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NEREO ALFIERI. ARCHEOLOGIA E TERRITORIO

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Presentazione sul tema: "NEREO ALFIERI. ARCHEOLOGIA E TERRITORIO"— Transcript della presentazione:

1 NEREO ALFIERI. ARCHEOLOGIA E TERRITORIO
ANNO SCOLASTICO ... con la stessa curiosità che lo ha accompagnato nelle sue scoperte ...

2 CREDITI Anno scolastico 2006 – 07
SULLE ORME DEGLI ESTENSI TRA TERRA E ACQUA PFI-NEREO ALFIERI. ARCHEOLOGIA E TERRITORIO PFI-1,2,3,4: Laboratorio Didattico di Archeologia Nereo Alfieri e classe IV A Corso OFI Rif.PA /Fe “Percorsi integrati nell’istruzione liceale” L’archeologia urbana a Ferrara - I , liceo classico “L. Ariosto” Ferrara. Docente di riferimento: Silvana Onofri. Docenti coinvolti : Anna Bazzanini, Paola Correggioli, Cinzia Solera. Ha collaborato il gruppo di lavoro Ariosto Verde. Si ringraziano per la consulenza scientifica e per la collaborazione: Arch’è, Associazione Culturale Nereo Alfieri; Chiara Guarnieri, Dir. Archeologo coord. Sovrintendenza ai Beni Archeologici dell’Emilia Romagna; Valentina Lapierre, comunicazione esterna Fondazione Carife; Elena Leone, archeologo professionista; Alain Rosa, operatore archeologo Soprintendenza dell’Emilia Romagna; Francesco Scafuri, responsabile delle ricerche storiche, Servizio Beni Monumentali del Comune di Ferrara; Giovanni Santarato, professore associato di indagini geofisiche, Università degli Studi di Ferrara; Carmela Vaccaro, professore associato di petrografia, docente di Archeometria, Università degli Studi di Cecilia Vallini, archeologo professionista. PFI-5,6: Classe II A, indirizzo classico linguistico”G. Bassani” dell’Istituto “R Brindisi”. Docente referente: Cinzia Soffritti. Ha collaborato Raffaele Araneo. Si ringrazia per la consulenza e la collaborazione: Aniello Zamboni, studioso di storia di Comacchio e del Delta del Po; Sauro Gelichi, docente di Archeologia Medievale, Dipartimento di Scienze dell’Antichità e del vicino Oriente, Università Ca’ Foscari – Venezia. Gli Istituti alberghieri “O. Vergani” di Ferrara e “R. Brindisi”di Comacchio provvedono ai cestini con prodotti locali e/o a una degustazione di piatti tipici. Docenti referenti: Maura Tortonesi e Cinzia Soffritti

3 PF I- NEREO ALFIERI. ARCHEOLOGIA E TERRITORIO SEI GIORNI
Nereo Alfieri, archeologo, valente topografo, pioniere dell’archeologia urbana, esploratore di siti e di epoche umane ci guiderà, lungo il percorso di visita a Ferrara e nel suo Delta, con la stessa curiosità che lo ha accompagnato nelle sue scoperte. Le attività di archeologia sperimentale, effettuate nel laboratorio a lui dedicato, in uno spazio attrezzato di mq., immerso nel verde del quadrivio dell’Addizione Erculea, forniranno competenze utili alla visita alla città e al suo territorio. La complessa stratificazione storica di Ferrara e della sua provincia che ci permette di spaziare dalla preistoria all’età moderna, favorisce un modello di turismo archeologico strettamente legato ad una terra ricca di valori ambientali di tipo paesistico - naturalistico. Seguiremo, le tracce lasciate da Spineti, Romani, Estensi, e Legati Pontifici anche attraverso un sistema di museazione decentrato e nuovi spazi espositivi, tra miti e leggende, feste e tradizioni. Verrà offerta anche la possibilità di conoscere aspetti della cucina e dei prodotti locali. SITOGRAFIA: Lavori in corso

4 ORTI E GIARDINI DEL PALAZZO DI CASTELLO -SACRATI
PFI 1. PRIMA GIORNATA Archeologia sperimentale negli orti e giardini del Palazzo di Castello -Sacrati L’intera giornata prevede attività pratiche di archeologia sperimentale nel Laboratorio Didattico di Archeologia “Nereo Alfieri” del Liceo Ariosto, uno spazio attrezzato di mq. immerso nel verde. Situato sugli orti e giardini di Palazzo di Castello Sacrati, nel cuore dell’Addizione erculea, è intitolato all’archeologo che ha diretto gli scavi della città etrusca di Spina. ORTI E GIARDINI DEL PALAZZO DI CASTELLO -SACRATI LABORATORIO DI ARCHEOLOGIA

5 SVILUPPO URBANISTICO DI FERRARA E LE SUE MURA
Città lineare – sec. VIII-XI Città murata - sec. XI -XIV I Addizione di Niccolò II – 1386 II Addizione di Borso III Addizione di Ercole I Interventi successivi Le mura di Borso. 1451 Le mura di Ercole I. Le mura di Alfonso I. Le mura di Alfonso II. Le mura dei Papi, sec. XVII

6 PFI-1. LABORATORIO MATTINA:
Accoglienza all’Ariosto: presentazione delle sei giornate e distribuzione di materiale didattico. Intervallo: Meglio la mela che un pacchetto di patatine, sei più sazio ed in forma. Laboratorio di archeologia sperimentale: ricognizione, triangolazione, catalogazione reperti. Pranzo sul campo: l’alimentazione dell’archeologo (cestino Vergani). POMERIGGIO Laboratorio di archeologia sperimentale: scavo, flottazione, documentazione grafica e fotografica. Impariamo divertendoci: orienteering con caccia al tesoro. Cena con degustazione di piatti tipici; pernottamento in ostello (l’ostello comunale adiacente al liceo Ariosto, è attrezzato anche per accogliere classi e insegnanti e mette a disposizione anche le biciclette) o albergo a tre stelle, prima colazione. Ariosto di sera: Proiezione di un Powerpoint in cui gli ospiti sono i protagonisti delle attività della giornata. In alternativa: proiezione dei filmati: Il mestiere dell’Archeologo o Archeologi in campo, Fuoriclasse - Rai Edu- MIUR- girati nel laboratorio di archeologia del Liceo Ariosto .

7 RICOGNIZIONE TERRITORIALE
ATTIVITA’ RICOGNIZIONE TERRITORIALE TRIANGOLAZIONE

8 FLOTTAZIONE E SETACCIO
QUADRETTATURA SURFACE RIDUZIONE IN SCALA FLOTTAZIONE E SETACCIO

9 SIMULAZIONE DI SCAVO DOCUMENTAZIONE GRAFICA

10 PULITURA DEL SITO PULITURA DEI REPERTI
attività/lda

11 VISITA GUIDATA PANNELLI DIDATTICI FOTO ARCHEOLOGICHE

12 INTERVALLO: COSA MANGIAMO?
Meglio la mela che un pacchetto di patatine, sei più sazio ed in forma Nei distributori della scuola sono presenti diversi prodotti frutta e macedonia insalata pronta, lavata e solo da condire yogurt latte al cioccolato succhi e passati di frutta panini imbottiti freschi E’ importante mangiar sano perché non mi vengono i brufoli le proteine sono importanti per la massa muscolare e faccio l’effetto del macho sto in linea saziandomi le vitamine proteggono e mantengono sana, liscia e vellutata la pelle rimango in forma ed in salute prevengo tumori ed arteriosclerosi

13 IMPARIAMO DIVERTENDOCI orienteering con caccia al tesoro
L’orienteering, o corsa di orientamento è una prova a cronometro in terreno vario in cui il concorrente, con  carta e bussola, deve raggiungere il traguardo passando per una serie di punti di controllo (lanterne) da raggiungere nell’ordine e nel numero dato. Il tracciato di gara è stampato con colore rosso sulla carta ed è formato da: indica il punto di partenza; indica i punti di controllo; indica i punti di arrivo. Strumenti: bussola, testimone, lanterna, punzonatrice, cartina muta.

14 PFI 2. SECONDA GIORNATA Archeologia tra giardini veri e dipinti: dagli Spineti agli Estensi
In bicicletta visiteremo i luoghi che testimoniano la presenza degli antichi sul territorio, gli etruschi al museo Archeologico Nazionale, i romani al Civico lapidario, ma anche monasteri, delizie e dimore signorili che, tra orti e giardini veri o dipinti, ci permettono di ricostruire aspetti di vita all’epoca degli Estensi.

15 PFI-2. PERCORSO DI VISITA in bicicletta
MATTINA: 1. Museo Archeologico Nazionale: i reperti di Spina nella dimora di Ludovico il Moro; il labirinto ricostruito e la corte dipinta nella Sala del Tesoro. 2. S. Antonio in Polesine: il monastero di Beatrice D’Este e il “miracolo nel chiostro”. 3. Casa Romei: Polissena d’ Este e il giardino in una stanza; le ricche ceramiche delle monache. 4. Sosta pranzo al punto di ristoro nel giardino di Schifanoia (cestino Vergani). POMERIGGIO: 5. La delizia di Schifanoia, Borso d’Este e i giardini dipinti del Salone dei mesi. 6. I Romani al Civico Lapidario. 7. La palazzina Marfisa e la loggia del giardino. 8. Cena con degustazione di piatti tipici punto di ristoro Principessa Pio ; pernottamento in ostello o albergo a tre stelle, prima colazione. 8. Ariosto di sera: proiezione di Il ritrovamento di Spina di C. Bornazzini.

16 1. MUSEO ARCHEOLOGICO NAZIONALE DETTO DI SPINA
CORREDI E MITI Situato nel Palazzo Constabili, un prestigioso edificio rossettiano, ospita una delle più importanti raccolte di ceramiche attiche del mondo provenienti dalle necropoli di Valle Pega e di Valle Trebba, frutto delle campagne di scavo a Spina, alcune delle quali dirette da Nereo Alfieri

17 1. IL LABIRINTO RITROVATO E IL CIELO IN UNA STANZA
Palazzo Constabili, progettato da Biagio Rossetti forse per ospitare Ludovico il Moro, è impreziosito da un giardino con labirinto su cui apre la sala del Tesoro. Gli affreschi di Benvenuto Tisi di Garofalo che ne decorano il soffitto, costituiscono un eccezionale spaccato della vita di corte. Dal balcone, tra alberi da frutto, putti, scimmiette, preziosi tappeti e strumenti musicali, si affacciano i personaggi della corte Estense tra cui Beatrice, sposa di Ludovico e la sorella Isabella.

18 2. Sant’ Antonio in Polesine, il monastero di Beatrice II d’Este e il “”miracolo” nel chiostro
LUCREZIA BORGIA COME BEATRICE II IL CHIOSTRO Il monastero di Sant’Antonio in Polesine si trovava su di un’isola del vecchio corso del Po ed è stato annesso alla città con l’Addizione di Borso. Ospita, sin dal 1257, una comunità Benedettina di clausura fondata dalla Beata Beatrice II d’Este. Il monastero, che accoglieva soprattutto fanciulle di nobili famiglie, è dotato di ampi spazi ortivi e di un chiostro dove ogni anno avviene un “miracolo”: la Sacra Pietra che copriva l’antica sepoltura di Beatrice , da ottobre a marzo, trasuda le” lacrime della Beata”, acqua con proprietà ritenute miracolose. htm

19 IL GIARDINO IN UNA STANZA
3. Casa Romei: Polissena d’Este e il giardino in una stanza. Le ricche ceramiche delle monache. IL GIARDINO IN UNA STANZA La casa che Giovanni Romei costruì a Ferrara nel XV secolo, ampliandola e arricchendola nel corso del tempo, rappresenta un classico esempio di dimora signorile. Dal cortile d’onore, frutto dell’unione di elementi medievali con altri rinascimentali si accede alla sala delle Sibille, che, affrescata in occasione del matrimonio di Polissena d’Este con Francesco Romei, fornisce un esempio di raffinato giardino cortese dipinto. Nel 1483 la casa fu donata alle Clarisse dell’adiacente convento del Corpus Domini e ha ospitato anche Lucrezia Borgia. Attualmente è sede museale e, in una sala sono esposti anche oggetti ricercati e preziosi provenienti dal monastero di Sant’ Antonio in Polesine che accoglieva le più nobili fanciulle della società estense.

20 5. Gli Estensi e la delizia di Schifanoia
Palazzo Schifanoia, eretto nel 1385 per volere di Alberto V d'Este, era una “delizia” destinata a rappresentanza e, come testimoniato dal toponimo, a schivare la noia ). Sotto Borso d'Este ( ) l'architetto Pietro Benvenuto degli Ordini amplia il palazzo che viene dotato di un imponente portale marmoreo, sovrastato dal grande stemma estense e dall'Unicorno, a ricordo delle bonifiche volute dal Duca e il Salone dei mesi, dipinto dai pittori dell’Officina ferrarese, propaganda il buon governo del Signore. Edificio di primaria importanza per la storia dell'architettura e della pittura ferrarese del '400, è sede del Museo Civico di Arte Antica, e una parte di quello che resta degli antichi giardini ospita un punto di ristoro.

21 5. Borso e gli orti e i giardini dipinti del Salone dei mesi
BORSO D’ESTE Nel Salone dei Mesi, Borso d’Este vuole propagandare i lavori agricoli che le bonifiche, da lui attuate, hanno incentivato, ma la natura viene nobilitata anche con riferimenti al mondo classico. Un esempio è il Mese di Aprile in cui il trionfo di Venere su Marte, inginocchiato ai suoi piedi, appare ricco di riferimenti botanici carichi di significati simbolici. La dea ha il capo cinto da un serto di rose rosse e bianche che alludono alll’amore e porta in mano garofani rossi, un'arancia amara e una mela cotogna, con significato di fertilità. In un locus amoenus, che rievoca il giardino cortese, tipico delle delizie estensi, gli innamorati tengono tra le mani i fiori cari a Venere e, tra i melograni e cespugli di mirto, i numerosi conigli alludono alla fecondità della terra.

22 6. I Romani al Civico Lapidario
IMPARIAMO DIVERTENDOCI Il lapidario Civico è situato nella chiesa sconsacrata di Santa Libera, attigua a Palazzo Schifanoia. Espone sarcofagi, epigrafi, cippi, stele provenienti dal territorio di dominazione romana. Tra i pezzi più significativi si segnalano la stele con le effigi dei Cesii, del I secolo a. C., ritrovata nel giardino della Delizia di Belriguardo e il sarcofago di Annia Faustina, ritrovato nel sito romano di Voghenza. Per superare le difficoltà di approccio con un museo epigrafico di complessa lettura e promuoverne la conoscenza presso tutte le scuole di ordine e grado, i Musei di Arte Antica di Ferrara hanno realizzato, con il contributo della Regione Emilia Romagna, una Cartella Didattica contenete materiale informativo a più livelli destinato agli insegnanti e agli allievi da utilizzare in classe e durante la visita al Museo.

23 http://www.fondazionecarife.it/rivista n°5/Antichi splendori...
7. La Palazzina Marfisa La Palazzina Marfisa D’Este fu costruita a partire dal 1559 per volere del Marchese Francesco d’ Este, figlio di Alfonso I e Lucrezia Borgia. Dal 1578 passò in eredità alla figlia di Francesco, Marfisa, amante delle arti e protettrice di Torquato Tasso. A sinistra della palazzina su di un antico giardino segreto, si apriva la "Loggia degli Aranci". E’ un ambiente porticato con la volta decorata a tralci di vite con uccellini e animali e veniva utilizzato come serra e come luogo di spettacoli. Si dice che il Tasso vi abbia rappresentato, in onore della bella dama di cui era sincero ammiratore, lo sua «Aminta». L’adiacente "Sala della Loggia"è’ decorata da un’ampia fascia con scene di caccia e di pesca che in alcuni squarci riecheggiano il paesaggio ferrarese. Marfisa d’Este IL MITO n°5/Antichi splendori...

24 Archeologia tra il verde – Dagli Estensi ai legati Pontifici
PFI-3. TERZA GIORNATA Archeologia tra il verde – Dagli Estensi ai legati Pontifici trekking urbano PFI 3. TERZA GIORNATA La giornata prevede un trekking archeologico- naturalistico sulle mura degli Estensi e dei Papi, tra scavi e spazi espositivi alternativi. La visita al Castello Estense con la sua storia, i miti e le leggende ci preparerà agli apparati di Cristoforo da Messisbugo il conte Palatino, scalco ducale, alla cucina degli Estensi e al Palio di S. Giorgio. Palio

25 PFI-3. PERCORSO DI VISITA
MATTINA: 1.Trekking sulle mura della città: le mura estensi: archeologia tra i giardini ducali. 2. Visita al cimitero ebraico. 3. Sosta pranzo nel punto di ristoro dell’Azienda Agricola Principessa Pio, sugli antichi orti della Rotonda, la delizia della Montagnola. POMERIGGIO: 4. Uno spazio espositivo “alternativo”: il Residence “Il Chiozzino” tra storia e leggenda. 5. Il Castello Estense e la casa d’Este, un percorso tra imbarcaderi, cucine, cappelle e giardini e gli affreschi riflessi negli specchi di Gae Aulenti. 6. Palazzo Pendaglia: la cucina degli estensi, lo scalco ducale Cristoforo da Messisbugo e gli apparati. Degustazione di piatti locali presso l’Istituto o in ristorante convenzionato. Spettacolo dei figuranti del Palio.

26 PF I 3. Trekking urbano Le mura estensi: archeologia tra i giardini ducali
MINISTERO DELLA PUBBLICA ISTRUZIONE SULLE ORME DEGLI ESTENSI TRA TERRA E ACQUA PF I. NEREO ALFIERI ARCHEOLOGIA E TERRITORIO Scuole in rete LICEO CLASSICO STATALE “L. Ariosto”- Ferrara IPSSCT, IPSSAR “R. Brindisi” LICEO CLASSICO-LINGUISTICO “G. Bassani" - Lido degli Estensi – Comacchio IPSSAR, “O. Vergani” - Ferrara Laboratorio didattico di Archeologia Nereo Alfieri classe IV A Liceo classico Ariosto AssociazioneculturalenereoAlfieri TREKKING URBANO Dal Torrione del Barco a Porta Paola Km 5 LE MURA ESTENSI ARCHEOLOGIA TRA I GIARDINI DUCALI

27 Torrione del Barco FERITOIA Mura degli Angeli
VALLO INTERNO Torrione del Barco FERITOIA Mura degli Angeli ERCOLE I

28 vallo esterno allagato dal vallo esterno a quello interno
CANNONIERA camminamento di ronda e fuciliere FUCILIERA

29 Mura di Alfonso II, iI vallo esterno
Mura di Alfonso I, il vallo esterno TORRIONE DI S. TOMMASO GARRITTA Mura di Alfonso II, iI vallo esterno BALUARDO DI S. ANTONIO ALFONSO II

30 LE PORTE DELLE MURA Porta S. Pietro Porta degli Angeli
Prospettiva della Giovecca Porta Paola Porta San Giovanni

31 4. Uno spazio espositivo “alternativo”: il Residence “Il Chiozzino”
Treppiedi Lo scavo archeologico realizzato prima della costruzione del Residence “Il Chiozzino” , ha portato in luce un imponente scarico di ceramiche e di scarti di lavorazione riferibili ad una fornace attiva attorno al XVII secolo. Accanto a questa testimonianza sono stati rinvenuti altri indizi che indicano la presenza di ulteriori attività, come la lavorazione dei metalli. Presso lo stesso residence, è stata allestita una singolare esposizione di alcuni oggetti rinvenuti nel corso degli scavi. Pannelli didattici forniscono dati esaurienti sul contesto urbano e sulle attività lavorative. Le bacheche del Chiozzino sono dotate di un efficiente sistema di allarme collegato con l’istituto di vigilanza. Ceramica graffita Biscotto Ceramica invetriata

32 5. Il castello http://www.castelloestense.it/ Giardino pensile detto
degli aranci Nicolò II L'imponente fortezza al centro della città, simbolo degli Estensi, fu fatta innalzare nel 1385 da Nicolò II° d'Este a protezione dagli attacchi esterni. Circondato da un fossato alimentato dall’antico Cavo del Duca e realizzata su progetto dell'architetto di corte Bartolino da Novara, la nuova costruzione venne munita di ben quattro torri angolari congiunte fra loro da cortine murarie. Per diversi decenni il castello fu solo una potente macchina militare, fino a quando, a partire dal 1450, venne progressivamente trasformato in dimora signorile e spazio per la corte, con continui abbellimenti interni ed ampliamenti.

33 Le prigioni: Ugo e Parisina
Ugo d’Este Parisina Malatesta Le prigioni del Castello erano destinate a personaggi i d’alto rango o, comunque, prigionieri sui quali gli Estensi intendevano assicurare una particolare sorveglianza. Negli interrati delle torri è possibile ancora oggi scorgere, graffite sui mattoni delle pareti, le scritte tracciate dai reclusi a memoria della loro infelice sorte. Queste segrete, come ricordano le cronache antiche, furono teatro della tragica fine di Ugo e Parisina, i giovani amanti decapitati in fondo alla Torre Marchesana. Erano rispettivamente figlio e moglie del marchese Nicolò III, entrambi ventenni quando, nel 1425, vennero condotti al patibolo. Si legge nel Diario Ferrarese di anonimo: «MCCCCXXV, del mese de Marcio, uno luni, a hore XXIIII, fu taiata la testa a Ugo,figliolo de lo illustre marchexe Nicolò da Este, et a madona Parexina, che era madregna de dictoUgo;et questo perché lui havea uxado carnalmente con lei. […] Et f urono morti in Castel Vechio, in la Tore Marchexana: et la nocte furno portati suxo una careta a Sancto Francesco et ivi furno sepulti».

34 Cristoforo da Messisbugo, scalco ducale e le cucine
Oriundo dalle Fiandre, Cristoforo da Messisbugo fu al servizio di Alfonso I ed Ercole II d’Este, dal 1524 al Presso la corte estense organizzava gli splendidi convivi da lui descritti in Banchetti, compositioni di vivande, et apparecchio generale, testo che fornisce notizie dettagliate sulle consuetudini alimentari della corte e sugli apparati delle scenografiche feste e banchetti. Alla sua morte viene sepolto nel monastero estense di Sant'Antonio in Polesine. PAMPAPATO IL PAN RITORTO TORTELLETTI

35 I “giochi” degli Estensi negli specchi di Gae Aulenti
IMPARIAMO DIVERTENDOCI Il nuoto Il cesto Il gioco degli otri Il combattimento gladiatorio Il telesiaco Il gioco dei birilli Il gioco della trottola Il gioco della fionda La lotta La pesca Il gioco della palla nel cerchio Il gioco della racchetta Il girotondo L’altalena L’alteristica La corsa delle quadrighe La danza pirrica Il paleo I reziarii Allestimento di Gae Aulenti

36 PFI 4. QUARTA GIORNATA Tra Necropoli romane e Delizie estensi
Visiteremo la necropoli romana di Voghenza e la Delizia di Belriguardo dove, nella sala della Vigna, un interessante percorso didattico ci permette di seguire le fasi di lavorazione della tipica ceramica ferrarese. Ci si sposterà poi alla delizia del Verginese immersa nel verde, eccezionale esempio di restauro vegetazionale del brolo e seguiremo l’affascinante storia, dal ritrovamento all’esposizione, del sepolcreto dei Fadieni.

37 PFI-4. PROPOSTA DI PERCORSO
MATTINA: 1. I romani sul territorio: la necropoli romana di Voghenza e un percorso espositivo accessibile ai non vedenti nel Museo Civico. 2. La delizia di Belriguardo e le ceramiche ferraresi nella sala della Vigna. Tecniche di lavorazione della ceramica ferrarese: dalla lavorazione dell’argilla all’opera finita. 3. Sosta pranzo all’ Agriturismo Ai due Laghi del Verginese e la storia del ritrovamento del sepolcreto dei Fadieni. POMERIGGIO: 4. Il Verginese, una delizia extraurbana tra storia e leggenda: Alfonso I e Laura Eustochia Dianti. 5. Un esempio di archeologia vegetazionale: il brolo del Verginese e il suo ripristino. 6. I Fadieni: dal ritrovamento alla museazione attraverso testimonianze dirette. Cena con degustazione di piatti tipici; pernottamento in ostello o albergo a tre stelle ai Lidi di Comacchio, prima colazione.

38 1. La necropoli romana di Voghenza e la delizia di Belriguardo
La delizia, fatta costruire dagli Estensi a partire dal 1435, ospita il Museo Civico di Belriguardo. Al suo interno sono conservati reperti di epoca romana (I a.C. I d.C.) provenienti dalla vicina necropoli di Voghenza. La sala della Vigna, così denominata dagli affreschi cinquecenteschi che ne decorano il soffitto, offre un percorso didattico corredato da pannelli sui metodi di lavorazione della ceramica ferrarese. Fasi di realizzazione di una fiasca da pellegrino

39 3. Ai due laghi del Verginese. Sosta pranzo
Nelle adiacenze dell’agriturismo Ai due laghi del Verginese, durante lavori di aratura, è stato ritrovato il sepolcreto dei Fadieni. Sentiremo il racconto del ritovamento dalla voce del proprietario del terreno e, dopo il pranzo, avremo modo di vedere le fotografie che lo documentano.

40 2. La delizia del Verginese e il brolo recuperato
Alfonso I Laura Dianti La Delizia del Verginese era un luogo di distrazione e otium, voluto per il piacere della corte nelle campagne intorno a Ferrara. La vita di corte si svolgeva fra feste e simposi letterari ed il giardino ne era una parte importante. Precisi canoni estetici scandivano lo spazio del brolo (orto-giardino) e lo trasformavano in simbolica rappresentazione del mondo. Il brolo del Verginese è stato appena restaurato con l’aiuto dei repertori botanici degli erbari estensi; vi sono stati impiantati alberi da frutto e fiori di varietà antiche. La Delizia del Verginese era in origine un casale di proprietà di Alfonso I d’Este, che, nel 1534, lo donò a Laura Eustochia Dianti, ventenne figlia di un berrettaio, e per questo soprannominata “ la bertaia” . Fu lei, alla morte di Alfonso I, a trasformare il Verginese in una “delizia” ad opera di Girolamo da Carpi. n° 24/ un brolo...

41 Il pavimento disegnato
3. I Fadieni: storia di una scoperta, dal ritrovamento casuale alla museazione Il pavimento disegnato Negli spazi interni della delizia è allestita l’interessante mostra “I Fadieni” che espone i risultati di una scoperta, avvenuta casualmente nel 2002, a cui fece seguito un’indagine archeologica che portò alla luce la necropoli dei Fadieni, una famiglia del luogo imparentata con la Gens Valeria.

42 PFI 5. QUINTA GIORNATA Comacchio centro storico
Comacchio è il centro più originale ed affascinante del Parco del Delta del Po dell’Emilia-Romagna Il Parco possiede caratteristiche territoriali ed ecologiche che lo rendono unico nel suo genere. Copre infatti una superficie complessiva di oltre ettari di aree considerate tra le più ricche di biodiversità. Esso comprende la parte meridionale dell’attuale Delta padano, il “delta storico”, e un’ ampia porzione di zone umide collocate più a sud, di grande pregio dal punto di vista naturalistico. Si estende dal ramo del Po di Goro a Nord, alle Saline di Cervia a Sud, per oltre 60 km, lungo la Costa Adriatica delle province di Ferrara e Ravenna. Il territorio del Parco è ripartito in sei stazioni, tre di queste sono indicate nella cartina qui a fianco e fanno parte dei nostri itinerari: Stazione n.1 : Volano- Mesola-Goro Stazione n.2 : Comacchio centro storico Stazione n.3 : Valli di Comacchio e la Salina

43 PF I- 5. PROPOSTA DI PERCORSO trekking e birdwatching
MATTINA: Accoglienza al R. Brindisi. Visita al centro storico di Comacchio, tra gli “usci senza porta” e le ”stalie”. Ospedale degli Infermi: visita alla mostra Genti del Delta o, dall’ottobre 2007, del Museo delle Culture Umane del Delta del Po. Museo del Carico della nave romana. Sosta pranzo: la cucina delle valli presso l’Istituto alberghiero R. Brindisi o cestino. POMERIGGIO: Visita didattica alla salina di Comacchio. Dalla Stazione da pesca Foce, a piedi ( trekking per circa 3 km e birdwatching), si prende l’argine di grande suggestione verso Valle Fattibello, fino alla Torre Rossa, per arrivare alla Salinetta e al centro operativo. Cena con degustazione di piatti tipici; pernottamento in ostello o albergo a tre stelle, prima colazione

44 Comacchio: archeologia, storia e natura
La giornata prevede la visita al centro storico di Comacchio, per conoscere i principali monumenti, musei e i valori più caratteristici del tessuto urbano generale: quel suo particolare insieme di edilizia e di canali con le stallie che li costeggiano, le androne e gli usci senza porta. Passeggiando, se si presta l'orecchio a quel che si dicono gli abitanti di questa cittadina, si noterà senza dubbio la strana fonetica che lo caratterizza. La particolare composizione della sua struttura urbana risale ai primi anni del Seicento, ed è stata dettata dall’acqua che la circondava e la attraversava fino alla fine del XX secolo, quando le bonifiche modificarono il secolare rapporto con l’ambiente naturale circostante. Intorno alle Valli si è incentrata e sviluppata la vicenda storica ed economica del territorio di Comacchio; si tratta di un esempio pressoché unico di integrazione tra l’ambiente naturale e l’attività dell’uomo, dove la produzione del sale e la pesca hanno sempre rappresentato le basi economiche primarie alle quali era prevalentemente legato l’artigianato locale. Si prevede trekking naturalistico e birdwatching alle Valli di Comacchio con visita didattica alla Salina . Anguilla Valli di Comacchio

45 Comacchio città emporio e l’archeologia urbana
SCAVI ARCHEOLOGICI ANFORA Recenti indagini archeologiche sembrano suggerire per Comacchio un ruolo fondamentale , tra VII e IX secolo, come città emporio,all’interno del sistema di nuovi centri che nascono lungo la costa dell’adriatico nord-occidentale in tale periodo. Tali indagini sono condotte, dal gruppo di ricerca dell’Università Ca’ Foscari di Venezia, Cattedra di Archeologia Medievale, Dipartimento di Scienze dell’Antichità e del Vicino Oriente, in collaborazione con la Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia-Romagna e rientrano nelle attività di ricerca del progetto “Comacchio Archeologia Medievale” promosso dal Comune di Comacchio in collaborazione con l’ateneo veneziano.

46 La forma attuale della città risale all’inizio del Seicento quando, dopo la devoluzione del ducato Estense nel 1598, Comacchio era ormai parte dello Stato Pontificio Le testimonianze architettoniche rimaste sono molte e pregevoli sia religiose, come il Santuario di Santa Maria in Aula Regia e la cattedrale di San Cassiano, che civili , come l’Ospedale degli Infermi, la Loggia del Grano e il Ponte Pallotta Ponte dei Trepponti

47 Nereo Alfieri e gli scavi di Spina
Dopo le opere di bonifica della Valle Trebba, iniziate a partire dal 1919, si ha notizia dei primi ritrovamenti ascrivibili alla necropoli di Spina fin dal 1920, ma fu nel 1922 che la Regia Soprintendenza agli Scavi e ai Musei avviò le indagini archeologiche. In Valle Trebba furono trovate 1213 tombe. Gli scavi furono riaperti nel il Professore Nereo Alfieri già da quell’anno, prima sotto la direzione di Arias, poi come nuovo direttore degli scavi, volge la sua attenzione alle due necropoli spinetiche: Valle Trebba, e quella che viene scoperta proprio nel 1953, Valle Pega, portando alla luce oltre 2800 tombe. Egli può far rivivere sul terreno ciò che gli hanno trasmesso le fonti…

48 Spina tra storia e leggenda: dai Pelasgi al mito di Fetonte
La fondazione di Spina è attribuita, nelle fonti antiche greche – Ecateo di Mileto (seconda metà VI secolo a.C.), Dionigi di Alicarnasso (I secolo a.C.) – ai Pelasgi, popolazione pregreca che si era stanziata,in un’epoca mitica, prima in Argolide e poi in Tessaglia. Un’altra fonte, ripresa da Plinio il Vecchio (Storia Naturale. III, ), autore latino del I secolo d.C., ne attribuisce la fondazione all’eroe greco Diomede. I documenti che ci parlano di Spina sono di epoca romana. Il geografo Strabone, vissuto durante l’impero d’Augusto, riporta che “[…] a Delfi suole mostrarsi il tesoro degli abitanti di Spina, ed altre cose si è soliti raccontare intorno ad essi, cioè di un popolo una volta potente sul mare […]”

49 ….tra i miti, la storia più nota è quella che narra la tragica corsa attraverso il cielo dello sfortunato Fetonte, figlio del Sole. Il giovane si pose alla guida del cocchio di fuoco e, essendo inesperto, si trovò ben presto in difficoltà, perse il controllo dei cavalli e il carro uscì dalla sue rotta bruciando cielo e terra. Giove intervenne e con un fulmine sbalzò Fetonte dal carro. Il suo corpo precipitò nel fiume Eridano, in seguito chiamato Po. Le sorelle, le Eliadi, lo piansero tanto che gli dei, impietositi, le trasformarono in pioppi…. ( Ovidio, Metamorfosi II ) La caduta di Fetonte

50 Museo delle Culture Umane del Delta del Po
IL contenitore: l’Ospedale degli infermi è una preziosa testimonianza, l’unica a Comacchio, del Neoclassicismo, fu eretto tra il 1778 e il 1784 su volere di papa Clemente XIV. Fu inaugurato nel 1814 e, non più rispondente alle mutate esigenze, cessò la propria attività nel 1976. E’ un interessante esempio di restauro conservativo, oggi istituto museale, Museo delle Culture Umane del Delta del Po che ospita attualmente la mostra “ Genti del Delta, da Spina a Comacchio” Tombe esposte

51 Museo della Nave romana di Comacchio
Il museo della nave romana è stato allestito e aperto all’inizio del l’edificio ristrutturato fa parte dell’antico complesso industriale di Palazzo Bellini, destinato a magazzini e alla marinatura delle anguille e del pesce di valle. Una parte del museo inoltre si trova in alcune stanze delle carceri mandamentali di epoca estense. I reperti sono esposti in due sale.

52 La salina di Comacchio e le Valli
Le Valli di Comacchio sono il più vasto specchio d’acqua palustre d’Italia e si estendono attualmente per più di ettari. Origine delle Valli: la loro origine è da far risalire all’epoca medioevale, quando la deviazione dei rami deltizi del Po provocò il blocco della deposizione di sedimento e la zona iniziò ad abbassarsi per il naturale effetto della subsidenza. L’acqua marina poté così penetrare nelle Valli, assieme all’acqua dolce portata dalle piene del fiume Reno. Le bonifiche hanno ridotto il comprensorio vallivo dagli originari agli attuali che ricomprendono anche i bacini situati più a nord rispetto alle Valli di Comacchio, Valle Nova, Cantone e Bertuzzi.

53 Intorno alle Valli si è incentrata e sviluppata la vicenda storica ed economica del territorio di Comacchio; si tratta di un esempio pressochè unico di integrazione tra l’ambiente naturale e l’attività dell’uomo, dove la produzione del sale e la pesca hanno sempre rappresentato le basi economiche primarie alle quali era prevalentemente legato l’artigianato locale essendo quasi assente l’agricoltura e mancando completamente il turismo. Queste ultime componenti economiche si sono sviluppate quasi contemporaneamente con l’affermarsi della bonifica ed il prosciugamento di migliaia di ettari di valle. La Salina : posta nell’angolo nord-est delle Valli, è stata ricavata nell’antica foce dell’Eridano, che fluiva a nord delle attuali Valli di Comacchio. Per sua natura è suddivisa in due porzioni: una porzione orientale caratterizzata da vasche di forma rettangolare in cui era fatta evaporare l’acqua e veniva raccolto il sale; una porzione occidentale, adiacente al nucleo principale delle Valli di Comacchio, con bacini di forma ed aspetto completamente naturale, con rive sinuose e dossi emergenti utilizzati per l’accumulo delle acque marine e la prima evaporazione. L’uso della Salina, di antichissima origine, si è protratto fino ai giorni nostri ed è stato Interrotto nel 1984. Le valli di Comacchio, formate da acqua salmastra dalla salinità molto accentuata, rappresentano un importante biotopo di zona umida ad acqua salmastra, costituito da vegetazione alofila dichiarato di interesse internazionale, in base alla convenzione di Ramsar del 1971.

54 Nel corso dell’estate 2005, è stato attivato uno degli elementi più importanti dell’intero progetto: una Salinetta di 4 ettari per la produzione del sale. La funzione di questo elemento è sia didattica che ecologica. Gli studenti potranno osservare direttamente diverse fasi dell’estrazione del sale che costituisce un tratto importante della storia locale. Oltre che sulla produzione del sale, gli studenti potranno concentrarsi su altri importanti aspetti specifici della Salina, quali la vegetazione alofila e il birdwatching. Rappresenta un sito di grande importanza a livello europeo per la nidificazione di Charadriformes ( avocetta, cavaliere d’Italia, gabbiano corallino, fraticello…) e per lo svernamento degli uccelli acquatici e fanno parte della zona Ramsar “Valli di Comacchio e specchi d’acqua limitrofi” e della omonima Zona di Protezione Speciale. Nella Salina è presente ormai da anni una colonia nidificante, più di quattrocento esemplari di Fenicottero, che costituisce senza dubbio l’elemento naturalistico di maggiore spettacolarità Da allora le caratteristiche della Salina sono lentamente mutate Dal 2001, la Salina è stata interessata dalla realizzazione di un Progetto LIFE Natura che aveva come scopo la conservazione e il ripristino degli habitat tipici della salina.

55 PF I- 6. SESTA GIORNATA Partendo dal centro di Mesola, dopo una visita al Castello, il percorso prosegue verso il relitto di uno dei più antichi cordoni dunosi dell’area deltizia padana, le dune fossili di Massenzatica, oggi riserva naurale. La giornata si conclude seguendo un percorso a cavallo, a ridosso delle dune marine fino allo Scanno della foce del Po di Volano, si rientra percorrendo, a cavallo, i sentieri della Pineta di Volano.

56 PFI-6. PROPOSTA DI PERCORSO trekking - cavallo
MATTINA: Delizia estense del Castello della Mesola , costruita nel XVI secolo, ospita il Centro di Documentazione ambientale. Visita alle Sezioni del Centro dedicate ai principali ambienti naturali del Delta: la spiaggia e la duna – la valle salmastra – la valle d’acqua dolce – il bosco termofilo – il bosco igrofilo. Trekking alle Dune fossili di Massenzatica. Le paleodune, la cui altezza oscilla dai 2 agli 8 metri, ospitano una vegetazione di grande interesse. Sosta pranzo con cestino R. Brindisi. POMERIGGIO: A cavallo tra pinete e lagune. Si percorre un itinerario a ridosso delle dune marine fino allo Scanno della foce del Po di Volano. Si rientra percorrendo i sentieri della Pineta di Volano. PARTENZA

57 Mesola e il suo territorio
Prima del X secolo la posizione dell’abitato di Mesola era ancora occupata dal mare. Solo in seguito alla deposizione dei sedimenti dei rami di foce del Po l’avanzamento della linea costiera determinò la formazione di quest’area. Il Po di Ariano (Po di Goro) , un ramo deltizio del Po che si forma tra XIII e XVI secolo, si articolava in due rami: a nord il Po di Goro e a sud il Po dell’Abate, tra questi era compresa l’isola di Mesola. L’isola di Mesola originariamente apparteneva a varie famiglie della Comunità di Ariano e nel 1490, con Ercole I d’Este, passò alla Casa estense che utilizzò quest’area per trascorrere momenti di svago e diletto come riserva di caccia

58 Castello Estense di Mesola
ALFONSO II I lavori iniziarono intorno al 1578, ultimi anni dello splendore della Casa d’Este, per volere di Alfonso II. Il castello si presenta a ridosso dell’argine destro del Po di Goro, imponente per la sua volumetria con le quattro torri angolari merlate, chiuso su tre lati da una corte porticata destinata ad accogliere il mercato, come avviene a tutt’oggi Esso fu progettato e utilizzato come “delizia” nasce infatti per accogliere la Corte Estense in occasione delle battute di caccia organizzate nel Bosco della Mesola Il Castello oggi ospita il Centro di Educazione Ambientale.

59 Le Paleodune di Massenzatica
Le dune fossili di Messenzatica rappresentano il relitto di uno dei più antichi cordoni dunosi, probabilmente di età pre-etrusca ( II millennio a.C.) dell’area deltizia padana. L’area, vasta circa 50 ha, è riserva Naturale Regionale. L’orientamento dell’ asse principale è da nord-ovest a sud-est, direzione dell’antica linea di costa ( circa parallela all’attuale, ma più interna di ben 12 km.),. Percorrendo le cime e gli avvallamenti delle Dune fossili si incontrano condizioni microclimatiche ed ecologiche completamente differenti, condizioni che si riflettono sulle tipologie vegetazionali Felce aquilina Su proposta di Nereo Alfieri, nel 1970, viene promulgata una legge di tutela delle dune di Messenzatica, tratto residuo del fascio litoraneo etrusco, già allora ampiamente saccheggiato.

60 A cavallo tra lagune e pinete
Il percorso a cavallo si svolge nei pressi del Lago delle Nazioni e nella Pineta di Volano. Il Lago delle Nazioni, nei pressi della Valle Bertuzzi, è un lungo e stretto bacino ricavato a scopo turistico e sportivo dalla preesistente Valle di Volano. Si tratta di un bacino artificiale di 140 ettari, la cui importanza naturalistica è dovuta principalmente alle colonie invernali di avifauna migrante. La Pineta di Volano, è una pineta artificiale che si estende su un cordone di dune recenti coprendo 170 ettari, boscati a pini marittimi e domestici. In corrispondenza della foce del Po di Volano è ben evidente una lingua di sabbia rivestita di vegetazione: lo Scannone di Volano, un’isola deltizia che venne unita alla terraferma da un argine all’inizio del secolo scorso. Lo Scannone e la pineta a ridosso della spiaggia costituiscono un lembo significativo dell’antico paesaggio costiero, insieme a ciò che resta della foce.

61 puoi scegliere tra ostello e albergo a tre stelle
Sulle orme degli Estensi tra terra e acqua E’ COSTITUITO DA TRE PERCORSI FORMATIVI FLESSIBILI personalizza il tuo percorso di visita e per il preventivo rivolgiti a Zainetto Verde puoi scegliere tra ostello e albergo a tre stelle IL PROGETTO PFI – NEREOALFIERI: ARCHEOLOGIA E TERRITORIO PF II - GIORGIO BASSANI: IL GIARDINO CHE NON C’È PF III - RICCARDO BACCHELLI: IL MULINO DEL PO

62 NEREO ALFIERI (Loreto 1914- Ferrara 1995)
Nereo Alfieri, nato a Loreto (Ancona) il 3 novembre 1914, è stato insegnante di materie Letterarie, Latino e Greco, prima, e di Storia dell’Arte, in seguito, al Liceo Classico ‘L. Ariosto’, dal 1954 al 1957, grazie a due concorsi per l’insegnamento, superati nel 1947 e nel 1953, collocandosi fra i primi dieci in graduatoria nazionale. Nello stesso 1947 approda al Museo Archeologico Nazionale di Spina, in Ferrara,come Ispettore Archeologo, diventandone successivamente Direttore. In quella veste, promuove la sistemazione, il restauro e lo studio dei reperti archeologici di Valle Trebba (scavati da A. Negrioli e S. Aurigemma dal 1922 al 1935); al contempo, e intraprende nuovi scavi a Valle Pega, dal 1953 sotto la direzione di P.E..Arias, poi come nuovo direttore degli scavi, che prosegue con gli allievi G. Riccioni, G. Gualandi, S. Patitucci e G. Uggeri, fino al Promuove a tutela delle nuove ricerche e scoperte, l’ente “Pro Spina” (1956), di cui fanno parte personalità di cultura sia della città che del mondo accademico ed intellettuale, anche internazionale: è di quegli anni la collaborazione e l’amicizia con l’esperto di ceramiche dipinte J. Beazley, con il re Gustavo di Svezia, con l’ingegnere aeronautico Vitale Valvassori. I suoi studi sull’aerofotografia gli consentono di individuare un settore dell’abitato dell’antica Spina, ed intanto indagando sul complesso adiacente di S.ta Maria in Padovetere, sviluppa l’ambito di Archeologia Medioevale, ed insieme di Archeologia Cristiana, perlustrando con rigore, perspicuità d’interprete e sensibilità filologica i testi classici, dai canonici d’autore, a quelli più ‘occasionali’, come epigrafi e documenti d’Archivio, ma anche carte geografiche, con particolare attenzione all’orografia ed idrografia. La sua indole di storico e di archeologo si specializza così nella ricerca ampia e complessa della Topografia, addentrandosi nell’archeologia urbana di Ferrara, Voghenza e di altri centri padano-marchigiani, ma seguendo pure scavi medioevali nel golfo persico, in Kuwait. Dal 1963 al 1990 è docente di Topografia dell’Italia antica all’Ateneo di Bologna, e da lì conduce le campagne di scavo anche della città di Suasa, e indagini sulle vie fluviali e sulla rete viaria di Marche, Veneto ed Emilia-Romagna, rintracciando la via Flaminia‘minore’, che conduceva da Bologna ad Arezzo. Gli viene conferita la cittadinanza onoraria di Ferrara il 31 dicembre1992; muore il 10 dicembre 1995. SCHEDA A CURA DI CINZIA SOLERA

63 GIARDINI E ORTI DI PALAZZO DI CASTELLO-SACRATI
Palazzo di Castello-Sacrati sorse sull’angolo nord-ovest del Quadrivio come residenza del medico ducale Francesco da Castello. Da molti attribuito a Biagio Rossetti, fu edificato nel su di un terreno agricolo che era appartenuto alle Osservatine di Santa Maria degli Angeli ed era dotato, sin dal 1496, di un’ampio spazio ortivo. Su parte degli orti, dove ora è il Laboratorio di Archeologia del Liceo Ariosto, pannelli relativi alla topografia storica riproducono la stampa seicentesca della biblioteca comunale Ariostea che rappresenta il Prospetto del Palazzo orti e giardini dell' Ecc.a del Sig. Marc. Scipione Sacrati. E’ riconocibile, oltre ad un cortile in asse col portone monumentale, una zona coltivata molto vasta e, a ridosso dell'alto muro prospiciente via degli Angeli, il disegno di 16 aiuole rettangolari con vasi per calme ed agrumi. Un giardino segreto recintato da siepi sempreverdi dal taglio regolare, presenta la geometria tipica dei giardini all'italiana con due vialetti ortogonali a quello principale e con uno spazio circolare al centro, forse arricchito con una fontana decorata e con panche. Nelle otto aiuole erano coltivati fiori d'Olanda, piante rare che erano soggette ad ibridazioni che a loro volta diventavano oggetto di vendita e scambio fra nazioni e corti. La pianta del Bolzoni del 1747 testimonia ancora il mantenimento a verde di tutta l’area , anche se non appare rispettata la divisione in zone differenziate, mentre in quella del 1782 su una parte degli orti, a ridosso di via degli Angeli, appaiono già i Granai pubblici progettati nel 1778 anche se edificati nel 1783. Dal 1878 il granaio comunale fu adibito a usi militari e nella fotografia aerea del 1937 appare annesso alla Caserma Gorizia che danneggiata da un bombardamento, nel secondo dopoguerra fu trasformata in ricovero per senzatetto; l’intero complesso militare in pessimo stato e danneggiato ulteriormente dal terremoto del 1967, venne abbattuto due anni dopo. La fotografia aerea del testimonia la distruzione di tutti i fabbricati dell’ex Caserma e sull’ area liberata viene costruita la nuova sede del Liceo Ariosto che quattro anno dopo vi si trasferì dall’antico convento del Gesù di via Borgoleoni. Nel 2005, sui mq. degli antichi spazi ortivi, è stato inaugurato, col finanziamento della Fondazione della Cassa di Risparmio di Ferrara, il laboratorio di archeologia sprimentale del Liceo dedicato a Nereo Alfieri, alla cui gestione collabora Arch’è Associazione Culturale Nereo Alfieri. SCHEDA A CURA DI SILVANA ONOFRI

64 LABORATORIO DIDATTICO DI ARCHEOLOGIA “NEREO ALFIERI”
Con l’apertura alle scuole di ogni ordine e grado del Laboratorio Didattico di Archeologia Nereo Alfieri, il Liceo “Ariosto” offre, anche ai giovani di altre scuole, l’utilizzo di un’area verde di 5000 mq. attrezzata con un percorso di conoscenza storica e archeologica. L’eccezionale scenario del Quadrivio rossettiano, dove erano gli spazi di pertinenza del Monastero di Santa Maria degli Angeli e gli orti e i giardini di Palazzo Di Castello Sacrati, e dove ora le creste murarie delle fondazioni dei Granai Pubblici testimoniano l’azione distruttiva delle ruspe, è la cornice ideale per le attività del Laboratorio. Tutte le esperienze effettuate mirano a promuovere una cultura della conservazione e conoscenza del nostro patrimonio culturale e territoriale e sono documentate da pannelli illustrativi disposti lungo il percorso di visita. Attività proposte: • Area di ricognizione: un percorso specifico per leggere e interpretare i segni lasciati dall’uomo sul terreno; ricognizione territoriale e sistematica, triangolazione, quadrettatura, principi di orientamento. • Laboratorio di simulazione di scavo: attività di archeologia sperimentale: deposizione stratigrafica di una situazione archeologica compatibile col territorio, ricostruzione del crollo di una fornace circolare di piccole dimensioni con dispersione di cenere e di frammenti di laterizi, scavo stratigrafico, recupero degli strati, flottazione, setaccio, lavaggio materiali, catalogazione e documentazione grafica e fotografica. • Laboratorio materiali: pulitura, classificazione. • Percorso didattico corredato da pannelli esplicativi: vengono forniti dati sulla topografia storica, sulle indagini geofisiche del luogo e sulle attività laboratoriali da effettuare. • Visite guidate al territorio, a siti archeologici e viaggi di studio. • Impariamo divertendoci: settore destinato ai più piccoli. Le attività, gestite da personale specializzato e da volontari di Arch’è Associazione Culturale Nereo Alfieri , sono progettate in funzione delle diverse fasce di età. IL Laboratorio è stato costruito grazie al finanziamento della Fondazione della Cassa di Risparmio di Ferrara. Per informazioni rivolgersi alla prof.ssa Silvana Onofri, responsabile del Laboratorio presso: Liceo Classico “L. Ariosto” - via Arianuova n. 19; Tel.: O532/ ; fax ; - web site: Arch’è Associazione Culturale Nereo Alfieri- via Arianuova 19; tel / / ; Web site: arche.ferrara.googlepages.com

65 FERRARA, LE BONIFICHE E GLI ESTENSI
Ferrara è sorta nell’alto medioevo su una sponda del ramo del Po Grande come porto commerciale e si è sviluppata lentamente verso l’entroterra, strappando, con un sapiente lavoro di bonifica, la terra alle paludi. Le strade strette e tortuose della zona meridionale ricalcano il tracciato dei corsi d’acqua, altre, l’andamento lineare degli argini. Alcune mantengono nella toponomastica il rapporto con il fiume: Ripagrande, Boccacanale di Santo Stefano, Bonporto, o le tracce di antichi mestieri, Coramari, della Concia, Spadari. E’ in questa parte della città che si trova il primo insediamento, il castrum bizantino a forma di ferro di cavallo e il Ghetto, con le sue sinagoghe e le case alte e strette, dai piccoli balconi fioriti e il Duomo dai portali riccamente scolpiti. Nella piazza del Duomo, nel 1264, Obizzo II d’ Este viene acclamato, davanti al Palazzo del Comune, signore della città; qui è il Palazzo della Ragione, il tribunale alle cui finestre vengono esposti i corpi dei giustiziati; di fronte al Duomo viene eretto il Palazzo Ducale, dallo scenografico scalone marmoreo. Nella piazza si tengono giostre e tornei, ma anche il mercato, ed è nella piazzetta oltre il volto del Cavallo, quasi un cortile privato, che si recitano le commedie di Plauto. Al tipico agglomerato medioevale si affiancano le prime due addizioni estensi, quella di Niccolò II, del 1386, che congiunge il Castello di San Michele, la poderosa fortezza eretta a protezione della corte, alla Delizia di Schifanoia, luogo di svago e di rappresentanza, e quella di Borso del 1451, che ingloba nella città l’isola di Sant’ Antonio in Polesine, con il ricco monastero fondato da Beatrice d’Este. E’ in questa nuova parte della città che si insediano i proprietari terrieri, in case ampie dalle facciate affrescate, con cortili e orti interni. Il ramo del Po Grande è ormai ridotto a poco più di un canale, l’economia di Ferrara da commerciale si è trasformata in agricola e nel Salone dei Mesi, magistralmente dipinto dai pittori dell’Officina Ferrarese, nella delizia di Schifanoia appena ampliata, Borso d’Este ha voluto che fossero documentate, oltre ai fasti della corte, anche le attività agricole di quel territorio che le bonifiche estensi avevano strappato alle acque e reso fertile.E’ un canale, che ora scorre sotto viale Cavour e Corso Giovecca e che alimenta le acque del Castello, a dividere la città in due parti: quella medioevale a sud e quella rinascimentale, con cui Ercole I nel raddoppia l’estensione di Ferrara, verso nord. Siamo ormai nel pieno Rinascimento, la corte investe in immagine: artisti, letterati e musicisti vivacizzano l’ambiente culturale, le Delizie urbane ed extraurbane si arricchiscono di giardini all’italiana, chiese e palazzi sono affrescati da pittori di grido. E’ all’architetto ducale Biagio Rossetti che si deve la realizzazione della terza addizione, detta “erculea”, dalle strade ampie e rettilinee, con le sue imponenti dimore signorili immerse nel verde, la Piazza Nuova, le moderne chiese di San Benedetto e di San Cristoforo, i monasteri con i loro orti e la cerchia di mura che tutta la comprende. Definita la prima città moderna d’Europa per la pianificazione “aperta” dell’ impianto urbanistico, volta ad indirizzare gli interventi anche dei secoli successivi e per la capillare rete di collegamenti tra la parte vecchia e la “Terranova”, Ferrara è un organismo unitario, il cui centro storico si identifica ormai con la zona dentro le mura. Il sistema difensivo voluto dagli Estensi e, dopo la devoluzione di Ferrara allo stato Pontificio del 1598, potenziato dai Papi, cinge quasi ininterrottamente, per circa 9 km, la città e costituisce un singolare esempio di museo archeologico all’aperto immerso nel verde. Le mura, sottoposte negli anni ’80 ad un accurato restauro che Giorgio Bassani, presidente di Italia Nostra, ha fortemente voluto, sono ora luogo di ritrovo e di svago dei ferraresi e, percorse a piedi o in bicicletta dai turisti, possono costituire un punto di partenza per la visita alla città.

66 LE MURA DI BORSO D’ ESTE. 1451 Fatte costruire per volontà di Borso d’Este quasi a filo della sponda sinistra del Po di Ferrara, erano mura di tipo ancora medioevale, di limitato spessore e con forte sviluppo in altezza. Erano merlate, dotate di un sistema di torri quadrate e, come quelle rossettiane, affrescate e decorate con un cordolo di cotto a torciglione e dovevano proteggere il Polesine di Sant’ Antonio che era stato inglobato nella città con la II Addizione. Tre porte, dell’Amore, di San Pietro e di San Giorgio, collegavano la città con il fiume.

67 LE MURA DI ERCOLE I Le fortificazioni rossettiane costruite dal 1493 al 1505 per volontà di Ercole I, su progetto di Biagio Rossetti, sono un esempio di architettura militare di transizione. Comprese fra le antiche porte di San Benedetto e di San Giovanni, presentano, oltre all’imponente Torrione del Barco, 20 torrioni minori, di cui 11 in alzato, collegati tra loro da cortine con camminamenti di ronda dotati di oltre 200 feritoie e una terza Porta, quella degli Angeli che era nata come torre d’avvistamento. Questo tratto di mura, caratterizzato da cortine a tratti merlate e da torrioni decorate da un cordolo di cotto a torciglione , era un tempo dipinto di colore rosso, verde, e bianco e nero e aveva un ampio vallo esterno e uno, molto più piccolo, interno. Da quest’ ultimo si elevava un terrapieno con funzioni innovative in ambito militare e urbanistico: gli alberi ad alto fusto, generalmente olmi che vi erano piantati, smorzavano l’impatto dei proiettili sparati dal vallo esterno, oltre a rendere gradevole l’ambiente e preparare il passaggio graduale dalla città alla campagna circostante. Tutto il vallo esterno era allagato per ostacolare l’assalto alla città, qui, nel tratto a nord est, era la “Peschiera”, un approdo nelle vicinanze del quale, nel sedicesimo secolo, si svolgevano anche tornei sull’acqua a cui la corte ducale assisteva da palchi eretti davanti al Torrione di Francolino. Il terremoto del 1570 e la natura cedevole del terreno hanno compromesso questo tratto di mura rossettiane che sono state demolite e sostituite, in epoca papale, con altre più poderose e interamente addossate al terrapieno e rinforzate da l2 cannoniere, una delle quali, riaperta recentemente, mostra l’originale pavimentazione “a spina di pesce”. La Montagnola nell’angolo nord- est aveva funzione di “cavaliere”, cioè un punto alto costruito con terra da riporto, da cui era possibile sparare, con le bocche da fuoco delle artiglierie estensi, anche a grandi distanze. Dalla punta di Francolino alla Porta di San Giovanni, l’architettura militare di transizione è evidente: sono stati ripristinati, secondo l’antica configurazione, l’intero camminamento di ronda con le 200 caditoie, il vallo interno e il terrapieno fino al torrione di San Giovanni.

68 LE MURA DI ALFONSO I Le mura di Alfonso I, il duca artigliere, esperto di armi e di strategia militare, sono il completamento e la modernizzazione del tracciato rossettiano e giungono sino al Baluardo di San Giorgio protetto da un “cavaliere”: il Montagnone. Le mura ora sono “terrapienate” e con una “scarpa” accentuata e, verso la campagna, l’ampio vallo, attraversato dai docili di San Rocco e di San Tommaso che facevano defluire all’esterno le acque delle fognature cittadine, è protetto dai bastioni a freccia “alla moderna”, quelli di San Rocco, di San Tommaso, della Montagna e di San Giorgio. Questi poderosi bastioni erano in grado di reggere ai pesanti bombardamenti cinquecenteschi, e sulle cannoniere, disposte strategicamente su mura e bastioni, venivano posizionate le pesanti artiglierie delle fabbriche ducali. Solo a Ferrara infatti, il duca artigliere possedeva 33 pezzi di artiglierie grossissime e depositi di armi con più di 300 bocche da fuoco di ogni genere.

69 LE MURA DI ALFONSO II Tra il 1578 e il 1585, Alfonso II, adottando le tecniche di ingegneria militare più avanzate, fa innestare nelle quattrocentesche mura di Borso, opportunamente terrapienate e rettificate, i bastioni dell’Amore, di Sant’ Antonio, di San Pietro e di San Lorenzo di cui i primi tre ad “asso di picche”. Ogni baluardo ad asso di picche, dotato di cannoniere scoperte e di postazioni per le potenti artiglierie, poteva difendere, grazie agli “orecchioni” che nascondevano postazioni di tiro, quelli vicini e contemporaneamente contrastare il nemico proveniente dal vallo. Nel bastione di San Lorenzo sono ancora leggibili cinque arcate che portavano, attraverso una fitta rete di gallerie e di scale, alla parte alta del bastione e i camattoni, piccoli cunicoli che, nella seconda guerra mondiale, erano stati utilizzati come rifugi e poi come ricovero per i senzatetto.

70 LE MURA DEI PAPI Dopo la devoluzione di Ferrara allo stato Pontificio, avvenuta nel 1598, il tratto sud - occidentale delle mura con le antiche porte di San Paolo e di San Romano e una parte della città con la delizia di Belvedere, vengono abbattute per lasciar posto alla poderosa fortezza pentagonale, voluta dai papi Clemente VIII e Paolo V. La fortezza con i suoi cinque baluardi a freccia e altrettanti rivellini, viene costruita su modello di quella di Anversa e, oltre a caserme, polveriere e depositi, e alla Piazza d’armi con al centro la statua di Paolo V, comprendeva anche la chiesa di Santa Maria dell’Annunziata progettata dall’Aleotti. Nel 1859 ha inizio lo smantellamento della fortezza, e nei primi decenni del Novecento, sulla spianata inizia la costruzione del Rione Giardino; della fortezza rimangono ora solo due baluardi, quelli di San Paolo alla Fortezza e quello di Santa Maria nelle cui vicinanze è stata collocata la Statua di Paolo V, restaurata ad opera della Ferrariae Decus. Nel 1612 viene costruita, su progetto dell’Aleotti, l’imponente Porta Paola, dedicata a Paolo V che, posta al termine della strada che da Bologna arrivava a Ferrara, doveva testimoniare la potenza del nuovo governo.

71 ORIENTEERING L’Orientamento o Orienteering, è uno sport nato nei paesi scandinavi a fine ‘800 e la prima gara ufficiale si è svolta a Stoccolma nel E’ un’attività che si svolge in ambiente naturale e principalmente in terreno aperto, nel bosco, nei parchi ma anche nei centri storici cittadini. Nei paesi del nord Europa sono decine di migliaia i praticanti di questa attività mentre in Italia l’Orienteering è uno sport ancora poco conosciuto e praticato; la prima gara di corsa orientamento si è svolta in Trentino nel1974. L'orienteering è una prova a tempo in cui il concorrente, con l'ausilio di una carta speciale molto particolareggiata e della bussola, deve raggiungere nel minor tempo possibile il traguardo passando attraverso una serie di punti di controllo che vanno raggiunti in un ordine prestabilito. Il materiale necessario La carta del terreno di gara è un tipo particolare di carta topografica, realizzata da cartografi con apposito software, in scale variabili (1:15 000, 1:10 000, 1:5000) partendo da mappe catastali, carte IGM (Istituto Geografico Militare) e rilievi diretti. Si tratta di carte estremamente precise in cui segni convenzionali e colori, validi in tutto il mondo, sono specifici e funzionali al tipo di terreno rappresentato: in marrone sono rappresentate le forma del terreno (dislivelli, buche, avvallamenti) in azzurro l’idrografia (laghi, fiumi, zone paludose) in nero sono segnate le costruzioni dell’uomo (strade, edifici, recinti) in bianco, giallo e verde la vegetazione, ogni colore indica il grado di percorribilità del terreno che consente di procedere a diverse andature in rosso il tracciato di gara Sulla carta è sempre indicata la denominazione del luogo di gara, la scala, l’equidistanza, la freccia del nord, le linee meridiane orientate nord-sud e la legenda, oltre al percorso tracciato che è diverso per ogni categoria di atleti. Sono anche indicati, a titolo di informazione, la data di elaborazione della cartina, i nomi dei rilevatori e del disegnatore ed eventuali enti che ne hanno curato la pubblicazione. La scala delle carte di Orientamento è 1: per le gare elite ma si possono realizzare carte 1: per gare di staffetta o di distanze brevi. Nella didattica si usano anche scale crescenti (1:2.500, 1:5.000, 1:7.500). Nelle carte con scala 1: cm. sulla carta corrisponde a 100 m. reali sul terreno.La parte alta della carta deve corrispondere al nord magnetico, pertanto i lati della carta devono essere paralleli al nord magnetico e il testo e i numeri devono essere scritti da est verso ovest. La legenda è inserita in ogni carta e costituisce un promemoria sia per quanto riguarda l’uso dei colori sia per i simboli descritti. E’ indispensabile per definiregli oggetti particolari. Il tracciato di gara è stampato sulla carta ed è formato da un triangolo equilatero che indica il luogo di partenza, un cerchio doppio che indica il luogo d'arrivo e da una serie di cerchietti numerati progressivamente che indicano i punti di controllo e l'ordine in cui bisogna raggiungerli. Questi simboli sono in colore rosso magenta. I punti di controllo sono indicati sul terreno dalla cosiddetta "lanterna", segnale bianco-arancione a tre facce, che viene posato dal tracciatore della gara nel punto esatto del terreno che corrisponde al centro del cerchietto sulla carta.  Ogni lanterna ha un proprio codice di identificazione (un numero o delle lettere alfabetiche) ed una pinza punzonatrice che consente di lasciare un segno particolare diverso da quello delle altre lanterne sul testimone. Il testimone è’ costituito da un cartoncino resistente all’acqua con caselle numerate per le punzonature. Viene consegnato ad ogni concorrente prima della partenza insieme alla descrizione dei punti di controllo e al codice di ciascuna lanterna del proprio percorso. Quando l’atleta giunge al posto di controllo, si assicura di aver raggiunto la lanterna giusta controllando il codice di identificazione e con la pinza punzonatrice timbra il testimone. La punzonatura deve essere effettuata nella casella corrispondente al numero riportato in cartina a fianco del cerchietto frequentato (punto 1 casella 1, punto 2 casella 2, ecc). All'arrivo, attraverso il controllo del testimone, è possibile appurare se il concorrente è passato per tutti i punti di controllo del suo percorso. Su ogni cartellino sono stampati: 1..nome e cognome del concorrente; 2.nome della società/scuola; 3. tempo di partenza. La bussola non è fondamentale quanto la capacità di lettura della carta, ma è utile in partenza per orientare la carta e durante il percorso in caso di indecisione. Ci sono bussole speciali per orientisti, da polso o a dito. SCHEDA A CURA DI ANNA BAZZANINI E PAOLA CORREGGIOLI

72 ORIENTAMENTO Per orientamento si intende l’avanzamento sul terreno da un punto all’altro con l’aiuto di pianta e bussola. L’orientamento della cartina è un’operazione che ci consente di far coincidere il Nord della cartina con il Nord magnetico. Il Nord della cartina è indicato da una N o da una freccia disegnata sulla carta. Come orientarsi con la bussola... La bussola, strumento per l’orientamento, è costituita da un ago magnetico posto in un astuccio riempito di un liquido. La testina rossa dell’ago magnetico indica la direzione del Nord. La prima operazione è orientare la pianta utilizzando la bussola e quando il Nord della pianta e il Nord magnetico coincidono, la pianta è orientata. Ma come si fa a far coincidere le due direzioni? Posiamo la bussola sulla pianta finchè la direzione dell’ago magnetico sarà parallela a quella del nord della pianta: a questo punto la pianta è orientata, di conseguenza sarà possibile individuare i quattro punti cardinali e in base ad essi spostarsi correttamente nello spazio, scegliendo la corretta direzione di marcia. È fondamentale mantenere la mappa orientata durante gli spostamenti. ...e se manca la bussola? In mancanza di bussola si può utilizzare l’orologio a lancette il quale deve essere ruotato finchè la lancetta delle ore è in direzione del sole. Tenendo fermo l’orologio la direzione del nord sarà data dall’ora che è la metà di quella segnata. È importante ricordare di contare le ore da 0 a 24 e non tenere conto dell’ora legale. SCHEDA A CURA DI ANNA BAZZANINI E PAOLA CORREGGIOLI

73 LA RIPRESA DI RICOGNIZIONI E SCAVI NELL’ANTICA CITTÀ ETRUSCA DI SPINA
Ricominceranno dopo anni -l’ultima campagna di scavo è datata 1988-  le indagini archeologiche nell’abitato della città etrusca di Spina, situata in provincia di Ferrara, nei comprensori comunali di Comacchio (necropoli) e Ostellato (abitato). Lo scavo, che verrà effettuato nell’area demaniale, avrà lo scopo di definire meglio gli aspetti strutturali e cronologici del tessuto urbano e i rapporti con gli apprestamenti difensivi e confinari, costituiti dal terrapieno palificato, già in parte intercettato negli scavi passati. Com’è noto la città di Spina venne fondata da popolazioni etrusche a poca distanza dallo sbocco in mare del fiume Spinete -un importante ramo padano- e alla confluenza di questo con un altro alveo fluviale di provenienza appenninica, in un sito privilegiato per i commerci grazie alla facilità di comunicazione con l’altra sponda dell’Adriatico, l’entroterra padano e l’Etruria tirrenica. Dagli ultimi decenni del VI secolo a.C. alla metà circa del III secolo a.C., l’abitato di Spina ebbe una vita fiorente, connotata da ricchi e articolati traffici commerciali, primo fra tutti quello della ceramica di produzione attica. La realtà descritta nelle fonti classiche prese prepotentemente corpo negli anni Venti quando, nell’ambito del vasto programma di recupero dei bacini vallivi che si erano formati nei secoli nel territorio deltizio, le attività di bonifica riportarono in luce numerose tombe (oltre mille) nel bacino della Valle Trebba. Le successive bonifiche degli anni Cinquanta e Sessanta portarono a individuare un’altra consistente parte del vasto sepolcreto di Valle Pega (con circa 3000 tombe) prima e dell’abitato nella Valle Lepri/Mezzano poi. Alla ricchezza dei corredi di gran parte delle tombe -a inumazione e a cremazione– scavate nei dossi sabbiosi, si contrappone l’essenziale povertà delle abitazioni, costruite con materiali leggeri e deperibili (legno, canne, frasche, argilla), adatti alla scarsa consistenza e portanza dei terreni vallivi; abitazioni peraltro che, almeno in alcune fasi, appaiono raggruppate secondo uno schema urbanistico preordinato (insulae). L’erogazione del consistente contributo ministeriale erogato alla Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia Romagna –che, nell’espletamento della prassi tecnico-burocratica è affiancata dalla Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici- consentirà la ripresa degli scavi in un settore dell’area demaniale sinora inesplorato. Gli scavi verranno eseguiti in modo estensivo, diversamente da quanto accaduto in passato. Se si escludono infatti le indagini dirette nella seconda metà degli anni Settanta dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia-Romagna - Direzione del Museo Archeologico Nazionale di Ferrara, le numerose campagne sono state condotte in modo parziale e “per saggi” da istituti universitari, su concessione ministeriale. In questa nuova operazione la Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia - Romagna si avvarrà della collaborazione delle amministrazioni comunali dei territori in cui ebbe vita Spina. I Comuni di Comacchio e Ostellato si sono impegnati a sostenere la ricerca, contribuendo attivamente sia alla predisposizione di mezzi e sistemi di sorveglianza dell’area archeologica, che all’individuazione – con i necessari apprestamenti - di locali idonei ad immagazzinare i materiali archeologici recuperati nello scavo, ad effettuare i primi interventi del cosiddetto “post scavo” e ad ospitare gli operatori. Tali forme di collaborazione si concretizzano in un protocollo d’intesa stipulato, per ora, con il Comune di Comacchio ma che tra breve verrà condiviso anche dall’Amministrazione comunale di Ostellato Il progetto di scavo, che si snoderà nell’arco di diversi anni, godrà altresì del contributo di istituti universitari, prima fra tutti l’Università di Ferrara con cui è in via di perfezionamento una convenzione elaborata in collaborazione con la Facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali, alla quale si affiancheranno nell’arco di due anni anche università straniere. Va da sé che questo progetto dovrà coinvolgere anche le altre istituzioni preposte alla tutela e valorizzazione del territorio, vale a dire la Provincia di Ferrara e la Regione Emilia–Romagna. Il successivo passo infatti, quello della musealizzazione e valorizzazione di strutture e materiali rinvenuti nello scavo, richiederà uno sforzo comune da parte di tutte le istituzioni coinvolte nel progetto. ARTICOLO DI CARLA CONTI, INFORMAZIONI SCIENTIFICHE DI CATERINA CORNELIO

74 I CORREDI E I MITI GRECI Nelle sale aperte al pubblico del Museo Archeologico Nazionale di Ferrara, sono esposti anche i corredi di alcune tombe della necropoli delle Valli Trebba e Pega. Quasi tutte le sepolture della necropoli di Spina, semplicemente scavate nella sabbia, sono accumunate dall’orientamento del corpo del defunto, deposto con il capo in direzione nord-ovest / sud-est. Ciò è riconducibile ad un comune rituale di sepoltura, il quale a sua volta fa supporre che la base culturale dominante e l’assetto socio-economico fra i defunti siano rimasti uguali nel tempo. Il rito di sepoltura prevalente era l’inumazione. Le inumazioni erano monosome, cioè contenevano il corpo di un solo defunto. Le sepolture di Spina offrono una vasta quantità di oggetti di varia funzione e soprattutto vasi di produzione attica ( in minor misura italica) nei quali sono dipinti isolati o in vere e proprie scene i più famosi personaggi del mito greco, le cui leggende penetrarono nel mondo etrusco, a testimonianza dell’integrazione nelle comunità etrusche di elementi di matrice greca. Nella Tomba n. 128, ad esempio troviamo un cratere a volute a figure rosse, in cui è rappresentata una processione in onore di Dioniso Sabazio e Rea, assisi sul trono dentro ad un tempio dorico. Il corteo, rapito da estasi religiosa, è guidato da una sacerdotessa che porta sul capo la cesta mistica ed è chiuso da un sacerdote che suona il doppio aulos. Dioniso viene spesso identificato con il dio tracio Sabazio il cui culto presenta analogie con quello dionisiaco. I fedeli vengono presentati ornati di fronde, anche di finocchio o di rami di pioppo bianco, emblemi vegetali di tipo mistico e allo stesso modo il serpente, presente nelle cerimonie, simboleggia, attraverso la sua facoltà di ringiovanire cambiando pelle, la garanzia del rinnovamento promesso da dio. Anche i partecipanti ai riti doinisiaci sono ornati di fronde e portano ghirlande e rami. L’appartenenza di queste pratiche all’antico sottofondo culturale egeo è testimoniato anche dal legame tra il culto dionisiaco e i culti della Grande Madre, chiamata variamente Cibele o Rhea, e dei coribanti, demoni del suo seguito. Come la Grande Madre, anche Dioniso è espressione della vita della natura in genere e di quella vegetale in particolare. TRATTO DA “SPINA. UNA GUIDA ARCHEOLOGICO-DIDATTICA” , QUADERNI DELL’ARIOSTO, TLA EDITRICE 1999, pp.43, 44, 71

75 IL CIELO IN UNA STANZA A Palazzo Costabili, più comunemente conosciuto come “Palazzo di Ludovico il Moro”, oggi sede prestigiosa del Museo Archeologico Nazionale di Ferrara, sono stati recentemente effettuati i lavori di restauro, sostenuti dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Ferrara, che hanno interessato l’Aula Costabiliana cosiddetta “Sala del Tesoro”. La tradizione vuole che il palazzo, commissionato da Antonio Costabili a Biagio Rossetti, dovesse ospitare lo Sforza, marito di Beatrice d’Este, nel caso si fosse resa necessaria la sua fuga da Milano, ma la sopraggiunta morte di Ludovico insieme agli oneri economici comportati da una tale impresa interruppero nel 1503 i lavori che non furono mai completati. L’attribuzione degli affreschi al Garofalo, insieme alla datazione della volta, sono ancora oggetto di studio, anche se è certo che la realizzazione dell’affresco avvenne in due momenti diversi. Il soffitto, databile tra il 1503 e il 1506, raffigura una scena di vita contemporanea animata da musici, putti e animali, affacciati da una balaustra, oltre la quale si apre un cielo turchino, attraversato da festoni di frutta. Al centro di quest’apertura illusionistica vi è una finta architettura che, raccordata al poggiolo da motivi a volute, funge da copertura e al tempo stesso da decorazione. La pittura del soffitto è stata raccordata alle pareti verticali, intorno al 1517, tramite la realizzazione di lunette, vele e pennacchi nei quali è illustrato il Mito di Eros ed Anteros. Tale soggetto, scelto dallo stesso Antonio Costabili, fu d’ispirazione per Garofalo e i suoi collaboratori nella veste poetica approntata dall’umanista Celio Calcagnini, stretto amico del Costabili. SCHEDA A CURA DI VALENTINA LAPIERRE

76 IL LABIRINTO E’ in fase di realizzazione un progetto di restauro vegetazionale del labirinto di Palazzo Constabili che prevede la ricostruzione botanica della complessa struttura vegetale. Si tratta di un’esperienza pilota promossa dal Garden Club di Ferrara e dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia Romagna che coinvolge l’Istituto Agrario Navarra di Malborghetto di Boara e il servizio giardinaggio dell’AMSEFC.

77 IL CHIOSTRO DI SANT’ ANTONIO IN POLESINE COME HORTUS CONCLUSUS
L’Hortus conclusus si definisce tale in quanto protetto da un muro o un recinto, che condiziona all’interno il disegno geometrico dei viali. Questi si intersecano a croce con al centro un pozzo per irrigare: e il fiume fuoriuscì dal Paradiso per innaffiare il giardino, che divenne così diviso in quattro parti (Genesi II); le aiuole hanno disegno rettangolare o quadrato: la semplicità del giardino, luogo dell’innocenza e della giustizia, corrispondeva all’austerità del credo cristiano. Intorno a questo giardino vengono alzati dei portici a protezione del luogo destinato alla preghiera: ecco che l’hortus viene inglobato nel chiostro. Qui è la sepoltura della Beata Beatrice II d’Este. In uno spazio limitrofo, protetto da alti muri, trovano posto ill pomarium, destinato agli alberi da frutto, il viridarium destinato ad alberi e piante sempreverdi, e l’herbarium destinato alle erbe medicinali.

78 LA SALA DELLE SIBILLE A CASA ROMEI
La sala, situata al piano terra della dimora di Giovanni Romei e affrescata in occasione del matrimonio con Polissena d’Este, testimonia l’interesse naturalistico da parte d i frescanti locali che ripropongono, all’interno di una stanza, un giardino fiorito in tutte le stagioni, con fiori e frutti ricchi di significato anche simbolico. Il roseto, che ne costituisce la parte più importante, è un esempio di raffinato giardino cortese che mantiene l’impianto ad hortus conclusus medievale: dodici Sibille vestite con abiti di foggia quattrocentesca, spiccano su di uno sfondo di gusto tardo gotico, costituito da una spalliera di rose che, sostenuta da una semplice recinzione di canne, cresce dal terreno erboso, svolgendosi lungo le quattro pareti della stanza. La natura è descritta con grande precisione e tra i rami minuziosamente coperti di foglie si scorgono rose bianche sbocciate, inframezzate da piccoli boccioli. Nella parte alta del cielo il ricco fregio presenta festoni di frutta e di fiori molto stilizzati; solo alcune specie sono identificabili: il sorbo, il melo selvatico, il convolvo bianco, le campanule bianche e gialle e rami della quercia farnia, tipica dell’ambiente umido locale. La resa delle piante nella fascia decorativa risparmiata dal soffitto ribassato è invece estremamente dettagliata tanto da far pensare che siano stati utilizzati erbari di ambiente padano, quasi che alla funzione decorativa degli affreschi si sia affiancata quella della documentazione scientifica. Le piante e frutti riconoscibili appartengono come nei viridari estensi, sia a specie comuni, che rare ed esotiche. Accanto a meli, peri, nespoli, noccioli, pistacchi, cornioli appaiono palme da dattero, agrumi ed il lazzeruolo proveniente dalla Spagna e dall’Africa.

79 Il PAMPAPATO DAL MONASTERO ALLA CORTE
Il territorio ferrarese è stato per secoli sotto il dominio della Chiesa e non a caso questo tipico dolce natalizio ferrarese porta ancora oggi il nome di Pampapato, ovvero “Pan del Papa”, chiaro riferimento al pubblico al quale era destinato. Il “Pane del Papa”, pertanto, nelle origini, veniva preparato nei monasteri ferraresi e destinato agli alti prelati della città e di Roma, e ciò spiegherebbe l’etimologia del nome come chiaro riferimento al “dolce degno del Papa”. La presenza delle spezie tra gli ingredienti non può che confermare, peraltro, le origini storiche del dolce all’interno dei Conventi: le droghe come cannella, noce moscata e chiodi di garofano, agli albori del loro arrivo nel vecchio continente (XII secolo), erano infatti rare e costose ed il loro utilizzo esclusivo delle classi più agiate, dei prelati e dei religiosi. Questi ultimi spesso le ottenevano in cambio dell’ospitalità offerta ai pellegrini in viaggio alla volta dei luoghi sacri del vecchio continente. Secondo alcuni testi di storia della gastronomia locale, la ricetta originale, custodita gelosamente con molta probabilità dai gesuiti, è stata perduta: pare infatti che, allorché vennero attribuite proprietà afrodisiache al cacao, il nome del dolce sia stato corretto da Pampapato a Panpepato, in riferimento alle spezie impiegate, e, per non incorrere in accuse di eresia, le ricette custodite nei monasteri e nelle canoniche, vennero distrutte. Nella provincia ferrarese, le origini storiche dell’arte culinaria sono legate alle fastose tradizioni della Corte degli Estensi dove il dolce era noto e apprezzato fin dal XV secolo. I primi riferimenti al prodotto possiamo trovarli nel Libro della Interada della Casa Estense dove si racconta che il Duca Borso d’Este, in data 11 novembre del 1465,consegnò ad un suo maggiordomo “un ducato d’oro da mettere dentro un panpepato che sarebbe poi stato offerto agli invitati”. Contemporaneamente operava presso la Corte di casa d’Este uno dei più famosi scalchi dell'epoca, Cristoforo da Messisbugo, creatore di piatti unici che tuttora rappresentano in modo superbo l’espressione culinaria delle risorse alimentari locali. Il passaggio del dolce dal Convento del Corpus Domini di Ferrara alla Corte Estense,viene confermato dal particolare legame che quest’ultima aveva con il monastero. All’interno del Convento, sono presenti le tombe in cui hanno avuto sepoltura alcuni appartenenti alla famiglia d'Este quali Ercole II, Eleonora d'Aragona, Alfonso I, con la sua seconda moglie Lucrezia Borgia, Alfonso II ed, infine, Eleonora (figlia di Alfonso I d’Este) e Lucrezia (figlia di Ercole II), che vissero a lungo la loro vocazione monastica in questo luogo.

80 LE RICCHE CERAMICHE DELLE MONACHE
Presso il Museo di Casa Romei è visitabile una sala che illustra i risultati conseguiti dallo scavo recentemente effettuato nel secondo chiostro del Monastero di Sant’ Antonio in Polesine. Tra i molti i materiali recuperati di età medievale e  rinascimentale,  sono esposte un nutrito gruppo di ceramiche graffite di produzione ferrarese: si tratta di coppe, piatti e scodelle tutte in ottimo stato di conservazione che, essendo state trovate in un “butto” e quindi tra i rifiuti, testimoniano la ricchezza delle fanciulle accolte. Di particolare bellezza una grande coppa in vetro azzurro ed un calice in vetro multicolore, oltre a pregevoli esemplari di ceramiche smaltate“istoriate” di produzione faentina tra cui un esemplare con la figura allegorica della Prudenza e altre di provenienza spagnola. La vita quotidiana all’interno del monastero che vedeva le monache impegnate nel cucito, nella preghiera, nella preparazione dei cibi, è illustrata attraverso gli oggetti ritrovati con lo scavo: aghi, ditali in metallo e avorio, rosari, statuette per il presepe e il vasellame che quotidianamente era utilizzato nelle varie parti del convento. Per finire sono esposti anche alcuni oggetti curiosi, come ad esempio un compasso, databile alla metà del XV secolo ed una tessera in metallo, una sorta di lasciapassare simile ad una moneta, appartenente ad un mercante di Pisa del XIV secolo. Il tutto è corredato da un apparato didascalico e da pannelli didattici chiari ed esaustivi. DATI TRATTI DALL’APPARATO DIDATTICO DELLA SALA

81 LE DELIZIE ESTENSI Le delizie sono residenze in cui gli estensi amavano trascorrere lunghe giornate di svaghi e intrattenimenti. Esse furono anche luoghi di cerimonie, destinati al ricevimento di ospiti illustri, e così pure teatro dei momenti importanti della vita di corte. In realtà questi insediamenti nascondono anche ragioni geopolitiche, infatti, questo sistema di residenze permetteva di coordinare e controllare l’amministrazione dei beni agricoli, come pure lo sfruttamento delle riserve venatorie ( ad esempio il Boscone della Mesola), oppure della pesca, ricoprendo il territorio di baluardi del potere estense Le Delizie, realizzate in un arco di tempo che va dalla fine del Trecento fino alla devoluzione del Ducato di Ferrara (1598), appartengono, con la città di Ferrara e il Parco del Delta del Po, al patrimonio mondiale dell'umanità dell'UNESCO. Alcune sono tuttora intatte e in buone condizioni, alcune sono rovine mentre altre non esistono più. Fra le più note ricordiamo Schifanoia e Belriguardo. La maggior parte erano collegate all'allora capitale Ferrara per mezzo di canali e vie d'acqua.  

82 IL GIARDINO DI SCHIFANOIA
“… e Schifanoia, vera delizia…si trovò immersa nel verde, come in aperta campagna, chè gli orti del convento di San Vito e di Cisterna del Follo, svettando le piantagioni sopra la guelfa merlatura delle mura di cinta ed il giardino annesso al palazzo, dovevano completare tale impressione " Zaccarini, 1918 Fondata da Alberto V d’Este alla fine del '400, contemporaneamente alla costruzione di Palazzo Paradiso e di Belfiore, anche Schifanoia era una delizia, segno del potere e della grandezza del principe. In epoca estense subirà diverse modifiche, le più importanti sono sicuramente quelle volute da Borso d’Este e da Ercole I, ad opera di Biagio Rossetti. Del giardino di Schifanoia sono rimaste pochissime notizie, sappiamo che nel 1436 una loza lunga si affacciava sul vasto spazio cinto di mura merlate. Il giardino doveva essere assai importante se l’Aleotti, che non se ne interessa in modo particolare , lascia, nella mappa de 1605 un disegno eccezionalmente accurato di quello della delizia. La forma che probabilmente è rimasta quella tipica del rinascimento è geometrica e ad impianto modulare: sono disegnate sei aiuole, ognuna delle quali di forma quadrata, collegate fra di loro da viali ortogonali; ogni aiuola è suddivisa in 4 riquadri uguali attorno ad un centro di forma o quadrata, o circolare o romboidale. Nella pianta dell'Aleotti del 1611, però il giardino è già scomparso e lo spazio, diviso e trasformato in orti, viene dato in affitto insieme a tutte le pertinenze: la zona appare frantumata e disordinata anche nelle piante del Bolzoni del 1748 e del 1800 e la situazione appare immutata anche in quella del Pampani del 1889. Nel 1914 su parte degli spazi viene costruita una caserma; in questo modo viene interrotto quel passaggio fra giardini e orti che anticamente collegava la delizia di Schifanoia con quella della Marfisa, passando attraverso Palazzo Bonaccossi. E’ ora in atto un intervento di recupero degli spazi verdi.

83 GIARDINO CURTENSE Nel Quattrocento vediamo che il disegno dei giardini cosiddetti curtensi mantiene le stesse caratteristiche di quelli monastici, anche se al pozzo si sostituisce la fontana, all’austerità religiosa il concetto laico del piacere offerto dalla natura con i suoi ricchi frutti, i suoi fiori profumati o appaganti vedute panoramiche di paesaggi. E’ il luogo dove trionfano i sensi: sfiorare i petali di una rosa, l’odore dei fiori, il gusto di un frutto, il colpo d’occhio di siepi e aiuole, il canto degli uccelli, possono dare un piacere sottile e condizionare il corpo e la mente. Il principio dell’utilitas, tuttavia, non abbandona mai la cultura del giardino italiano; accanto a fiori e frutti, troviamo i semplici e i prodotti ortivi. Boccaccio, nell’ introduzione alla terza giornata del “Decameron”, ci fornisce una dettagliata descrizione di un giardino cortese: un giardino che tutto era dattorno murato e avea dintorno da sé e per lo mezzo in assai parti vie ampissime, tutte dritte come strale e coperte di pergolati di viti; accanto alle vite vi erano fiori che rendevano il giardino profumato di mille odori soavi. I sentieri erano spesso ricoperte di rosai bianchi e vermigli e di gelsomini tanto che a mezzogiorno si poteva passeggiare sempre all’ombra. Al centro del giardino, da una fontana di marmo ornata di statue sgorgava l’acqua che andava ad irrigare le aiuole. Il modello del giardino curtense si trova frequentemente anche nelle dimore signorili ferraresi, nelle Delizie e riprodotto in affreschi e miniature.

84 IL MITO DI MARFISA Marfisa deriva da un mito e diventa essa stessa un mito, con versioni diverse, che cambiano nel tempo fino a trasformarla nel tardo Ottocento e nel primo Novecento, senza alcun fondamento storico, in un'amante terribile, assetata di sangue; secondo una leggenda popolare, il suo fantasma ogni notte usciva dalla Palazzina su un cocchio fiammeggiante seguito da un corteo di ombre, gli amanti, uccisi da lei nei pozzi a rasoio e nei trabocchetti della sua casa; la tremenda visione svaniva alle prime luci dell'alba. «...Chi furono questi morti, quegli scheletri vestiti d'abiti di velluto e di seta, e con le spade d'argento? La leggenda non dice e il popolo non sa. Furono giovani ardenti e assetati di voluttà, attratti da una bellezza ineffabile che diedero la vita per un'ora d'amore e per un bacio solo. E la donna? Fu bellissima e bionda ed ebbe nome Marfisa. La leggenda non dice altro che innamorava e faceva morire...». Da A. M. Visser Travagli, Antichi splendori e trascorse miserie di un luogo di delizia. La difficile storia della Palazzina Marfisa in Ferrara. Voci di una città n 5.

85 I GIARDINI DELLA PALAZZINA MARFISA
In fondo ad una grande strada che allontanandosi dal centro della città diviene deserta, in mezzo a dei cortili erbosi, in mezzo a degli orti e a delle vigne, nella solitudine e nel silenzio sorge una mole piccola e superba: la palazzina di Marfisa. Nella seconda metà del ‘500, Francesco I d’Este acquista un complesso di edifici che davano sulla moderna via Giovecca e ne fa demolire una parte su cui costruisce, nel 1559, una palazzina poi chiamata di Marfisa. Ad un solo piano, dotata di un importante portale d’ingresso posto alla sommità di tre scalini, apre su un salone e, attraverso una loggia tripartita, sui giardini e gli orti retrostanti, unendo il tutto in un complesso chiamato casini di San Silvestro. Dopo l’acquisto di palazzo ora Bonaccossi il collegamento fra gli spazi verdi delle due dimore viene enfatizzato dalla costruzione del loggia del Cenacolo sull’asse di quella della Marfisa e, al di là della via Dio ti Salvi, ormai diventata via privata degli Estensi, era possibile accedere ai giardini di Schifanoia formando così un’unica delizia. Il Tennis Club Marfisa d’Este occupa attualmente gli spazi degli antichi orti della Palazzina Marfisa. Il complesso comprendeva anche un secondo loggiato utilizzato sia come cedrara che come teatro, posto nelle adiacenze di un “giardino segreto”. Questo loggiato, detto degli aranci, serviva da ricovero ai vasi di agrumi durante la stagione invernale. Un tempo aperto da entrambi i lati sugli orti e i giardini, presenta, sulla volta a botte e le arcate di fondo, una decorazione di tipo illusionistico a pergolato di vite che lascia intravedere il cielo e che richiama a grande diffusione di terreni coltivati a vigneto nei territori estesi. Tra le foglie, i pampini e i grappoli d’uva sorretti da una regolar struttura in legno, appaiono, uccellini, scimmiette e scoiattoli, tipica decorazione delle logge e dei pergolati rinascimentali.

86 IL PALIO DI FERRARA Il Palio di Ferrara, risale al medioevo, è infatti documentato sin dal 1279, ma si tramanda che già nel 1259, per festeggiare la vittoria dell’esercito pontificio sull’esercito imperiale, il popolo ferrarese organizzasse corse di fanti, somari e cavalli lungo le vie della città. Comprendeva le corse dei cavalli, degli asini, delle donne e degli uomini e il vincitore veniva premiato con un palio, cioè un drappo di stoffa, mentre il secondo e il terzo con una porchetta e un gallo. Si correva due volte l’anno: il 23 aprile in onore di San Giorgio patrono di Ferrara, ed il 15 agosto in onore della Vergine Assunta, e veniva sospeso solo in occasione delle disastrose rotte del Po. Edizioni speciali del Palio erano organizzate anche in occasione di eventi importanti, come nel 1391, quando il marchese Alberto d’Este tornò da Roma con la bolla papale che autorizzava Ferrara ad aprire una sua Università, o quando, nel maggio del 1471, si celebra la nomina papale a duca di Borso d’Este. Nel Salone dei mesi della Delizia di Schifanoia, nel mese di aprile, Francesco del Cossa ha dipinto il duca Borso che, con la sua corte, assiste dai balconi dei ricchi palazzi cittadini alla corsa del Palio, in una Ferrara addobbata a festa e gli abiti dipinti di Schifanoia saranno il modello per i costumi del Palio attuale. Dopo la devoluzione di Ferrara allo Stato Pontificio, il Palio viene sospeso, per riprendere dal 1933 fino alla seconda guerra mondiale e ripristinato definitivamente nel 1967; oggi si corre l’ultima domenica di maggio, nello splendido scenario di piazza Ariostea ed è preceduto da un mese di festeggiamenti nei luoghi più suggestivi di Ferrara. In Cattedrale, si svolge la cerimonia dedicata alla benedizione dei palii, drappi dipinti da artisti locali, che verranno dati in premio ai vincitori delle corse e le congregazioni locali delle Arti e dei Mestieri offrono a San Giorgio, patrono della città, dei ceri. In Piazza Municipale, hanno luogo i Giochi Giovanili delle Bandiere e gli Antichi Giochi delle Bandiere Estensi, che vedono a confronto i giovanissimi atleti delle Contrade e i più esperti sbandieratori e musici che si contendono i titoli delle varie specialità. La cerimonia più scenografica è però la sfilata di tutte le contrade che si snoda lungo via Ercole I d’Este, la più bella strada rinascimentale di Ferrara, con più di mille figuranti, abbigliati con tipici costumi d’epoca.

87 TREKKING Come raggiungere il punto di partenza e di arrivo dell’itinerario: il Torrione del Barco e Porta Paola si trovano a ridosso della cinta muraria che delimita il centro storico di Ferrara e sono quindi facilmente raggiungibili a piedi o con mezzi pubblici. Località di partenza: Ferrara - Torrione del Barco (interno della cinta muraria a nord ovest) Località d’arrivo: Ferrara – Porta Paola (esterno della cinta muraria a sud) Dislivello: ↓↑ 33 m. Difficoltà: T Tempo di percorrenza: ore 5, compresa la visita al cimitero ebraico Segnavia: lungo tutto il percorso, sia interno, sia esterno, sono posizionati pannelli che indicano la posizione del visitatore rispetto al circuito delle mura.

88 I GIARDINI DEL DUCA Il sistema dei giardini ducali costituiva un percorso privato della corte che a piedi, in carrozza, a cavallo o in barca, partendo dal Giardino delle Duchesse in Palazzo ducale e dal Giardino pensile in Castello, attraverso i giardini del cavo e delle mura, arrivava alle delizie di Schifanoia e della Marfisa Le mura come giardino: il cavo e i suoi giardini Il cavo dei giardini ducali viene costruito da Alfonso II nel 1577 rendendo navigabile un canale preesistente. Il canale che serviva a quel tempo per condurre l’acque de Po a rinfrescare quelle delle fosse del Castello, viene innestato nella fossa delle mura e disposto a giardino; viene così creato un percorso protetto che una volta giunto alla Porta di San Benedetto, prosegue a sud sino all’isola di Belvedere e a nord , lungo le mura, sino alla Montagna di San Giorgio. Parallela alla riva inferiore del cavo vi era una strada fiancheggiata da giardini, mentre sulla riva superiore un gran stradone di olmi in cima, à quali erano maritate preziosissime viti aveva funzione di barriera visiva. I giardini sono stati demoliti in epoca pontificia, mentre il canale, denominato Panfilio, è stato tombato nella seconda metà dell’Ottocento e riemerge ora solo nel fossato del Castello Estense.

89 LE MURA DI ERCOLE I E IL TORRIONE DEL BARCO (trekking urbano)
Iniziamo il nostro percorso dalla parte interna del Torrione del Barco, a nord ovest delle mura rossettiane che, costruite dal 1493 al 1505 per volontà di Ercole I, su progetto di Biagio Rossetti, sono un’applicazione delle strategie difensive del tempo. Questo tratto di mura, caratterizzato da cortine a tratti merlate e da torrioni, aveva un ampio vallo esterno e uno, molto più piccolo, interno. Da quest’ ultimo si elevava un terrapieno, che aveva funzioni innovative in ambito militare e urbanistico: gli alberi ad alto fusto, generalmente olmi che vi erano piantati, smorzavano l’impatto dei proiettili sparati dal vallo esterno, oltre a rendere gradevole l’ambiente e preparare il passaggio graduale dalla città alla campagna circostante. Il torrione del Barco è un importante esempio di architettura militare di transizione che anticipa le ulteriori innovazioni del XVI sec. ed è stata studiata anche da Michelangelo quando, nel 1529, venne inviato a Ferrara dalla Repubblica fiorentina proprio per un sopralluogo sulle mura. E’ composto da un torrione circolare, spesso circa quattro metri, e da un corpo avanzato verso sud, in cui sono state ricavate le postazioni di difesa. Tra il corpo avanzato e la cortina sono visibili ora due cannoniere, in cui venivano posizionate le armi da fuoco; all’interno del torrione, coperto da una grande volta, è stato ripristinato un pavimento a conca convergente al centro, in cui probabilmente venivano fatti rotolare i proiettili “artifiziati”. Il recupero ed il restauro del torrione del Barco sono stati curati dalla Soprintendenza di Ravenna, a partire dal Dopo una preliminare operazione di pulizia e l’eliminazione degli interri, è stato realizzato un sistema di percorsi inclinati che collegano il torrione alle Mura, rendendo così accessibile uno spazio destinato a manifestazioni all’aperto.

90 LE MURA DI ERCOLE I E LA PORTA DEGLI ANGELI (trekking urbano)
Saliamo alla pista ciclopedonale del terrapieno e, dirigendoci verso est, raggiungiamo la Porta degli Angeli, più conosciuta come “casa del boia”. Nata come torre d’avvistamento, il panorama che si gode dall’alto è eccezionale: verso sud, in fondo al viale fiancheggiato da filari di Pioppi, si vede la mole poderosa del Castello Estense, mentre a nord, lo sguardo può spaziare fino al Po di Pontelagoscuro, oltre l’addizione verde, il parco urbano che era, un tempo, riserva di caccia degli Estensi. La tradizione vuole che da questa porta sia uscito Cesare d’Este, l’ultimo duca di Ferrara quando, nel 1598, la città fu devoluta allo Stato pontificio e che, immediatamente dopo sia stata murata. In realtà la porta venne chiusa solo nel XVIII secolo, quando cambiò la sua destinazione d’uso, prima deposito militare, poi macello dei maiali, e infine casa d’abitazione. La campagna di scavo degli anni ’80 ha permesso di recuperare l’aspetto cinquecentesco della Porta, di ripristinare l’antico piano di calpestio, con le tracce della pavimentazione originale, di ridisegnare il perimetro della corte e di riaprire l’arco sud e il fornice minore a nord. L’ambiente che ospitava il corpo di guardia è stato liberato dalle superfetazioni, rendendo visibile la parte della cinta muraria inglobata nella struttura; l’arco sud è stato riaperto, mentre gli scavi condotti nel vallo esterno hanno messo in luce tracce delle fondazioni del ponte e del rivellino cinquecentesco a cui era collegato e che sono stati ricostruiti nel rispetto degli ingombri originali.

91 LE MURA DI ERCOLE I: IL VALLO ESTERNO (trekking urbano)
Continuiamo la nostra visita passando attraverso la Porta degli Angeli e, oltrepassato il ponte, scendiamo al vallo esterno proseguendo verso est lungo il sottomura immerso nel verde. Il terremoto del 1570 e la natura cedevole del terreno hanno compromesso, in questo tratto, le mura rossettiane che sono state demolite e sostituite, in epoca papale, con altre più arretrate e interamente addossate al terrapieno. Qui erano posizionate l2 cannoniere, una delle quali, riaperta recentemente, mostra l’originale pavimentazione “a spina di pesce”. Tutto il vallo esterno era un tempo allagato per ostacolare l’assalto alla città ed era ad un livello più basso dell’attuale pista ciclabile, livello ripristinato nella parte a ridosso delle mura, dove era la “Peschiera”, un approdo nelle vicinanze del quale, nel sedicesimo secolo, si svolgevano anche tornei sull’acqua a cui la corte ducale assisteva da palchi eretti davanti al Torrione di Francolino. Giunti alla Punta di Francolino, dove le mura piegano verso sud , vediamo i resti delle fondazione del torrione circolare; gli scavi effettuati in questa zona hanno permesso il ritrovamento di mattoni con le tracce di colore rosso, verde, bianco e nero con cui erano dipinte le mura rossettiane.

92 LE MURA DI ERCOLE I: IL CAVALIERE DELLA MONTAGNOLA (trekking urbano)
Ora risaliamo, attraverso una moderna scala a chiocciola, sul terrapieno, lo attraversiamo e saliamo sulla Montagnola che ci fronteggia. Essa aveva funzione di “cavaliere”, cioè un punto alto costruito con terra da riporto, da cui era possibile sparare, con le bocche da fuoco delle artiglierie estensi, anche a grandi distanze. Proprio dalla cima, dove era la Rotonda, una delizia estense in gran parte interrata e immersa nel verde dei pergolati, possiamo scorgere tra vigne e orti, le ultime tracce di quel grande giardino anulare che gli estensi avevano posto tra città e territorio e del “cavo del Duca”, il canale che collegava tra di loro i giardini delle mura e che, navigabile con barche a fondo piatto, permetteva alla corte di passare, quasi inosservata, da un delizia all’altra: l’isola di Belvedere, la Castellina, Belfiore, la Rotonda, Schifanoia, la Palazzina dei Bagni Ducali. Scendiamo dalla Montagnola e prendiamo il sentiero di destra che conduce a una parte della città che sembra farsi campagna, e attraversato il piccolo ponte gettato sul fossato, forse ultimo residuo del cavo ducale, svoltiamo a destra e ci inoltriamo, lungo un sentiero sterrato, tra campi coltivati, fino a via delle Vigne, all’ampio cimitero ebraico in cui Giorgio Bassani, ha voluto essere sepolto. Da questo, che è uno dei luoghi più suggestivi di Ferrara, è visibile, in alto, al di sopra del muro di cinta, il terrapieno delle mura, di cui ormai il “giardino degli ebrei” è diventato parte integrante. Torniamo sui nostri passi e facciamo sosta nel punto di ristoro dell’Azienda Agricola Principessa Pio, che gestisce anche una fattoria didattica ed è specializzata in coltura biologica e che si trova sugli orti della Rotonda e della Montagnola.

93 II CAMMINAMENTO DI RONDA (trekking urbano)
Ritornati verso la Montagnola, percorriamo il sentiero e al primo bivio saliamo sul terrapieno, lo attraversiamo, scendiamo verso il vallo interno e ci dirigiamo verso sud, lungo il camminamento di ronda. Siamo nella parte di mura rossettiane in cui l’architettura militare di transizione è più leggibile. Col “progetto mura”, varato nel 1987 dall’amministrazione comunale ” per il restauro, recupero e valorizzazione delle mura e del sistema museale della città” ,infatti è stato ripristinato, secondo l’antica configurazione, l’intero camminamento con le 200 fuciliere, il vallo interno e il terrapieno fino al torrione di San Giovanni. Arrivati al torrione che ora ospita il Jazz club Ferrara e che faceva parte dell’antica porta di San Giovanni Battista, abbattuta nel 1908, attraversiamo via Porta Mare e continuiamo il trekking passando per il sottomura.

94 LE MURA DI ALFONSO I (trekking urbano)
Arrivati al torrione che dopo il restauro ospita il Jazz club Ferrara e che faceva parte di una delle antiche porte della città, attraversiamo via Porta Mare e continuiamo il trekking passando per il sottomura. Si tratta del completamento e della modernizzazione del tracciato rossettiano che Alfonso I, il duca artigliere, esperto di armi e di strategia militare, inizia a partire dal 1512, e che giunge sino al baluardo di S. Giorgio. Le mura ora sono terrapienate e, verso la campagna, l’ ampio vallo è protetto dai poderosi bastioni a freccia “alla moderna” , in grado di reggere ai pesanti bombardamenti cinquecenteschi, mentre sulle cannoniere, disposte strategicamente su mura e bastioni, vengono posizionate le pesanti artiglierie delle fabbriche ducali. Percorso un tratto del sentiero che attraversa il vallo e superato il settecentesco doccile di S. Rocco, antica fogna della città, notiamo una serie di pilastri ed archi ciechi che interrompono la compattezza delle mura. E’ un intervento di fine ‘800, resosi necessario in seguito alla scomparsa del baluardo più grande e moderno di Alfonso I, quello di S. Rocco, demolito per lasciar posto al macello pubblico. La campagna di scavo del 1979, condotta dai Musei Civici di arte antica, ha messo in luce un sistema costruttivo anticipatore di quello dei baluardi ad “asso di picche”, del periodo successivo. Di questo imponente baluardo, il più grande di tutta la cinta muraria e su cui era persino una piazza d’armi, possiamo vedere ora solo l’ampio perimetro disegnato da una fitta siepe che ne ricalca le fondazioni. Arrivati alla Punta della Giovecca entriamo nella città dai fornici aperti negli anni ’30 e che portano alla Prospettiva omonima e, salita la scenografica scalinata che conduce al terrapieno delle mura, ci dirigiamo verso sud. Dall’alto del baluardo di S. Tommaso, avremo così la possibilità di vedere come i bastioni, le cortine e il vallo si integrino in un paesaggio sempre in equilibrio tra città e campagna. Ci troveremo quindi a costeggiare il Montagnone, un altro “cavaliere”che, dopo la costruzione della Delizia dei Bagni Ducali delizia, uno dei giardini estensi, impreziosito da due grotte riccamente decorate e da una grande peschiera. Ora è un parco e la Palazzina ospita uffici comunali. Scendiamo dal terrapieno e, oltrepassata la Delizia, svoltiamo a sinistra e possiamo vedere, sul bastione di S. Giorgio, una garitta seicentesca ben conservata.

95 LE MURA DI BORSO E DI ALFONSO II ( trekking urbano)
Olltrepassato il Bastione di San Giorgio, attraversiamo via Alfonso I e percorriamo in discesa il sentiero sterrato di destra, passando davanti alla Porta di S. Giorgio, ora tamponata. Giunti nell’ampio vallo ci incamminiamo, avendo da un lato le mura che ci separano dalla città e ne soffocano, col loro terrapieno, i rumori, dall’altro, tra il verde dei giardini e orti, le case e il fiume. Raggiungiamo il Baluardo dell’Amore, il primo dei bastioni ad “asso di picche” che Alfonso II ha voluto a rinforzo delle quattrocentesche mura di Borso d’Este. Queste mura che erano merlate e dotate di un sistema di torri quadrate e come quelle rossettiane, quasi completamente affrescate, vengono modificate tra il 1578 e il 1585, applicando le tecniche più avanzate della trattatistica militare del tempo. Oltrepassato anche il baluardo di Sant’Antonio, ci troviamo di fronte ad un importante esempio di archeologia urbana: la Porta S. Pietro che, tamponata e terrapienata nel XVI secolo, è stata riaperta solo nel 2002 e collegata con una pista ciclabile al vicino Po di Volano. Saliamo alla porta che si trova a 2,50 m. dal vallo e passando sotto una passerella che permette la continuità della pista ciclopedonale del terrapieno, giungiamo alla “piazzetta”, liberata dalla terra che la ricopriva. L’asporto ha permesso il ritrovamento, ai lati della porta, ora protetti da una lastra trasparente, di graffiti incisi dalle guardie sugli intonaci. I saggi di scavo effettuati nella “piazzetta” hanno portato, tra l’altro, all’individuazione della soglia della porta quattrocentesca della città, leggermente arretrata rispetto a quella attuale, al ritrovamento delle fondazioni della torre di guardia e di tracce della pavimentazione a spina di pesce dell’antica strada. I ritrovamenti sono documentati da alcuni pannelli didattici e dai “segni” che si leggono nella pavimentazione moderna. La Soprintendenza ha infatti voluto segnalare, ma nello stesso tempo preservare dalle intemperie, dalla flora batterica e dai vandalismi, gli importanti sedimi archeologici emersi che, dopo essere stati rilevati sono stati ricoperti. Torniamo al vallo dove, lasciato alle spalle il Bastione di S. Pietro, giungiamo a quello di San Lorenzo. Qui vediamo sia le arcate che portavano, attraverso una fitta rete di gallerie e di scale, alla parte alta del bastione sia i camattoni, piccoli cunicoli che, nella seconda guerra mondiale, erano stati utilizzati come rifugi e poi come ricovero per i senzatetto. Dopo una casa di campagna circondata da un cortile con un allevamento di polli, incontriamo una costruzione moderna che, a ridosso delle mura, ci annuncia la periferia; attraversiamo via Bologna e giungiamo a Porta Paola, l’ultima tappa del nostro percorso.

96 PORTA SAN PIETRO La Porta S. Pietro, a 2,5 metri sopra il vallo, è un importante esempio di archeologia urbana. Aperta nelle mura di Borso alla fine del ‘400 e tamponata e terrapienata nel XVI secolo, è stata riaperta solo nel 2002 all’interno del progetto mura e collegata attraverso una pista ciclabile al vicino Po di Volano. Al di là della Porta,sotto una passerella che permette la continuità della pista ciclopedonale del terrapieno, troviamo una “piazzetta” liberata dalla terra che la ricopriva. L’asporto ha permesso il ritrovamento, ai lati della porta, di graffiti incisi dalle guardie sugli intonaci che sono ora protetti da una lastra trasparente. I saggi di scavo effettuati nella “piazzetta” hanno portato, tra l’altro, all’individuazione della soglia della porta quattrocentesca della città, leggermente arretrata rispetto a quella attuale, al ritrovamento delle fondazioni della torre di guardia e di tracce della pavimentazione a spina di pesce dell’antica strada. I ritrovamenti sono documentati da alcuni pannelli didattici e dai “segni” che si leggono nella pavimentazione moderna. La Soprintendenza ha infatti voluto segnalare, ma nello stesso tempo preservare dalle intemperie, dalla flora batterica e dai vandalismi, gli importanti sedimi archeologici emersi che, dopo essere stati rilevati, sono stati ricoperti.

97 LA PORTA DEGLI ANGELI La Porta degli Angeli, una delle tre porte d’accesso all’addizione erculea e più conosciuta come “casa del boia”, è nata come torre d’avvistamento. Attualmente il panorama che si gode dall’alto è eccezionale: verso sud, in fondo al viale fiancheggiato da filari di Pioppi, si vede la mole poderosa del Castello Estense, mentre a nord, lo sguardo può spaziare fino al Po di Pontelagoscuro, oltre l’addizione verde, il parco urbano che era, un tempo, riserva di caccia degli Estensi. La tradizione vuole che da questa porta sia uscito Cesare d’Este, l’ultimo duca di Ferrara quando, nel 1598, la città fu devoluta allo Stato pontificio e che, immediatamente dopo sia stata murata. In realtà la porta venne chiusa solo nel XVIII secolo, quando cambiò la sua destinazione d’uso, prima deposito militare, poi macello dei maiali, e infine casa d’abitazione. La campagna di scavo degli anni ’80 ha permesso di recuperare l’aspetto cinquecentesco della Porta, di ripristinare l’antico piano di calpestio, con le tracce della pavimentazione originale, di ridisegnare il perimetro della corte e di riaprire l’arco sud e il fornice minore a nord. L’ambiente che ospitava il corpo di guardia è stato liberato dalle superfetazioni, rendendo visibile la parte della cinta muraria inglobata nella struttura; l’arco sud è stato riaperto, mentre gli scavi condotti nel vallo esterno hanno messo in luce tracce delle fondazioni del ponte e del rivellino cinquecentesco a cui era collegato e che sono stati ricostruiti nel rispetto degli ingombri originali.

98 PORTA DI SAN GIOVANNI La Porta di San Giovanni Battista, insieme a quelle di San Benedetto e degli Angeli permetteva l’accesso all’ addizione erculea. Nel Settecento sostituisce alla funzione militare quella daziaria e di controllo dell’accesso alla città durante le epidemie. Della originaria struttura fortificata, rimane ora solo il torrione, in quanto la porta viene demolita nel 1908.

99 LE MURA DEI PAPI E LA PORTA PAOLA (trekking urbano)
Dopo la devoluzione di Ferrara allo stato Pontificio, il tratto sud occidentale delle mura con le antiche porte di San Paolo e di San Romano e una parte della città con la delizia di Belvedere, vengono abbattuti per lasciar posto alla poderosa fortezza pentagonale, voluta dal Papa. Contemporaneamente, nel 1612 viene costruita, su progetto dell’ Aleotti, la Porta Paola, dedicata a Paolo V che, posta al termine della strada che da Bologna arrivava a Ferrara, doveva testimoniare la potenza del nuovo governo. A protezione della porta monumentale, ricoperta di marmo e sormontata da un timpano ricurvo, era stato costruito un rivellino a freccia e un ponte di collegamento in legno gettato sul fossato delle mura. Indagini archeologiche recenti hanno permesso il ripristino dell’antico livello di calpestio ed è stata costruita una passerella che richiama il ponte scomparso.

100 FORNICI E PROSPETTIVA DELLA GIOVECCA
Alla punta della Giovecca entriamo nella città dai fornici aperti negli anni ’30 che aprono sulla Prospettiva omonima con una scenografica scalinata che conduce al terrapieno delle mura.

101 TREPPIEDI-DISTANZIATORI
Treppiedi lapidei utilizzati per distanziare tra di loro le ceramiche durante la cottura nel forno. Alcuni di questi oggetti recano inciso il marchio della bottega che li ha realizzati. I distanziatori avevano la funzione di separare gli oggetti impilati: possono essere conformati a punta, a cerchio, a treppiede. Questi ultimi erano fabbricati a stampo ed in taluni casi recano sul fondo segni incisi o realizzati a matrice, quali elementi distintivi. Attualmente esistono varie ipotesi sul significato di tali segni: sigla del foggiatore utilizzata per il conteggio finale degli oggetti prodotti dai singoli artigiani, elemento di distinzione tra le diverse dimensioni delle firme prodotte oppure segno di identificazione delle singole manifatture, utilizzato quando si procedeva a cotture in comune con più artigiani.

102 BISCOTTO Con questo termine si indica un oggetto foggiato in argilla e cotto per la prima volta. La temperatura per la biscottatura si aggira tra i 900 e i 950 gradi.

103 FRAMMENTI DI CERAMICA INVETRIATA DI ROMAGNA
La ceramica invetriata (o smaltata) era semplicemente dipinta senza creare solchi di nessun genere sull’oggetto, mentre quella graffita aveva un disegno realizzato ad incisione e solo successivamente dipinto.

104 FRAMMENTI DI CERAMICA GRAFFITA CON DISEGNO AD INCISIONE.
La ceramica graffita aveva un disegno realizzato ad incisione e solo successivamente dipinto; mentre il disegno della ceramica invetriata (o smaltata) era semplicemente dipinto senza creare solchi di nessun genere sull’oggetto.

105 \ UN’ ESPOSIZIONE SINGOLARE
Presso il residence “Il Chiozzino”, in Via Piangipane n. 14, è stata allestita una singolare esposizione di alcuni oggetti rinvenuti nel corso degli scavi effettuati nell’ area denominata Il Chiozzino", compresa tra via Ripagrande a nord, Piangipane a sud, Boccacanale di S. Stefano ad ovest e vicolo del Chiozzino ad est, poco lontano dalla cinta muraria di età tardo rinascimentale. In passato l’area si trovava vicina al corso del Po. Per questo motivo è stata da sempre interessata dalla presenza di attività artigianali di vario tipo che qui potevano svolgersi senza recare disturbo ai cittadini. I documenti parlano dell’avvicendarsi nel corso dei secoli di fornaci per laterizi e calce, di una grande panetteria pubblica, di una conceria e di nuovo di una fornace per laterizi. In un’area attigua, vicino a Porta Paola, era attiva intorno al una bottega di ceramisti e tutta la zona era utilizzata per lo scarico di rifiuti di ogni genere. Lo scavo archeologico realizzato tra il novembre 1997 e il febbraio 1998, prima della costruzione del Residence “Il Chiozzino”, ha confermato la destinazione d’uso di questa zona. Le indagini archeologiche hanno portato in luce un imponente scarico di ceramiche e di scarti di lavorazione riferibili ad un’officina attiva attorno al XVII secolo. Accanto a questa testimonianza sono stati rinvenuti altri indizi che indicano la presenza di ulteriori attività, come la lavorazione dei metalli. L’esame dei documenti d’archivio ha consentito di individuare e conoscere con una certa precisione le officine ceramiche attive tra il XVII e il XIX secolo a Ferrara, periodo di decadenza e involuzione economica per la città. Questa destinazione d’uso dell’area è sostanzialmente rimasta fino ai giorni nostri: a fianco del Residence “Il Chiozzino” è infatti ancora conservata la ciminiera appartenente alla fornace per laterizi che venne costruita qui agli inizi del 1900. I reperti archeologici ritrovati ed esposti nelle due bacheche ai lati dell’entrata dell’edificio rientrano per lo più nella categoria delle arti applicate (artigianato). TRATTO DAI PANNELLI DIDATTICI CHE CORREDANO L’ESPOSIZIONE \

106 LE CERAMICHE INGOBBIATE O GRAFFITE
Le ceramiche ingobbiate sono caratterizzate da un rivestimento terroso biancastro (ingobbio) e da una vetrina piombifera; possono avere una decorazione dipinta con pennellate di colori a base vetrosa, prevalentemente gialle e verdi (ingobbiate dipinte) oppure essere graffite e dipinte (graffite). La decorazione graffita a sua volta poteva essere realizzata a punta – restituendo una linea sottile, quasi “disegnata” – a stecca o a fondo risparmiato, con un maggior effetto plastico. A partire dal 1375 circa nell’area occidentale della pianura padana si sviluppò un tipo di ceramica graffita detta “arcaica padana” che si diffuse verso est e sud. Il repertorio decorativo di queste ceramiche appare standardizzato ed è costituito per la più da losanghe, foglie lobate, motivi geometrici ed uccelli, racchiusi in scomparti; questa produzione si evolverà nella cosiddetta “graffita arcaica padana tardiva”. E’ verso la metà del XV secolo che si assiste ad un cambio di gusto: iniziarono ad essere prodotte, in particolare a Ferrara, graffite definite “prerinascimentali”, caratterizzate dallo sfondo tratteggiato e con nuovi motivi decorativi, quali figure umane ed animali, tra foglie accartocciate. Questa produzione si standardizzerà intorno alla fine del secolo con la produzione “rinascimentale”, di cui le graffite ferraresi rappresentano il prodotto più diffuso e noto. La transizione tra i tipi rinascimentali e le graffite successive è ancora da definire nelle sue modalità: si può affermare comunque che si assiste ad un sensibile mutamento del repertorio decorativo e delle forme intorno alla metà del XVI secolo, con l’introduzione dell’uso della stecca e di colori da ora in poi ampiamente utilizzati, come il blu cobalto e il viola manganese. TRATTO DAI PANNELLI DIDATTICI CHE CORREDANO L’ESPOSIZIONE

107 COME FUNZIONA UNA FORNACE?
Una fornace si compone di due camere in mattoni separate tra loro da un piano forato. La camera superiore è detta di cottura ed è munita di volta con aperture comunicanti con l’esterno per permettere il tiraggio dell’aria. Al di sotto di questa c’è una seconda camera, che in genere si presenta interrata, o parzialmente interrata per ottenere un buon isolamento termico, detta di combustione poiché qui brucia il combustibile. La struttura è completa da un corridoio d’accesso chiamato prefurnio ove viene acceso il combustibile all’inizio del riscaldamento. Sul piano forato, che separa la camera d’infornamento da quella di combustione vengono introdotti i materiali. La ceramica smaltata per essere protetta durante la cottura veniva immessa nel forno all’interno di contenitori cilindrici chiamati caselle; gli oggetti erano impilati, capovolti e separati tra loro da distanziatori: tra i più utilizzati quelli conformati a treppiede. Una volta cotto l’oggetto, il treppiede veniva distaccato con un leggero colpo, lasciando i tipici segni disposti al vertice di un triangolo. Per la cottura si impiegavano dalle 10 alle 12 ore, iniziando con un fuoco leggero ed inserendo man mano maggiori quantità di combustibile. Per determinare la corretta temperatura giocava certamente un ruolo notevole l’esperienza del fornaciaio, ma sempre ci si basava sull’osservazione di alcuni oggetti posti in prossimità dell’apertura che esistevano sulla parete della camera di cottura, dette “vedette”. TRATTO DAI PANNELLI DIDATTICI CHE CORREDANO L’ESPOSIZIONE

108 BARTOLOMEO CHIOZZI, DETTO IL CHIOZZINO
Bartolomeo Chiozzi era un ingegnere idraulico giunto a Ferrara dalla vicina Mantova alla fine del 1600. La leggenda racconta che nei sotterranei del palazzo all’angolo tra la via Ripagrande e il vicolo, poi chiamato “del Chiozzino”, l’ingegnere abbia trovato un libro de sortilegi con cui evocare il diavolo. In cambio dell’ anima, il Chiozzino ottiene dal demonio denaro, potere e fama, grazie soprattutto all’abilità portentosa mostrata nel controllo delle acque, in un territorio, quello ferrarese che richiede continui interventi di bonifica. Il Diavolo gli affianca come aiutante un demonio minore che prenderà le sembianze di un servitore chiamato Fedele Magrino. Dopo alcuni anni, il Chiozzino decide di liberarsi del diavolo e, con uno stratagemma, si rifugia nella chiesa di S. Domenico, sede dell’ inquisizione ferrarese, dove i Domenicani lo esorcizzano. Sulla soglia di marmo della porta della chiesa, secondo alcuni, su di uno stipite, secondo altri, rimane , a ricordo della furia di Fedele Magrino, ritrasformatosi in diavolo, il segno della sua zampata. La leggenda dice che, mentre Bartolomeo Chiozzi si dedicava ai suoi lavori di bonifica del territorio, Magrino era stato relegato, per punizione, nel Barco, ora Parco urbano Bassani, fuori dalle mura nord della città e che, da allora, sia stato chiamato l’ Urlon del Barco , per i suoni terrificanti con cui accompagna grandinate, bufere e temporali da lui suscitati.

109 SCAVO ARCHEOLOGICO NELL’AREA DENOMINATA “IL CHIOZZINO”
La zona analizzata è stata oggetto di continue e profonde trasformazioni a causa della vicinanza al fiume e alle mura che si spostarono progressivamente verso sud. Questo luogo viene descritto in alcuni documenti come zona destinata allo scarico di rifiuti. Inoltre qui si formarono diverse attività artigianali che si svolgevano senza recare disturbo agli abitanti: si avvicendarono infatti nei secoli fornaci per laterizi e calce, una panetteria pubblica, una conceria e di nuovo una fornace per laterizi; in un’area vicina si trovava una bottega di ceramisti. Lo scavo ha consentito di verificare quanto è riportato dalle fonti scritte. Su tutta l’area erano presenti depositi di rifiuti urbani sia domestici che artigianali. Liberamente tratto da (a cura di) Chiara Guarnieri, Il Chiozzino di Ferrara - scavo di un’area ai margini della città, Cirelli e Zanirato 2006. L’impegno della Soprintendenza dei Beni Archeologici dell’Emilia Romagna è volta alla tutela e alla valorizzazione del passato della regione e si caratterizza come una attività a tutto tondo che rispecchia la complessa stratificazione della regione. A Ferrara risultano conosciuti l’aspetto medioevale e rinascimentale, mentre si è sempre saputo poco dell’Età Moderna. Attraverso lo scavo del Chiozzino si è avuta l’occasione di approfondire gli aspetti della cultura di questo periodo , anche perchè “in un intervento di scavo incentrato su questo periodo, come appunto quello del Chiozzino, le evidenze archeologiche possono avvalersi anche dell’esistenza dei documenti che talora comprovano o arricchiscono i dati di scavo.” Liberamente tratto da: Luigi Malnati, in (a cura) di Chiara Guarnieri, Il Chiozzino di Ferrara - scavo di un’area ai margini della città”, Cirelli e Zanirato 2006. Un’importante esempio di archeologia urbana a Ferrara è lo scavo che è stato effettuato nella zona in cui oggi sorge il residence “Il Chiozzino”. Qui si trovava un’ importante fornace per ceramiche di cui rimane soltanto un’alta ciminiera. Durante i lavori di scavo sono stati trovati, analizzati e classificati numerosi oggetti che testimoniano la passata attività produttiva. Liberamente tratto da: Roberto Mascellani in (a cura di) Chiara Guarnieri, il Chiozzino di Ferrara - scavo di un’area ai margini della città, Cirelli e Zanirato 2006).

110 IL GIARDINO PENSILE …dalla parte verso piazza al levar del sole, vi si ritrova posto un alto rivellino, sopra del quale sta situato un vaghissimo giardinetto… (Guarini 1621) Dalla seconda metà del ‘400 il Castello, fino ad allora utilizzato come fortezza, è stato stabilmente abitato dalla corte. Lavori di trasformazione progressiva avevano introdotto tutti gli elementi necessari alla vita quotidiana; viene creato così, a fianco della torre dei Leoni, un rilievo che serviva principalmente per le cucine. Sopra ad esso era posto un vivaio per le erbe aromatiche, embrione del giardino pensile del Castello, in cui venivano coltivate anche erbe medicinali ed essenze esotiche trasformate poi in sostanze curative, profumi e unguenti. Il nome romantico dato alla saletta dei veleni, rispecchierebbe questa funzione. Solo alla metà del ‘500, in occasione dei lavori di abbellimento di Girolamo da Carpi tesi a trasformare definitivamente l’austero fortilizio in dimora signorile, risulta che Il giardino pensile, detto degli Aranci e dotato di un’elegante loggia rossettiana che serviva da serra, ricco di piante odorose e di agrumi in vaso e bene riparato, abbia assunto caratteristiche di vero giardino ricreativo. Etimologicamente inteso come luogo separato dal mondo esterno e ricalcante lo xystus romano, permetteva alla corte di osservare, senza essere scorta, attraverso le fantasiose merlature carpiane dotate di aperture a rettangolo, ovali o a losanga, il palazzo ducale, il duomo, la piazza e le strade limitrofe. Oggi il giardino pensile, anche se molto impoverito dal punto di vista botanico rispetto alla quantità e varietà di piante documentate a metà ‘500, non ha subito sostanziali modifiche e, di recente, in grandi vasi di cotto sono ritornate le piante di agrumi.

111 GLI ESTENSI Gli Este erano Signori di Ferrara sin dal 1264, quando il Comune ferrarese aveva eletto Obizzo II Dominus generalis in perpetuo della città e del suo contado. Era la prima volta che un provvedimento del genere veniva preso in Italia: atto intrinsecamente eversivo (il “popolo” cittadino si arrogava così il diritto di darsi autonomamente un sovrano), l’elezione “popolare” fu il primo fondamento del predominio estense in città. Proprio perché inedito, tuttavia, al titolo signorile non corrispondeva un grande prestigio nella gerarchia delle dignità: già dai primi del Trecento, quindi, la Casa d’Este cercò di fondare la propria signoria de facto su basi più sicure, facendosi investire del vicariato apostolico su Ferrara (e di quello imperiale su Modena, di cui i marchesi si erano analogamente insignoriti nel 1330). Così, il potere estense si fondava su una duplice base: l’elezione popolare, dal basso, da parte del Comune cittadino, e l’investitura vicariale, dall’alto, da parte delle autorità universali: in questa duplicità, se non ambiguità, dei suoi titoli di legittimazione risiedette per tutto il Medioevo uno dei punti di forza della dinastia. Fu solo nel Cinquecento, con il consolidarsi del potere temporale dei papi sullo Stato della Chiesa, che la dipendenza estense dall’alta sovranità pontificia - sino ad allora solo formale - si tramutò in un fattore di debolezza, che alla lunga avrebbe portato alla perdita della città, nel 1598.

112 Il CAVO E I SUOI GIARDINI
… i principi, o in barca, o in carrozza, o a piedi potessero recarsi a diporto senza essere veduti, perché le strade della città attraversavano essa via passandovi sopra per mezzo di ponticelli senza che mai in tal modo rimanesse interrotta. (Guarini, 1621) Il cavo dei giardini ducali viene costruito da Alfonso II nel 1577 rendendo navigabile fino al Po il canale che partiva dal Castello estense e che Ercole I aveva precedentemente allargato costruendovi anche una peschiera con bianchissimi cigni ed altri augei acquatici: Il canale che, secondo il Penna, serviva a quel tempo per condurre l’acque de Po a rinfrescare quelle delle fosse del Castello, viene innestato nella fossa delle mura e disposto a giardino; viene così creato un percorso protetto che una volta giunto alla Porta de San Benedetto, prosegue a sud sino all’isola di Belvedere e a nord, lungo le mura, sino alla Montagna di San Giorgio. La riva inferiore del cavo era fiancheggiata da giardini, mentre sulla riva superiore vi era un gran stradone di olmi in cima, à quali erano maritate preziosissime viti con funzione di barriera visiva; il canale era inoltre valicato da alcuni archi …acciò le strade che sopra i medemi passano non restino interrote, facendo in modo che niuno di fuori poteva penetrarvi con l’occhio. In epoca pontificia i giardini vengono lasciati andare in rovina e il canale, definitivamente interrato nella seconda metà dell’800, scorre ora sotto viale Cavour emergendo solo nella fossa del Castello.

113 Il PAMPAPATO DAL MONASTERO ALLA CORTE
Il territorio ferrarese è stato per secoli sotto il dominio della Chiesa e non a caso questo tipico dolce natalizio ferrarese porta ancora oggi il nome di Pampapato, ovvero “Pan del Papa”, chiaro riferimento al pubblico al quale era destinato. Il “Pane del Papa”, pertanto, nelle origini, veniva preparato nei monasteri ferraresi e destinato agli alti prelati della città e di Roma, e ciò spiegherebbe l’etimologia del nome come chiaro riferimento al “dolce degno del Papa”. La presenza delle spezie tra gli ingredienti non può che confermare, peraltro, le origini storiche del dolce all’interno dei Conventi: le droghe come cannella, noce moscata e chiodi di garofano, agli albori del loro arrivo nel vecchio continente (XII secolo), erano infatti rare e costose ed il loro utilizzo esclusivo delle classi più agiate, dei prelati e dei religiosi. Questi ultimi spesso le ottenevano in cambio dell’ospitalità offerta ai pellegrini in viaggio alla volta dei luoghi sacri del vecchio continente. Secondo alcuni testi di storia della gastronomia locale, la ricetta originale, custodita gelosamente con molta probabilità dai gesuiti, è stata perduta: pare infatti che, allorché vennero attribuite proprietà afrodisiache al cacao, il nome del dolce sia stato corretto da Pampapato a Panpepato, in riferimento alle spezie impiegate, e, per non incorrere in accuse di eresia, le ricette custodite nei monasteri e nelle canoniche, vennero distrutte. Nella provincia ferrarese, le origini storiche dell’arte culinaria sono legate alle fastose tradizioni della Corte degli Estensi dove il dolce era noto e apprezzato fin dal XV secolo. I primi riferimenti al prodotto possiamo trovarli nel Libro della Interada della Casa Estense dove si racconta che il Duca Borso d’Este, in data 11 novembre del 1465,consegnò ad un suo maggiordomo “un ducato d’oro da mettere dentro un panpepato che sarebbe poi stato offerto agli invitati”. Contemporaneamente operava presso la Corte di casa d’Este uno dei più famosi scalchi dell'epoca, Cristoforo da Messisbugo, creatore di piatti unici che tuttora rappresentano in modo superbo l’espressione culinaria delle risorse alimentari locali. Il passaggio del dolce dal Convento del Corpus Domini di Ferrara alla Corte Estense,viene confermato dal particolare legame che quest’ultima aveva con il monastero. All’interno del Convento, sono presenti le tombe in cui hanno avuto sepoltura alcuni appartenenti alla famiglia d'Este quali Ercole II, Eleonora d'Aragona, Alfonso I, con la sua seconda moglie Lucrezia Borgia, Alfonso II ed, infine, Eleonora (figlia di Alfonso I d’Este) e Lucrezia (figlia di Ercole II), che vissero a lungo la loro vocazione monastica in questo luogo. SCHEDA LIBERAMENTE TRATTA DA

114 IL PANE FERRARESE – LA COPPIA
La storia racconta che nel 1536, in occasione di una importantissima cena offerta da Messer Giglio al Duca di Ferrara si incomincia a parlare di un pane "intorto e ritorto". Nasce la "Coppia" quale simbolo di un'intera cultura, in un momento in cui l'umanesimo permetteva di superare le regole della pura sopravvivenza per abbandonarsi al piacere dell'estetica. Un corpo centrale e due crostini arrotolati che terminano a punta, leggera, fragrante: una vera opera d'arte della tavola che vanta innumerevoli tentativi di imitazione. Tentativi senza successo, perché privi delle chiavi del suo segreto: la sapienza di una tradizione secolare, la qualità degli ingredienti e dell'acqua, l'ambiente di lievitazione, la sua umidità e le temperature ideali dei forni e, infine, le mani dei mastri fornai ferraresi, abili e capaci di dare la vita a farina e acqua. Improbabile passeggiare di mattina presto per le strade di Ferrara senza essere investiti da un piacevole profumo, impossibile poter resistere alla tentazione di entrare in un forno e assaporare la fragranza della coppia. Alla cultura estense del pane è stato assegnato il riconoscimento del prestigioso marchio I. G. P. (Identificazione Geografica Protetta) della Comunità Europea.

115 IMPARIAMO DIVERTENDOCI
Agli studenti ospiti si fornisce: la descrizione dei “giochi” affrescati nel salone e nella saletta dei giochi; uno schema dei soffitti dipinti. Dovranno riconoscere il gioco e riportarne il nome sullo schema

116 Il PERCORSO DI VISITA DEL CASTELLO ESTENSE
Su progetto di Gae Aulenti, nel Castello Estense è stato allestito un unico e grande percorso documentario di storia e di arte che sostituisce degnamente gli arredi ormai perduti. Il castello non può essere concepito solo come museo , a causa della sofferta dipartita dei capolavori e opere d’arte che resero proverbiale il fasto della corte ducale e che oggi arricchiscono le collezioni di alcune fra le più prestigiose Istituzioni culturali in Europa e nel mondo, ma piuttosto, come dice l’architetto milanese, un “racconto da visitare” che si snoderà nell’arco storico che va dalla fondazione ai giorni nostri e che ripercorrerà le tappe fondamentali del cambiamento del potere a Ferrara (dagli Estensi, alle Legazioni pontificie, dall’Unità d’Italia, allo Stato repubblicano). Il castello estense è infatti, secondo l’Aulenti, “ il prodotto di una storia stratificata che copre sette secoli ” che costituisce “ il carattere stesso dell’edificio, la ragione della sua ricchezza architettonica ed anche uno dei motivi del suo fascino: questo è stato il carattere che abbiamo cercato di valorizzare, di mettere in risalto.” Così le sale sono dedicate ciascuna ad un tema, ad un periodo e ciascuna rimanda ai riferimenti culturali di quel periodo che hanno trovato espressione architettonica, artistica e culturale nella città e nel territorio : è un percorso di visita che diventa un unico grande circuito culturale, un suggestivo ed unico itinerario turistico indispensabile per la conoscenza della città e del suo territorio. Il visitatore viene invitato ” a considerare questa sua visita come il punto di partenza verso altri luoghi, monumenti, collezioni, sparsi a Ferrara e nel ferrarese”. L’allestimento, nel contempo suggestivo e funzionale, è stato pensato in funzione degli ambienti: l’appartamento dello specchio, ad esempio, è “caratterizzato dalla presenza di importanti affreschi sulle volte … il soffitto è un elemento talmente forte ma lontano che lo abbiamo sottolineato attraverso l’uso di specchi che catturano lo spettatore e lo invitano a rivolgere lo sguardo al soffitto” . TRATTO DA: GAE AULENTI, IL PERCORSO DEL CASTELLO ESTENSE DI FERRARA MILANO, 17 FEBBRAIO 2004.

117 Fasi di realizzazione di una fiasca da pellegrino: - manufatto in argilla cruda in essiccazione parziale - bagno di ingobbio - graffitura - biscotto (prima cottura) - decorazione e forma finita (seconda cottura) Glossario: CERAMICA Con il termine ceramica si intende un qualsiasi manufatto di argilla cotta. ARGILLA l L’argilla è il risultato della frantumazione e decomposizione delle rocce feldspatiche, durante milioni di anni, in particelle piccolissime. Vi sono due tipi di argille: -Statiche(residue) che sono rimaste nello stesso luogo. Sono le più pure e si trovano nello strato superficiale della crosta terrestre; -Sedimentarie, che durante la loro formazione sono state spostante da agenti atmosferici e tellurici, in luoghi diversi: sono ricche di minerali e sostanze organiche. FOGGIATURA AL TORNIO Per molti secoli i vasai modellarono a mano i loro valori con la tecnica del colombino. Circa seimila anni fa cominciarono a tornire oggetti e, poichè il tornio forniva suppellettili o recipienti con superfici liscie, ebbe maggiore sviluppo. Il tornio è costituito da due piani circolari paralleli, uniti da un piano centrale. La ruota inferiore, di diametro maggiore, impartisce il movimento rotatorio al disco superiore, di diametro minore, dove viene posta la palla di argilla da foggiare. Le fasi più importanti della foggiatura del manufatto sono: 1.Centraggio, 2. Apertura 3. Sollevamento, 4. Modellatura Essiccamento Dopo la foggia è importante che gli oggetti abbiano una essiccazione lenta. Se l’asciugatura è troppo veloce il manufatto si può rompere. Quando una sufficiente quantità d’acqua è evaporata, si ottiene la “durezza cuoio”. L’oggetto si può maneggiare con minor rischio di romperlo. INGOBBIO Raggiunta la “durezza cuoio” dell’oggetto, lo si può ingobbiare. L’ingobbio è costituito da un’argilla bianca alla quale si aggiunge acqua, fino ad ottenere la densità desiderata per rivestire l’oggetto che generalmente è di argilla rossa. Le migliori argille per ingobbio sono quelle di Vicenza e di Siena. GRAFFITO A PUNTA E STECCA Dopo aver messo l’ingobbio sull’argilla di durezza cuoio, si può incidere o graffire, con la punta, un qualsiasi disegno in modo da scoprire la creta sottostante. BISCOTTO Con questo termine si indica un oggetto foggiato in argilla e cotto per la prima volta. La temperatura per la biscottatura si aggira tra i 900 e i 950 gradi. DECORAZIONE CON COLORI ED INVETRIATURA Dopo la biscottatura, si passa alla decorazione con il colore. Si ottiene mediante l’utilizzazione degli ossidi. I principali sono: Ossido di rame: verde-ramina; Ossido di ferro: bruno-ferraccia; Ossido di manganese: viola manganese Ossido di cobalto: blu cobalto Dopo aver dipinto gli oggetti, si passa all’invetriatura. Si ricopre il biscotto con un composto di sabbia silicia mescolata ad acqua (cristallina). Si procede con la seconda cottura che avviene tra gli 800 e i 950 gradi centigradi; con la cottura la cristallina esalta i colori e conferisce alla terracotta maggiore robustezza ed impermeabilità. SCHEDA DIDATTICA A CURA DI CHIARA GUARNIERI

118 LA DELIZIA DEL VERGINESE
Le “delizie” estensi extraurbane, punteggiano il paesaggio della campagna ferrarese e sono luoghi di ritiro, caccia e convito che gli Estensi avevano voluto creare nel territorio circostante la città, alla quale erano collegati tramite canali navigabili. Alcune delizie sono oggi soltanto un nome nella memoria, altre sono ridotte a rudere ed altre sono ancora in essere, leggibili presenze di un passato fastoso. Fra queste, nel Polesine di S. Giorgio, a Gambulaga, sorge la tenuta del Verginese, una piccola villa a forma di castello delimitata da quattro torri merlate, con splendida colombaia prospiciente, circondata da un giardino e da poderi che un tempo costituivano parte integrante di una grande tenuta agricola. Il luogo è romanticamente associato alla figura di Laura Eustachia Dianti, donna bellissima e colta, ma di umile estrazione, divenuta compagna di Alfonso I d’Este dopo la morte della moglie Lucrezia Borgia. Al duca aveva dato due figli, Alfonso ed Alfonsino, che però non poterono essere riconosciuti quali legittimi successori del nobile casato, pertanto alla morte di Alfonso II, avvenuta nel 1597, il Ducato di Ferrara passò sotto il dominio dello Stato della Chiesa. Dunque, il Verginese, sede di feste, danze e simposi letterari, fu anche inconsapevole teatro di un amore contrastato, foriero della tragedia politica che fu la perdita di Ferrara. Il restauro dello storico giardino, ad opera dell’architetto Ada Segre, ampio circa un ettaro e posto fra la facciata orientale della villa-castello e la colombaia, aggiunge valore culturale ed estetico al complesso architettonico della Delizia del Verginese. La proprietà che era stata descritta, nel 1481, come un casale adibito a uso agricolo, è stata donata dal Duca Alfonso I d’Este, il 26 ottobre 1534, a Laura Dianti, il cui fantasma, secondo alcuni, appare nella torre colombaia.

119 Il BROLO DEL VERGINESE Il termine brolo, che compare anche nelle varianti broilo, brollo, broletto, è tipico dell'Italia settentrionale, e in particolare delle regioni comprese fra Lombardia, Veneto, Trentino e Friuli. Tale dizione è consueta soltanto nel ferrarese, ma sconosciuta a sud del Reno e nelle altre provincie emiliane. Il brolo indica un giardino o orto, costituito da un impianto di alberi da frutto su un manto inerbito: nel giardino medievale gli alberi potevano coronare una radura inerbita utilizzata per lo svago, mentre nel giardino rinascimentale esso era prevalentemente suddiviso in riquadri inerbiti quadrati o rettangolari, spesso rialzati, all'interno dei quali erano inserite piante da frutto, disposte secondo configurazioni codificate…… La sistemazione proposta nella parte occidentale del castello, di prossima realizzazione, prevede due viali alberati che si ricongiungono idealmente al Prato detto della Vedetta, anche se per un tratto alquanto breve, ripristinando un collegamento assiale con il paesaggio circostante. Tali direttrici proseguono anche sul lato orientale del castello penetrando e suddividendo il brolo in una parte centrale e due laterali. Il giardino, realizzato secondo il modello del brolo, è stato ideato per creare uno spazio di raccordo fra la facciata orientale del castello e la contrapposta torre colombaia in modo da costituire elemento di valorizzazione per entrambe. In particolare, è la parte centrale del giardino a costituire il collegamento fra le due architetture … separata da due viali larghi m. 6 dai compartimenti laterali … Questa suddivisione ha permesso di ottenere un giardino principale più elaborato e prezioso nel cuore del brolo, affiancato da due parti dal carattere rustico, rivolte verso la campagna. Tratto da Ada V. Segre, Un brolo nuovo e antico, in Ferrara Voci di una città n° 24

120 IL PAVIMENTO DISEGNATO
Una mappa dello scavo, disegnata sul pavimento ripropone la disposizione originale delle sepolture : il percorso di visita allude infatti, per quanto possibile, a quasi 2000 anni fa, quando il viandante si trovava a passare lungo la strada, ai margini della quale erano collocate le stele.

121 UNA TERRA DA SCOPRIRE: IL PO E IL SUO DELTA.
Il Po e il suo Delta costituiscono un’integrazione alla città estense, soprattutto per il valore paesaggistico che indubbiamente hanno. Si tratta di un ecosistema naturale straordinario, strettamente collegato dall'uomo a Ferrara fra il XIV e il XVI secolo. In particolare sono significative le residenze dei duchi d’Este presenti in tutto il territorio, che illustrano in modo esemplare l’influenza della cultura rinascimentale sul paesaggio naturale. Il lembo più orientale del Po si è formato negli ultimi 3000 anni, in seguito all’avanzamento della linea di costa, per l’apporto sedimentario dei rami deltizi del fiume. L’evidente importanza dell’antico delta del Po ha fatto sì che già gli Etruschi ( VI – III secolo a.C.) e poi i Romani (III a.C. – V d.C.) lasciassero significative testimonianze, intervenendo anche con opere idrauliche, quali inalveazioni e arginature. Più avanti nei secoli, fra XV e XVI, gli Estensi intrapresero un paziente e faticoso lavoro di bonifica. Parte della rete di canali e strade originata in quel periodo caratterizza tuttora il territorio, mentre le delizie ne rappresentano l’aspetto più evidente, nella misura in cui si sono conservate. Ne sono un esempio il Castello della Mesola, edificato nella seconda metà del XVI secolo da Alfonso II, e il Palazzo delle Casette a Comacchio, oggi scomparso, sorto come casino di caccia e pesca. A causa della scarsa efficacia delle tecnologie e dei mezzi impiegati, tutti gli interventi di bonifica sul territorio ferrarese, comprese le opere di irregimentazione delle acque del Po, produssero solo effetti temporanei e continuo doveva essere il controllo da parte degli ingegneri idraulici. Ampie restavano le zone di acquitrini, paludi d’acqua salmastra o dolce, mentre, in alcuni tratti del corso fluviale, nella zona fra Ro ferrarese, Guarda e Polesella, lo sfruttamento delle correnti consentiva l’installazione di mulini ad acqua per la macinazione del grano. La situazione rimase immutata fino alla seconda metà del XIX secolo, quando, grazie all’avvento della bonifica meccanica, ampie aree furono risanate. La natura, il paesaggio e gli insediamenti conobbero, di conseguenza, trasformazioni radicali. Rimangono però vaste zone deltizie e fluviali in cui il visitatore può ritrovare le suggestioni di un tempo, in un contesto ricco di grandi varietà ambientali dove domina il tema dell’acqua. Il Parco Regionale del Delta del Po, istituito nel 1989, ha il compito di tutelare e valorizzare un ambiente naturale fra i più ricchi ed interessanti a livello nazionale. Il Parco possiede caratteristiche territoriali ed ecologiche che lo rendono unico nel suo genere. Copre infatti una superficie complessiva di oltre ettari di aree considerate tra le più ricche di biodiversità. Esso comprende la parte meridionale dell’attuale Delta padano, il “delta storico”, e un’ ampia porzione di zone umide collocate più a sud, di grande pregio dal punto di vista naturalistico. Il nostro percorso ci porterà a visitare tre Stazioni del Parco, tra cui Comacchio, originale ed affascinante, con il suo centro storico caratterizzato da ponti e canali, le sue Valli e la Salina. Intorno alle Valli si è incentrata e sviluppata la vicenda storica ed economica del territorio di Comacchio; si tratta di un esempio pressoché unicodi integrazione tra l’ambiente naturale e l’attività dell’uomo, dove la produzione del sale e la pesca hanno sempre rappresentato le basi economiche primarie alle quali era prevalentemente legato l’artigianato locale, essendo quasi assente l’agricoltura e mancando completamente il turismo. Queste ultime componenti economiche si sono sviluppate quasi contemporaneamente con l’affermarsi della bonifica ed il prosciugamento di migliaia di ettari di valle. SCHEDA A CURA DI CINZIA SOFFRITTI

122 STORIA DI COMACCHIO Comacchio ebbe origine da un insediamento fortificato (castrum) eretto lungo il fiume a porotezione dall’area di influsso longobardo. Le prime evidenze archeologiche riguardanti il villaggio sono del VII-VIII secolo d.C. Il “Capitolare di Liutprando” attesta l’esistenza nell’VIII secolo di una comunità comacchiese dotata di sufficiente autonomia per stipulare a proprio nome accordi commerciali e daziari con il regno longobardo, per il passaggio sul Po delle proprie barche cariche di sale e“garum” (salsa di pesce di antica tradizione). In quel periodo vi sono importanti realtà quali il centro religioso di santa Maria in Aula Regia e una cattedrale dedicata a san Cassiano (edificata nel 708). La ricchezza e l’autonomia di Comacchio era destinata presto ad attenuarsi in quanto troppi potentati limitrofi erano interessati al dominio sulle sue grandi risorse naturali: le valli ricchissime di pesce, il mare, le saline.  Venezia distruggerà Comacchio molte volte nel corso del Medio Evo. In questo periodo la municipalità ha periodi di alternanza sotto l’influsso di Ravenna o sotto quello di Ferrara. Sarà destinata a confluire nell’ambito estense come parte del Ducato di Ferrara. La città non conserva quasi traccia del periodo della dominazione estense, del Rinascimento. Era una città di canna e di legno. Probabilmente l’unico edificio sopravvissuto è quello delle carceri, o qualche traccia della torre del capitano a Magnavacca.  Della delizia degli Este detta “Le Casette” resta solo il ricordo, smontata pezzo per pezzo per riutilizzarne i preziosi mattoni nella costruzione dei casoni di valle nel XVII secolo. La forma attuale la città l’ebbe a partire dal 1630 circa, per iniziativa della Santa Sede, dopo che questa ebbe riavvocato a sé il ducato di Ferrara. Il nuovo governo dei cardinali Legati volle valorizzare lo sbocco a mare del ducato con ambizioni commerciali che si riflettono nell’ampiezza della via che conduce al porto di Magnavacca e nel grandioso Trepponti  che è l’entrata monumentale alla città.

123 USCI SENZA PORTE E ANDRONE La città di Comacchio presenta i valori più caratteristici nel tessuto urbano generale, in quel suo particolare insieme di edilizia e canali con le stallie che li costeggiano, nelle tipiche corti-strada, le androne, oppure negli usci senza porte, lunghi e stretti vicoli che congiungono la pubblica via ai canali retrostanti.

124 IL DIALETTO La parlata comacchiese ha una fonetica del tutto singolare. Le vocali in particolare, assumono, secondo la loro posizione nella sillaba o nella parola, un aspetto "cangiante", caratteristica questa non esclusiva del comacchiese, perché tutti i dialetti emiliano- romagnoli, salvo il ferrarese, che ha un vocalismo veneto, hanno turbamenti vocalici della stessa natura, sia pure più o meno attenuati. Questo dimostra l'arcaicità del comacchiese il quale possiede un lessico principalmente latino, come del resto gli altri dialetti emiliani, ma una fonetica remotissima che in molte parlate è andata perduta. I mutamenti fonetici infatti, ove sono avvenuti, sono da addebitare ad infiltrazioni d'origine esterna che modificano ed agiscono sul dialetto nel quale si sono inseriti: a Comacchio però, causa l'isolamento territoriale nel quale la città si è sviluppata, questo non è potuto accadere, perciò non risulta che nessun'altra popolazione vicina e nemmeno lontana abbia l'armonia vocalica del tipo comacchiese, per averla potuta trasmettere ed è quindi legittimo supporre che si possa collegare il comacchiese all'etrusco, non solo, ma che esso costituirebbe l'unico preziosissimo relitto dell'etrusco per ciò che concerne l'armonia vocalica. SCHEDA A CURA DI RAFFAELE ARANEO

125 LA VALLE Il termine “valle” nella bassa padana è comunemente usato per descrivere uno specchio d’acqua dolce o salmastra, poco profondo. Sembra prendere origine da “vallum” che in latino significa depressione. La valle salmastra si differenzia da una laguna perché comunica con il mare aperto mediante uno o più canali che, all’occorrenza, possono essere chiusi mediante chiaviche o paratie. La salinità è dunque altamente variabile  

126 LE VALLI DI COMACCHIO Le Valli di Comacchio hanno sempre rappresentato la risorsa principale dell’economia locale e la loro gestione fu sempre al centro delle vicende storiche, oggetto di contesa tra gli abitanti e i governi che si succedettero nella giurisdizione e nel possesso del territorio. Dal 1325, quando gli abitanti di Comacchio fecero un atto di dedizione agli Estensi, la città venne progressivamente privata delle Valli da pesca i cui profitti furono gestiti dagli stessi duchi, che gestirono pure il commercio del sale. Dopo la devoluzione estense del 1598, Comacchio entrò a far parte dello Stato Pontificio. Cominciò un lungo periodo caratterizzato dall'affitto  e  subaffitto  delle  valli  a  comacchiesi e  forestieri, a prezzi spropositati. Fu solo nel 1797 che Napoleone cedette la proprietà ai comacchiesi: i cittadini guidati da Antonio Buonafede e Guido Manfrini, chiesero e ottennero la cessione delle Valli con la firma del Rogito Giletti. Ancora oggi il Rogito è l’unico documento che sancisce la proprietà del Comune sulle Valli. Attualmente è possibile seguire un itinerario storico – naturalistico per le Valli di Comacchio, in barca o a piedi, che permette il contatto diretto e la conoscenza dei valori naturalistici di questi luoghi, della tradizione della pesca e della vita lagunare. Tra gli argini e i dossi ancora si scorgono i casoni e le tabarre, luoghi adibiti alla pesca, che in origine erano formati di canna e paglia, ma che fra XVII e XVIII secolo furono abbattuti e ricostruiti in muratura. Verso la fine dell’Ottocento più di 70 costruzioni erano ancora attive, oggi, a seguito delle distruzioni belliche e delle grandi bonifiche, sono ridotte a 5 stazioni per la pesca e 7 case di vigilanza funzionanti. Nei casoni da pesca e da guardia restaurati, sono oggi esposti strumenti, strutture e suppellettili usati per il lavoro e la permanenza nelle valli. Il manufatto fondamentale dell’attività da pesca è il lavoriero, costituito da una serie di bacini comunicanti, a forma di punta di freccia, nei quali il pesce resta imprigionato, quando, seguendo l’istinto produttivo, migra dalla valle verso il mare  

127 LA PESCA Da tempo immemorabile nelle Valli di Comacchio si pratica la pesca e l’allevamento estensivo di numerose specie ittiche pregiate, tra cui anguille, branzini, orate, cefali, latterini e gamberi di valle. In particolare l’anguilla ha da sempre rappresentato un’importante fonte di reddito per l’economia comacchiese Nel 2004, dopo anni di abbandono, è stata completata l’opera di restauro della fabbrica dell’antica “ Azienda Valli Comunali di Comacchio” ed i locali sono attualmente utilizzati per la lavorazione del prodotto secondo la più autentica tecnica tradizionale che si può far risalire al In particolare il Parco, in collaborazione con Slow Food, ha dato vita al Presidio dell’Anguilla Marinata Tradizionale delle Valli di Comacchio e nel 2004 ne ha predisposto un disciplinare di produzione - LA MANIFATTURA DEI MARINATI L’Azienda Valli Comunali di Comacchio svolgeva importanti funzioni in tre ambiti fondamentali: la coltura ittica delle valli e la pesca, la vigilanza contro la pesca di frodo, l’amministrazione interna e la commercializzazione del pescato. Dal 1933 l’Azienda iniziò la gestione della Manifattura dei Marinati, una fabbrica per la marinatura del pesce. Tale attività veniva svolta in precedenza da privati. Dal quel momento, e per oltre sessanta anni, l’intero ciclo di lavorazione delle anguille e delle acquadelle è avvenuto nei locali della Manifattura che comprendeva diversi ambienti: - la Calata, luogo di approdo delle barche per il conferimento del pesce; - la Sala dei Fuochi con dodici camini utilizzati per la cottura delle anguille; - la Sala degli aceti con tini e botti; - la friggitoria per la cottura delle acquadelle. - LA LAVORAZIONE DELL’ANGUILLA La procedura tradizionale per la produzione di anguilla marinata, avviene solo con anguilla selvatica nel periodo tardo autunnale - invernale. Essa prevede quattro fasi principali di lavorazione: il taglio, la spiedatura, la cottura e il confezionamento. - Il taglio consiste nella decapitazione, divisione in tronchi ed incisione dell’anguilla al fine di favorire la spiedatura del pesce. - La seconda fase, la spiedatura, consiste nell’infilzare in un lungo spiedo di ferro anguille intere o morelli (tronchi). - La cottura è il momento più importante di tutto il processo poiché l’arte di governare il fuoco e lo spiedo influisce sull’efficacia dell’intera lavorazione Il confezionamento, prevede la pesatura e la messa a dimora in salamoia ( aceto e sale) dell’anguilla cotta. L’anguilla così lavorata mantiene inalterate le proprie caratteristiche organolettiche per diversi mesi.

128 L’ ANGUILLA L’anguilla (Anguilla anguilla Linnaeus , 1758) è una specie ad ampia valenza ecologica, in grado di vivere in una grande varietà di ambienti: acque marine costiere, acque oceaniche (dove si riproduce), laghi interni e corsi d’acqua, laghi costieri ed estuari, dove predilige acque relativamente calde e moderatamente correnti, ricche di vegetazione e con substrato sabbioso o fangoso. Presenta un corpo cilindrico e compresso posteriormente, il muso è allungato e la mascella superiore è più corta di quella inferiore. La pinna dorsale è bassa ed il livello delle pinne pettorali ha inizio piuttosto indietro, continuando con la pinna caudale arrotondata e questa con l’anale La particolarità che rende interessante questo genere anche ai meno esperti è il suo ciclo vitale catadromo, infatti l’anguilla è l’unica specie migratrice catadroma dell’Ittiofauna d’acqua dolce italiana: essa si riproduce in mare e poi prende la via delle acque interne , sia salmastre che dolci, dove si accresce Nonostante siano ancora numerosi gli aspetti sconosciuti, appare confermato che le anguille adulte migrano dai corsi d'acqua continentali verso il Mar dei Sargassi nell’ Oceano Atlantico, unica area di riproduzione [questo avviene sia per l'anguilla europea, Anguilla anguilla sia per la specie americana, A. rostrata). Fra la tarda estate e l’autunno le anguille intraprendono la migrazione verso il Mar dei Sargassi, raggiungendo la maturità sessuale in viaggio durante la migrazione; la riproduzione ha luogo fra gennaio e luglio, dopodiché le anguille muoiono. Le piccole larve opalescenti nate dalle uova, dette “leptocefali”, iniziano un viaggio a ritroso che durerà 3 – 4 anni, trasportate dalle correnti superficiali marine (corrente del Golfo e Nord-Atlantica) verso le coste dell’Europa e del Nord Africa Nelle aree costiere marine la larva subisce una metamorfosi, assume una forma simile a quella adulta ma è ancora depigmentata, viene detta “cieca”e inizia la migrazione nelle acque interne (fra ottobre e febbraio). Nelle acque interne l’anguilla assume gradualmente l’aspetto definitivo e la pelle diviene pigmentata, in questo stadio di accrescimento viene detta “ ragano” L’accrescimento è influenzato dalle disponibilità di nutrimenti degli ecosistemi e dalla temperatura dell’acqua. L’anguilla è un pesce carnivoro , ricerca il cibo sul fondo (in particolare nelle ore notturne), soprattutto crostacei, molluschi e anelidi. Durante questa fase trofica le anguille vengono dette “anguille gialle” per la colorazione del corpo, giallastro sul ventre e bruno verdastro o marrone sul dorso. La vita nelle acque interne ha durata variabile. Il raggiungimento della maturità sessuale comporta una serie di radicali trasformazioni, al termine delle quali l'anguilla è detta “argentea” o “argentina”, per la colorazione bruno-nerastra che presenta sul dorso e argentea sul ventre. Maschi e femmine raggiungono la condizione di anguilla argentina in età diverse: il maschio solitamente dopo il settimo anno, mentre la femmina dopo il nono anno. Il maschio quindi raggiunge la maturità sessuale 2-3 anni prima della femmina, arrivando anche ad un peso inferiore.

129 COMACCHIO CITTA’ EMPORIO
La città di Comacchio - come appare oggi - ha origine nell’altomedioevo: le fonti scritte collocano la piena formazione e lo sviluppo dell’abitato nell’VIII secolo. Le recenti analisi condotte ad una scala più ampia sembrano suggerire per Comacchio un ruolo fondamentale all’interno del sistema di nuovi centri che nascono lungo la costa dell’adriatico nord-occidentale tra VII e IX secolo tutti qualificati sul piano dell’interpretazione storica come sedi di porti e mercati e, in definitiva, qualificabili come “empori”. L’attenzione rivolta al centro comacchiese, dunque, risponde alla necessità di valutare la qualità delle informazioni archeologiche post-antiche ai fini di verificare le caratteristiche materiali che definiscono il sito come un nodal-point nelle relazioni economiche che coinvolgono da un lato i traffici adriatici e mediterranei e, dall’altro, le relazioni commerciali (e quindi le élites) padane. Comacchio sembra partecipare a tutti gli effetti, insieme ai nascenti empori della laguna veneziana, al controllo dei commerci padani verso l’entroterra. Concentrando le ricerche sull’arco cronologico dell’altomedioevo, il gruppo di studio dell’insegnamento di Archeologia Medievale dell’Università Ca’ Foscari (Venezia) ha iniziato a produrre un’analisi delle forme dell’abitato e uno studio dei caratteri della cultura materiale con un approccio originale rispetto alle ricerche archeologiche già condotte nella città. Tale approccio è caratterizzato dal riconoscimento delle grandi potenzialità storico e archeologiche che si possono ricavare dallo studio dei depositi sepolti, dallo studio delle forme dell’abitare e dall’analisi dei sistemi economico-produttivi. E’ chiaro, infatti, che ad oggi la centralità che il centro demico di Comacchio riveste per l’altomedioevo europeo e mediterraneo non ha ancora trovato in scavi estensivi ed in progetti di ricerca specifici un adeguato approfondimento. Le analisi degli ultimi decenni hanno dimostrato come Comacchio partecipi appieno nella nascita della nuova economia europea post-classica. Comacchio, insieme a Venezia - e forse ancora più di Venezia - costituisce uno straordinario elemento di novità e vivacità in un’epoca storica tradizionalmente interpretata come momento di crisi e recessione . La caratteristica principale di Comacchio altomedievale risiede in una spiccata capacità di promuovere attività commerciali ad ampio respiro, mosse dal volano di un’economia basata sullo sfruttamento delle risorse locali (saline e peschiere). Le attività di commercio sono relazionate allo sviluppo di una forte marineria locale in grado di fornire trasporti costanti ed efficienti nell’ambito delle basse acque lagunari e/o fluviali. Il nuovo “centro emergente” è collocato in un territorio politico che assume connotazioni di confine tra un mondo orientale/bizantino e un mondo padano longobardo/carolingio. La differenziata capacità di relazionarsi di volta in volta con Costantinopoli o con le élite dei regni continentali, garantisce la fortuna della città che diviene città-emporio. Lo scavo di piazza XX Settembre - con il recupero di ceramiche, anfore, contenitori da trasporto, elementi architettonici di pregio e con la restituzione della topografia dell’antico quartiere episcopale - ha permesso di acclarare questa ipotesi di lavoro. Inoltre si sono recuperati molti materiali di indubbio interesse storico che costituiscono la memoria e la testimonianza del passato del centro stesso dell’abitato di Comacchio.   TRATTO DA: degli scavi di Comacchio 

130 ANFORA GLOBULARE A nord ovest di Comacchio, presso l’odierno villaggio San Francesco e la località Baro dei Ponti-Baro delle Pietre, durante recenti campagne di scavo ( ), sono stati individuati i resti del porto, che si estendeva per circa mezzo chilometro quadrato. Sorgeva lungo il canale della Girata che costeggiava a nord il centro abitato. Queste infrastrutture di carattere portuale, in funzione nel corso dell’ VIII secolo d.C. , trovano confronti tipologici con gli empori del nord Europa ( come Dorestad in Olanda). Sotto gli antichi pontili sono stati ritrovati numerosi frammenti di anfore, soprattutto “globulari”, di forma panciuta, databili tra il VII e l’VIII secolo d.C. Questi ritrovamenti, resti materiali e strutture portuali, confermano l’importante ruolo del centro di Comacchio nei commerci dell’alto Medioevo.

131 COMACCHIO: LO SCAVO DI PIAZZA XX SETTEMBRE
Le attività di scavo del 2007, iniziate a fine maggio, stanno permettendo di documentare una superficie maggiore dell’antico sagrato sei-settecentesco della cattedrale, già affiorato nel 2006. Al di sotto delle interessanti pavimentazioni in mattoni e cocciopesto sta venendo alla luce un eccezionale cimitero composto da sepolture in cassa lignea e fosse in nuda terra. Gli inumati, privi di corredo, sono in alcuni casi stati sepolti con elementi di devozione religiosa, come rosari in osso. Le metodologie di scavo e studio dei resti ossei, aggiornate alla più moderna antropologia fisica, permetteranno di conoscere le caratteristiche fisiche, lo stile di vita, la dieta e le malattie degli inumati. Allo stato attuale della ricerca è possibile ipotizzare la pertinenza del sepolcreto alla chiesa precedente l’attuale Duomo edificato nel XVII secolo. Nello scavo, inoltre, appaiono già strutture murarie pertinenti ad edifici più antichi di cui l’analisi stratigrafica consentirà di definirne cronologia e funzione. I risultati raggiunti nel 2006, inoltre, hanno permesso di raggiungere livelli di VI-VII secolo con abitazioni fossati, infrastrutture e sepolture. Anche in questa nuova campagna, pertanto, ci si pone l’obiettivo di identificare i livelli più antichi, tardoantichi ed altomedievali, contenenti le tracce dell’antico episcopio comacchiese. TRATTO DA degli scavi di Comacchio

132 LA NUOVA FONDAZIONE DI COMACCHIO ( )   La devoluzione di Ferrara e Comacchio era stata accuratamente predisposta da Pio V nel Il Papa, conoscendo l’impossibilità di Alfonso II a generare un erede legittimo, emanò una bolla che proibiva l’infeudazione di città della Chiesa a persone che fossero di nascita illegittima, ponendo così le basi per l’incameramento di Ferrara nello stato pontificio alla morte del duca. Alfonso II aveva designato alla successione il cugino Cesare, figlio di Alfonso di Montecchio, e l'atto fu riconosciuto dall'Impero, ma non dalla Chiesa, in quanto lo zio Alfonso era figlio naturale del predecessore duca Alfonso I d'Este e di Laura Dianti Alla morte di Alfonso II, Papa Clemente VIII si riappropriava quindi di Ferrara, feudo pontificio, approfittando anche della debolezza di Cesare d'Este, che decise di spostare la sede del ducato a Modena (di investitura imperiale). Nel 1598 il Ducato di Ferrara prende il nome di Legazione, essendo retto da un Legato e da un Vicelegato pontifici. La Santa Sede da un nuovo volto alla città, rinnova la fertilità delle valli e, nello stesso anno, il papa concede a Comacchio il motu proprio, cioè l'uso perpetuo di quattro valli da pesca e una serie di esenzioni daziarie. Il 10 maggio del 1601 sancì, con un breve, l'impegno dei pontefici ad affittare le valli da pesca esclusivamente ai cittadini di Comacchio. Le valli furono così suddivise in quattro grandi gruppi: uno della Santa Sede, il secondo della Comunità di Comacchio, il terzo della Comunità di Ostellato e il quarto dei privati. Le valli di dominio pontificio, furono divise a loro volta in tre grandi settori detti quartieri. Col tempo, la Camera Apostolica si impadronisce forzosamente anche delle valli costituenti i gruppi della Comunità comacchiese, quella di Ostellato, quella di Longastrino e buona parte delle valli private. Le affittanze delle valli erano rinnovate ogni quattro anni e furono concesse ai comacchiesi fino al Il diciottesimo secolo segnò per Comacchio un cambiamento di tendenza rispetto al secolo precedente. Con il XVIII secolo si accentua la fase involutiva della città, del suo ruolo : l'economia raggiunse livelli talmente bassi da scendere sotto quello di sopravvivenza, e l'edilizia rimase praticamente bloccata. Le uniche fabbriche attive furono la cattedrale e verso la fine del secolo l'Ospedale S. Camillo. La fabbrica dell'Ospedale ebbe origine da un atto emanato da Clemente XIV il 20 febbraio 1771 con cui si ordinava l'erezione di un ospedale per gli infermi poveri di entrambi i sessi. Le valli vennero divise in tre grandi categorie: governative, comunali e particolari. Tra il 1700 e il 1704 si concretizzarono i tentativi estensi di riprendersi il territorio ferrarese, per volere della corte di Venezia, che voleva aprirsi un varco per la propria espansione al di là degli Appennini. Così nel 1708, Comacchio e il suo territorio furono dichiarati possedimento imperiale. Nel 1711, Clemente XI aveva inviato a Vienna il nipote, col tentativo di arrivare a una conclusione per la restituzione delle valli. Nel 1725 le valli di Comacchio ritornano sotto lo stato pontificio grazie al Legato di Ferrara. Nel 1731 la Santa Sede proibisce di friggere, marinare o salare il pesce pescato nella zona e nel 1744 vennero emanati degli editti contro le popolazioni di S. Alberto, Filo, Longastrino, Lagosanto, Portomaggiore, Ostellato, e S. Giovanni, accusate di fiocinare e cacciare abusivamente nelle valli. In questo periodo si costruiscono nuove opere tra cui la chiesa del Carmine (1604), S. Pietro (1605), S. Carlo e la loggia del Grano (1620), S. Nicolò e S. Rosario (1628), la chiesa del Suffragio (1647), il ponte degli Sbirri , il ponte di S. Pietro, il ponte dei Trepponti (1634) e il porticato dei Cappuccini (1647). Il centro valorizzatore della città della nuova è sicuramente la cattedrale dedicata a S. Cassiano. Edificata nel 1740, fu affiancata nel 1754 da una torre campanaria, crollata quando era pressochè realizzata (la torre fu ricostruita nella seconda metà dell'Ottocento). Fra i canali scavati dal periodo della dominazione pontificia in poi si trovano il canal Grande, canal Lombardo, canal dei Mercanti, la fossa dei Fornio, fossa Sisti, fossa S. Pietro, canal S. Agostino, fossa Manfrini, fossa Boccaccini, il canal Maggiore, il canal di Via Nuova, canal della Croma, il canalke dell' Ospedale, della Pescheria, di Strada Carmine, canale di Via Rosario, canale Borgo Trepponti, canal Pallotta, fossa Patrignani, canal di Via Sola e canal di Salvaterra. Negli anni '60 venne tombato il canal Grande, la fossa dei Patrignani fu chiusa e con le bonifiche vallive venne interrato il canal dei Mercanti.    

133 SANTA MARIA IN AULA REGIA La prima notizia del monastero dell'Aula Regia si ha nell'investitura enfiteutica del 12 agosto 956 tuttavia non è da escludersi che il sito esistesse già a partire dal V secolo E' questa l'epoca delle contese tra Ferrara e Ravenna per il possesso di Comacchio che ne causa le dure condizioni di vita nella città e l'abbandono da parte dei monaci benedettini del convento che decade rapidamente di conseguenza a partire dal 1570 furono introdotti nel convento i frati Cappuccini che si adoperarono a rinnovare l'antico monastero e l'attigua chiesa. Anche se non si conoscono documenti anteriori al seicento,si ritiene che l'opera della “Madonna in Trono con Bambino “si trovasse nel santuario fin dalla sua origine. Questa scultura è stata creata con cotto policromato da un autore ignoto della metà del XV secolo e tuttora è posta nell'abside al centro dell'ancona. Come nella tradizione, solo in particolari ricorrenze la statua viene ornata di ricchi vestimenti. I vari particolari della statua mettono in luce un chiaro riferimento a illustri modelli classici e rinascimentali. La costruzione di Comacchio è stato dedicato alla Vergine sotto il nome dell'Aula Regia che nel 1619 è stata incoronata con il titolo di “Madonna del Popolo”. Culto e devozione dell'Aula Regia si saldano e si intensificano sempre di più a partire dal XVII secolo, con il fenomeno denominato “Devozionismo”. Da questo periodo la Vergine è oggetto di manifestazioni pubbliche, riti di venerazione collettiva e la chiesa che la ospita diventa santuario. La diffusione del culto varca luoghi e e città sempre più lontane: questo perché alla statua vengono attribuiti prodigi, miracoli e grazie accaduti negli anni , la sua incoronazione viene ricordata ogni centenario durante la Pentecoste. Lo stile della facciata è neoclassico, presenta una parte centrale con colonne, un grande arco a tutto sesto con un timpano superiore. Lateralmente sorgono due corpi più bassi. I materiali utilizzati, il rosso mattone e il bianco marmo, ricordano quelli di molte costruzioni comacchiesi. Al di sopra dell'ingresso si trova una grande finestra centrale rettangolare. Il santuario dell'Aula Regia colpisce per il suo stile tipicamente cappuccino. E' formato da una sola navata con volte a crociera innestate su paraste. Nel lato destro si aprono le cappelle comunicanti tra loro e sulle pareti del lato sinistro sono collocate alcune tele ad olio di rara fattura fra cui la “Crocifissione con le Marie e San Giovanni Evangelista “ di Domenico Mona  

134 IL PONTE DEI TREPPONTI Il Ponte dei Trepponti, che ancora oggi domina il cuore del centro storico di Comacchio, venne edificato intorno al 1634 per volere del Cardinale Giovan Battista Pallotta e progettato dall’architetto ravennate Luca Danese. E' formato da cinque scalinate (tre anteriori e due posteriori) e da cinque archi a tutto sesto sotto i quali scorrevano cinque canali. Esso, infatti, si presentava come nodo nevralgico della sistemazione della rete idrica promosso dal cardinale, dal canale Pallotta, unica via d’accesso alla città fino al 1821, si poteva penetrare attraverso le vie d’acqua interne fino al centro della città Una mirabile definizione di Comacchio, contenuta nella Gerusalemme Liberata di Torquato Tasso, campeggia nell’iscrizione posta su una delle torri fortificate: « Come il pesce colà dove impaluda / ne i seni di Comacchio il nostro mare, / fugge da l'onda impetuosa e cruda / cercando in placide acque ove ripare, / e vien che da se stesso ei si rinchiuda / in palustre prigion né può tornare, / che quel serraglio è con mirabil uso / sempre a l'entrare aperto, a l'uscir chiuso. » (VII, 46)

135 LE BONIFICHE Nel territorio della bassa padana, fin dall’epoca etrusco-romana, l’uomo è intervenuto con opere idrauliche, come arginature e inalveazioni. Spesso però, a causa della scarsa efficacia delle tecnologie e dei mezzi impiegati, questi interventi si rivelarono inefficaci. Dopo le opere di bonifica condotte dai benedettini nell’isola pomposiana, furono i duchi di Ferrara, gli Estensi, ad avviare, fin dall’età di Leonello e Borso, numerose imprese di bonifica e prosciugamento alle porte di Ferrara: il Polesine di Casaglia (1447/1460), la Sammartina ( ) e la Diamantina ( ). In particolare, l’opera di bonificazione promossa da Borso, viene richiamata dal linguaggio allusivo delle imprese, che avevano il compito di rappresentare simbolicamente la morale, le linee di governo e i programmi di intervento dei principi. Queste sono l’impresa del battesimo, del leoncorno e del paraduro: - il battesimo: in una vasca esagonale con coperchio semiaperto galleggia una ciotola, simbolo di purificazione - l’unicorno: animale fantastico presente nei bestiari antichi, si pensava che potesse essere catturato solo da una vergine ed era simbolo di purezza e castità, virtù di cui si fregiava Borso, a cui si connette anche il simbolo di fertilità; spesso l’unicorno immerge il corno nell’acqua, allusione all’opera di bonificazione voluta dal duca; il paraduro: o steccato, simbolo delle opere di difesa contro l’insidia delle acque; una zucca legata allo steccato fungeva da segnale di pericolo, quando, per l’ingrossarsi del fiume, la zucca stessa, essendo legata, veniva sommersa L’impegno estense continuò con Ercole I, con il figlio Alfonso I, fino all’ultimo duca di Ferrara Alfonso II, ma gli eventi naturali e la subsidenza decretarono la fine della grande Bonifica e il ritorno delle aree acquitrinose. Fu solo il progresso tecnico con l’introduzione delle macchine a vapore che rese possibile la bonifica di vaste aree del ferrarese a partire dal XIX secolo.

136 LA RIPRESA DI RICOGNIZIONI E SCAVI NELL’ANTICA CITTÀ ETRUSCA DI SPINA
Ricominceranno dopo anni -l’ultima campagna di scavo è datata 1988-  le indagini archeologiche nell’abitato della città etrusca di Spina, situata in provincia di Ferrara, nei comprensori comunali di Comacchio (necropoli) e Ostellato (abitato). Lo scavo, che verrà effettuato nell’area demaniale, avrà lo scopo di definire meglio gli aspetti strutturali e cronologici del tessuto urbano e i rapporti con gli apprestamenti difensivi e confinari, costituiti dal terrapieno palificato, già in parte intercettato negli scavi passati. Com’è noto la città di Spina venne fondata da popolazioni etrusche a poca distanza dallo sbocco in mare del fiume Spinete -un importante ramo padano- e alla confluenza di questo con un altro alveo fluviale di provenienza appenninica, in un sito privilegiato per i commerci grazie alla facilità di comunicazione con l’altra sponda dell’Adriatico, l’entroterra padano e l’Etruria tirrenica. Dagli ultimi decenni del VI secolo a.C. alla metà circa del III secolo a.C., l’abitato di Spina ebbe una vita fiorente, connotata da ricchi e articolati traffici commerciali, primo fra tutti quello della ceramica di produzione attica. La realtà descritta nelle fonti classiche prese prepotentemente corpo negli anni Venti quando, nell’ambito del vasto programma di recupero dei bacini vallivi che si erano formati nei secoli nel territorio deltizio, le attività di bonifica riportarono in luce numerose tombe (oltre mille) nel bacino della Valle Trebba. Le successive bonifiche degli anni Cinquanta e Sessanta portarono a individuare un’altra consistente parte del vasto sepolcreto di Valle Pega (con circa 3000 tombe) prima e dell’abitato nella Valle Lepri/Mezzano poi. Alla ricchezza dei corredi di gran parte delle tombe -a inumazione e a cremazione– scavate nei dossi sabbiosi, si contrappone l’essenziale povertà delle abitazioni, costruite con materiali leggeri e deperibili (legno, canne, frasche, argilla), adatti alla scarsa consistenza e portanza dei terreni vallivi; abitazioni peraltro che, almeno in alcune fasi, appaiono raggruppate secondo uno schema urbanistico preordinato (insulae). L’erogazione del consistente contributo ministeriale erogato alla Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia Romagna –che, nell’espletamento della prassi tecnico-burocratica è affiancata dalla Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici- consentirà la ripresa degli scavi in un settore dell’area demaniale sinora inesplorato. Gli scavi verranno eseguiti in modo estensivo, diversamente da quanto accaduto in passato. Se si escludono infatti le indagini dirette nella seconda metà degli anni Settanta dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia-Romagna - Direzione del Museo Archeologico Nazionale di Ferrara, le numerose campagne sono state condotte in modo parziale e “per saggi” da istituti universitari, su concessione ministeriale. In questa nuova operazione la Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia - Romagna si avvarrà della collaborazione delle amministrazioni comunali dei territori in cui ebbe vita Spina. I Comuni di Comacchio e Ostellato si sono impegnati a sostenere la ricerca, contribuendo attivamente sia alla predisposizione di mezzi e sistemi di sorveglianza dell’area archeologica, che all’individuazione – con i necessari apprestamenti - di locali idonei ad immagazzinare i materiali archeologici recuperati nello scavo, ad effettuare i primi interventi del cosiddetto “post scavo” e ad ospitare gli operatori. Tali forme di collaborazione si concretizzano in un protocollo d’intesa stipulato, per ora, con il Comune di Comacchio ma che tra breve verrà condiviso anche dall’Amministrazione comunale di Ostellato Il progetto di scavo, che si snoderà nell’arco di diversi anni, godrà altresì del contributo di istituti universitari, prima fra tutti l’Università di Ferrara con cui è in via di perfezionamento una convenzione elaborata in collaborazione con la Facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali, alla quale si affiancheranno nell’arco di due anni anche università straniere. Va da sé che questo progetto dovrà coinvolgere anche le altre istituzioni preposte alla tutela e valorizzazione del territorio, vale a dire la Provincia di Ferrara e la Regione Emilia–Romagna. Il successivo passo infatti, quello della musealizzazione e valorizzazione di strutture e materiali rinvenuti nello scavo, richiederà uno sforzo comune da parte di tutte le istituzioni coinvolte nel progetto. ARTICOLO DI CARLA CONTI, INFORMAZIONI SCIENTIFICHE DI CATERINA CORNELIO

137 L’affresco è stata realizzato da Achille Funi nella Sala della Consulta del palazzo comunale di Ferrara, fra il 1934 e il In una lettera del febbraio a S.E. il Duce, Funi scrive: “ Ho condotto a termine da qualche mese l’affresco della Sala della Consulta del palazzo comunale di Ferrara. L’opera in cui si esalta la leggenda e la storia della città e della terra ferrarese, mi ha impegnato per tre anni consecutivi: sarà probabilmente inaugurata il 21 aprile”.

138 OSPEDALE DEGLI INFERMI DI COMACCHIO Il settecentesco Ospedale fu dedicato a San Camillo de Lellis, il Santo degli infermi, e costruito “ […] Affinché per l’Avvenire la Povertà o la Solitudine non siano di Ostacolo al Raggiungimento della Salute e lo Dedicarono alla Prosperità dei Cittadini.”, come si legge nella lapide posta sulla porta d’ingresso principale dell’edificio, nel 1784. Opera dell’architetto Antonio Foschini, fu eretto tra il 1778 e il 1784 su volere di papa Clemente XIV (motu proprio emanato il 20 febbraio 1771). La costruzione, a carico della comunità comacchiese, si protrasse nel tempo, nel 1780 Foschini fu sostituito alla direzione dei lavori e alla progettazione da Gaetano Genta. I lavori si conclusero nel 1784 ma per attivare la struttura si dovette attendere il decreto di Eugenio Napoleone del 15 maggio Inaugurato nel 1814, il nosocomio ha concluso la propria attività nel L’imponente edificio si trova a fianco del Ponte della Cà o delle Prigioni, in una zona che segna il punto d’incontro di tre canali maestri e di due strade. Di particolare rilievo è la facciata del Foschini, che presenta l’elegante pronao ionico tetrastilo nella parte centrale, coperto da un timpano triangolare decorato con un semplice oculo centrale. E’ racchiusa da grosse paraste e arricchita da due campanili a pianta quadrata che si innalzano ai lati. I capitelli ionici e le basi delle colonne e delle parate sono in pietra d’Istria, come pure il cornicione a mensole che delimita la facciata nella parte superiore. Si crea così un vivace contrasto di colori fra il rosso dei mattoni, il giallo dell’intonaco e il bianco della pietra d’Istria. Sul fianco sinistro della monumentale facciata, è situata la chiesa dell’Ospedale o di San Pietro. La facciata neoclassica sul retro è invece di Gaetano Genta.  All'interno, l’atrio con il monumentale scalone è opera del Foschini come tutto il corpo principale; Genta firma quasi unicamente la casa del medico che costituisce la parte sul retro dell'edificio. Al piano terra vi sono bassi saloni di servizio e deposito, una cisterna e due locali coperti con volte in muratura e adibiti a cucina e legnaia mentre al piano nobile vi sono due ampie e alte sale per i degenti, una per le donne ed una per gli uomini. I saloni per degenti al primo piano sono riservati alla mostra

139 MOSTRA "GENTI NEL DELTA DA SPINA A COMACCHIO"
La mostra, realizzata dal Comune di Comacchio in collaborazione con la Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia Romagna e il Capitolo della Concattedrale di Comacchio, espone oggetti di grande valore storico e culturale e si articola in due sezioni. La prima sezione, dal titolo “Uomini, territorio e culto dall´antichità all´alto medioevo”, ha per tema la realtà storica, archeologica, ambientale del territorio del Delta del Po in un arco di tempo che comprende le ultime fasi dell´età del Bronzo, Spina, l´età romana e la “grande stagione” alto-medievale di Comacchio. L´uomo, la natura, la produzione, i commerci e i trasporti marittimi e fluviali, la demografia e i flussi migratori, la società, la città etrusca di Spina, gli insediamenti sparsi di epoca romana, il sorgere di Comacchio, seguita fino alle soglie del Mille, sono le fasi illustrate in questa parte. Va aggiunto il culto dei morti, con la ricostruzione di alcune tombe delle necropoli di Spina e l´esposizione del corredo funerario in esse rinvenuto (solo gli scheletri non sono gli originali). Inoltre è stata ricostruita una abitazione (a forma di capanna) di Spina con suppellettili. Tra i tanti  reperti esposti, si segnalano il Cavaliere di Gavello (bronzetto di tipo etrusco di probabile produzione adriese, del sec. V a.C., proveniente da Rovigo), una delle cinque stele funerarie dei Fadieni (rinvenute a Gambulaga di Portomaggiore e riferite al I e II sec. d.C., a testimonianza della romanizzazione del territorio deltizio) e le due lastre di bronzo del congedo di un veterano della flotta militare di Ravenna (100. d.C.). Dopo la fine di Spina, Comacchio -grazie alla sua posizione- diventa capolinea della navigazione commerciale dell´Adriatico (non si trascuri la presenza della flotta a Classe – Ravenna) e si afferma come città-emporio dei traffici commerciali, in particolare del sale e del pesce prodotti localmente, di ambra del baltico, di ceramica fine da mensa, di metalli e piombo spagnolo, di vino ed olio greci ed orientali, marmi. All’interno della mostra è stato ricostruito uno scorcio di un pontile di attracco di epoca romana. Inoltre una importante testimonianza della rilevanza di Comacchio viene anche dal carico di una nave romana del I secolo (rinvenuta a poca distanza dalla città), ospitato nel Museo di fronte all’ex Ospedale, ed il più completo mai ritrovato in Europa. La fortuna di Comacchio continuò fino all´affermarsi della potenza veneziana. Non a caso questa sezione della Mostra finisce con il ritratto del doge Giovanni II Partecipazio e con la scritta che l´accompagna (Comaclum senatui Veneto infestum subegi = Ho sottomesso al Senato Veneziano la molesta Comacchio): a lui si deve nell´881 la prima distruzione della città. La seconda sezione “Divo Cassiano. Il culto del santo martire patrono di Comacchio, Imola e Bressanone” ha per oggetto il culto di San Cassiano nei secoli con l´esposizione di opere d´arte (sculture, immagini nei disegni e nelle stampe dal XV al XX secolo) e suppellettili liturgiche (dipinti, reliquiari, busti, ceramiche devozionali, corredi da mensa, paramenti liturgici ecc.) provenienti da Imola, da Bressanone, da Comacchio (diocesi che hanno in comune il santo come patrono), da Ravenna, da musei e da raccolte e collezioni private, accanto a raffigurazioni modeste nelle forme e povere nei materiali. L´esposizione si propone di illustrare, per la prima volta a Comacchio, gli articolati processi di espressione e di diffusione del culto del santo, vissuto tra il III e il IV secolo, di cui vi sono ampie testimonianze in tutta l´area centro settentrionale della penisola italiana, oltre che in Austria, Germania, Slovenia e Croazia.

140 TOMBE ESPOSTE AL MUSEO Nella necropoli di Spina, il rito dell’inumazione prevale nettamente sul rito della cremazione e le tombe dei due tipi non occupano spazi distinti all’interno della necropoli. Fra le tombe esposte al museo, che datano dalla metà del V secolo ai primi del IV secolo a. C., solo la tomba 589 è a cremazione, di tipo “a pozzetto” , senza cinerario, con Il corredo costituito completamente da materiali di importazione attica. Le altre tombe sono a inumazione, in cassa di legno o nella nuda terra, con orientamento del corpo da Nord-Ovest a Sud-Est. I corredi funerari sono prevalentemente formati da ceramica a figure nere e figure rosse di produzione attica, a cui si aggiungono spesso materiali di produzione locale. La tomba 593, relativa sembra ad un adulto di sesso maschile per la presenza di un cratere associato a una Kylix, presentava uno strato di calce sopra lo scheletro. Il corredo, posto sulla destra del corpo, comprendeva un cratere a colonnette a figure rosse accanto alla Kylix, una coppia di ciotole a vernice nera, coppe a vernice nera su alto piede, frammenti di un’oinochoe a vernice nera con bocca trilobata, piatti su alto e basso piede, e ciotole con piattello a vernice nera in parte di produzione attica, in parte di produzione locale. Altre tombe come le 583 e 589 potrebbero essere sepolture di “non adulti”, in quanto il corredo presenta vasi di piccole dimensioni, oppure, come nel caso della tomba 592, per la presenza di conchiglie, astragali e askòs. Il balsamario in forma di hydria e la perlina di parta vitrea della tomba 584 pare invece suggerire che la sepoltura fosse femminile.

141 LA NAVE ROMANA DI COMACCHIO La nave e il suo carico vennero ritrovati casualmente nel 1980 nella immediata periferia di Comacchio, durante lavori di drenaggio del canale collettore di Valle Ponti. In tre successive campagne di scavo, dal 1981 al 1988, sia il carico che lo scafo furono rimossi; i materiali che erano a bordo sono ora esposti nelle sale del Museo, mentre lo scafo della nave, in fase di restauro conservativo, si trova in un padiglione attiguo. Lo scafo, conservato per poco più di venti metri, venne costruito secondo la tecnica a guscio, le sutiles naves di cui parla Plinio il Vecchio (Naturalis Historia, XXIV, 65): le tavole d’olmo sono in parte congiunte mediante il sistema delle cuciture nella parte del guscio sottostante la linea di galleggiamento, mentre, nella parte superiore, le tavole sono incastrate tra loro mediante linguette lignee. È’ stato possibile datare il relitto al periodo augusteo, grazie al carico di lingotti di piombo spagnolo trasportato e al marchio AGRIP in riferimento a Marco Vipsanio Agrippa, presente su alcuni di essi. Il punto in cui è stata ritrovato il relitto era a ridosso di una spiaggia prossima a una foce fluviale. Si ricorda infatti che la zona del comacchiese dove è stata ritrovata la nave, possedeva a quelle date una conformazione diversa da quella attuale. La linea di costa corrispondeva al margine orientale di Valle Ponti, proseguendo verso sud-est fino a raggiungere l’attuale foce del Po di Primaro, che all’epoca non esisteva. In questo punto sfociava un ramo deltizio dell’antico Po che oggi è scomparso. Sappiamo da Plinio il Vecchio (Nat. Hist., III, 16), che il delta del Po in età romana era costituito da ben sette foci, e l’attuale territorio delle valli di Comacchio era attraversato dal suo ramo principale, detto Spineticum o Eridanus. Plinio ricorda anche altri canali: la Fossa Augusta, che permetteva la navigazione interna, collegando i vari rami del delta del Po; la Fossa Flavia che arrivava ad Adria, e la Fossa Clodia, che raggiungeva Ghioggia. Attraverso queste vie d’acqua le imbarcazioni potevano raggiungere i centri dislocati sul litorale oppure quelli dell’entroterra padano.

142 LA SUBSIDENZA Per subsidenza si intende un fenomeno geologico che comporta un lento e progressivo abbassamento dei suoli dovuto sia a cause naturali che artificiali, queste ultime con conseguenze ben più gravi. I suoli di origine alluvionale, come quelli formatisi nel territorio del delta del Po, subiscono sotto il peso dei depositi sedimentali, dei fenomeni di costipazione con conseguente diminuzione di volume che causa un abbassamento del terreno. Nel delta del Po, tale abbassamento si è assestato oggigiorno nella misura di circa 3 mm l’anno, ma non è sempre stato così. Nei tempi passati, il fiume con le sue piene compensava lo sprofondamento dei suoli, apportando e rilasciando nuovi sedimenti nelle pianure inondate. Gli strati successivi hanno determinato la scomparsa degli antichi cordoni dunosi paralleli alla linea di costa e lo sprofondamento di numerosi siti archeologici. Il naturale equilibrio è stato interrotto dall’intervento antropico in vari modi, con opere di sistemazione idraulica, il prelievo di acqua di falda, di sabbie e ghiaie dal sottosuolo o agli alvei, la costruzione degli argini maestri per difendere i terreni, causando un incremento del fenomeno e la formazione di ‘argini pensili’, un innalzamento dell’alveo del fiume sopra il piano di campagna. L’estrazione del metano, sospesa solo alla fine degli anni Cinquanta, ha pesantemente concorso all’incremento del fenomeno provocando abbassamenti anche di 20 cm l’anno.

143 PIANTE ALOFILE Nel tipico ambiente di valle salmastra può svilupparsi solo una vegetazione “specializzata” che deve, perciò, servirsi di particolari adattamenti per riuscire ad assorbire le soluzioni circolanti nel terreno. Le piante che sono in grado di vegetare in questo tipo di ambiente sono dette alofile (dal greco alos = sale e filè = amico) Per le piante alofile si riconoscono due “strategie” adattative principali: una propria delle piante che assumono il sale e che sono in grado di espellerlo attraverso cellule secretrici situate sui fusti e sulle foglie, ne è un esempio il Limonio; l’altra è caratteristica delle Chenopodiacee che accumulano sali nei vacuoli ( zone cellulari adibite all’immagazzinaggio di sostanze), per cui la conseguente elevata concentrazione salina nelle cellule permette loro l’assorbimento osmotico dell’acqua dal suolo, che produce nella pianta la formazione di foglie ‘grassette’. Ne è un esempio la Salicornia.  

144 CONVENZIONE DI RAMSAR Degli elementi naturali che orlavano ininterrottamente la costa nel passato, ora restano piccoli lembi dispersi, un patrimonio da salvaguardare e tutelare. Si tratta di ecosistemi particolari, preziosi e rari, che consentono la vita di numerose specie animali e vegetali di elevato pregio naturalistico. Le politiche in tal senso sono numerose, citiamo ad esempio le Direttive Comunitarie 92/43 e 79/409, il Piano Territoriale del Parco Regionale del Delta del Po (L.R. 27/88) e la Convenzione di Ramsar. Per Convenzione di Ramsar si intende la Convenzione internazionale relativa alle Zone Umide di importanza internazionale soprattutto come habitat degli uccelli acquatici, riguarda quindi la conservazione e la gestione degli ecosistemi naturali, ambienti primari per la vita degli uccelli acquatici che devono percorrere particolari rotte migratorie attraverso diversi Stati e Continenti per raggiungere ad ogni stagione i differenti siti di nidificazione, sosta e svernamento. Fu firmata a Ramsar, in Iran, il da un gruppo di paesi, istituzioni scientifiche ed organizzazioni internazionali partecipanti alla Conferenza internazionale relativa alle Zone Umide e degli uccelli acquatici. La Convenzione entra nella normativa nazionale con il DPR n. 448 del 13/03/1976.

145 BREVE STORIA DELLA SALINA Non si sa esattamente quando l’uomo ha iniziato ad utilizzare il sale dalle zone del delta del Po. Sembra certo che nella città di Spina transitasse il sale proveniente dal sud del Mediterraneo e che se ne producesse anche di proprio. Il territorio del delta infatti presentava condizioni naturali propizie alla formazione del sale: ampie zone di ristagno di acqua marina sugli strati più fini dei sedimenti (fluviali e costieri), dove l’evaporazione estiva delle acque provocava formazione di sale già pronto per il consumo. Non si hanno tuttavia notizie nel periodo pre-romano e romano di opere umane per lo sfruttamento commerciale del sale. Solo nel corso del medioevo appare evidente che il sale comacchiese è ormai un importante fattore d’equilibrio geo-politico fra varie forze regionali, in particolare Venezia. Nel VIII secolo la supremazia nella produzione e nel commercio di sale dell’Adriatico non fu di Venezia ma di Comacchio, risalendo il Po i comacchiesi ne facevano smercio in tutta la Pianura Padana. Un importante documento, il Capitolare di Liutprando redatto nel 715, ne attesta l’importanza, ratificando un accordo commerciale tra la comunità di Comacchio e i Longobardi, per stabilire le quote e le modalità di pagamento delle imposte di transito e di sosta nei porti che le navi comacchiesi avrebbero incontrato navigando lungo il Po. Il documento conferma la prevalenza delle esazioni in sale. Nel X secolo la rivalità nel commercio del sale si concluse a vantaggio di Venezia: dopo ripetuti attacchi, nel 932 Venezia distrusse Comacchio e la sua salina, facendo così accrescere il valore del sale di Chioggia. Nei secoli successivi i comacchiesi continuarono a produrre clandestinamente il sale cercando di sopravvivere fra conflitti e compromessi che periodicamente si presentavano tra Venezia, gli Estensi e il Papato. Solo all’inizio del XIX secolo, con l’occupazione napoleonica, l’area della salina venne trasformata in un moderno stabilimento, rilanciando la produzione del sale. Dopo il Congresso di Vienna l’autorità pontificia tornò in possesso di questi territori, terminò il progetto e lo rese più efficiente. In questo periodo la produzione era fiorente, lavoravano alla Salina circa un centinaio di persone, e nei mesi di marzo, aprile e maggio, il loro numero raddoppiava. Negli anni Trenta la superficie della Salina viene ampliata raggiungendo la produzione massima di sale (ca quintali annui). All’inizio degli anni ’60, a seguito di lavori di modifica degli impianti, la produzione del sale cala notevolmente. Si arriva perciò in seguito, nel 1985, all’interruzione definitiva della produzione del sale.  

146 IL PROGETTO LIFE- NATURA LIFE è lo strumento finanziario per l'ambiente con cui l'Unione Europea (dal 1992) sostiene la propria politica ambientale allo scopo di promuovere lo sviluppo e la salvaguardia delle risorse ambientali nell’ottica dello sviluppo sostenibile. Esso finanzia progetti (i progetti LIFE) proposti dai Paesi membri e da alcuni Paesi candidati all'interno di tre differenti aree tematiche: LIFE-Natura, LIFE-Ambiente e LIFE-Paesi Terzi. In particolare LIFE-Natura, nel cui ambito specifico si inserisce il progetto della salina di Comacchio, ha lo scopo di contribuire all’attuazione della Direttiva comunitaria concernente la conservazione degli habitat naturali e seminaturali, della flora e della fauna selvatiche ( Direttiva CE 92/43 Habitat), e di quella relativa alla conservazione degli uccelli selvatici (Direttiva CE 79/409 “Ucceli”). Il progetto di Ripristino ecologico e conservazione degli Habitat nella salina del SIC (1) Valli di Comacchio, ha come scopo primario il miglioramento della circolazione idrica necessaria per garantire una buona qualità delle acque. Una porzione sud orientale della salina sarà destinata al riavvio del ciclo del sale, in modo da ottenere acque soprassature che saranno poi naturalmente popolate da una flora e da una fauna specializzate.   (1) Sito di Importanza Comunitaria

147 MESOLA, ETIMOLOGIA DEL NOME Diverse sono le interpretazioni date riguardo l’etimologia del nome, ma attualmente nessuna di queste è stata confermata in modo decisivo. La versione che, attualmente, ha maggior favore è da media insula in riferimento alla sua forma. Questa interpretazione si rifà al Penna (1658), secondo cui l’area di Mesola era “ [….] così detta, quasi mez’isola, essendo di forma triangolare havendo ella alla sinistra il Po’ d’Ariano, che in parte la cinge, à destra il Po’ morto, [….]” . Un’altra ipotesi propone la derivazione del nome da piccola mensa (piccolo altare) in riferimento alla dipendenza di quest’area dalla Mensa Arcivescovile di Ravenna.  

148 Ritratto di Alfonso II d’Este, 1575-1599, olio si tela, 63x43 cm
Ritratto di Alfonso II d’Este, , olio si tela, 63x43 cm., deposito presso la Pinacoteca Nazionale di Ferrara Alfonso II d'Este ( ) fu il 5° duca di Ferrara, Modena e Reggio e regnò dal 1559 alla morte. Figlio di Ercole II d'Este e di Renata di Francia, poco dopo essere salito al trono, per volere di papa Pio IV, rimandò in patria la madre, di osservanza calvinista. Sotto il suo regno la corte di Ferrara raggiunse il massimo di sfarzo e magnificenza, ospitando poeti (come il Tasso) ed artisti, sebbene a discapito delle finanze. Cercò di innalzare il prestigio dello Stato coi suoi tre matrimoni — Lucrezia de' Medici ( ), Barbara d'Austria ( ) e Margherita Gonzaga (1579) — e alleandosi coll'imperatore Massimiliano II nella sua guerra contro i Turchi in Ungheria (1566) In mancanza di eredi diretti designò alla successione il cugino Cesare, figlio di Alfonso di Montecchio, e l'atto fu riconosciuto dall'Impero, ma non dalla Chiesa, in quanto lo zio Alfonso era figlio naturale del predecessore duca Alfonso I d'Este e di Laura Dianti Papa Clemente VIII alla sua morte si riappropriò quindi di Ferrara, feudo pontificio, approfittando anche della debolezza di Cesare d'Este.

149 IL CASTELLO DELLA MESOLA Ha ninfe adorne e belle la casta Margherita, et essa è dea, se virtù fa gli dei come solea: però boschi, palagi e prati e valli, secchi et ondosi calli le fece il grande Alfonso e cinse intorno navi, e d’erranti fere ampio soggiorno, e giunse i porti e i lustri in cui le serra perché sia la prigion campo di guerra, e i diletti sian glorie e tutte le sue prede alte vittorie TASSO, Rime, n Nel 1578, il duca Alfonso II d’Este diede incarico di costruire per la terza moglie Margherita Gonzaga, a ridosso dell’argine destro del Po di Gor,o un’imponente tenuta dotata di un palazzo e delimitata da una lunga cinta muraria con torri difensive. Il Castello Estense della Mesola, identificabile come esempio di architettura fortificata, fu edificato all’interno di una vasta riserva naturale e adibito a residenza estiva e di caccia. La sua realizzazione è ancora oggi di incerta attribuzione: fonti recenti sembrano identificare nell’architetto Marcantonio Pasi l’autore sia della progettazione che della costruzione dell’opera; certa è invece l’attribuzione allo stesso Pasi dell’edificazione della cinta muraria della tenuta L’edificio, a pianta quadrata, senza cortile interno, con quattro torri merlate disposte trasversalmente sugli spigoli, è costruito su tre piani e presenta il paramento murario di pietra a vista e tre ordini di finestre rettangolari. La corte esterna è coronata da bassi edifici porticati che, un tempo, ospitavano gli alloggi dei servitori, le stalle, i magazzini ed altre attività complementari alla vita del Castello. Originariamente l’intero complesso, difeso da fortificazioni, bastioni e postazioni per le artiglierie, era recintato da mura lunghe nove miglia, che arrivavano fino al mare e comprendevano al loro interno parte dei boschi e degli acquitrini circostanti. Cantata dal Tasso per le sue bellezze naturali, la tenuta di Mesola rimase di proprietà degli Estensi come bene allodiale anche dopo il termine del Ducato di Ferrara avvenuto nel Nel 1771 Ercole III duca di Modena la diede in dote alla figlia Beatrice d’Este, sposa dell’arciduca Ferdinando d’Austria. Nel 1785, per la lontananza dalla sede imperiale, la Casa d’Austria  la cedette a Papa Pio VI e Mesola divenne patrimonio dello Stato Pontificio. Dopo ulteriori passaggi di proprietà, attualmente il territorio dell’antica tenuta appartiene a privati, mentre il Castello è del Comune di Mesola.

150 LE DELIZIE ESTENSI Le delizie sono residenze in cui gli estensi amavano trascorrere lunghe giornate di svaghi e intrattenimenti. Esse furono anche luoghi di cerimonie, destinati al ricevimento di ospiti illustri, e così pure teatro dei momenti importanti della vita di corte. In realtà questi insediamenti nascondono anche ragioni geopolitiche, infatti, questo sistema di residenze permetteva di coordinare e controllare l’amministrazione dei beni agricoli, come pure lo sfruttamento delle riserve venatorie ( ad esempio il Boscone della Mesola), oppure della pesca, ricoprendo il territorio di baluardi del potere estense Le Delizie, realizzate in un arco di tempo che va dalla fine del Trecento fino alla devoluzione del Ducato di Ferrara (1598), appartengono, con la città di Ferrara e il Parco del Delta del Po, al patrimonio mondiale dell'umanità dell'UNESCO. Alcune sono tuttora intatte e in buone condizioni, alcune sono rovine mentre altre non esistono più. Fra le più note ricordiamo Schifanoia e Belriguardo. La maggior parte erano collegate all'allora capitale Ferrara per mezzo di canali e vie d'acqua.  

151 CENTRO DI EDUCAZIONE AMBIENTALE Realizzato dall’Amministrazione Provinciale di Ferrara nel 1990, il Centro di Educazione Ambientale documenta gli aspetti naturalistici più rilevanti del territorio del Delta, con particolare attenzione al settore ferrarese. Esso è articolato come segue: - Sezione geologica - Sezione sui principali ambienti naturali del Delta ( la spiaggia e la duna, la valle salmastra,la valle d’acqua dolce, il bosco termofilo, il bosco igrofilo) Sezione dedicata a mostre temporanee ed alla proiezione di audiovisivi

152 IL BOSCO DELLA MESOLA Il Bosco delle Mesola, denominato anche Boscone o Gran Bosco della Mesola (1058 ha), si è formato all’incirca a partire dall’anno Mille su una serie di cordoni dunosi separati da depressioni interdunali. Si tratta di una realtà composita nella quale si trovano almeno tre tipologie boschive diverse determinate dalla geomorfologia del suolo. Sulle dune, dove il terreno è caratterizzato da una marcata aridità a causa della falda profonda (bosco termofilo), prevale nettamente il leccio (Quercus ilex), comuni anche la fillirea (Phyllyrea angustifolia) e l’asparago pungente (Asparagus acustifolius). Nelle depressioni interdunali dove l’acqua di falda affiora e può ristagnare per lunghi periodi (bosco igrofilo), si insedia un bosco paludoso caratterizzato nello strato arboreo dal frassino (Fraxinus oxycarpa), dall’olmo (Ulmus minor), al pioppo selvatico (Populus alba) e dalla frangola (Frangola alnus); nello strato erbaceo si trovano le specie tipiche dei prati umidi. Sulle zone spianate da tempo si sviluppa un bosco mesofilo dove le specie dominanti sono il leccio, la farnia (Quercus robur), e i carpini (Carpinus orientalis e Carpinus betulus). Qui lo strato basso arbustivo è scarso a causa della presenza di ungulati ( cervi e daini) pascolanti, compaiono il biancospino (Crataegus monogyna) e il ligustro (Ligustrum vulgare).

153 DUNE DI MASSENZATICA Descrizione e caratteristiche sito Residuo di dune fossili con praterie xeriche e boscaglia termofila, oggi localizzate a 12 km dal mare, testimonianza di una antica linea di costa di circa anni fa. Rimaste insepolte dalla deposizione dei sedimenti successivi, le dune di Massenzatica rappresentano uno dei più antichi e appariscenti complessi dunosi fossili del delta padano, nonché un raro relitto paesaggistico di quel particolare mosaico di ambienti che sino all'inizio del nostro secolo caratterizzava il territorio padano prossimo al delta e alla costa, quando ancora non era stata portata agli estremi la drastica semplificazione operata dall'uomo. Nella aree di prateria, oltre alle specie xerofile, adattate ad ambienti asciutti e soleggiati e spesso comuni nell'area mediterranea, vi sono anche varie specie psammofile, tipiche dei terreni sabbiosi e diffuse nelle dune litorali e in qualche caso in quelle continentali dell'Europa centrale e orientale. Il sito è interamente compreso nella Riserva Naturale orientata Dune fossili di Massenzatica. Habitat e specie di maggiore interesse Habitat Natura habitat di interesse comunitario, dei quali uno prioritario, coprono il 57% della superficie del sito: dune fisse a vegetazione erbacea (dune grigie), prati dunali di Malcomietalia, lande secche (tutti i sottotipi). Specie vegetali. Nessuna di interesse comunitario. Sono segnalate specie rare e minacciate quali Kochia arenaria e Scabiosa argentea. Uccelli. Segnalate 3 specie di interesse comunitario (Pecchiaiolo, Averla cenerina, Averla piccola, di cui solo quest’ultima nidificante). Oltre alle comuni specie residenti, tipiche degli ambienti aperti, anche agricoli, con siepi e macchie di alberi e arbusti, sono state rilevate una decina di specie migratrici. Invertebrati. E’ presente il Lepidottero Ropalocero Lycaena dispar, specie di interesse comunitario legata agli ambienti palustri. Tratto da:

154 LAGO DELLE NAZIONI – PRATI DI SPIAGGIA ROMEA   L’ambiente Il Lago delle Nazioni è un lago salmastro che si estende per circa 90 ha tra la Pineta di Volano e la strada Acciaioli che costeggia il complesso di Valle Bertuzzi. Il lago è il residuo della Valle Volano, una valle salmastra formatasi nella parte sud-orientale dell’apparato deltizio del Volano e sviluppatasi nel Basso Medioevo e nel Rinascimento. La valle, generatasi soprattutto per ingressione di acque marine, ha cambiato più volte forma a causa della retrocessione del litorale conseguente la crisi del Po di Volano (dopo la Rotta di Ficarolo del XII secolo) e rimase a lungo in diretto contatto con il mare attraverso la cosiddetta Bocca del Bianco ostruita nel La Valle Volano (oltre 300 ha) è stata bonificata nel 1963 e il Lago delle Nazioni (90 ha) è stato sistemato alla metà degli anni ’60 per essere adibito ad attività sportive e turistiche. In due anni di lavori fu escavato il fondo (in alcuni punti fino a 6 m) e sistemato il perimetro con la costruzione, nell’area meridionale, di un banchina in cemento. II ricambio delle acque avviene per mezzo di un canale che mette capo alla foce del Volano in località Taglio della Madonnina (Bondesan in Corbetta 1990, Vianelli 1988). Per Prati Spiaggia Romea si intende l’area orientale della ex Valle Volano (oggi Lago delle Nazioni), un tempo occupata da cordoni litoranei, è stata in parte manomessa negli anni ’60 per creare le infrastrutture necessarie ad una urbanizzazione per fini turistici, fortunatamente non avvenuta (Vianelli 1988). Oggi l’area è occupata da prati umidi salmastri, utilizzati per l’allevamento semi brado di tori e cavalli Delta Camargue. La flora Il Lago delle Nazioni è quasi ormai privo di vegetazione acquatica e palustre. La sua sponda orientale, sfuggita alla costruzione di un grande villaggio mantiene una vegetazione residua costituita prevalentemente da cannuccia di palude (Phragmites australis). Il settore tra il Lago delle Nazioni e la Pineta di Volano, denominato Prati di Spiaggia Romea, è in gran parte occupato da seminativi l’area NO, e da una vegetazione alofila e alotollerante. Nelle zone più depresse con suoli limosi lungamente inondati durante l’anno e con un periodo di disseccamento estivo sono comunità di alofite annuali dominate da Salicornia patula con poche specie compagne (Sint. Suaedo maritimae-Salicornietum patulae). Nelle zone inondate, salmastre o salate, si insediano prati salsi a Juncus maritimus accompagnato da Aster tripolium, Limonium serotinum, Puccinellia palustris (Sint. Puccinellio festuciformis-Juncetum maritimi). Nelle aree a suolo sabbioso pressoché dissalato, saltuariamente inondate da acque stagnanti, si insedia una fitocenosi rara e localizzata a Juncus maritimus e J. acutus (Sint. Juncetum maritimum-acuti), interessante anche per la presenza di orchidee (Corticelli 1999, Pellizzari e Pagnoni 1998). La fauna Fino alla metà degli anni ’70 il Lago delle Nazioni era un sito di svernamento di importanza nazionale per molte specie di anatidi ed in particolare per moretta e moriglione presenti con contingenti di diverse migliaia di individui. Oggi sfortunatamente non presenta emergenze faunistiche di rilievo, lo specchio d’acqua è frequentato da pochi individui di specie ubiquitarie come gabbiano comune, gabbiano reale, germano reale, folaga, cormorano e, in estate, sterna comune e fraticello. I Prati di Spiaggia Romea vengono generalmente esclusi dai censimenti dell’avifauna, ma da sopralluoghi effettuati si è visto che son frequentati da germano reale, folaga; in inverno dall’alzavola, in estate da cavaliere d’Italia, avocetta. I prati umidi sono frequentati durante le migrazioni da limicoli come pettegola, totano moro, combattente e pittima reale. Grazie alla presenza di cavalli e tori camarguesi è stato uno dei primi siti nel delta frequentato da aironi guardabuoi. TRATTO DA :

155 PO DI VOLANO E LITORALE   L’ambiente Il comprensorio comprende un insieme eterogeneo di ambienti molto diversi tra loro che vanno dall’ambiente di Pineta alla laguna salmastra, dall’incolto agli scanni sabbiosi e le spiagge di Lido di Volano. Oltre lo Scannone, la spiaggia di Volano si incunea nella Sacca di Goro con un’ampia superficie, caratterizzata da modesto spessore idrico e coperta da puccinellieti e spartineti. La Pineta di Volano (169 ha) appartiene alla Riserva Naturale Statale denominata “Po di Volano”, è situata a SE della Foce del Volano e si estende verso S per 6 km tra l’abitato di Volano, il Lago delle Nazioni e il mare fino alla località “Bocca del Bianco”. Tutta l’area è posta su cordoni dunosi di recente formazione, questi arenili in continuo movimento a causa del vento furono rimboschiti nel , dal Corpo Forestale, con pino marittimo e domestico (Pinus pinaster e P. pinea) con la funzione di costituire una fascia frangivento. L’area è pervenuta alla Azienda di Stato per le Foreste Demaniali in due tempi: nel 1931, con atto di trasferimento di arenili da rimboschire dalla Amministrazione della Marina Mercantile per circa 146 ha, nel 1953, con l’acquisto di 23 ha di pineta da un privato. Successivi rimboschimenti furono effettuati negli anni ponendo a dimora lungo le zone perimetrali esemplari di pino marittimo e pino domestico nelle zone più interne e riparate. Nel 1966, in conseguenza di una violenta mareggiata, le zone più depresse della Pineta furono invase dalle acque salse che causarono gravi danni al soprassuolo boschivo e la morte di molti alberi soprattutto di pino domestico (meno resistente), determinando una maggiore densità di pino marittimo. In seguito (date non conosciute) furono introdotte specie autoctone di leccio e farnia (Mantovani e Pelleri 1991). La parte a nord della Pineta è costituita dalla vecchia foce del Po di Volano, da due lingue di sabbia (barene) ad orientamento SN, dette Scannone di Volano, che accompagnano la vecchia foce nel suo andamento verso la Sacca di Goro. Tutta l’area della vecchia foce e degli scanni è all’interno della Riserva Naturale Po di Volano, il Litorale del Lido di Volano antistante la pineta è zona C di Parco.   TRATTO DA:  

156 Il CARICO   Nella prima sala, al piano terra, si possono vedere gli oggetti di uso quotidiano, da quelli per la manutenzione e la movimentazione della nave (mazzuoli, pialla, accetta, chiodi, caviglie, fasce di lana per le riparazioni, bozzelli e cime per le manovre, scopette per l’acqua di sentina, ecc.), a quelli per il carico e lo scarico delle merci (misure standard, pesi e bilancia, calamai), all’abbigliamento, agli strumenti per l’igiene e la medicina, per pescare, per cuocere e consumare cibi, per passare il tempo libero a giocare d’azzardo.   Nella seconda sala, al primo piano, è esposto il carico commerciale con i 102 lingotti di piombo, la massa delle anfore vinarie, contenitori per vino pregiato resinato, una grande quantità di ceramica comune da cucina e da mensa, il prezioso nucleo di terra sigillata alto adriatica e orientale, profumi, vetro, lucerne e lanterne.   Il carico di piombo trasportato è costituito da 102 pani (massae), di peso variabile tra i 19,500 e 41,500 kg. I lingotti sono tutti contrassegnati da marchi, per garantire il controllo sulla produzione. La più significativa delle punzonature imprime il nome di Marcus Vipsanio Agrippa; il piombo così marcato non può essere rimasto a lungo in commercio dopo la morte dell’illustre personaggio, morte avvenuta nel 12 a.C.. E’questo uno degli elementi che ha consentito di datare il relitto. Il metallo veniva imbarcato a Cartagena (Carthago Nova), il cui entroterra minerario era intensamente sfruttato, e, seguendo rotte di trasporto che potevano toccare le Baleari, lo stratto di Bonifacio, oppure le coste della Mauritania e la Sicilia, giungeva ad Ostia. Successive tappe lo inoltravano laddove era richiesto. L’attività commerciale che si svolgeva a bordo è documentata anche da un singolare ritrovamento: una stadera (statera) a due portate. Numerose le anfore. L’anfora nell’antichità non solo è uno dei più diffusi contenitori domestici ma il principale contenitore per il trasporto su brevi, medi e lunghi tragitti, di derrate alimentari. Olio e vino erano i generi i prima necessità ad oggetto di vasta richiesta. Ad essi si aggiungono salse a base di pesce, frutta secca, olive, miele ed altro ancora. Anche i sei tempietti di piombo erano destinati alla vendita e legati alla devozione popolare, raro esempio di ritrovamento di questo genere. Questi tempietti riproducono sommariamente la struttura di un tempio con basamento, colonne, frontone e cella provvista di porte e finestre. All’interno della cella si trova l’immagine di Venere o di Mercurio. Interessanti anche le due monete ritrovate: una di queste è un asse, che presenta su di un lato la testa di Giano bifronte e sull’altro la prua di una nave. La testa di Giano presenta le fattezze di Sesto Pompeo, è una coniazione dei figli, ed è una moneta che si data al 45 a.C.    

157 CRISTOFORO DA MESSISBUGO
Messi detto Sbugo (come si legge in documenti autografi) nacque a Ferrara sul finire del ‘400, sembra da una famiglia originaria delle Fiandre. Grazie al matrimonio con la nobile Agnese di Giovanni Gioccoli occupò importanti incarichi presso la corte degli Estensi, in veste di amministratore di fondi ducali e soprattutto in qualità di scalco, così da meritare il titolo di Conte Palatino, concessogli dall’imperatore Carlo V nel gennaio del A Ferrare nel 1549, un anno dopo la sua scomparsa, venne pubblicato il suo libro “Banchetti, composizioni di vivande et apparecchio generale”, più volte ristampato fino ai primi decenni del ‘600. La materia illustrata nel trattato è suddivisa in tre parti fondamentali: un discorso introduttivo “Memoriale per fare un apparecchio generale”; un catalogo di dieci cene, tre desinari e un festino, descritti in tutte le loro fasi con relative liste di bevande; una raccolta di trecentoquindici ricette. Il suo libro fu un vero e proprio trattato di costume e una miniera di notizie sul cibo, con preparazioni a volte elaborate e spettacolari, che ben degnamente figuravano nei banchetti di corte. L’autore, dopo la premessa che non spenderà «tempo a descrivere minestre d’ortami e legumi […] che son cose da vile femminuccia», propone sopratutto piatti a quel tempo considerati d’alta cucina. Cristoforo rielabora e inventa ricette, fissa e raffina quelle popolari, adattando ai prodotti locali quelle forestiere ed esotiche. Questo gentiluomo di corte, oltre che del gusto, s’interessava della vista e dell’udito, intercalando i banchetti con piacevoli intervalli di danza o proponendo commedie e musiche.

158 Ricetta originale di Cristoforo da Messisbugo
TORTELLETTI Ricetta originale di Cristoforo da Messisbugo A fare dieci piatti di tortelletti grassi d'altra sorte Piglia il petto d'un cappone allesso, e libbra una e mezza di formaggio duro grattato, e libbra una di formaggio grasso, e libbra una di pancetta di porco allessa, grassa e buona; e pista bene ogni cosa insieme e riponila in un vaso, aggiungendovi poi uova dieci e un poco d'erbe oliose, ben pistate minute con i coltelli, e mezza oncia di cannella, e oncia mezza tra garofani e gengevero e pevere, tanto dell'uno quanto dell'altro; e messederai bene ogni cosa insieme, e ne farai battuto. Poi farai una spoglia sottile, come è detto di sopra nell'altra (n.d.a. nella ricetta precedente); e farai i tuoi tortelletti, piccioli quanto è una nizzola colle gusse o poco più. Poi li porrai a cuocere in buon brodo grasso, giungendovi un poco di zaffarano per dargli il giallo; e li lasciarai bollire per spazio d'un miserere. E poi li imbandirai, ponendogli sopra formaggio duro grattato e cannella e zucchero.


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