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Corso di Macroeconomia Lezione 11 Il processo di integrazione economica e monetaria in Europa Dott. Vito Amendolagine, Corso Macroeconomia, Brindisi, 2010-2011.

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1 Corso di Macroeconomia Lezione 11 Il processo di integrazione economica e monetaria in Europa Dott. Vito Amendolagine, Corso Macroeconomia, Brindisi, 2010-2011

2 Unione Economica Monetaria (1) E il risultato di un processo lento e graduale, iniziato nel 1957 con il Trattato di Roma, con cui nascono la CEE e l’EURATOM. I cambiamenti più radicali si sono avuti con la sottoscrizione del Trattato di Maastricht (gennaio 1991, ratificato nel 1992). Quest’ultimo ha sancito l’introduzione del mercato unico e della moneta unica. Il processo non è esaurito ma in continua evoluzione e pone nuove sfide con il processo di allargamento ai paesi dell’Europa Centro-Orientale e Meridionale. Dott. Vito Amendolagine, Corso Macroeconomia, Brindisi, 2010-2011

3 Unione Economica Monetaria (2) Principali tappe storiche CEE. Con il Trattato Roma (1957) viene costituita la Comunità Economica Europea (Germania, Francia, Italia, Belgio, Lussemburgo, Paesi Bassi). UE-15. Negli anni successivi altri 9 paesi (Austria, Danimarca, Finlandia, Grecia, Irlanda, Portogallo, Spagna, Svezia e Regno Unito), che formarono l’Europa-15. UE-25. Con l’allargamento (maggio 2004) altri 10 paesi sono entrati a far parte dell’UE: Cipro, Estonia, Lettonia, Lituania, Malta, Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Slovenia, Ungheria. UE-27. Con il nuovo allargamento (2007) Romania e Bulgaria sono entrati nell’UE(27). UEM. E’ formata invece da 17 paesi della UE che adottano una moneta comune: Austria, Belgio, Cipro, Estonia, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Irlanda, Italia, Lussemburgo, Malta, Paesi Bassi, Portogallo, Spagna, Slovacchia, Slovenia. Dott. Vito Amendolagine, Corso Macroeconomia, Brindisi, 2010-2011

4 Unione Economica Monetaria (3) Perché i Paesi dell’UEM hanno scelto di adottare la moneta unica ? Caratteristica dei paesi dell’UEM è l’alto grado di apertura Il 60% circa del commercio internazionale è di tipo intracomunitario. Il grado di apertura dell’UE verso il resto del Mondo è superiore a quello di USA e Giappone. Il mercato unico non era in grado di operare in presenza di una alta volatilità dei tassi di cambio. Dott. Vito Amendolagine, Corso Macroeconomia, Brindisi, 2010-2011

5 Unione Economica Monetaria (4) Benefici Molti puntano al valore simbolico della moneta unica dopo mezzo secolo di guerre all’interno dell’Europa nella prima parte del 900. Vantaggi economici: una moneta comune, insieme alla rimozione di tutti gli altri ostacoli ai movimenti di beni e di fattori produttivi, avrebbero fatto di questa area una delle aree economiche più potenti del mondo. Costi Una moneta comune significa un tasso di interesse comune e una politica monetaria comune. Che cosa accade invece se all’interno dell’Europa un paese sperimenta shock asimmetrici? Per esempio nel paese A una fase espansiva e nel paese B una fase recessiva. Il primo paese avrebbe bisogno di un aumento di r e il secondo di una riduzione. Poiché r è lo stesso in entrambi i paesi, c’è il rischio che il secondo paese rimanga in recessione per un periodo molto lungo. Dott. Vito Amendolagine, Corso Macroeconomia, Brindisi, 2010-2011

6 I fase del processo di integrazione: lo SME Dott. Vito Amendolagine, Corso Macroeconomia, Brindisi, 2010-2011

7 Sistema Monetario Europeo(1) Dopo il crollo del sistema di Bretton Woods, l’Europa decise di costituire un’area valutaria con cambi fissi i cui margini di oscillazione rispetto alla parità fossero la metà dei margini previsti tra le valute internazionali e il $:  1,125% tra le valute europee;  2,25% tra le valute europee e il $. Questo tentativo è noto nella storia monetaria dell’Europa come serpente monetario europeo e rappresenta la prima fase del processo di integrazione monetaria. Il mantenimento dei margini di oscillazione richiedeva un rigoroso coordinamento tra le politiche economiche dei paesi comunitari; aiuti adeguati per consentire il superamento di difficoltà temporanee di BP per i paesi più deboli (tramite il Fondo Monetario Europeo). Le frequenti crisi valutarie che colpirono i paesi europei durante l’esperienza del serpente monetario fecero sì che nel serpente restassero solo quei paesi con stretti legami di integrazione economica e commerciale con la Germania (Olanda, Benelux). Dott. Vito Amendolagine, Corso Macroeconomia, Brindisi, 2010-2011

8 Sistema Monetario Europeo(2) Solo dopo gli accordi della Giamaica (1976) e il riconoscimento ai paesi membri del FMI della libertà di scelta del sistema di fluttuazione preferito cominciò il processo decisivo di integrazione monetaria con la creazione dello SME (creato il 5 dicembre del 1978 entrò in funzione nel marzo 1979). Aderirono allo SME dapprima 8 paesi della Comunità (Italia, Olanda, Germania, Francia, Belgio, Lussemburgo, Danimarca, Irlanda); successivamente entrarono la Spagna nel 1989, la Gran Bretagna nel 1990, e il Portogallo all’inizio del 1992. Gli elementi costitutivi del sistema erano: creazione dell’unità di conto europea (ECU) formata da un paniere di valute comunitarie. Le parità centrali dei tassi di cambio delle valute dovevano essere espresse in termini di ECU. I cambi potevano oscillare entro una banda ristretta del  2,25%, salvo per quelle monete in cui i margini erano più ampi (l’Italia  6%). Dott. Vito Amendolagine, Corso Macroeconomia, Brindisi, 2010-2011

9 Sistema Monetario Europeo (3) Caratteristiche dello SME Quando una valuta raggiungeva i limiti massimo e minimo consentiti, le Banche Centrali avevano l’obbligo di intervenire per riportare il cambio entro i margini prefissati. Lo SME disponeva di un congegno aggiuntivo rispetto al serpente: indicatore di divergenza, che segnalava andamenti difformi del tasso di cambio rispetto alla media comunitaria. Quando la moneta stava per avvicinarsi alla soglia massima consentita (pari al 75% del  2,25%) occorreva porre in essere misure correttive e comportava obblighi di consultazione con gli altri membri dello SME. In caso di persistenti squilibri di BP la parità poteva essere modificata di concerto con gli altri paesi dello SME (riallineamenti). Dott. Vito Amendolagine, Corso Macroeconomia, Brindisi, 2010-2011

10 Sistema Monetario Europeo (4) Funzionamento dello SME I divari tra i tassi di inflazione erano moto alti (Germania 2,7% contro il 12% dell’Italia). Lo SME ha funzionato per una serie di espedienti messi in atto e che consistevano in una combinazione di riallineamenti e di coordinamenti delle politiche economiche. Alle valute deboli fu concessa una banda di oscillazione più ampia (6% per la lira fino al 1990). In caso di attacchi speculativi le banche centrali intervenivano a sostegno del paese sotto attacco. Dopo la crisi del 1992 la banda di oscillazione fu ampliata al 15%. Era questo il segno del declino dello SME a causa della incompatibilità degli obiettivi di politica monetaria dei Paesi membri. Dott. Vito Amendolagine, Corso Macroeconomia, Brindisi, 2010-2011

11 Sistema Monetario Internazionale (5) Dott. Vito Amendolagine, Corso Macroeconomia, Brindisi, 2010-2011 Tasso inflazione nei principali Paesi UE

12 La crisi del 1992 (1) Nei primi anni di operatività dello Sme parecchi membri (Francia, Italia) riducevano la possibilità di attacchi speculativi mantenendo controlli ai movimenti di capitali. Il processo di integrazione richiedeva però lo smantellamento di tali vincoli e nel 1990 la maggior parte dei paesi dello SME aveva completamente eliminato i controlli sui movimenti di capitali. Nel 1992 lo SME subì la pressione dell’unificazione tedesca che portò all’aumento senza precedenti dei tassi di interesse in Germania. Gli operatori dei mercati finanziari erano sempre più convinti che le implicazioni della politica monetaria tedesca avrebbe condotto a un riallineamento delle parità e a una svalutazione delle valute deboli. Dott. Vito Amendolagine, Corso Macroeconomia, Brindisi, 2010-2011

13 La crisi del 1992 (2) Le banche centrali dei paesi sotto attacco intervennero con estenuanti interventi sul mercato dei cambi. Le massicce perdite di riserve valutarie che andavano sempre più riducendosi non avrebbe potuto arginare il forte deflusso di capitali. Italia e Gran Bretagna dopo vari tentativi tendenti a innalzare i tassi di interesse furono costretti a uscire dallo SME. Altri paesi come Spagna e Portogallo svalutarono le loro monete. Questo in pratica significava il crollo del sistema dei cambi fissi. Dott. Vito Amendolagine, Corso Macroeconomia, Brindisi, 2010-2011

14 La crisi del 1992 (3) Dott. Vito Amendolagine, Corso Macroeconomia, Brindisi, 2010-2011 L’incremento di G sposta la IS e la AD. Il tasso di interesse aumenta e anche i P. Per evitare spinte inflazionistiche la Bundesbank attua poltiche monetarie restrittive che spostano la LM determinando ulteriori incrementi del tasso di interesse. La AD si sposta verso il basso, i P diminuiscono e anche la LM per effetto del piccolo aumento delle scorte monetarie in termini reali subisce una trasposizione verso il basso non sufficiente ad abbassare i tassi di interesse tedeschi

15 Aree valutarie ottimali Dott. Vito Amendolagine, Corso Macroeconomia, Brindisi, 2010-2011

16 Costi di un unione monetaria I principali costi di una unione monetaria sono: perdita di indipendenza monetaria; impossibilità dell’utilizzo della politica del tasso di cambio come strumento per stabilizzare l’economia. Tale perdita è meno gravosa se: i prezzi e i salari siano flessibili; gli shock che colpiscono l’economia sono di tipo simmetrico; i Paesi che compongono l’unione monetaria formano un’area valutaria ottimane (AVO). Dott. Vito Amendolagine, Corso Macroeconomia, Brindisi, 2010-2011

17 Area Valutaria Ottimale La teoria delle AVO offre uno schema utile per analizzare se un gruppo di Paesi avrà vantaggi o svantaggi dall’adesione a una area monetaria sulla base di alcune caratteristiche strutturali dei Paesi europei. I costi e i benefici per un Paese che entra a far parte di un’area valutaria con cambi fissi dipende da quanto bene siano integrate le economie dei vari partner in termini di commercio internazionale e di movimenti dei fattori. Dott. Vito Amendolagine, Corso Macroeconomia, Brindisi, 2010-2011

18 Area Valutaria Ottimale: benefici I benefici associati alla costituzione di un’area valutaria sono rappresentati: dall’abolizione dei costi di conversione tra differenti valute; dall’eliminazione del rischio di cambio; dalla maggiore concorrenza grazie ad una maggiore trasparenza dei prezzi tra i vari Paesi; maggiore credibilità della politica monetaria (stabilità monetaria e stabilità dei prezzi); possibilità di attivazione di un circolo virtuoso tra stabilità dei prezzi, incremento degli scambi commerciali e maggiore crescita economica. Dott. Vito Amendolagine, Corso Macroeconomia, Brindisi, 2010-2011

19 Area Valutaria Ottimale: costi Presenza di shock asimmetrici I Paesi possono avere caratteristiche diverse in termini di funzionamento dei mercati del lavoro, dei beni e degli altri fattori. La manovra dei tassi di cambio non è necessaria quando gli shock sono simmetrici. La manovra dei tassi di cambio può invece essere utile quando gli shock sono asimmetrici. Dott. Vito Amendolagine, Corso Macroeconomia, Brindisi, 2010-2011

20 Criteri ottimalità AVO (1) Le AVO sono gruppi di regioni con economie strettamente integrate tra loro sia per lo scambio di beni e servizi sia per la mobilità dei fattori. Se ne deduce che un’area a cambi fissi rappresenta un’AVO se il volume degli scambi e la mobilità dei fattori sono elevati. La teoria delle AVO individua le caratteristiche strutturali che un Paese deve possedere se vuole fronteggiare uno shock asimmetrico senza ricorrere a variazioni dei tassi di cambio e alle altre politiche che generalmente vengono utilizzate per mantenere l’equilibrio interno e esterno. Dott. Vito Amendolagine, Corso Macroeconomia, Brindisi, 2010-2011

21 Criteri ottimalità AVO (2) Nell’ambito dei contributi teorici sulle AVO vengono individuati 3 criteri di ottimalità: mobilità dei fattori (Mundell); grado di apertura (McKinnon); grado di diversificazione produttiva (Kenen). Altri criteri (politici) studiati successivamente che possono rendere ottimale un’AVO sono: trasferimenti fiscali; preferenze omogenee (i paesi condividono interessi comuni e accettano i costi in vista di obiettivi comuni più importanti); solidarietà vs nazionalismo. Dott. Vito Amendolagine, Corso Macroeconomia, Brindisi, 2010-2011

22 I. Mobilità dei fattori (1) Supponiamo che due economie siano colpite da uno shock asimmetrico. La domanda si sposta dai prodotti dell’economia B ai prodotti dell’economia A L’economia A sperimenterà un aumento dei prezzi (la AD si sposta verso l’alto) e un avanzo commerciale. L’economia B sperimenterà un disavanzo commerciale e un processo di riduzione dei prezzi, dell’output e della occupazione (AD verso il basso). Analizziamo il processo di aggiustamento sotto 3 ipotesi. Dott. Vito Amendolagine, Corso Macroeconomia, Brindisi, 2010-2011

23 I. Mobilità dei fattori (2) I IPOTESI: regime plurivalutario e tassi di cambio fissi Le autorità monetarie di A attueranno politiche monetarie restrittive per contrastare l’inflazione (determinata dallo spostamento della domanda). Il meccanismo compensativo dell’ aumento dei prezzi in A che dovrebbe rendere più costose le importazioni da A non opera e l’onere dell’aggiustamento ricade esclusivamente sul paese B. Dott. Vito Amendolagine, Corso Macroeconomia, Brindisi, 2010-2011

24 I. Mobilità dei fattori (3) II IPOTESI: moneta comune Se le autorità vogliono ridurre la disoccupazione in B con una politica monetaria espansiva (riduzione de tasso di interesse) aggravano la situazione inflazionistica anche in A (che richiederebbe invece un aumento del tasso di interesse) Il perseguimento del pieno impiego induce una distorsione inflazionistica nell’economia multi- regionale con una valuta comune. Dott. Vito Amendolagine, Corso Macroeconomia, Brindisi, 2010-2011

25 I. Mobilità dei fattori (4) III IPOTESI: tasso di cambio flessibile Mundell dimostra che anche la soluzione più plausibile in presenza di uno shock asimmetrico cioè la flessibilità del tasso di cambio non è necessariamente la politica ottimale. Teoricamente un deprezzamento del tasso di cambio in B (o un apprezzamento in A) correggerebbe lo squilibrio esterno e migliorerebbe anche l’equilibrio interno (disoccupazione in B inflazione in A) Nella realtà gli effetti potrebbero essere diversi se la struttura all’interno di due Paesi non è omogenea. Dott. Vito Amendolagine, Corso Macroeconomia, Brindisi, 2010-2011

26 I. Mobilità dei fattori (5) III IPOTESI : un esempio Assumiamo, infatti, che i due paesi A e B contengano al loro interno 2 regioni (est e ovest) ognuna specializzata in una data produzione. Lo shock asimmetrico si verifica a livello regionale con uno spostamento dei prodotti da Est a Ovest. La flessibilità del tasso di cambio non sarà in grado di risolvere lo squilibrio regionale. Si verificherà inflazione e avanzo a Ovest e disoccupazione e disavanzo a Est. Se le monete fossero definite su base regionale allora si verificherebbe un aggiustamento interno ed esterno attraverso la flessibilità del cambio Ciò significa che la flessibilità del cambio si rivela efficace solo se l’area valutaria corrisponde a una regione omogenea. Dott. Vito Amendolagine, Corso Macroeconomia, Brindisi, 2010-2011

27 I. Mobilità dei fattori (6) Come risolvere il problema descritto? Attraverso un’alta mobilità dei fattori produttivi. Flussi migratori da Est, che sperimenta disoccupazione, a Ovest dovrebbe migliorare l’equilibrio interno nelle due regioni e risolvere lo squilibrio esterno. Quest’ultimo si fonda sul fatto che la domanda dei lavoratori dell’Est emigrati all’Ovest si tramuterebbe in parte in esportazioni dei prodotti dell’Est verso l’Ovest e viceversa la domanda dell’Est di prodotti dell’Ovest si ridurrebbe per effetto dell’emigrazione. Solo se esiste mobilità dei fattori le due regioni potranno mantenere cambi fissi e costituire un’AVO. Dott. Vito Amendolagine, Corso Macroeconomia, Brindisi, 2010-2011

28 II. Grado di apertura Per le economie con un alto grado di apertura sarebbe ottimale aderire a un’AVO perché verrebbero minimizzati i costi dell’aggiustamento esterno. Il grado di apertura è definito come rapporto tra beni commerciabili e beni non commerciabili. Per i primi (beni commerciabili) il prezzo è fissato a livello internazionale e quindi le singole economie sono price-taker. Se l’economia è price-taker il tasso di cambio non è importante per stimolare il grado di competitività. I paesi dell’UEM hanno un alto grado di apertura (definito come Export o import sul PIL ma hanno ampi settori (servizi) formati da beni non commerciabili. Dott. Vito Amendolagine, Corso Macroeconomia, Brindisi, 2010-2011

29 III. Grado di diversificazione produttiva (1) Le economie con maggiore diversificazione produttiva sono quelle maggiormente indicate per ottenere vantaggi dall’adesione ad un’AVO. I motivi sono: La diversificazione è un fattore di stabilizzazione ex ante delle esportazioni. L’idea sottostante è che una maggiore diversificazione significa esportazioni differenziate e qualsiasi shock (microeconomico) che colpisca un settore (o un prodotto) sarà compensato dalla performance positiva degli altri settori di beni esportati. Dott. Vito Amendolagine, Corso Macroeconomia, Brindisi, 2010-2011

30 III. Grado di diversificazione produttiva (2) Attenua gli effetti ex post di shock esogeni sull’occupazione. Perché questo accada, alla diversificazione produttiva occorre aggiungere una sufficiente mobilità occupazionale tra i settori dell’economia. Stabilizza la formazione di capitale. Un incremento delle esportazioni in un qualche settore produttivo generalmente aumenta gli investimenti in quel settore e può indurre tensioni inflazionistiche. Nelle economie in cui la diversificazione è elevata l’esposizione a questo tipo di instabilità è più ridotta perché l’incremento delle esportazioni non si riverserà su tutti i prodotti ma solo su alcuni. In conclusione le economie maggiormente diversificate possono aderire a un’AVO perché sopportano meglio la rinuncia alla manovra del tasso di cambio per realizzare l’equilibrio esterno. Dott. Vito Amendolagine, Corso Macroeconomia, Brindisi, 2010-2011

31 L’UEM è un’AVO ? (1) Sulla base dei criteri sino ad ora esposti si può affermare che: Il grado di apertura non è un criterio sufficiente. Sulla base di tale criterio solo alcuni paesi avrebbero dovuto aderire all’UEM (Belgio, Lussemburgo, Irlanda, Olanda) ma non Germania, Francia, Italia etc. che presentano un grado di apertura misurato dall’export/PIL più basso. Sulla base del criterio della mobilità fattoriale l’UEM non è un’AVO. Dott. Vito Amendolagine, Corso Macroeconomia, Brindisi, 2010-2011

32 L’UEM è un’AVO ? (2) Sulla base della natura e della dimensione degli shock, generalmente di tipo asimmetrico, l’UEM non è un’area valutaria ottimale. Diversificazione produttiva. E’ l’unico criterio che permette di valutare positivamente l’adesione a un’AVO: le strutture industriali dei paesi europei sarebbero meno concentrate e più diversificate rispetto agli USA. In conclusione, dal punto di vista statico, l’UEM non risponde ai requisiti dell’ottimalità. Considerata in una prospettiva dinamica l’UEM potrebbe soddisfare i requisiti prima richiamati, grazie ad una maggiore integrazione commerciale di tipo interindustriale. Dott. Vito Amendolagine, Corso Macroeconomia, Brindisi, 2010-2011

33 L’UEM è un’AVO ? (3) Dott. Vito Amendolagine, Corso Macroeconomia, Brindisi, 2010-2011 Grado apertura intra-UE (15)

34 L’UEM è un’AVO ? (4) Dott. Vito Amendolagine, Corso Macroeconomia, Brindisi, 2010-2011 Relazione tra convergenza reale e flessibilità I paesi al di sopra della retta CF possono far parte di un’AVO perché in grado di fronteggiare gli shock asimmetrici.

35 Politica fiscale nelle unioni monetarie (1) In mancanza di flessibilità delle politiche monetarie, la politica fiscale diventa cruciale in chiave di assorbimento di shock asimmetrici. Bilancio dell’UEM centralizzato a livello europeo. In altri termini un’autorità fiscale sovranazionale conduce la politica fiscale (prelievo e spesa pubblica). La centralizzazione del bilancio funzionerebbe come stabilizzatore automatico e assicurerebbe il riequilibrio dopo lo shock asimmetrico tramite un processo di ridistribuzione del reddito (lo stesso di quello che avverrebbe tra le varie regioni italiane). Bilanci non centralizzati Se la centralizzazione di bilanci non è praticabile, perché cambierebbe l’assetto delle sovranità nazionali, la teoria dell’AVO prevede una flessibilità nella conduzione della politica fiscale. Ciò generalmente non è consentito o è visto in modo critico. Dott. Vito Amendolagine, Corso Macroeconomia, Brindisi, 2010-2011

36 Politica fiscale nelle unioni monetarie (2) Ragioni alla base delle restrizioni fiscali in Europa Rapporto debito/PIl elevato per molti paesi. Timore che un’ulteriore crescita del rapporto possa minare la stabilità dell’UEM. Timore che si determinino processi inflazionistici attraverso pressioni sulla BCE: ciò potrebbe ridurre il grado di indipendenza della BCE. Tuttavia, data la situazione di bassa crescita in Europa i vincoli alla politica fiscale sembrano eccessivi e contrastano con la teoria dell’ Avo che prevede una maggiore flessibilità per questo strumento in assenza di bilanci centralizzati. Dott. Vito Amendolagine, Corso Macroeconomia, Brindisi, 2010-2011

37 Politica fiscale nelle unioni monetarie (3) Dott. Vito Amendolagine, Corso Macroeconomia, Brindisi, 2010-2011

38 Politica monetaria (1) La BCE sin dalla sua costituzione ha annunciato che il suo principale obiettivo è quello di mantenere la stabilità dei prezzi. Più specificatamente l’obiettivo nel medio termine è di far sì che l’incremento dell’IAPC (Indice Armonizzato dei Prezzi al Consumo) sui 12 mesi si mantenga inferiore al 2%. Tale obiettivo è realizzato attraverso il controllo dell’aggregato M3 (circolante +depositi in c/c+depositi a risparmio+depositi vincolati e fondi del mercato monetario detenuti dalle famiglie+ fondi del mercato monetario detenuti da investitori istituzionali+depositi vincolati di grandi dimensioni e pronti c/ termine). Dott. Vito Amendolagine, Corso Macroeconomia, Brindisi, 2010-2011

39 Politica monetaria (2) 2 pilastri Crescita annunciata della quantità di moneta. Valutazione del target di inflazione avendo riguardo non soltanto all’IAPC e al suo tasso di variazione ma anche a un’intera serie di indicatori macroeconomici. Questo significa che la BCE non aderirà strettamente né all’approccio conosciuto come monetary targeting né all’approccio dell’inflation targeting. Dott. Vito Amendolagine, Corso Macroeconomia, Brindisi, 2010-2011

40 Politica monetaria (3) Tuttavia, non si può nascondere che la sua strategia si avvicina maggiormente all’inflation targeting. Poiché deciderà la sua politica avendo riguardo anche ad altri indici macroeconomici si può presumere che la sua condotta non sarà molto diversa da quella seguita dalla FED. Con riferimento a questi obiettivi assumendo che il target di inflazione sia pari a  ’ e che il tasso di interesse di lungo periodo sia pari a r*, riscriviamo la regola di Taylor : Dott. Vito Amendolagine, Corso Macroeconomia, Brindisi, 2010-2011

41 Politica monetaria (4) Politiche (espansive) di reazione agli shock. Se lo shock è simmetrico, la politica monetaria può essere espansiva (LM verso il basso). Se lo shock è asimmetrico si devono utilizzare (nei limiti imposti dal Patto di Stabilità) politiche fiscali espansive (IS verso destra. Dott. Vito Amendolagine, Corso Macroeconomia, Brindisi, 2010-2011

42 Politica monetaria (5) Dott. Vito Amendolagine, Corso Macroeconomia, Brindisi, 2010-2011

43 Prospettive future UEM (1) Con il termine allargamento si designa l’accesso dei paesi dell’Europa Centro-Orientale e dell’Europa Meridionale nell’UE. I Paesi che hanno ufficialmente richiesto di entrare nell’UE sono: Turchia, Croazia, Macedonia, Islanda e Montenegro. I paesi che aderiranno devono soddisfare i criteri stabiliti a Copenaghen (1993) : 1.essere una democrazia stabile; 2.adottare un’economia di mercato funzionante; 3.adottare regole, norme e le politiche comuni dell’UE. Dott. Vito Amendolagine, Corso Macroeconomia, Brindisi, 2010-2011

44 Prospettive future UEM (2) Timori circa l’allargamento dell’UE Divergenze e difformità nelle strutture produttive, livelli di reddito e tassi di crescita. Con l’attuale meccanismo di distribuzione dei fondi comunitari, i benefici per i nuovi entranti vengono percepiti come costi dai paesi dell’UE. I fondi elargiti per la PAC (Politica Agricola Comune) e per i fondi strutturali che costituiscono l’85% del bilancio comunitario sarebbero incanalati soprattutto verso i nuovi paesi. Movimenti migratori che potrebbero aggravare i problemi sul mercato del lavoro Concorrenza con alcuni paesi dell’UE che hanno specializzazioni produttive similari a quelle dei paesi dell’allargamento. Dott. Vito Amendolagine, Corso Macroeconomia, Brindisi, 2010-2011

45 Prospettive future UEM (3) Riforme auspicabili all’interno della UE. Più investimenti in R&S e nell’istruzione (progresso tecnico e capitale umano sono fattori fondamentali della crescita). Maggiore disciplina e meno burocrazia per una maggiore efficienza dello Stato e del settore pubblico. Riforme del mercato del lavoro. Dott. Vito Amendolagine, Corso Macroeconomia, Brindisi, 2010-2011


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