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L’intervento dello Stato come supplente dell’iniziativa privata

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Presentazione sul tema: "L’intervento dello Stato come supplente dell’iniziativa privata"— Transcript della presentazione:

1 L’intervento dello Stato come supplente dell’iniziativa privata
la Cassa del Mezzogiorno, le cattedrali nel deserto, la Terza Italia ( )

2 Una politica che partiva da lontano
Nitti, Beneduce e Giordani Il problema dell’industrializzazione pesante come incentivo allo sviluppo vs. l’industria leggera o l’agricoltura specializzata Dopo la seconda guerra mondiale l’intervento straordinario nel Mezzogiorno e la volontà di Amintore Fanfani di ritagliarsi una base autonoma di potere affrancandosi da Confindustria determinano un uso politico dell’impresa pubblica (1953 ENI e ministero delle partecipazioni statali) La necessità di perseguire obiettivi diversi dal profitto la carica di oneri impropri a cui dovrà fare fronte con appositi “fondi di dotazione” Programmazione e nazionalizzazione dell’energia elettrica

3 Il dualismo nello sviluppo economico
La nuova dimensione europea dell’industria italiana raggiunta in un arco di tempo breve lascia squilibri e sfasature (MEC) -grande industria nei settori innovativi ed esportatori vs. piccola industria tradizionale -accentua il dualismo Nord-Sud -incrementa l’esodo di massa vs. le città industriali del Nord Ovest

4 Il dualismo nello sviluppo economico
La tendenza della grande impresa a privilegiare gli investimenti negli impianti per accrescere la produttività Parte consistente dei disoccupati e dei giovani al primo impiego si indirizzano vs. il terziario tradizionale o la pubblica amministrazione: % addetti nel commercio +84% addetti nell’edilizia +40% addetti industria manifatturiera

5 Il dualismo nello sviluppo economico: il ritardo delle riforme “di struttura”
Netta prevalenza dei consumi privati rispetto a quelli pubblici: 1962 5:1 Scarso adeguamento dei servizi d’interesse collettivo alla crescita della domanda Domanda interna volta prevalentemente vs. beni di consumo durevoli come status: automobili, televisori e altri elettrodomestici, abbigliamento, mobili e arredamento

6 Il dualismo nello sviluppo economico : il ritardo delle riforme “di struttura”
Forte sperequazione del reddito nonostante fosse aumentato +130 punti tra 1951 ce 1961 e quello procapite +80 punti Sperequazione fiscale nonostante le riforme tributarie di Vanoni Il sistema fiscale favoriva i redditi variabili d’impresa e di attività professionali rispetto ai redditi fissi e a quelli da lavoro dipendenti Persiste una forte evasione fiscale e contributiva: l’incidenza delle imposte dirette sul reddito e sul patrimonio, nel complesso delle entrate fiscali, era pari al 24%, una quota più bassa di quella dell’età giolittiana

7 Il dualismo nello sviluppo economico : il ritardo delle riforme “di struttura”
Rendita e speculazione edilizia prezzi generi alimentari + 33% prezzi all’ingrosso % I canoni d’affitto raddoppiano Il valore delle aree fabbricabili nelle città del Nord % La programmazione e la spinta vs. un nuovo equilibrio politico

8 Le cattedrali nel deserto: alcuni casi di studio
1957 nuovi incentivi finanziari per investire nel Sud (imprenditoria locale e del Nord) Obbligo per le aziende pubbliche di dislocare al Sud il 40% degli investimenti per creare <<poli di sviluppo>> I benefici sono assorbiti da alcune grandi industrie di base petrolchimiche e siderurgiche ad alta intensità di capitale e a basso tasso di occupazione: -acciaieria IRI di Taranto -raffinerie ANIC a Gela e Valle del Basento -impianto chimico Montecatini a Brindisi

9 Il dualismo nello sviluppo economico e le <<cattedrali nel deserto>>
Con la stessa cifra impiegata per creare un posto di lavoro nella raffinazione del greggio (al Sud ormai oltre 50% produzione nazionale) se ne sarebbero potuti creare 20 in aziende agricole specializzate Dopo 10 anni di intervento (Cassa) ritardavano le premesse per l’ammodernamento dell’agricoltura e per lo sviluppo della piccola e media impresa

10 Il dualismo nello sviluppo economico e le <<cattedrali nel deserto>>
Il Sud stava passando da una struttura agricola sempre più debole (ma ancora gravata da un’ alta % di addetti) vs. una terziarizzazione altrettanto debole e disgregata sia per la disordinata espansione del tessuto urbano, sia per l’addensamento dell’occupazione nell’edilizia e nel pubblico impiego

11 Il dualismo nello sviluppo economico e le <<cattedrali nel deserto>>
Problema generale connesso con i meccanismi di sviluppo dell’economia italiana: l’ingresso nel MEC, imponendo un accrescimento dei livelli di efficienza e competitività, aveva finito per dare luogo a due sistemi caratterizzati da logiche di sviluppo profondamente diverse: - Centro Nord rivolto vs. aumento della produttività e integrazione alle aree europee più avanzate - Sud in cui l’esigenza fondamentale è la creazione di nuovi posti di lavoro “dovunque e comunque” fosse possibile per sfuggire a una condizione di sottosviluppo

12 I condizionamenti nel sud
La crisi del canale di Suez indebolisce le attività commerciali e marittime Spesa pubblica, partiti e clientelismo Il peso della criminalità organizzata su appalti, nell’edilizia e nelle infrastrutture, sui mercati e prodotti agricoli, sulle forniture pubbliche e le operazioni finanziarie

13 La piccola impresa e le tre Italie
La crisi della grande impresa nella stagflazione 1978 l’export delle pmi consente il pareggio dei conti con l’estero Ma già nei ‘60 le pmi ( dip.) occupavano il 40% della manodopera complessiva grandi imprese da 1,5 a 1,266 milioni di addetti Pmi da 2 a oltre 3 milioni di addetti La crescita dei costi della grande impresa Fuà costo del lavoro per addetto: 4817 £ (+500 add.); 4691 £ (+250 add.); 3715 £ (10-150/200 add.)

14 la conflittualità sociale
Nei settori ad alta intensità di capitale le rivendicazioni dei sindacati e i vincoli imposti alle imprese avevano generato una riorganizzazione aziendale basata sul decentramento produttivo o su soluzioni alternative per alleggerire i costi della manodopera e i costi fissi -costo del lavoro +flessibilità

15 Lo spirito imprenditoriale
Non è però esaustivo ridurre il processo a una mera conseguenza dell’<<autunno caldo>> e del <<familismo amorale>> (“il sommerso”) Emergono elementi di novità: -forte spirito d’iniziativa e di autonomia -tendenza alla specializzazione -alto grado di mobilità

16 L’Italia del “sommerso”
Quasi ovunque il comun denominatore della pmi è costituito da un sistema di strutture e di relazioni relativamente fluido, contrassegnato da rapporti di lavoro non istituzionalizzati, da una costellazione di imprese in grado di mutare rapidamente configurazione con costi inferiori alla media e con profitti verosimilmente superiori alla media Alimenterebbe questo vasto arcipelago di micro imprese un esercito più o meno clandestino valutato a circa 7 milioni Nel una stima valutava il reddito “sommerso” del settore industriale a circa mld

17 Rigidità dei sistemi tayloristici
La scomposizione delle macrostrutture in unità aziendali più ridotte, specializzate in singole lavorazioni, in modo da generare una produzione <<a fase>> invece che <<a linea>> Non solo fenomeni legati al “sommerso” o al “lavoro nero”, ma adattamento in sintonia con trasformazioni indotte anche in altri paesi per il declino dei flussi migratori che avevano ammortizzato i costi di lavoro Il decentramento, di fatto, di molte attività industriali consentì il raggiungimento di dimensioni soddisfacenti dal lato delle economie di scala, a livello di sistema e non soltanto di singoli impianti o unità produttive

18 Le tre Italie Diffuse un po’dappertutto, ma con due anime:
- una, la più marcata, costituita da attività integrative della grande impresa o da funzioni satelliti - l’altra, basata su attività indipendenti, operanti per lo più in settori tradizionali (come oreficeria, vetro, abbigliamento, cuoio e calzature, arredamento)

19 Una nuova immagine dell’Italia industriale
La configurazione a <<pelle di leopardo>> riflette, da un lato, la sopravvivenza di antichi squilibri, dall’altro la maturazione di nuove potenzialità, che scaturiscono dalla singolare combinazione fra elementi tradizionali di origine artigianale e forme avanzate di sviluppo produttivo (es. scarpe e arredo) Sono le regioni centrali e nord-orientali a costituire il perno di questa realtà molecolare, al crocevia fra produzioni più moderne e lavorazioni più elementari: Marche, Emilia Romagna, Toscana e Veneto alla testa della <<terza Italia>> Nel 1991 coprono il 45% del’occupazione complessiva e indirizzano le loro produzioni essenzialmente verso la produzione di beni per la persona e per la casa

20 I distretti Ciò che caratterizzava queste zone era l’alto grado di flessibilità e la tendenza a organizzarsi in distretti, in sistemi locali con un alto grado di specializzazione e d’integrazione e con tutti gli altri vantaggi competitivi assicurati dal radicamento delle imprese nelle tradizioni e nelle istituzioni locali -il ruolo delle “istituzioni locali” Alla base di questo forte sviluppo in molti casi la mobilitazione di un complesso di energie e di risorse che scaturivano dal mondo contadino e da quello dell’artigianato, da famiglie di ex mezzadri e operai che avevano creato in proprio o con altri dei piccoli esercizi

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22 Il Mezzogiorno Anche l’apporto de Mezzogiorno alla produzione industriale cresce, ma in misura ancora marginale e per circuiti di mercato quasi esclusivamente interni. Nel 1977 gli addetti all’industria erano il 26,6% (-1% rispetto addetti agricoltura) Solo in alcune aree si era sviluppata la pmi: quasi esclusivamente zone costiere di Abruzzo, Molise e Puglia Gli incentivi pubblici sono utilizzati più da investitori stranieri: a fine ‘70 vi erano 270 stabilimenti (17 paesi esteri), ma solo addetti (per lo più concentrati nel Lazio)

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