il borghese è due cose in una: proprietario di beni e persone, e uomo fra gli uomini: bourgeois e homme. Questa ambivalenza della sfera privata è anche l’ambivalenza della sfera pubblica, a seconda cioè che i privati si intendano tra loro nel dibattito letterario e cioè da uomini che discutono sulle esperienze della loro soggettività, o che si intendano fra loro nel dibattito politico, su come regolare la loro sfera privata, cioè da proprietari. I componenti di queste due specie di pubblico non sempre coincidono perfettamente (…).

214 J. Habermas, Storia e critica dell’opinione pubblica (1961)
La pubblicità manipolativa: «La dimensione pubblica viene, per così dire, dispiegata dall’alto per procurare a certe posizioni un’aura di good will. Originariamente essa garantiva il nesso del pubblico dibattito delle idee tanto con la fondazione legislativa del dominio quanto con il controllo critico del suo esercizio. Ma ormai essa rende possibile la specifica ambivalenza di un dominio esercitato sul potere dell’opinione non-pubblica: essa serve alla manipolazione del pubblico e insieme alla legittimazione di fronte ad esso. La dimensione pubblica critica è soppiantata da quella manipolativa».

215 J. Habermas, Conoscenza e interesse (1965)
Una scienza sociale critica si sforza «di controllare quando le proposizioni teoriche formulino regolarità invarianti dell’agire sociale in generale e quando invece rapporti di dipendenza ideologicamente irrigiditi, ma in principio modificabili. Nella misura in cui ciò accade, la critica dell’ideologia, come del resto la psicanalisi, conta sul fatto che l’informazione sulle connessioni normative mettano in moto un processo di riflessione nella coscienza dell’interessato stesso. In tal modo il livello di coscienza irriflessa, che fa pare delle condizioni iniziali di tale leggi, può essere modificato. Un sapere nomologico criticamente mediato può così tramite la riflessione se non togliere vigore alla legge, almeno sospenderne l’applicazione».

216 J. Habermas, Conoscenza e interesse (1965)
…Ciò che ci distingue dalla natura è l’unico dato di fatto che possiamo conoscere per sua natura: il linguaggio. L’emancipazione è posta per noi già con la sua struttura. Con la prima proposizione viene espressa inequivocabilmente l’intenzione di un consenso universale e non imposto.

217 J. Habermas, Conoscenza e interesse (1965)
Certamente la comunicazione potrebbe dispiegarsi soltanto in una società emancipata, che avesse realizzato la maturità dei suoi membri fino a diventare il dialogo sottratto al dominio di tutti con tutti, dal quale deriviamo pur sempre tanto il modello di un’identità dell’io formata nella reciprocità, quanto l’idea del vero accordo. In questo senso la verità di una proposizione si fonda sull’anticipazione della vita riuscita. L’apparenza ontologica di una teoria pura, dietro cui scompaiono gli interessi guida della conoscenza, rafforza la finzione che il dialogo socratico sia possibile universalmente e in ogni momento…

218 J. Habermas, Conoscenza e interesse (1965)
La filosofia ha supposto che l’emancipazione posta con la struttura del linguaggio sia non solo anticipata, ma già reale. Proprio la teoria pura, che vorrebbe derivare tutto da se stessa, diventa preda dell’esterno rimosso e diventa ideologica. Solo quando la filosofia scopre nel corso dialettico della storia le tracce della violenza, che deforma il dialogo continuamente tentato, continuamente spingendolo fuori dai binari di una comunicazione senza coazione, porta avanti il processo, di cui altrimenti legittima la stasi: il progresso del genere umano verso l’emancipazione. (…) L’unità di conoscenza e interesse si verifica in una dialettica che ricostruisca l’elemento represso a partire dalle tracce storiche del dialogo represso.

219 J. Habermas, Tecnica e scienza come ideologia (1967)
Con «lavoro» o agire razionale rispetto allo scopo, intendo o agire strumentale o scelta razionale oppure una combinazione di entrambi. L’agire strumentale è organizzato secondo regole tecniche, che si basano su un sapere empirico. Esse implicano in ogni caso prognosi condizionali su eventi osservabili, fisici o sociali; tali prognosi possono rivelarsi esatte o non vere.

220 J. Habermas, Tecnica e scienza come ideologia (1967)
Con agire comunicativo intendo una interazione mediata simbolicamente. Essa è organizzata in base a norme vigenti in modo vincolante, che definiscono aspettative reciproche di comportamento e che devono essere comprese e riconosciute da almeno due soggetti agenti. Le norme sociali sono rese effettive tramite sanzioni; il loro senso si oggettiva in una comunicazione nel linguaggio quotidiano. Mentre la validità di regole tecniche e strategie dipende dalla validità di proposizioni empiricamente vere o analiticamente esatte, la validità di norme sociali è basata solo sull’intersoggettività dell’intendersi in base a intenzioni ed è garantita dal riconoscimento generale di obbligazioni

221 J. Habermas, Teoria dell’agire comunicativo (1985)
La teoria dell’agire comunicativo è intesa a mettere in luce un potenziale razionale insito nella stessa prassi comunicativa quotidiana. Con ciò essa spiana contemporaneamente la strada a una scienza sociale dal procedere ricostruttivo, che identifica in tutta la loro estensione i processi di razionalizzazione culturale e sociale, ripercorrendoli anche oltre la soglia della società moderne; allora non si avrà più bisogno di ricercare potenziali normativi solo in una formazione specifica di un’epoca. L’obbligo di stilizzare le singole espressioni prototipiche di una razionalità comunicativa incarnata nelle istituzioni viene a cadere in favore di un intervento empirico, che allenta la tensione del contrasto astratto tra norma e realtà.

222 STORIA DEL PENSIERO POLITICO CONTEMPORANEO Docente Prof. Scuccimarra
Lezione n. 16 I SEMESTRE A.A Facoltà di Scienze Politiche

223 Michel Foucault, L’archeologia del sapere
Potrei definire la mia ricerca come «un’analisi di fatti culturali che caratterizzano la nostra cultura e, in tal senso, si tratterebbe di qualcosa come una etnologia della cultura a cui apparteniamo. Infatti, cerco di situarmi all’esterno della cultura a cui apparteniamo, di analizzarne le condizioni formali, per farne, in una certa misura, la critica, non però nel senso di ridurne i valori, ma per vedere come si sia potuta effettivamente svolgere. Inoltre, analizzando le condizioni stesse della nostra razionalità, metto in causa il nostro linguaggio, il mio linguaggio, di cui analizzo come sia potuto sorgere».

224 Michel Foucault, L’archeologia del sapere
Questa prospettiva si trova davanti «tutto un campo d’indagine. Un campo sterminato, ma definibile: è costituito infatti dall’insieme di tutti gli enunciati effettivi (sia parlati che scritti), nella loro dispersione di avvenimenti e nell’istanza propria a ciascuno di loro. Prima di occuparsi, con piena certezza, di una scienza, o di romanzi, o di discorsi politici, o dell’opera di un autore oppure di un libro, il materiale che si deve trattare nella sua originaria neutralità è costituito da tutta una folla di avvenimenti nello spazio del discorso in generale. Si delinea in tal modo il progetto di una descrizione pura degli avvenimenti discorsivi come orizzonte per la ricerca delle unità che vi si formano».

225 Michel Foucault, L’archeologia del sapere
Il «discorso» può essere definito: insieme degli enunciati che appartengono a uno stesso sistema di formazione; in questo modo potrò parlar di discorso clinico, di discorso economico, di discorso della storia naturale, di discorso psichiatrico… Le «regole» del discorso «definiscono» «il regime degli oggetti»

226 Michel Foucault, La volontà di sapere
La genealogia del potere: Con il termine potere mi sembra che si debba intendere innanzitutto la molteplicità dei rapporti di forza immanenti al campo in cui si esercitano e costitutivi della loro organizzazione; il gioco che attraverso lotte e sconti incessanti li trasforma, li rafforza, li inverte; gli appoggi che questi rapporti di forza trovano gli uni negli altri, in modo da formare una catena o un sistema, o, al contrario, le differenze, le contraddizioni che li isolano gli uni dagli altri.

227 Michel Foucault, La volontà di sapere
La genealogia del potere: In ogni punto del corpo sociale, tra un uomo e una donna, nella famiglia, tra maestro ed allievo, tra colui che sa e colui che non sa, passano delle relazioni di potere che non sono la proiezione pura e semplice del grande potere sovrano sopra gli individui; esse sono piuttosto il terreno mobile e concreto su cui quello si ancora, le condizioni necessarie affinché possa funzionare.

228 Michel Foucault, La volontà di sapere
Il potere è ovunque «non perché avrebbe il privilegio di raggruppare tutto sotto la sua invincibile unità, ma perché si produce in ogni istante, in ogni punto o piuttosto in ogni relazione fra un punto ed un altro. Il potere è dappertutto; non perché inglobi tutto ma perché viene da ogni dove».

229 Michel Foucault, La volontà di sapere
Non voglio dire che lo Stato non sia importante; quel che voglio dire è che i rapporti di potere e di conseguenza l’analisi che se ne deve fare deve andare al di là del quadro dello Stato. Deve farlo in due sensi: innanzitutto perché lo Stato, anche colla sua onnipotenza, anche con i suoi apparati, è ben lungi dal ricoprire tutto il campo reale dei rapporti di potere; e poi perché lo Stato non può funzionare che sulla base di relazioni di potere preesistenti. Lo Stato è sovrastrutturale in rapporto a tutta una serie di reti di potere che passano attraverso i corpi, la sessualità, la famiglia, gli atteggiamenti, i saperi, le tecniche, ecc. (…) Questo metapotere con funzioni di interdizione non può realmente aver presa e non può reggersi che nella misura in cui si radica in tutta una serie di rapporti di potere che sono molteplici, indefiniti, e che sono la base necessaria di queste grandi forme di potere negativo.

230 Michel Foucault, Sorvegliare e punire
La microfisica del potere: L’ambito argomentativo dell’analisi del potere è costituito allora dalle relazioni d’azione che «non sono univoche, ma definiscono innumerevoli punti di scontro, focolai di instabilità di cui ciascuno comporta rischi di conflitto, di lotte e di inversioni, almeno transitorie, dei rapporti di forza. Il rovesciamento di questi “micropoteri” non obbedisce dunque alla legge del tutto o niente, né è conseguito una volta per tutte da un nuovo controllo degli apparati o sa un nuovo funzionamento o da una distruzione delle istituzioni; in cambio, nessuno dei suoi episodi localizzati può inscriversi nella storia, se non attraverso gli effetti che induce su tutta le rete in cui è preso».

231 Michel Foucault, La volontà di sapere
L’Occidente ha conosciuto a partire dall’età classica una trasformazione molto profonda di questi meccanismi di potere. Il «prelievo» tende a non esserne più la forma principale, ma solo un elemento fra gli altri che hanno funzioni di incitazione, di rafforzamento, di controllo, di sorveglianza, di maggiorazione e di organizzazione delle forze che sottomette; un potere destinato a produrre delle forze, a farle crescere e ad ordinarle piuttosto che a bloccarle, a piegarle o a distruggerle

232 Michel Foucault, La volontà di sapere
Concretamente, questo potere sulla vita si è sviluppato in due forme principali a partire dal XVII secolo; esse non sono antitetiche, costituiscono piuttosto due poli di sviluppo legati da tutto un fascio intermedio di relazioni. Uno dei poli, il primo sembra ad essersi formato, è stato centrato sul corpo in quanto macchina: il suo dressage, il potenziamento delle sue attitudini, l’estorsione delle sue forze, la crescita parallela della sua utilità e della sua docilità, la sua integrazione a sistemi di controllo efficaci ed economici, tutto ciò è stato assicurato da meccanismi di potere che caratterizzano le discipline: anatomo-politica del corpo umano.

233 Michel Foucault, La volontà di sapere
Il secondo, che si è formato un po’ più tardi, verso la metà del XVIII secolo, è centrato sul corpo-specie, sul corpo attraversato dalla meccanica del vivente e che serve da supporto ai processi biologici: la proliferazione, la nascita e la mortalità, il livello di salute, la durata di vita, la longevità con tutte le condizioni che possono farla variare; la loro assunzione si opera attraverso tutta una serie di interventi e di controlli regolatori: una bio-politica della popolazione.

234 Michel Foucault, La volontà di sapere
«Non c’è (…), rispetto al potere, un luogo del grande Rifiuto (…) ma esistono resistenze, e di svariati tipi: possibili, necessarie, improbabili, spontanee, selvagge, solitarie, concertate, striscianti, violente, irriducibili, pronte al compromesso, interessate o sacrificali; per definizione non possono esistere che nel campo strategico delle relazioni di potere. (…) Come la trama delle relazioni di potere finisce per formare uno spesso tessuto che attraversa gli apparati e le istituzioni senza localizzarsi esattamente in essi, così la dispersione dei punti di resistenza attraversa le stratificazioni sociali e le unità individuali. Ed è probabilmente la codificazione strategica di quei punti di resistenza che rende possibile una rivoluzione, un po’ come lo Stato riposa sull’integrazione istituzionale dei rapporti di potere».


Scaricare ppt "STORIA DEL PENSIERO POLITICO CONTEMPORANEO Docente Prof. Scuccimarra"

Presentazioni simili


Annunci Google