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IL MONDO AGRICOLO nel 1800 COLONI E BRACCIANTI: UNA VITA DURA E POCHI DIRITTI Realizzato dalla Prof.ssa Rosanna Giusti con la collaborazione dei colleghi.

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1 IL MONDO AGRICOLO nel 1800 COLONI E BRACCIANTI: UNA VITA DURA E POCHI DIRITTI Realizzato dalla Prof.ssa Rosanna Giusti con la collaborazione dei colleghi Pierluigi Taddei, Lidia Olei e Mirella Moretti Anno sc. 2012-2013

2 I contadini erano nella quasi totalità, analfabeti, tranne poche eccezioni. Sempre a contatto con la terra e le bestie, conoscevano poco o niente dello sviluppo e del progresso civile che avveniva nella società. Una vecchia casa a Cà Muraccino

3 I coloni Mangiavano tutto l’anno polenta o pan di biada. Ai contadini era proibito “ di andare a carreggio, od a giornata”, “ di conficcar legni pontuti ne’ Muri delle Case coloniche”, “di rompere legna sui pavimenti, e di darvi feste da ballo senza licenza del Padrone sotto pena di scudi due”. Non avevano neanche la certezza del lavoro perché potevano essere espulsi dal podere per infedeltà nei rendiconti, per “ il tagliare legna, e diramare Alberi e Quercie senza permesso”, per non aver pulito i fossi, per mancanza di sollecitudine nell’estirpare grillotalpe, bruchi, per aver trascurato di togliere sassi dai campi.

4 “Statuto agrario della Repubblica di San Marino” del 1813 Secondo notizie contenute nello “Statuto agrario della Repubblica di San Marino” del 1813, un altro elemento importante dell’economia era la viticoltura che rispondeva alle caratteristiche collinari del territorio della Repubblica. La vite era coltivata in vigne o in filoni; i vitigni erano i tradizionali romagnoli: il canino bianco, il trebbiano, l’albana e il sangiovese, il moscatello, le vernacce bianche e nere, l’aleatico.

5 Sempre secondo quanto testimoniato dallo “Statuto agrario della Repubblica di San Marino”, i coloni “ debbono dare al Padrone fedelmente la metà delle entrate del Podere, inclusivamente la sementa di lino, di canapa, cervine, moco, fien greco, vinaccia, frutti e ortaggi.

6 La maggior parte dei contadini lavorava la terra non di sua proprietà. Era affittuario o colono e pagava il terraggio a fine raccolto. Se il raccolto era buono, nel senso che permetteva di far fronte agli impegni assunti, tutto bene, altrimenti il padrone dell’appezzamento di terra lo costringeva a pagare in tutti i modi, anche sequestrandogli le bestie, la casa ed altro.

7 Anche le fascine dovevano essere equamente divise! “Le fascine d’olmo, viti, oppio, spini, e qualunque altra sorte si divideranno equalmente fra il Padrone, ed il Lavoratore. S’intendono comprese ancora in quest’articolo le fascine, che da’ Coloni si fanno per foraggio alle pecore”. “Il Colono non potrà tenere Bestiame né grosso, né minuto del proprio, o d’altri senza un’espressa licenza del Padrone, cui sarà lecito di tenerne sulla Colonia quella quantità, che crederà necessaria e proporzionata alle forze della medesima, senza che il lavoratore possa ostacolare”.

8 “Se per colpa, mal governo, o soverchia ed intempestiva fatica ammalasse alcuna bestia, o venisse a morire, sarà tenuto il Colono al risarcimento de’ danni; e nell’ultimo caso sarà obbligo di pagare al Padrone l’intiero valore della bestia perita, e così anche se non avrà prontamente avvisato il Padrone, allorché la bestia avrà dato segno di malattia”.

9 Ingresso al Castello di Serravalle in tempo di vendemmia

10 Non avevano problemi di pressione alta e di colesterolo!!! Vivevano quasi sempre in campagna e non conoscevano né feste né riposo. Dopo una giornata di molte ore di duro lavoro, si preparavano la cena consistente in un pancotto. Non esisteva colazione, pranzo e cena, con primo, secondo e frutta. Il contadino di allora, come del resto gli altri lavoratori, non aveva la preoccupazione di eccedere in fatto di calorie e proteine, non aveva problemi di pressione e di colesterolo e il diabete non si sapeva neppure cosa fosse. Conduceva una vita fatta di lavoro duro e continuo. La vita media dei nostri contadini era più o meno di cinquant’anni.

11 IL PODERE DEL VASCONE, A FIORENTINO TIPICA CASA COLONICA DELLA ROMAGNA

12 Non dimentichiamo le nostre radici!! Eppure la nostra società attuale, civile e progredita, nasce dalle radici ben piantate e ben consolidate dei lavoratori della terra. Non sono passati molti decenni da quando il nostro Paese è uscito da una condizione prevalentemente agricola. Il nostro contadino iniziava i lavori dell’aratura per la semina del grano agli inizi di settembre (a seconda della zona). Finita la semina iniziavano i lavori del maggese e qui, per la maggior parte si usava la zappa e, mettere a coltura diversi ettari, voleva dire lavorare sodo mesi interi, di giorno e per alcune ore della notte.

13 Una vera e propria emigrazione anche se temporanea Durante l’inverno, quando la neve (e ne faceva tanta) copriva tutto, alcuni agricoltori, per integrare gli insufficienti redditi del fondo rustico, si recavano nelle campagne della Toscana o a Roma a cercar lavoro. Questo flusso migratorio stagionale si dirigeva verso aree di agricoltura ricca, dove era accentuata la presenza di latifondo. Fra questi migranti stagionali vi erano molti casanolanti, i più poveri e meno tutelati fra i braccianti.

14 Utilizzando i registri degli anni 1810-1856 conservati presso l’Archivio di Stato si sa che 420 persone nel 1817 si “recano nelle campagne romane non bastando il suolo repubblicano a nutrirli durante i sei mesi invernali in cui suole durare colà il freddo”.

15 Correva l’anno 1805 quando anche Antonio Onofri si porta a Roma ma per partecipare all’incoronazione di Napoleone re d’Italia. San Marino, sente il dovere di rendere omaggio all’Uomo della Provvidenza che molto ha significato anche per la piccola Repubblica. Tutti gli altri sammarinesi che in quell’anno fatidico si recarono a Roma erano invece spinti dalla necessità. Di Napoleone sentirono solo parlare vagamente. I grandi sconvolgimenti che scuotevano l’Europa di allora non hanno avuto molte ripercussioni sulle loro vite.

16 Nello Stato Pontificio il 1816 è un anno particolarmente scarso di raccolti e la fame miete decine di vittime soprattutto nelle classi più deboli. Molti vagano per le campagne cercando qualche lavoretto presso i contadini. Anche a San Marino le cose si mettono male se un tal Pietro Sabbatini cittadino della Repubblica di San Marino viene arrestato sulla piazza di San Severino Marche, “perché vestito con panni laceri e sprovvisto di passaporto” L’uomo, trent’anni, sposato e con due figli piccoli, racconta: “ son talmente miserabile che mi è convenuto andar elemosinando, non trovandosi da lavorare in conto alcuno, e fino ad oggi sono vissuto di carità[….]” Quell’anno neppure l’agro romano può dare lavoro agli affamati che anzi vengono cacciati come ladri e vagabondi.

17 La dura vita del contadino Quando si mieteva (con la falce in una mano mentre con l’altra si teneva il grano), quasi tutti si facevano aiutare da altri contadini. Le canzoni, cantate durante la mietitura, accompagnavano il clima festoso. I padroni facevano mangiare qualcosa di migliore e più abbondante poiché il lavoro era molto duro. Una prima parte del grano era quella da portare a casa del padrone della terra quale terraggio, secondo gli accordi presi all’atto dell’affitto. Poi si metteva da parte la quantità necessaria per la semina successiva. Il resto, sempre che l’annata fosse stata abbondante, si vendeva per pagare i debiti accumulati durante l’anno e quello che rimaneva serviva al consumo della famiglia.

18 La strada consolare del Ventoso Anche il trasporto dei prodotti era difficoltoso

19 Se il raccolto era insufficiente, il contadino si rifaceva con la vendita di granoturco e tutto quanto aveva seminato oltre al grano. Il contadino era sempre perseguitato dalle cattive annate, dagli agenti delle tasse e da ladri e malfattori. Questa era la dura condizione dei contadini di una volta.

20 Mercato del bestiame al Campo della Fiera a Borgo Maggiore

21 Venivano allevati ovini, che si aggiravano sui 4000 capi, per il consumo della carne e per la lana. I cavalli, i somari e i muli erano circa 400; i suini circa 1500. I bovini ammontavano a circa 2000 capi. Gli animali venivano alimentati con la “crocetta” e il “ lupino”.

22 Oggi invece…….. Patrimonio zootecnico dal 1940 al 2009 Anno Bovini n° capi Ovini e Caprini n° capi Suini n° capi Equini n° capi Totale 19402.1901.787 1.190 795.246 1970 1.884 110 660 17 2.671 19751.827 136 1.083 813.127 19931.602 70 2.3991104.181 20091.200 200 1001041.604

23 Anno 2009:Classi di allevamento bovini 30 allevamenti Dimensioni dell’allevamento n° allevamenti con capi da 1 a 10 n° allevamenti con capi da 11 a 20 n° allevamenti con capi da 21 a 60 n° allevamenti con capi oltre 61 13-98

24 ll mercato della frutta in Piazza Grande a Borgo Maggiore, l’antico Mercatale

25 1 tornatura = mq. 2883,7 L’estensione approssimativa del coltivato era di 18 mila tornature; 13 mila tornature erano occupate dal bosco, 1000 dedicate al sodo ( non coltivato) e 30 tornature erano dedite ai pascoli. L’ampiezza dei poderi andava dalle 5 alle 15 tornature.

26 Riparto colturale della superficie agricola utilizzata (SAU) dal 1974 al 2010 Coltura 1974 ha 1993 ha 2010 ha Cereali1083 1100525 Colture da rinnovo, colture portaseme, colture ortive 109 201 90 Foraggere 1141 1100 1004 Vigneti 188 183 118 Oliveti 90 70 167 Frutteti - - 10 Pascoli 827 306 260 Incolti - - 426 Totale SAU 3438 2960 2600

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28 Molti terreni erano magri e non fornivano più di due o al massimo tre quintali per quintale di grano seminato. Veniva coltivata la patata per il solo uso familiare. Nel 1839 fu introdotta la barbabietola di Slesia. A metà del XIX secolo comincia la coltivazione dei cereali in terre prima occupate da boschi e macchie, sradicando le piante esistenti.

29 Approfondimento: la barbabietola di Slesia Lo sviluppo delle colture di barbabietola è strettamente legato alla scoperta dello zucchero che se ne può estrarre. Nel XVII secolo l'agronomo francese Olivier de Serres notò che la barbabietola cotta produceva un succo simile allo sciroppo di zucchero, ma questa scoperta non ebbe seguito. Finalmente nel 1747 un chimico prussiano dimostrò che i cristalli dal sapore dolce ricavati dal succo di barbabietola erano gli stessi che si ottenevano dalla canna da zucchero, ma non andò oltre.

30 Fu un suo allievo che cominciò a produrre commercialmente lo zucchero, aprendo una prima fabbrica nel 1801 nella Bassa Slesia (al tempo regione prussiana, oggi in Polonia).

31 Ai primi dell'Ottocento, comunque, lo zucchero di canna era ancora diffusissimo. Ma le guerre napoleoniche, con il blocco dell'importazione dello zucchero di canna (1806), fecero sì che la sperimentazione sulle barbabietole procedesse più speditamente, finché nel 1811 alcuni scienziati francesi mostrarono a Napoleone dei panetti di zucchero estratto da barbabietola: l'imperatore ne ordinò la coltivazione su ben 32.000 ettari di terreno e, nel giro di pochi anni, sorsero più di 300 fabbriche di zucchero da barbabietola in tutta Europa.

32 Seminativo e alberi da frutta Oltre al grano si seminava pochissimo lino, orzo, avena, canapa e segale; più abbondante la raccolta di fagioli, ceci, cicerchie, veccie e fave. Oltre agli alberi da frutto notevole importanza aveva la coltivazione del gelso, indispensabile per l’allevamento dei bachi da seta; tale coltivazione e il relativo commercio erano un’attività prettamente femminile.

33 I boschi di roveri, frassini, aceri erano tagliati ogni cinque anni; il bisogno di legname nella città di Rimini portò all’abbattimento di piante ad alto fusto, senza però toccare luoghi montani, dirupati e pieni di massi. Si ebbe una forte spinta alla coltivazione e alla commercializzazione del grano per l’aumento del suo prezzo.

34 La vecchia via Boschetti, a Borgo Maggiore Si nota la mancanza della vegetazione da cui la via dovrebbe prendere il nome; in momenti di grande povertà il legname era prezioso per il riscaldamento e come materiale da costruzione.

35 Il BRACCIANTE I braccianti erano dei lavoratori che non avevano nessuna specializzazione nel campo della loro attività lavorativa. Avevano un’occupazione discontinua e senza contratto di lavoro, per cui lo scambio con il padrone avveniva nel modo più semplice possibile: venivano retribuiti a giornata senza ulteriori oneri, come si direbbe oggi. L’assistenza sanitaria era di là da venire con tutto ciò che comportava. La mortalità infantile era elevata e le condizioni economiche delle famiglie erano disagiate. L’istruzione era quasi sconosciuta.

36 Il figlio del bracciante spesso seguiva le orme del padre di generazione in generazione. Nella categoria non c’era alcuna distinzione d’età. Tutti imparavano in fretta quelle attività semplici che venivano eseguite durante le diverse stagioni dell’anno. L’unica distinzione la facevano i padroni i quali, a fine lavoro, variavano la paga a seconda dell’età, a prescindere dall’uguale prestazione e rendimento.

37 Intanto continuavano a rimanere disoccupati!!! Non avevano un’occupazione fissa e permanente in un’azienda agricola. Erano sempre in attesa che qualche agricoltore si ricordasse di averli avuti alle proprie dipendenze e di aver avuto una buona impressione. Intanto continuavano a rimanere disoccupati. I lavori si concentravano in certi periodi dell’anno. Nell’inverno, ad esempio, tra febbraio e marzo, si andava nei campi per diserbare il grano. Anche durante la mietitura si formavano gruppi di braccianti per raccogliere i covoni in biche (mucchi) e trasportarli poi, con grossi carri, presso la trebbiatrice.

38 I casanolanti Vi erano anche i casanolanti, i proletari dell’epoca, che non possedevano nulla al di là della loro capacità di lavorare e si pensava che fossero ladri e delinquenti. Con un bando del 4 settembre 1800 i Capitani Reggenti, “volendo porre termine alle ruberie e al guasto che si dà attualmente alle campagne da quegli inquilini che senza avere dei modi di esistere, vivono frattanto a spese dei possidenti”, ingiunge a tutti i casanolanti forestieri di “sfrattare dal territorio della repubblica nel termine di 15 giorni”. La loro consistenza si aggira attorno al 20% dei residenti e spesso sono oggetto di discriminazione.

39 Grande attenzione poneva il governo di San Marino alle sofferenze degli affamati con la costituzione della Congregazione di Carità fondata nel 1839 ma per non favorire i parassiti, riaccendendo l’antica polemica verso i casanolanti forestieri, incaricheranno i parroci a fungere da garanti per i”veri poveri”, quelli cioè meritevoli di aiuti. Compito ingrato perché gran parte della popolazione “versa in condizioni di povertà”. I parroci, i pastori del loro popolo, si faranno tutori e protettori dei più deboli indicando alle autorità amministrative il numero di quelli che avevano un effettivo bisogno d'aiuto distribuendo i Certificati di Povertà rilasciati a partire dal 1840.

40 E’ da poco cominciato l’anno 1803 ed il parroco di Valle Sant' Anastasio, don Marino Fabrini, improvvisandosi ufficiale di stato civile così descrive i suoi 340 parrocchiani: “ 82 individui, i più ricchi, sono quelli che infra l'anno si ciberanno di grano per lo spazio di mesi nove, e tre di formentone, 175 (individui) sono quelli che possono mangiare farina di grano per otto mesi e il resto dell'anno orzo, ghiande, semola racimata ed erbe. Gli altri 85 hanno grano solo per sei mesi e …..sono quelli che si conducono alle maremme ed agro romano a sfamarsi per lo spazio di mesi sei fra l'anno.”

41 Quindi secondo il parroco vi sono diversi livelli di indigenza nella società dei primi decenni del secolo. E’ questa la distinzione più importante agli occhi del religioso, il resto conta poco. Per quelli che di risorse non ne hanno affatto, non c’è rimedio: d’inverno il lavoro bisogna trovarlo ad ogni costo, anche lontano. Pena la fame. Così sono costretti a migrazioni periodiche, stagionali, per sfuggire l’angustia della fame e rimediare qualcosa per la famiglia che rimane ad aspettare il loro ritorno.

42 Racconta Giovanni Villa, casanolante, con moglie e quattro figli: “Una mattina sono uscito presto in cerca di legna da vendere [….] e fare il denaro occorrente per comprare un poco di farina per alimentare i miei figli che gridavano dalla fame”. Giunto alla selva del Ghiandaro, Giovanni si mette a spaccare alcuni “zocchetti” per riempire un sacco, ma viene sorpreso e denunciato. “Ho diritto a vivere anch'io”, risponde “con arroganza [….] il malvivente” sorpreso da un frate a tagliare legna nella macchia del convento “ in cui esistono molti mozziconi e rovori”. Al religioso che gli chiede spiegazioni “li venne dal medesimo malfattore intimato di tacere col alzargli sopra il capo la manaja, in atto di volerlo percuotere”.

43 Bibliografia e sitografia La Repubblica di San Marino nella storia e nell’arte – Nevio Matteini I poveri nell’ottocento: tra carità e devianza – Augusta Palombarini – Collana di studi storici sammarinesi L’economia di un luogo di mezzo – Marco Moroni – Collana di studi storici sammarinesi San Marino nelle vecchie fotografie – Giuseppe Rossi Immagini dalla rete Informazioni da wikipedia


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