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Dott. Elvira Lozupone Università di Roma, Tor Vergata

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Presentazione sul tema: "Dott. Elvira Lozupone Università di Roma, Tor Vergata"— Transcript della presentazione:

1 La Pedagogia sociale in Italia identità, problemi, metodi e prospettive
Dott. Elvira Lozupone Università di Roma, Tor Vergata Università di Granada, Maggio 2009 Dottorato Internazionale in Scienze dell’educazione

2 Le origini: Platone “Non si permette loro di essere liberi finché non abbiano organizzato entro di essi, come in uno stato, una costituzione e coltivando la loro parte migliore con la migliore nostra, non abbiamo insediato nel fanciullo al nostro posto un guardiano e governatore simile a noi. Allora soltanto possiamo lasciarlo libero” (La repubblica libro IX,590c-591a)

3 PESTALOZZI IL PADRE ISPIRATORE
Il suo lavoro presso istituti per bambini svantaggiati e orfani e gli scritti teoretici in particolare di “Leonardo e Gertrude” e “Come Gertrude educa i suo figli” tracciano i punti della sua pedagogia che costituiscono i prodromi del lavoro sociale e della pedagogia sociale: l’importanza dell’influenza dell’ambiente nella formazione e la necessità di attività intenzionali per uno sviluppo positivo del fanciullo che corrispondono alle mete del lavoro educativo sociale

4 Una disciplina giovane
La pedagogia sociale è una pedagogia molto giovane che nasce in Germania a seguito delle profonde trasformazioni derivanti dalla rivoluzione industriale e dai processi ad essa legati di urbanizzazione massiccia, proletarizzazione dei contadini, indebolimento dei vincoli familiari e diffusa povertà. L’intervento pedagogico sociale nasce per sovvenire alle necessità di intervenire socio educativamente in una società profondamente in crisi a partire dal 1874 e prolungatasi per decenni come conseguenza di profonde alterazioni economico-industriali G.Pérez Serrano, Pedagogia sociale. Educazione sociale. Costruzione scientifica e intervento pratico, 2010, Armando, Roma, p.32

5 Il contesto sociale : la rivoluzione industriale
Un importante aspetto del mutamento economico associato alla rivoluzione industriale e all'espansione demografica fu la rapida urbanizzazione. Ciò creò enormi problemi sociali, in quanto all'espansione delle città non corrispose un adeguato sviluppo delle infrastrutture urbane e dei servizi sociali, e la massa dei nuovi immigrati era perlopiù priva di tradizioni urbane.  Lo scarso sviluppo e i costi elevati dei mezzi di trasporto, la proliferazione di occupazioni occasionali e i problemi di approvvigionamento aggravarono le condizioni della popolazione urbana, e la terra sottratta all'edilizia urbana per la costruzione delle linee ferroviarie in un primo tempo contribuì al problema del sovraffollamento nei centri delle città. L'impatto sociale dell'urbanizzazione fu immenso. 

6 Il contesto sociale : la rivoluzione industriale
La povertà, la disoccupazione e gli alti tassi di criminalità nelle città acuirono le paure del ceto medio accrescendone la diffidenza nei confronti degli strati inferiori, considerati socialmente pericolosi. Le differenze di classe furono accentuate dalla segregazione sociale dei quartieri e dall'esperienza di diversi tassi di morbilità e di mortalità. “Nei paesi del vecchio mondo la borghesia credeva fermamente che gli operai dovevano essere poveri non solo perché lo erano sempre stati, ma perché l’inferiorità economica era un giusto e preciso indice di inferiorità di classe” (E.J. Hobsbawn, il trionfo della borghesia, GIUS. Laterza& figli , Roma-Bari, 1976, pp )

7 Il contesto sociale : la rivoluzione industriale
Non meno sentiti dei conflitti di classe erano quelli etnici, ulteriormente acuiti dalle ricorrenti crisi recessive nelle città e dalla crescente competizione per il lavoro tra operai delle fabbriche e lavoranti a domicilio, immigrati e locali, uomini e donne. Secondo un'opinione corrente l'immigrazione urbana spezzava i legami della famiglia estesa contribuendo al crescente isolamento della famiglia nucleare. P. Hudson v. Rivoluzione industriale, Enciclopedia delle Scienze sociali Treccani, vol.VII, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, pp

8 Disterweg-Kerchensteiner: una pedagogia sociale di orientamento pratico
L’obiettivo principale dei primi teorici della pedagogia sociale era tentare di restituire agli individui il governo delle conseguenze che il progresso tecnico produceva negli stili di vita. Questi pedagogisti sembravano puntare al recupero del proprio valore come individui, per il proletariato urbano relegato negli strati più bassi della società; alla formazione al lavoro come attività assunta responsabilmente e non come condizione subita passivamente; rilanciavano il valore dell’ appartenenza alla comunità sociale come molla di un progresso della dignità umana che non si vuole lasciar travolgere dalle costrizioni, dalla passività e dall’anonimato dei nuovi agglomerati urbani.

9 NATORP(1899) Neocriticismo – Scuola di Marburgo
La pedagogia sociale si è costituita come riflessione filosofica, a partire dall’opera di Natorp nel XIX secolo. N. Formalizza l’ identità culturale della pedagogia sociale sul piano teoretico-epistemologico. Il problema fondamentale è quello non solo di “fare incontrare due scienze - Sociologia e Pedagogia, solitamente esteriormente separate - ma anche di dimostrare la loro reciproca unità e inseparabilità fin nelle loro più profonde radici”

10 Natorp intende la pedagogia sociale come sapere specificamente pedagogico in strettissimo rapporto con la filosofia; particolare filosofia dell’educazione orientata da un obiettivo prassico. “L’educazione dell’individuo è socialmente condizionata come una formazione umana della vita sociale è fondamentalmente condizionata da una educazione, dagli individui che ad essa devono prendere parte e che ad essa devono conformarsi.”. P. Natorp, La pedagogia sociale, trad. it. Sauna, Bari, 1977.

11 Durkheim Lo sforzo di D. è confutare la convinzione che vi possa essere “un’educazione ideale perfetta, valida istintivamente per tutti gli uomini” tale sforzo é destinato a fallire perché “analizzando la storia (…) l’educazione ha variato infinitamente, secondo i tempi e secondo i paesi”

12 Ogni società,considerata ad un dato momento del suo sviluppo ha un sistema di educazione che si impone agli individui con una forza irresistibile (…) Per definire l’educazione dobbiamo esaminare i sistemi educativi che esistono o che sono esistiti, confrontarli, mettere in luce i caratteri che sono comuni

13 Perché si abbia educazione occorre che esista la presenza di una generazione di adulti e di una generazione di giovani, nonché di un azione esercitata di primi sui secondi

14 Inoltre: “esistono tante specie di educazioni quanti sono i differenti ambiti sociali di questa società” e l’educazione “varia con la classe sociale o anche semplicemente con l’ambiente” (Durkheim, 1971pp.32-7)

15 L’educazione è allo stesso tempo unitaria e differenziata: unitaria per la sua ubiquità (in tutte le epoche e in tutti gli ambienti; differenziata perché ogni società si fa un certo ideale di uomo di quello che deve essere tanto dal punto di vista morale e intellettuale e questo ideale vale in certa misura per tutti i cittadini. Questo ideale costituisce sempre secondo D. il polo dell’educazione

16 Tuttavia D. che è teso a definire l’educazione come fenomeno sociale, nota come esista una educazione che avviene “per le vie dell’insegnamento propriamente detto”, ma anche un’azione più ampia quasi inconscia che non è delimitabile e circoscrivibile che è l’azione esercitata dai genitori e dai maestri sui giovani che continuamente plasma il bambino a contatto con l’adulto anche quando la relazione non è consapevolmente educativa

17 Concezione durkheimiana dell’educazione
Educazione come influenza esercitata continuamente, in ogni aspetto della esistenza e tempo della vita e in qualsivoglia esperienza relazionale Distinzione tra educazione intenzionale e non intenzionale Educazione come processo unidirezionale: da adulti (genitori e maestri) a non ancora adulti In ogni caso una azione esercitata da una generazione a quella successiva allo scopo di adattarla alla società in cui vive = processo di socializzazione

18 Bertolini: educazione intenzionale
Adulti come professionisti dell’educazione: orientano la crescita dei meno maturi, ma attraverso precisi contenuti d’esperienza , ma attraverso una precisa tavola di valori. Per una simile educazione gli adulti fanno riferimento a sistemi ideologici extraeducativi di tipo religioso, filosofico, o politico.

19 Bertolini: educazione intenzionale
La quarta area è costituita da una esperienza educativa razionalmente fondata nella quale l’intenzionalità si associa ad unità di senso originarie che emergono dalla struttura stessa dell’educazione, autoprodotte non ideologicamente predeterminate o ricavate da altre forme di esperienza umana

20 Tramma 2008: i livelli di intenzionalità
Esp. Intenzionali: consapevole intento di stimolare apprendimento anche prescindendo da metodologie specifiche e predisposizione di ambienti idonei allo scopo. Da famiglia a scuola da corsi di guida a conferenze. Dichiarano esplicitamente i propri intenti presentano spesso un assetto organizzativo (compresenza di docenti e discenti asimmetria di conoscenze, valutazione diretta o indiretta dell’apprendimento

21 Tramma: i livelli di intenzionalità
Ma anche: iniziative molto diversa come qualità struttura modalità attuative che pure hanno l’obiettivo di stimolare nei singoli e/o nella collettività apprendimenti di varia natura: campagne pubblicitarie con obiettivi di educazione sanitaria AIDS, campagne pubblicitarie informative su servizi e opportunità per stimolarne l’accesso; racconti di vite o episodi virtuosi e utilizzo di simboli manifestazioni politiche e culturali per attrarre o inrtimidire o convincere

22 Tramma - Livelli di intenzionalità: esperienze non intenzionali
Generano apprendimento pur non essendovi una chiara esplicitazione dell’intento. All’interno di relazioni tra coetanei, incontro con culture differenti. L’incontro con una persona , uno spettacolo (i film americani) o organizzazione di spazi (centro residenziale o serpentone di Corviale, ma anche i climi all’interno di istituzioni dove avviene educazione intenzionale (lassismo o impegno da parte di docenti nella scuola o genitore che infrange ripetutamente il codice della strada

23 Tramma – Livelli di intenzionalità: esperienze non dichiaratamente intenzionali
Costituiscono una terra di mezzo: l’intenzionalità non è dichiarata , ma esiste. Dalle campagne di disinformazione promosse da politici tramite i media ecc. alla disposizione dei prodotti nei supermercati, atti terroristici, alla promozione delle attività sportive trai giovani per allontanarli “dai pericoli” .

24 Un altro momento di cambio epocale: dalla ricostruzione al Sessantotto
Un altro momento di cambio epocale viene identificato in Italia alla fine del cosiddetto ‘boom economico’che va dal dopoguerra alla fine degli anni ’70. Uscita ferita, come tutte le nazioni coinvolte dal secondo conflitto mondiale, l’Italia pensa alla ricostruzione: ricostruire un paese significa ridare alla collettività, memoria, unità, sviluppo, miglioramento nelle condizioni di vita.

25 Dalla ricostruzione al Sessantotto
Ciò avviene a partire dalla progressiva istituzionalizzazione e si coagula intorno al welfare: accanto al calendario ecclesiastico si fonda un calendario laico di feste nazionali, custode della memoria; lo stato si fa garante dell’assistenza e della coesione sociale attraverso l’assicurazione per tutti di condizioni minime di benessere: assistenza sociale e sanitaria, un fondo pensionistico, assistenza ai disoccupati e agli indigenti. Il patto sociale implica da parte dei cittadini il mantenimento della coesione sociale attraverso l’adesione a percorsi di vita omogenei e stabili, istruzione di base per tutti, famiglia, casa, lavoro, pensionamento

26 La rivoluzione di fine anni Sessanta mette in discussione il patto sociale
nel sistema di welfare si aprano rapidamente delle falle: troppe persone, troppe richieste e l’impossibilità da parte dello stato di evaderle,) il ritrovato ed accresciuto benessere, l’innalzamento del livello di istruzione giova all’autocoscienza degli individui che iniziano a sentirsi stretti nelle maglie del Patto sociale

27 Valorizzazione dell’individualità e deistituzionalizzazione
il mito dell’autorealizzazione, della creatività, dell’iniziativa personale, l’emergere della soggettività, di percorsi di vita autonomi, (la liberazione sessuale) lo svilimento della famiglia patriarcale e dei padri stessi, denunciata dalla psicoanalisi le cui importanti acquisizioni diventano di dominio comune (moscovici le rappresentazioni sociali), la descolarizzazione (illich), la generale deistituzionalizzazione

28 Anni di piombo Gli anni a cavallo tra il Sessanta e il Settanta con la fine del trentennio d’oro figurano tra le pagine più buie nella storia d’Italia con le lotte eversive e nel resto del mondo con la guerra fredda e i connessi timori per la corsa agli armamenti e il rischio atomico.

29 Svolta antropologica Questi fatti segnano l’ingresso in un’epoca caratterizzata da quella che si potrebbe definire la ‘svolta antropologica’ del Novecento caratterizzata dalla fine delle ‘grandi narrazioni’ e dallo sviluppo dell’individualismo, unitamente alle spinte filosofiche del relativismo e del pensiero debole.

30 Pedagogia sociale: un ruolo critico
Di fronte ai caratteristici movimenti di ‘massa’, e la messa in discussione generalizzata delle istituzioni in tutte le loro forme, la pedagogia sociale si attribuisce un ruolo critico, nei confronti di un progresso che non tiene conto delle conseguenze sulle categorie minoritarie e solleva questioni che riguardano l’attenzione agli individui come tali come prevenzione dai rischi di riproduzione dell’esclusione sociale all’interno delle scuole denunciati da D. Milani.

31 Verso la fine del XX° secolo
“Tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio degli anni Settanta assistiamo ad un processo di complessificazione, articolazione e differenziazione del sapere pedagogico” e, dalla pedagogia come scienza dell’educazione, al singolare,  si passa alle scienze dell’educazione, al plurale. In Italia il teorico di questo passaggio alle scienze dell’educazione è Visalberghi il quale non solo applica alla sua enciclopedia pedagogica il nuovo concetto di scienza consistente sostanzialmente in assunzione di un metodo per dare conto di concetti organizzati in strutture logiche. La Pedagogia Generale non si perde nello schema di Visalberghi, ma ne rimane l’imprescindibile premessa filosofica, come un indispensabile cappello teorico. A. Visalberghi (a cura di) Pedagogia e scienze dell’educazione, Mondadori, Milano 1978

32 Inizio dell’era della globalizzazione economica (1989)
L’ingresso nella cosiddetta era della globalizzazione si colloca convenzionalmente alla fine degli anni Ottanta a seguito della caduta del muro di Berlino nel 1989 L’effetto più evidente della globalizzazione è l’interdipendenza sempre più forte, tra piani diversi della realtà sociale, economico–finanziaria, politica e ambientale in differenti contesti del mondo. I processi di globalizzazione, pur determinando effetti positivi, tendono ad aggravare gli squilibri socioeconomici e a rendere la politica subalterna all’economia

33 L’ingresso nel Terzo Millennio
Gli anni a cavallo della svolta del secolo coinvolsero il mondo pedagogico a ‘tirare le fila’ della ricerca compiuta al fine di tracciare i possibili orizzonti per sviluppo sociale nel suo insieme e dello sviluppo teoretico della disciplina

34 Quella del terzo millennio sarà probabilmente una società consensuale (…) al cui interno i pochi specialisti e tecnocrati che lavoreranno conteranno di più, ma tutti gli altri svolgeranno compiti più opportunamente adeguati a se stessi , al loro modo di essere quindi al loro tempo storico. Essi non saranno abbandonati dai “pochi” a se stessi: anzi l’otium sarà considerato fulcro dell’esistenza e consisterà in un insieme di attività ludiche e ricreative, cmq in un insieme di occasioni in grado di coprire proficuamente il tempo liberato dal facchinaggio delle attività lavorative e dal peso della sopravvivenza per far durare le istituzioni della società M. L. Iavarone , M. Striano Questioni di pedagogia sociale , 2000, p24

35 Difficile ancora oggi stabilire uno statuto epistemologico preciso per la pedagogia sociale…
La pedagogia oggi va assumendo il carattere della complessità che caratterizza la nostra società e, se prima era legata allo studio del bambino e alla preparazione del maestro,come pure alle grandi riforme legate al sistema scolastico, oggi è spinta ad aprirsi alle diverse età della vita, non solo all’infanzia o all’adolescenza ma anche all’adultità e alla vecchiaia, e ai diversi ambienti di vita, scolastici ed extrascolastici, formali e non formali, sempre alla ricerca di nuovi contenuti educativi quali quello dell’educazione per tutta la vita, l’educazione alla convivenza democratica, l’educazione interculturale, l’educazione alla pace… Tutto il campo dell’educazione si è dilatato, comprendendo una molteplicità di soggetti e di contesti. Per questa ragione, in fase di studio e di ricerca, si privilegia un approccio multidisciplinare alle problematiche educative, sempre più definibile dalla categoria della complessità.

36 La pedagogia sociale , oggi
In questa nostra stagione definita, sia pure con varie accezioni e sfumature, dalla complessità e dalla globalizzazione le grandi masse finanziarie di investimento condizionano la vita di intere popolazioni, la loro identità culturale, lo stile di vita, spesso la sopravvivenza. Gli aspetti formativi di questa eterogenea e dinamica realtà sociale diventano di importanza essenziale sia nella lettura dei fenomeni sia nella proposta e nella protesta di un sapere pedagogico che si fa intervento sociale. Le sue aree di intervento – dalla scuola come istituzione sociale, alle varie agenzie formative, all’associazionismo al volontariato ecc.. – riguardano tutte le questioni già affrontate dalla pedagogia generale ma colte entro linee prospettiche sociali, mentre nelle istanze sociali si cerca di cogliere il fenomeno educativo.

37 Izzo “la pedagogia Sociale si distingue dalla pedagogia generale in quanto, pur condividendone l’intero apparato teorico, rileva e approfondisce quelle tematiche che si riferiscono all’impegno educativo in seno alla realtà sociale. L’unità e la specificità epistemologiche della pedagogia sociale nascono dal rapporto dell’educazione con i condizionamenti e i bisogni macro e microsociali. Studiare, ad esempio, i condizionamenti (positivi o negativi) in ordine al successo della crescita umana, nella conquista della libertà, ecc. derivanti dall’estrazione sociale dei soggetti, dalla loro cultura di origine (in rapporto al monoculturalismo, al monolinguismo ufficiali), dai metodi didattici più o meno improntati alla pratica del dominio (vedi Freire) e dalla passivizzazione-omologazione dei mass-media, ecc, significa aprire la strada ad una concezione e ad una prassi della vita educativa più conformi ai bisogni del mondo in cui viviamo. L’esperto di pedagogia sociale (…) prende consapevolezza dei dati di una determinata situazione, del comportamento delle persone singole e dei dinamismi interni ai gruppi sociali con l’impegno di realizzare le migliori condizioni possibili per i processi formativi”. D. Izzo individua quattro indirizzi di ricerca propri della pedagogia sociale, quali: la riflessione sull’educazione in genere, quella sull’educazione nella società, attraverso e per la società, quella sui casi di necessità, nel senso sia del soccorso che della prevenzione, quella, infine, come aiuto per formare l’uomo alla socialità, al senso di appartenenza, alla responsabilità civile, al servizio verso gli altri. Cfr. D. IZZO, Manuale di pedagogia sociale, Bologna, Clueb,1997.

38 Sarracino “La pedagogia Sociale, quindi, mentre si preoccupa di fornire indicazioni etiche, sociali, politiche, economiche, culturali che valgano a delineare il profilo dell’homo novus per le future generazioni, di un cittadino che partecipi attivamente alla realizzazione del bene comune, non si astiene dall’indicare di volta in volta, alle istituzioni scolastiche e formative deputate allo scopo e agli operatori che in esse operano, da un lato, e alle comunità locali nel loro complesso, dall’altro, quali debbano essere i temi prioritari da affrontare e quali le ricerche da condurre per garantire una migliore qualità della vita (…) L’obiettivo di fondo, in questo caso è quello di favorire lo sviluppo di un lifelong learning che possa realizzarsi all’interno di una learning community, di una comunità che educhi se stessa in una perenne ricerca di sopravvivenza, di stabilità di trasformazione, di sviluppo civile, di felicità” V. Sarracino, Identità e problemi della pedagogia sociale, in M. L. Iavarone, V. Sarracino, M. Striano, Questioni di pedagogia sociale, Milano, Angeli, 2001, p. 17 .

39 Santelli Beccegato Altri contributi come quello della Santelli Beccegato sottolineano una compenetrazione della visione pedagogico sociale nel più ampio discorso pedagogico generale. Il ricercatore, negli ambiti pedagogici, non può prescindere da uno sguardo attento alle dinamiche sociali che connotano la società in cui vive e per la quale egli si impegna a contribuire mediante apporti migliorativi. L. Santelli Beccegato, Pedagogia sociale e ricerca interdisciplinare, La Scuola, Brescia,1979

40 Gramigna Gramigna sottolinea la funzione emancipativa della pedagogia sociale rispetto alle ideologie di ogni tipo, soprattutto quelle inconsapevoli e implicite: “Si profila così un processo di chiarificazione del reale e di coscientizzazione delle genti secondo una tensione che dovrebbe essere caratterizzante ogni scienza prassica, una tensione militante, sperimentale e sostanziata da una trama teoretica profondamente intrisa di senso morale” A. Gramigna, Manuale di Pedagogia sociale, Armando, Roma, 2003, p. 30.

41 L. Pati, quali possono essere gli ambiti della riflessione pedagogico-sociale?
Orientamenti pedagogico-educativi atti a formare l’uomo come cittadino, coniuge, genitore, lavoratore, ecc. (educazione degli adulti, scuole per genitori, progetti con particolari finalità educative da attuare all’interno delle scuole di ogni ordine e grado). Un secondo argomento è quello che studia i modi per favorire il miglior adeguamento delle istituzioni alle esigenze di umanizzazione dei soggetti che ne fanno parte. Le varie istituzioni (famiglia, scuola, extra-scuola, governo, enti locali, servizi sociali, luoghi di lavoro, associazioni, volontariato) vengono studiate in relazione a ciò che le stesse potrebbero fare per favorire i processi di formazione delle persone in esse presenti (come ad esempio i consultori familiari, i centri di mediazione familiare, i centri per le famiglie). Un terzo campo può essere quello che si occupa delle variabili che favoriscono nella società uno stile di funzionamento sempre più a misura d’uomo. La politica, l’economia, la giurisprudenza sono analizzate secondo la loro valenza e i loro effetti educativo-formativi sulle persone, promuovendo anche momenti di confronto con gli esponenti dei vari organi per attuare piani di azione efficaci ed efficienti Cfr. L. PATI, Dalla “pedagogia generale” alla “pedagogia sociale della famiglia”, in L. PATI (a cura di), Ricerca pedagogica ed educazione familiare. Studi in onore di Norberto Galli, Milano, Vita e Pensiero, 2003, pp e, sempre dello stesso Autore, La politica familiare nella prospettiva dell’educazione, Brescia, La Scuola, 1995, pp

42 Alessandrini: la ricerca dei nessi tra la educabilità dell’individuo e le caratteristiche del sociale in un determinato momento storico. Alcune domande fondamentali necessarie a delineare l’oggetto della pedagogia sociale: Quali siano le influenze che i gruppi primari e secondari come la famiglia e il gruppo dei pari hanno sull’individuo; quale il ruolo di Internet e delle nuove tecnologie nei rapporti tra le persone; come avvengono i processi di condizionamento delle masse e in che misura tali processi agiscono sulla persona e quindi: quale il ruolo dell’educazione in questa particolare contingenza? Quale il ruolo tra educazione e condizioni di continuo mutamento nella società, tra valori religiosi e politici e comportamenti nei confronti dei gruppi e delle minoranze, quali gli effetti delle dimensioni dell’economia e della finanza sul cambiamento dei rapporti di produzione e degli stili di vita. In che modo questi fenomeni complessi incidono sulle prassi educative relativamente ai giovani e agli adulti nella società in cui viviamo? Quale il ruolo dell’educabilità dell’individuo e a quali trasformazioni all’interno di essa si va incontro in seguito alle spinte presenti in una società multietnica e multi razziale? G. Alessandrini, Pedagogia sociale, Carocci, Roma 2003, pp

43 Per riassumere… I contributi riportati si distinguono proprio per le sfumature che vengono dal privilegiare un aspetto o l’altro secondo i connotati specificamente ideologici (Alessandrini, Pati, Santelli Beccegato incarnano una visione cattolica e personalistica; Gramigna , Izzo e Sarracino ne incarnano la connotazione laica) che contraddistinguono i diversi autori: Izzo sottolinea i condizionamenti più o meno espliciti che la società esercita sull’individuo e auspica l’intervento pedagogico sociale in senso svincolante, emancipatorio da pratiche di dominio più o meno esplicite messe in atto dai media e dalla società nel suo insieme. Alessandrini identifica il proprium della pedagogia sociale nell’educare “Mediante e per la società” cioè attraverso quello che si offre ai nostri occhi mediante una analisi dei processi macro e micro sociali “in funzione” di un soddisfacente inserimento nella società. Alessandrini e Gramigna ne sottolineano poi due aspetti diversi e complementari: che la pedagogia sociale si ponga l’obiettivo di una presa di coscienza soprattutto rispetto ai vincoli di carattere implicito imposti dalle caratteristiche sociali attuali, ma con un atteggiamento di pluralismo cioè di apertura all’altro e di dialogo pragmatico, orientato all’azione e al concreto.

44 Esistono punti fermi nel dibattito epistemologico intorno alla pedagogia sociale?
La pedagogia sociale nasce e si sviluppa in momenti di mutamento socio-economico-culturale argina e contrasta le derive anti-umanistiche promuovendo una cultura antropologicamente orientata; si pone come elemento regolatore del cambiamento in dialogo con le istituzioni educative e i referenti del mondo politico ed economico Una volta assestatesi le fasi di cambiamento, la pedagogia sostiene la barra del timone dello sviluppo della Persona,

45 Esistono punti fermi nel dibattito epistemologico intorno alla pedagogia sociale?
promuove lo sviluppo di una coscienza e responsabilità autonoma dell’individuo in relazione, nelle organizzazioni scolastiche e non scolastiche, e nei gruppi e organizzazioni con differente grado di formalizzazione contrasta i processi di marginalizzazione ed esclusione, Promuove una piena integrazione per tutti in vista di un esercizio di cittadinanza attiva e responsabile, anche nella dimensione ecologica, fa opera di prevenzione primaria,secondaria e terziaria, in relazione all’apertura di possibili sacche di disagio: crea benessere, restituisce al benessere e contribuisce al mantenimento del benessere individuale e alla coesione sociale. Possiede un carattere fortemente legato alla progettualità e all’intervento sociale.

46 Esistono punti fermi nel dibattito epistemologico intorno alla pedagogia sociale?
Aiuta, protegge, promuove tutte le età della vita, tutte le condizioni sociali, in tutti gli ambienti sociali : si costituisce come pedagogia degli ambienti perché gli ambienti sociali formano a diversi livelli di intenzionalità in quanto luoghi di formazione, ma si pone come pedagogia negli ambienti come lavoro di restituzione e costituzione di rispetto e promozione della dignità della persona nelle situazioni in cui per diversi motivi la garanzia di protezione del ‘valore uomo’ rischia di venir meno o è venuta meno

47 Quali ambiti di intervento
“Gli ambiti di ricerca e di intervento della pedagogia sociale non sono elencabili una volta per tutte. Permanente è soltanto il criterio col quale è possibile riconoscere tali ambiti: E’ un vero e proprio agire pedagogico che non si limita alla teorizzazione, alla riflessione o ai buoni propositi: è un’educazione in funzione sociale con ricerche ed interventi indirizzati a questo scopo. Il pedagogista sociale pertanto può interessarsi dei gruppi nella loro formazione ed evoluzione, delle istituzioni nella loro struttura e nelle varie forme della loro partecipazione, del lavoro nelle sue molteplici occasioni di formazione, della educazione popolare come innalzamento medio culturale e come coscientizzazione. (…) Il ruolo della pedagogia sociale è visto in prospettiva sia nelle istituzioni intenzionalmente educative sia in quelle alternative alla istruzione ufficiale. (…) La pedagogia sociale ha avuto uno sviluppo parallelo ad altre teorie sociali dall’economia al diritto, alla sociologia, alla scienza politica, alla medicina sociale, ecc.. La sua ricerca si estende da problemi specifici della famiglia, della gente e delle comunità alla pedagogia del lavoro, all’educazione degli adulti, alle teorie dell’organizzazione, ecc. La pedagogia sociale, si occupa, in altri termini, di contenuti e dei metodi della formazione dei soggetti con particolare attenzione ai contesti sociali nei quali essa si compie attraverso le varie fasi di esistenza del soggetto

48 I luoghi della formazione
Per quanto riguarda i diversi luoghi della formazione è possibile distinguere l’ambito dell’educazione formale e quello dell’educazione non formale. Per quanto riguarda i tempi ci si riferisce all’età evolutiva e all’età adulta nella quale è compresa anche la terza età. Il campo dell’educazione formale comprende un sistema di istruzione formalizzata che, si identifica in gran parte nel sistema scolastico nazionale, si caratterizza per la sua forte intenzionalità, deputato alla formazione dei giovani attraverso curricoli e programmi istituzionali, e finalizzato al rilascio di attestati e titoli riconosciuti. Sempre nel campo formale, oltre all’età evolutiva, si può fare riferimento ad una formazione, ugualmente intenzionale, che si rivolge però agli adulti, finalizzata a problemi di alfabetizzazione (legge delle 150 ore) ma soprattutto a carattere professionale (formazione aziendale, tecnica, manageriale, ma anche formazione degli insegnanti e formazione dei formatori) definita generalmente, formazione continua. Il campo dell’azione non formale, riferita all’età evolutiva, comprende tutte quelle opportunità educativo/formative legate al territorio considerato come extrascuola; a livello di età adulta vanno invece considerati tutti quegli interventi che possono realizzarsi all’interno di ambiti specifici (…) o che sono destinati a particolari categorie (tossicodipendenti, anziani, extracomunitari, disoccupati, ecc..). Il quadro dell’azione informale fa riferimento, invece, a tutti quegli apprendimenti naturali, spontanei, informali, di tipo ecologico, che producono saperi, parte di un curricolo implicito a forte caratterizzazione esperienziale (M. L. Iavarone, La formazione come processo e come organizzazione: approcci metodologici in pedagogia sociale, in M. L. Iavarone, V. Sarracino, M. Striano, (a cura di), Questioni di pedagogia sociale, cit., p. 32/33)”.

49 Metodi La ricerca-azione si ricollega al modello anglosassone dell’Action-learning che punta a realizzare un rapporto circolare tra apprendimento e azione attraverso un potenziamento, dell’apprendimento dall’esperienza e una modalità di promozione del cambiamento basato sulla nozione dell’imparare facendo. Sull’impiego della ricerca-azione, si traduce in processi fortemente orientati al cambiamento di comportamenti ed atteggiamenti di soggetti coinvolti. In questo modello il cambiamento, oltre ad avere una dimensione conoscitiva, assume una forte valenza tasformativa che sottolinea l’importanza di coniugare il progetto scientifico a quello sociale attraverso il riconoscimento dei bisogni individuali all’interno di quelli del gruppo” . (M. L. Iavarone, La formazione come processo e come organizzazione: approcci metodologici in pedagogia sociale, in M. L. Iavarone, V. Sarracino, M. Striano, (a cura di), Questioni di pedagogia sociale , p.35/36). pp.. 34/35).

50 La ricerca - azione (…) La ricerca-azione si pone, quindi, in maniera alternativa rispetto alla ricerca sperimentale classica. Quest’ultima si basa, infatti, su un paradigma di tipo positivista, si sviluppa secondo un disegno lineare, adotta metodi quantitativi per la verifica delle ipotesi in quanto nomotetica, cioè tesa a pervenire a leggi generali. Mentre la ricerca-azione, che si basa su un paradigma di carattere fenomenologico, cerca di studiare anche gli aspetti non-cognitivi della personalità umana, difficilmente indagabili con strumenti quantitativi. ( L. Iavarone, La formazione come processo e come organizzazione,cit., p.35/36). In sostanza essa è sorta e si è affermata a causa di due ordini di problemi: a) la ricerca sperimentale richiede di poter essere conclusa prima di trovar applicazione, Questo significa che è sempre in ritardo rispetto alle necessità della pratica educativa, e che i risultati devono essere adattati ad una realtà che non vi coincide; b) l’unicità della persona rende ogni risultato di ricerca solo parzialmente trasferibile e utilizzabile. Data l’impossibilità di far coincidere lo svolgimento della ricerca con l’azione, si è adottata la soluzione di tentare la trasformazione della realtà nel momento stesso in cui la si indaga, con l’evidente rischio, sul piano epistemologico, di privilegiare il risultato operativo rispetto alla fondatezza dell’ipotesi teorica. La generalizzazione dei risultati è, tuttavia, per la ricerca-azione, meno importante della documentazione dell’esperienza.

51 L’apprendimento organizzativo
Un altro approccio metodologico che fa leva sulla partecipazione attiva sia in ambito di ricerca che di formazione è quello relativo all’apprendimento organizzativo: “ In una prospettiva di pedagogia sociale tale approccio appare particolarmente funzionale alla definizione non solo e non tanto di metodi di indagine sui processi e sui contesti di formazione, ma anche al disegno ed all’attivazione di itinerari formativi in cui l’apprendimento e il cambiamento avvengano attraverso pratiche condivise e finalizzate. L’apprendimento organizzativo, infatti, è una modalità che favorisce l’acquisizione del nuovo, non per il tramite di interventi esterni ma attraverso processi che si realizzano all’interno di setting formativi. Secondo tale approccio è possibile superare modelli organizzativi a livello sia professionale che sociale di tipo burocratico, autoritario, in cui il nuovo discende dall’alto e quindi non passa per l’interiorizzazione del gruppo, al fine di pervenire ad una situazione in cui ciascun soggetto è democraticamente coinvolto nel processo di apprendimento-azione-cambiamento. (M. L.Iavarone, La formazione come processo e come organizzazione,cit., p. 39).

52 Apprendimento collaborativo
L’utilizzo dei linguaggi multimediali , non comporta, un significativo aumento del grado di interazione con i docenti dei corsi e meno che mai degli studenti tra di loro, che rimangono l’uno isolato dall’altro, tranne che nei rari incontri faccia faccia, esattamente come nei corsi di prima generazione. Il vero salto qualitativo si ha invece con i sistemi di formazione in rete o di terza generazione. La on-line education e l’utilizzo del computer conferencing system danno allo studente la possibilità di superare la condizione di isolamento e di inserirsi in un contesto collettivo, dove il dialogo studente-studente permette a ciascuno di usufruire dell’intelligenza collettiva che scaturisce dal gruppo. L’apprendimento on-line può, quindi, essere soprattutto collaborativo e cooperativo ( E. Corbi, La formazione a distanza e nuove tecnologie nella formazione continua, in M. L. Iavarone, V. Sarracino, M. Striano, (a cura di), Questioni dipedagogia sociale, cit., pp. 150/151

53 Approccio autobiografico
Nei luoghi dell’educazione, dalla scuola alla famiglia, dai servizi per l’infanzia o l’adolescenza in difficoltà il metodo autobiografico si rivela sempre più un approccio pedagogico. Raccontare la propria storia di vita sviluppa consapevolezza, processi cognitivi inusuali (il pensiero narrativo)il desiderio di narrazione e il piacere della scrittura soltanto per sè

54 Non c’è ambito di formazione che disconosca l’utilità e l’importanza delle pratiche narrative, per almeno tre ordini di motivi Per ammissione da parte delle scienze fondate su metodi quantitativi che anche l’individuale, il soggettivo, deve trovare posto e riconoscimento L’individuo raccontandosi ci dice molto più di quello che espone verbalmente: che cosa descrive e come lo descrive. Un’ autopresentazione scritta od orale anche se breve può indicare attraverso l’analisi delle parole e il loro distribuirsi e ordinarsi nel testo, filosofie di vita sfondi ideali e concezioni del mondo

55 Il pensiero narrativo La mente è predisposta per istinto a tradurre l’esperienza in termini narrativi . Si tratta di una strategia conoscitiva che costruisce storie come modelli interpretativi della realtà. La struttura narrativa del pensiero non è solo funzionale alla comprensione della realtà: essa interviene anche nella costruzione del concetto di sé e dell’identità. Dopo il secondo anno di vita il bambino costruisce monologhi così riesce a mantenere e rinforzare progressivamente la sua struttura mentale

56 L’educatore auto - biografo
L’educatore diviene uno “scrivano intelligente”. Da una prima fase nella quale si invitano i narratori a raccontare ciò che desiderano si passa all’approfondimento che avviene attraverso “buone domande” volte alla progressiva chiarificazione e all’approfondimento di un episodio. L’educatore non si limita ad interagire assistenzialmente con la sofferenza il danno emotivo o cognitivo. Negli ambiti nei quali questa tecnica si attua (storie di senza fissa dimora, di tossicodipendenti, di persone da orientare e da ri-orientare) il suo compito è di turbare il passato, il presente e il futuro delle persone inserendole in una progettualità e attivare forme d’aiuto e auto-aiuto che risvegliano autonomia, indipendenza, senso di potercela fare D. Demetrio (a cura di) L’eucatore auto(bio)grafo. Il metodo delle storie di vita nelle relazioni di aiuto, Unicopli, Milano 1999

57 Network analysis e lavoro di rete

58 Maguire: Il lavoro sociale di rete
“un processo finalizzato che tende a legare tra loro tre o più persone mediante connessioni e catene di significative relazioni interpersonali”. Il concetto di rete sociale, è antico come la civiltà e riguarda l’intreccio di legami attraverso i quali gli individui sono in grado di ricevere sostegno emotivo, aiuti materiali, informazioni, servizi o ulteriori connessioni con altri elementi della rete

59 Legami diadici Le variabili caratteristiche dei legami diadici sono:
Multiplessità (multiplexity), che descrive la quantità di ruoli o relazioni che mettono in connessione due persone (parente e coinquilino; collega di lavoro e fidanzato...) Simmetria (simmetry), che descrive il rapporto di potere e di vantaggio tra due persone Intensità (intensity), che descrive il grado di coinvolgimento nel rapporto.

60 Dimensioni che costituiscono una rete
Le variabili impiegate per descrivere le reti nel loro insieme sono: Ampiezza (range), ovvero il numero di attori coinvolti in un legame Densità (density), che descrive il rapporto tra il numero di relazioni (effettive) riscontrate rispetto alle relazioni possibili. Interconnessione (reachability), ovvero il numero medio di legami necessari per connettere due attori nel percorso più breve Settorialità (clustering), ovvero il grado in cui l'intera rete può essere divisa in comparti

61 Reti formali

62 Rete informale

63 Sistema Formale di aiuto che comprende insegnanti, psicologi, medici, educatori ed assistenti sociali Sistema Informale di aiuto: parenti ed amici “Natural helpers” e volontari, gruppi parrocchiali forniscono il proprio sostegno (spesso senza chiedere nulla in cambio) costituiscono già una forte spinta al cambiamento.

64 Lavoro di rete con adolescenti
“L’azione con le reti non costituisce un trattamento in se ma piuttosto un supporto indiretto alle varie modalità di aiuto che il soggetto riceve, e deve essere usata congiuntamente alle altre forme di aiuto o alle terapie di tipo tradizionale”

65 Vantaggi della rete con gli adolescenti
le reti contribuiscono a mantenere l’identità. Un individuo inserito in una rete sociale riccamente connessa ed omogenea riesce a preservare con maggiore efficacia il senso della propria identità. Ciò è di grande aiuto con un adolescente, poiché molte delle problematiche relative alla condotta, in questa fase, dipendono dalle influenze di agenzie educative che forniscono modelli e regole diversi o addirittura discordanti tra loro. la rete offre effetti protettivi e preventivi del disagio psichico

66 Vantaggi della rete con gli adolescenti
In secondo luogo, i membri di una rete ben connessa possiedono una maggiore possibilità di comunicare, dialogare ed attivare processi di coinvolgimento affettivo In terzo luogo, chi appartiene ad una rete “densa” è facilitato nella capacità di accesso a risorse di natura materiale

67 Vantaggi della rete con gli adolescenti
la rete è un eccezionale luogo di scambio di informazioni e consente l’incrocio di dati ricavati da differenti punti di vista La quinta ed ultima funzione della rete è quella di agire da “nodo di accesso” ad altre reti (le reti secondarie) collegate ai membri della rete primaria, consentendo di estendere la portata della rete e delle sue possibilità di aiuto

68 Identificazione, Analisi della rete e Linking
Nella fase di identificazione “si fa il conto” di tutte le persone che saranno disposte ad aiutare il soggetto e di tutte quelle relazioni significative grazie alle quali si potrà ricevere disponibilità ed aiuto. Ciò dipende da 5 parametri: Dimensione della rete → il numero delle possibili connessioni, si stabilisce chiedendo all'utente Base delle relazioni → la cerchia delle relazioni nelle cnque aree (parenti, amici, colleghi, vicini, altre persone) Risorse → disponibilità di contatti, informazioni e accesso ad altre reti sociali da parte della rete primaria Capacita della rete → le risorse di empatia, interessamento genuino, affetto e comprensione Grado di disponibilità all'aiuto → accertarsi della disponibilità ad aiutare da parte dei membri della rete

69 Identificazione, Analisi della rete e Linking
nella fase di analisi della rete, si organizzano i contatti in base alla possibilità di aiutare. Questo dipende da quattro fattori: Frequenza dei contatti: La frequenza con cui due membri di una rete hanno contatti (telefonici, telematici o diretti) Intensità: Il grado di affetto che lega due membri, il che è indice della loro disponibilità Durata: Il periodo di tempo da cui la figura centrale conosce i vari membri Direzione: All’interno di una rete educativa di supporto per adolescenti questo fattore vale solo all’interno delle reti informali e nei confronti dei pari. Rappresenta la percezione dell’Ego della rete, in relazione a quel particolare membro, circa l’aver dato più (o meno) aiuto di quanto se ne sia ricevuto in passato.

70 Identificazione, Analisi della rete e Linking
Nella fase di Creazione dei legami (linking) si ha il vero e proprio programma di intervento combinato. In questa fase vanno analizzate a fondo le disponibilità e le potenzialità dei vari membri e, in base a ciò, va coordinato il modo in cui i differenti membri dovranno intervenire in aiuto della figura centrale della rete

71 Il setting pedagogico Il setting pedagogico è una struttura organizzata degli spazi, dei tempi, delle regole, e relazioni intercorrenti tra chi fornisce e chi utilizza una funzione socialmente utile. Nel nostro caso il setting è l’organizzazione di spazio , tempo regole per realizzare un progetto educativo Esiste anche un’altra forma di setting, quello interno all’educatore: cosa porta con sé un educatore quando va a fare un intervento tra i senza fissa dimora, nelle stazioni, e nelle discoteche? Porta sé stesso con il suo setting interno e questo da che cosa è dato? Dalle sue competenze in campo educativo ( di verifica dei bisogni, stesura dei progetti e valutazione degli interventi) e dalle sue competenze relazionali Da flessibilità e convivialità Da un organico e coerente sistema di valori Dalla capacità di investire affettivamente nella relazione e dalla gestione del transfert e delle ripercussioni al proprio interno delle proiezioni degli attori della relazione (controtransfert) Capacità di condividere una progettualità Orientamento al futuro Speranza (credere nelle capacità di crescita e miglioramento dell’individuo) Attendibilità Giusto distanziamento emotivo

72 Educatore o Psicologo? La relazione di aiuto: • Processo complesso
• Relazione di scambio • Rapporto asimmetrico • Relazione integrativa e integrante La relazione di aiuto si prefigge di migliorare le abilità decisionali del soggetto, fornendogli gli strumenti concettuali per compiere scelte di valore e per individuare criteri secondo i quali orientare la propria vita

73 La consulenza educativa si differenzia da altre forme di aiuto
D. Simeone. La consulenza educativa, dimensione pedagogica della relazione di aiuto Milano, Vita e Pensiero, 2002 La consulenza educativa si differenzia da altre forme di aiuto • DARE CONSIGLI • DARE INFORMAZIONI • AZIONE DIRETTA • INSEGNAMENTO Empowerment Processo di ampliamento delle potenzialità del soggetto, in modo da aumentare le abilità personali e le possibilità di controllare attivamente la propria vita

74 • La grande moralità del mio stare tra i volti – scrive I
• La grande moralità del mio stare tra i volti – scrive I.Mancini - può essere espressa da questo semplice atteggiamento dell’eccomi, ecco me, un accusativo che toglie all’io e lo fa disponibile senza pretesa di reciprocità. • Accogliere l’altro significa creare uno spazio “libero” per l’altro, dove il cambiamento sia possibile. Nell’incontro con l’altro il soggetto mentre perfeziona sé stesso, arricchisce anche l’altro. S’instaura un rapporto che conduce le persone coinvolte ad una migliore conoscenza reciproca.

75 curare e prendersi cura
• Curing (prospettiva sanitaria) • Processo terapeutico • Obiettivi curativi (trattamento) • Enfasi posta sulla diagnosi e sulla cura • Caring (prospettiva educativa) • Processo educativo • Obiettivi educativi legati ai processi decisionali • Enfasi posta sulla prevenzione e sulla promozione del benessere

76 Dalla crisi al progetto
• Crisi di sviluppo/ crisi accidentali – rottura dei precedenti equilibri • La crisi come opportunità – svela ciò che è nascosto – pone il soggetto di fronte alla necessità di compiere delle scelte – orienta, potenzialmente, la persona verso nuovi traguardi

77 “Solo ciò che dall’esterno entra nell’intimo
dell’anima, ciò che non viene solo conosciuto dai sensi o dall’intelligenza, ma tocca il cuore e l’animo, questo solo cresce in esso ed è un vero mezzo formativo. E. Stein, Die Frau. Ihre Aufgabe nach Natur und Gnade, Nauwelaerts, Lovanio 1959.

78 Gli operatori della notte (da L. Cerrocchi, L
Gli operatori della notte (da L. Cerrocchi, L. Dozza: Contesti educativi per il sociale, Erickson, Trento, 2007) Questo progetto di cui darò le principali linee guida e di attuazione è stato attuato nel comune di Bologna, città che in Italia ha una lunga e valida tradizione in interventi di tipo educativo a sfondo sociale, vedi “Reggio children”. Dagli anni Novanta si è verificato un cambiamento nell’uso di sostanze illegali. L’uso dell’eroina è calato mentre è aumentato l’uso di cocaina e alcool con amfetamine, sostanze che non danneggiano nel breve periodo, e così non portano chi le assume all’attenzione dei servizi. I giovani usano soprattutto alcool e cannabis: la logica che guida gli interventi di prevenzione non è più fondata sullo scoraggiare al consumo, ma paradossalmente deve confrontarsi con il consumo. In uno sfondo sociale nel quale le problematiche dei giovani si diluiscono e si confondono con quelle degli adulti, i giovani consumano sostanze come opportunità di piacere e cura dello stress, come modalità comunicativa. Le linee guida europee mostrano che il richiamo all’astinenza rimane inascoltato, ma l’uso diminuisce con l’aumentare dell’età e ha una durata e intensità circoscritta nel tempo

79 Gli operatori della notte
Le nuove generazioni si confrontano con una dimensione temporale in cui il presente è l’unica certezza. La stessa musica techno è costituita da frammenti musicali ripetuti in modo indefinito e circolare. Chi ascolta non deve preoccuparsi di un inizio e di una fine, di un passato e di un futuro. E’ una musica che si risolve incessantemente in un adesso. E così con questi rituali, i giovani vincono la paura del cambiamento e dell’incertezza. Il consumo di sostanze avviene nei luoghi del divertimento e per quasi tutti i giovani è relativo al piacere ludico al dover piacere, al desiderio di stare bene sempre e comunque. Per attuare seri interventi di prevenzione è allora necessario ricorrere alla formazione e utilizzo dei “pari” (peer) e il coinvolgimento di chi si occupa del divertimento notturno (operatori delle discoteche, dei pub) anche perché il consumo di alcool si concentra nei weekend) Il binomio “droga=morte” non regge più. Promuovere una cultura della moderazione significa aiutare i giovani ad affrontare esperienze di alterazione di sé e tentare di innalzare l’età del primo utilizzo, puntando sul fatto che l’utilizzo nella preadolescenza il più delle volte non produce gli effetti attesi.

80 Gli operatori della notte
Si tratta quindi di creare una relazione in un setting del tutto particolare: in un luogo affollato (pub o discoteca), concentrandosi su pochi elementi e per un tempo di attenzione limitato. L’intervento ha coinvolto gestori dei locali attraverso la conoscenza del lavoro degli operatori della notte e tematiche relative a gestione delle relazioni e sicurezza, costruzione di eventi “safe”, a situazioni di rischio e atteggiamenti aggressivi, il primo soccorso, nuove droghe e stili di consumo Per lo staff (baristi, PR e DJ) nozioni sugli effetti delle droghe più comuni, elementi di primo soccorso. Questo per creare una struttura in cui il divertimento sia vissuto in sicurezza e la gestione del locale sia socialmente e civilmente responsabile di quanto avviene al suo interno.

81 Gli operatori della notte
Concretamente i gestori si sono impegnati a fornire bevande analcoliche a prezzo ridotto e acqua gratis Ridurre il volume della musica prima della chiusura Favorire l’intervento degli educatori Favorire la diffusione di materiale informativo sulle sostanze di sintesi Favorire le misure necessarie ad interventi di pronto soccorso La formazione degli operatori è avvenuta attraverso l’ausilio di profondi conoscitori del mondo della notte, delle droghe sintetiche e dei giovani. I ragazzi formati erano reclutati in modo volontario tra i giovani delle scuole superiori Questi dovevano essere formati sugli stili musicali (serata hip hop diversa da un rave goa) Indipendentemente dall’età dovevano conoscere gli slang in uso e relazionarsi in uno stile tra pari, in modo confidenziale , senza giudizio Conoscere tutte le sostanze e non solo quelle più in uso (P.es fare uso di popper e cosa fare nel caso di un brutto viaggio.) Avere un look adeguato al tipo di serata (è diverso andare in discoteca o ad un rave) Saper utilizzare tecniche di aggancio: trucchi, Body painting, hair painting offerta di gadget e fare queste cose insieme ai giovani crea relazione Creare complicità con i gestori e gli operatori dei locali al fine di individuare situazioni problematiche

82 Gli operatori della notte
Riassumendo questi sono gli obiettivi dell’intevento: Favorire l’accesso ai punti di informazione, arredati come il resto del locale dove sedersi, avere informazioni sui rischi connessi all’uso di sostanze; fare il test con l’etilometro e ricevere informazioni su pratiche di sicurezza e water card per bere acqua gratis Favorire un’immagine positiva del divertimento (arte terapia) Discussione con operatori preparati Distribuzione di materiale informativo su sesso sicuro e sicurezza stradale Aumentare consapevolezza dei rischi di guida in stato di ebrezza (acqua, patatine gratis) Incentivare la scelta di un guidatore sicuro che non ha bevuto premiandolo con una consumazione analcolica gratuita, con l’impegno di fare il test per alcolemia Incentivare l’uso del mezzo pubblico per il ritorno a casa

83 Pedagogia sociale e strutture sanitarie : alcune applicazioni
Questi progetti sono stati avviati nell’ambito dei tirocini formativi attivati presso il corso di laurea in Scienze dell’educazione e della formazione in una società multiculturale dell’Università Tor Vergata di Roma e si svolgono presso una struttura che accoglie i bambini e le famiglie dei reparti onco-ematologici dell’ospedale Bambin Gesù nella quale si impegnano i volontari dell’associazione Peter Pan onlus. L’associazione Peter Pan da due anni si avvale della collaborazione universitaria della docente di pedagogia sociale (dott. Elvira Lozupone) e degli studenti che intendono laurearsi nella disciplina, e sono volti ad approfondire il tema della formazione permanente dei volontari.

84 Elaborazione di un progetto di formazione permanente per il volontariato nella casa di Peter Pan.
La risorsa dei volontari è veramente tale quando e se ne venga attentamente vagliata la motivazione e la preparazione. E’ necessario inoltre identificare le aree per le quali è necessario un approfondimento della preparazione del volontario che variano secondo i bisogni da questo espressi, insieme con approfondimenti a carattere tematico sulle caratteristiche e necessità prevalenti degli ospiti della “casa”. Questo interventi non si muovono nella direzione della formazione di base dei volontari, ma ne vogliono accrescere la formazione conferendole un carattere “permanente” con una doppia finalità: prevenire l’insorgere di fenomeni di burn-out e dare all’intervento del volontario una qualità sempre maggiore.

85 Monitoraggio prima fase di formazione permanente dei volontari della casa di Peter Pan
Questo progetto vuole valutare i bisogni formativi che emergono dai volontari della casa di Peter Pan al fine di ottimizzarne la preparazione e il grado di soddisfazione all’interno della associazione. E’ un intervento che si muove su due fronti: da un lato la somministrazione di uno strumento standardizzato (questionario) rivolto ai volontari che si trovano in una situazione di stand-by (cioè coloro che hanno per il momento sospeso l’attività volontaria e che potrebbero allontanarsi dalla associazione); dall’altro una valutazione dei bisogni di volontari anziani che fornisca le linee guida per il futuro progetto di formazione permanente. Per quest’ultimo aspetto ci si avvarrà della elaborazione di racconti autobiografici. Lo strumento narrativo riveste una importanza nota nella raccolta delle storie di vita che costituiscono uno strumento per la ricerca qualitativa. Esso rappresenta inoltre una opportunità di autoconoscenza per lo scrittore o narratore autobiografo attraverso la catarsi che avviene nel corso del racconto della propria storia, ma anche una occasione di autoapprendimento quando la persona opportunamente guidata riesce a riflettere e a raccontare che cosa ha imparato dalle proprie esperienze di vita. In questo caso la narrazione della propria storia di volontari e l’analisi delle esperienze, aspettative e bisogni potrà far emergere una griglia di bisogni di formazione che l’associazione provvederà a soddisfare

86 Dimensioni interculturali nella formazione del volontario: il caso di Peter Pan
Questo progetto nasce dall’esigenza di fornire ai volontari in formazione la possibilità di accogliere le famiglie che si rivolgono alle strutture dell’associazione tenendo conto delle diverse provenienze culturali. Questo è un aspetto particolarmente importante in questa struttura all’interno della quale si è potuto registrare il passaggio di famiglie provenienti da ben 21 nazioni diverse, tra cui ricordiamo paesi del nord-Africa, Est europeo, America Latina Vivere all’interno di una società multiculturale presenta infatti l’insorgere di esigenze del tutto nuove nel rapporto tra persone di provenienza etnica diversa e anche nel rapporto che si crea tra pazienti assistiti e personale assistenziale. Presso alcune culture infatti alcuni gesti che sembrano scontati per noi occidentali non sono ammissibili: l’assunzione o meno di determinati cibi, i rapporti tra uomini e donne, le metodologie di cura, la genesi stessa della malattia hanno a volte risvolti insospettabili che possono creare turbamento e disagio da ambo le parti cioè sia nella cultura ospite che in quella ospitante. Tuttavia esistono alcuni aspetti che possono essere comuni nell’accoglienza del malato e della propria famiglia che vanno valorizzati al fine di creare un’accoglienza calda e rispettosa. In base ad una convenzione tra l’ospedale Bambin Gesù, attraverso l’Associazione Peter Pan, e i volontari che operano all’interno delle due case, ed il Venezuela volto all’utilizzo della struttura ospedaliera per la cura dei bambini oncologici venezuelani, è stato fatto uno studio culturale in vista della preparazione dei volontari proprio sugli aspetti relativi alla concezione di malattia e cura, sofferenza e lutto.

87 Frontiere della Pedagogia sociale: l’educazione terapeutica
Esercitare una cittadinanza attiva all’interno dei protocolli di cura vuol dire sentirsi attivamente al centro di ogni intervento terapeutico e riabilitativo. La salvaguardia della propria salute in un atteggiamento proattivo in relazione al proprio essere malati; l’essere consapevoli di una possibilità di benessere che va oltre i limiti imposti dal male che c’è, mette la persona al centro del processo di cura in una interazione virtuosa con il personale sanitario, un soggetto non reso passivo dalla malattia e dalla ospedalizzazione, ma collaborativo anche nel monitoraggio della cura (Kanizsa 2004). Questi fattori insieme ad altri che verranno presi in considerazione più avanti contribuiscono ad un clima relazionale e di lavoro migliore anche all’interno dell’equipe ospedaliera. Un’ottica radicalmente nuova è quella che si presenta oggi al personale sanitario. Un’apertura a vedere la persona malata al centro di una fitta rete sociale, istituzionale e relazionale di fronte a cui lo stesso professionista della salute deve porsi con un atteggiamento ben diverso, lontano dalla torre d’avorio che lo vedeva unico depositario di un sapere non condivisibile. A questo processo contribuiscono anche le medical humanities. Di queste arti e scienze vorrei evidenziare l’apporto di una in particolare: il contributo dell’educazione ai processi di cura.

88 L’educazione terapeutica
Questo tipo di intervento che va sotto il nome di Educazione terapeutica invece pone in evidenza la componente pedagogica dell’intervento intendendo modificare le condotte. Le condotte possono essere intese come una disposizione mentale di fronte a un determinato problema. Il termine condotta, infatti, non può essere usato come sinonimo di comportamento. Quest’ultimo fa riferimento all’insieme delle azioni e reazioni abituali ma automatiche di un organismo all’ambiente, mentre la condotta fa riferimento a un atteggiamento interiore da cui quelle azioni e reazioni discendono. Nell’infanzia può essere applicata ad una gamma di patologie che vanno dai disturbi pervasivi dello sviluppo quale l’autismo e le patologie dello spettro artistico. Ha come fine l'insegnamento di abilità al bambino, agendo in collaborazione con le famiglie.  Si parte dal sostenere che conoscenze specifiche sulle caratteristiche del Disturbo (tecniche) e conoscenza delle peculiarità della persona (familiari o altre persone di riferimento) vadano considerate congiuntamente in tutte le fasi dell'intervento, in particolar modo nella scelta degli obiettivi e delle modalità terapeutiche, e si continua col ritenere fondamentale l'armonia tra le energie e le ottiche sull'educazione delle diverse persone implicate nel processo di sostegno alla crescita del bambino (sinergie). La collaborazione tra personale sanitario e famiglia risulta fondamentale per consentire la generalizzazione e l'interiorizzazione degli apprendimenti, quindi il loro utilizzo nella vita quotidiana.

89 L’educazione terapeutica
I promotori dell’educazione terapeutica sono oggi Jean Philippe Assal dell’università di Ginevra, Jean Francois D’Ivernais dell’università di Parigi XIII Bobigny e Alain. Deccache dell’università di Louvain.  Questa disciplina, di frontiera, non solo per la sua recente nascita, ma perché unisce competenze pedagogiche, relazionali e mediche, nasce con il fine principale del controllo delle crisi di pazienti diabetici, ma risulta oggi l’intervento di elezione per il trattamento dei disturbi dello spettro autistico e di altri disturbi o difficoltà di sviluppo dell’età evolutiva come pure di altre malattie croniche e autoimmuni come la LES cui si aggiunge il trattamento dell’obesità e dell’osteoporosi severa coinvolgendo anche soggetti adulti

90 Adulti e bambini nella ET
L’utilizzo di un identico approccio didattico per un adulto o per un bambino entra inevitabilmente in conflitto con la visione che l’adulto ha di sé e produce un risultato negativo attivandone una regressione, ( atteggiamento totalmente passivo), oppure maturerà disinteresse verso l'apprendimento con conseguente abbandono del percorso formativo , qualunque esso sia. Un adulto ha l'esigenza di conoscere lo scopo e l'utilità dell'apprendimento per la sua vita o la sua carriera ed è motivato ad apprendere ciò che gli serve nel momento in cui gli serve. C'è poi un fattore che nel caso dell'apprendimento degli adulti è assolutamente fondamentale: l'esperienza. In primo luogo, qualunque insegnamento rivolto a un adulto non è mai ex novo, ma va a modificare conoscenze o esperienze precedentemente acquisite. Ciò che viene insegnato deve quindi inserirsi proficuamente in un contesto esperienziale o cognitivo predefinito o dare vita a una “riorganizzazione dei saperi” (2002). Se ciò non accade, il rischio è quello di un apprendimento fittizio e di breve durata.

91 Un esempio concreto Ad esempio, una paziente diabetica disse una volta di sottoporsi spontaneamente all’esame annuale del fondo dell’occhio, perché “La diabete mangia la vista”(Trento, Passera, Tomalino, Bajardi, 2004). Aveva appreso in modo inconsapevole un sapere che sarebbe rimasto implicito se non si fossero create le condizioni ottimali per farlo emergere. Le persone spesso sanno molte più cose di quelle che credono di sapere, e il contributo della pedagogia applicata alle terapie mediche può permettere l’emergere proprio di questi saperi nascosti per sentimenti di vergogna e inadeguatezza del paziente di fronte al sapere indiscutibile e paternalistico del medico.

92 Obiettivo della ET: gestione delle malattie croniche
Le malattie croniche, in ragione del loro aumento di prevalenza, hanno cambiato radicalmente il concetto di salute (Marcolongo, Rigoli, 1999), passando da una concezione per cui la salute è assenza di malattia e sintomi, ad una concezione che relativizza questa impostazione, a favore di una percezione di efficienza nello svolgere le normali attività di vita e dal percepirsi “in una situazione di stabilità e di equilibrio psicofisico” (Censis 1998). Nell’ambito della cronicità, la salute può essere infatti considerata come uno stato di equilibrio, mentre la malattia corrisponde alla crisi, alla ricaduta, alla complicanza. Questo cambiamento concettuale ha delle conseguenze dirette sul modo con cui i curanti considerano le loro azioni verso dei pazienti cronici. Secondo la definizione dell'Organizzazione Mondiale della Sanità "..l’educazione terapeutica consiste nell’aiutare il paziente e la sua famiglia a comprendere la malattia ed il trattamento, a collaborare alle cure, a farsi carico del proprio stato di salute ed a conservare e migliorare la propria qualità di vita". (1998)

93 Paradigma educativo ed ET
Conoscere la propria malattia (sapere = conoscenza), Gestire la terapia in modo competente (saper fare = autogestione), Prevenire le complicanze evitabili (saper essere = comportamenti). "l’educazione consiste, invece, in un programma di formazione, al termine del quale il paziente diviene capace di esercitare autonomamente delle competenze terapeutiche che, in un altro contesto, sarebbero di responsabilità del curante".

94 Finalità della ET migliorare la qualità di vita dei malati e delle loro famiglie; incrementare il controllo delle condizioni cliniche dei malati ottenendo una riduzione delle complicanze, una maggiore adesione al trattamento terapeutico e riabilitativo e la riduzione degli effetti indesiderati dei farmaci; promuovere un utilizzo più razionale e pertinente dei servizi da parte dell’utenza, migliorando la qualità del servizio, contenendo la spesa ed ottimizzando i tempi di gestione dell’assistenza sanitaria; sviluppare un modello di organizzazione assistenziale centrato sul paziente e sulla cooperazione tra quanti, a vario titolo (curanti, servizi sociali, volontariato) operano a favore del malato; favorire relazioni umane e professionali più armoniche anche tra i curanti.


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