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La poesia in area francese

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Presentazione sul tema: "La poesia in area francese"— Transcript della presentazione:

1 La poesia in area francese
Dal parnassianesimo al Simbolismo

2 Poeti PARNASSIANI Con l’intento di reagire al lirismo e alle effusioni del secondo Romanticismo, vogliono “riportare la poesia sul Parnaso”, monte sacro ad Apollo e alle muse. Ricercano obiettività (temi storici, fenomeni naturali), accuratezza metrica, chiarezza, razionalità, visione “classica” della realtà Labor limae: culto della forma perfetta 3 raccolte dal titolo Le Parnasse contemporain ( )

3 1876: fine del Parnassianesimo e nascita del Simbolismo
Nell’antologia dei parnassiani del 1876 non viene infatti accolto il poemetto di Mallarmé Il pomeriggio di un fauno, che esprime una nuova tendenza, già preparata dai poeti Rimbaud e Verlaine e, ancora prima, da Baudelaire. Nel 1886 uscirà sul Figaro di Jean Moréas il Manifesto del Simbolismo.

4 Charles Baudelaire Condivide con i Parnassiani il culto della forma perfetta ma non l’oggettività marmorea (il poeta è un “perfetto alchimista”) Orfano di padre, si scontra con un duro patrigno che lo chiude in collegio e riuscirà ad interdirlo, e a gettarlo in miseria, per punirlo delle sue intemperanze (vita bohemien, viaggi – in Oriente-, uso di droghe, dandysmo, sifilide). Dopo un tentativo di suicidio (è sommerso dai debiti) il male si aggrava (emiplegia, afasia, l’ultimo anno vegeta), conducendolo alla morte, a Parigi. Charles Baudelaire ( ) Charles Baudelaire nacque a Parigi il 9 aprile Il padre, Joseph-François, ormai sessantenne, pittore dilettante, aveva sposato in seconde nozze la ventiseienne Caroline Archimbaut-Dufays. Il piccolo Charles non aveva ancora compiuto sei anni quando il padre morì e la madre, dopo una brevissima vedovanza, si rimaritò col maggiore Jacques Aupick. Il futuro poeta visse come un vero e proprio "tradimento" il nuovo matrimonio della madre, e non glielo perdonò per tutta la vita. Nel 1839 fu espulso per cattiva condotta dal Collège Louis-le-Grand, e nel 1841, costretto dalla famiglia che decise di allontanarlo da Parigi per la sua cattiva condotta, partì per l'India. Ma giunto alle Mauritius, in preda a una profonda crisi di nostalgia, si rifiutò di proseguire il viaggio e rientrò a Parigi. Nel 1842 conobbe una mulatta, Jeanne Duval, con la quale avviò un'intensa relazione che, nonostante frequenti e violente rotture, durò per tutta la vita. Dopo essersi abbandonato, sempre in compagnia della Duval, alcolizzata già in età giovanile, ad eccessi di ogni genere, Charles fu fatto interdire dalla madre, preoccupata per il suo stato di salute, e come curatore del patrimonio fu designato il notaio Ancelle, che da quel momento in poi versò al giovane una modestissima rendita mensile. Soffrendo per la sussistenza quotidiana, visto che il lavoro letterario non rendeva quanto sperato, pochi mesi dopo Baudelaire tentò il suicidio. I successi letterari lo aiutarono a riprendere gusto alla vita, anche se travagliato dal male (la sifilide, che lo condurrà ad una morte precoce). Al 1847 risale la sua conoscenza dell'opera di Edgar Allan Poe, del quale tradusse vari racconti. Partecipò ai moti del '48 francese, ma dopo il colpo di stato di Luigi Napoleone manifestò distinteresse per la politica. Dopo la morte del patrigno, avvenuta nel 1857, si riavvicinò alla madre. Nel giugno dello stesso anno pubblicò I fiori del male, che in agosto venne censurato per immoralità [Censura e genialità erano evidentemente incompatibili!]. Nel 1860 uscì il saggio I paradisi artificiali. Nell'aprile del 1864 si trasferì a Bruxelles per tenere un ciclo di conferenze e per trovare un editore disponibile a pubblicare le sue opere complete. Quell'esperienza non fu delle più felici: il Belgio lo deluse moltissimo, e lo paragonò ad una "brutta copia della Francia". Nel 1866, colpito da un ictus e da afasia, fu riportato a Parigi dalla madre e dal notaio Ancelle, i quali lo affidarono alle cure del dottor Duval. Baudelaire rimase muto e paralizzato, e morì a Parigi il 31 agosto Fu sepolto nel cimitero di Montparnasse, nella tomba di famiglia, a fianco dell'odiato patrigno. Vedi note

5 1857 Les fleurs du mal: l’inizio della poesia moderna
Baudelaire rappresenta la crisi dell’uomo moderno diviso tra ENNUI (o SPLEEN)> noia esistenziale, accidia, disgusto di sé IDEAL> elevazione, aspirazione alla bellezza suprema Bene e male convivono nell’uomo

6 Il contrasto è concretizzato nei versi per due diverse donne amate dal poeta:
JEANNE DUVAL “O tu che come un coltello sei penetrata nel mio cuore gemente: o tu che, come un branco di demoni, venisti, folle e ornatissima, a fare del mio spirito umiliato il tuo letto e il tuo regno, infame cui sono legato come il forzato alla catena, come il giocatore testardo al gioco, come l’ubriaco alla bottiglia, come i vermi alla carogna – maledetta, sii tu maledetta!” (Il vampiro) MADAME SABATIER “Angelo pieno di felicità, di gioia e luci…a te non chiedo, angelo, nient’altro che le tue preci, angelo che pieno sei di felicità, di gioia e luci”

7       Quando, come un coperchio, il cielo pesa greve       Sull'anima gemente in preda a lunghi affanni,       E in un unico cerchio stringendo l'orizzonte       Riversa un giorno nero più triste delle notti; 5    Quando la terra cambia in un'umida cella,       Entro cui la Speranza va, come un pipistrello,       Sbattendo la sua timida ala contro i muri       E picchiando la testa sul fradicio soffitto;       Quando la pioggia stende le sue immense strisce 10  Imitando le sbarre di una vasta prigione,       E, muto e ripugnante, un popolo di ragni       Tende le proprie reti dentro i nostri cervelli;       Delle campane a un tratto esplodono con furia       Lanciando verso il cielo un urlo spaventoso, 15  Che fa pensare a spiriti erranti e senza patria       Che si mettano a gemere in maniera ostinata.       - E lunghi funerali, senza tamburi o musica,       Sfilano lentamente nel cuore; la Speranza,       Vinta, piange, e l'Angoscia, dispotica ed atroce,       Infilza sul mio cranio la sua bandiera nera.       Spleen

8 Il poeta è cosciente di essere un esiliato (esclusione sociale/ estraneità)
L'albatro       Spesso, per divertirsi, gli uomini d'equipaggio       Catturano degli albatri, grandi uccelli dei mari,       Che seguono, indolenti compagni di vïaggio,       Il vascello che va sopra gli abissi amari. 5    E li hanno appena posti sul ponte della nave       Che, inetti e vergognosi, questi re dell'azzurro       Pietosamente calano le grandi ali bianche,       Come dei remi inerti, accanto ai loro fianchi.       Com'è goffo e maldestro, l'alato viaggiatore! 10  Lui, prima così bello, com'è comico e brutto!       Qualcuno, con la pipa, gli solletica il becco,       L'altro, arrancando, mima l'infermo che volava!       Il Poeta assomiglia al principe dei nembi       Che abita la tempesta e ride dell'arciere; 15  Ma esule sulla terra, al centro degli scherni,       Per le ali di gigante non riesce a camminare. L'avverbio della ripetizione con cui si apre la poesia (in francese "Souvent") colloca il lettore nella dimensione dell'ovvietà. Nessuno può aspettarsi, dopo un tale inizio, la descrizione di un evento irripetibile: e in effetti, l'evento descritto è una consuetudine, il ritorno di un gioco [appena divertente per chi lo conduce, ma piuttosto crudele per chi è costretto a subirlo]. Tuttavia, i movimenti e i gesti (dei marinai come dell'albatro) sembano fissati in una singolarità assoluta, tanto da apparire immobili, accaduti una volta soltanto e non più replicabili. In fondo c'è solo un albatro irriso e beffeggiato sulla nave: l'Albatros di Baudelaire. Per tutta la composizione colpisce l'indeterminatezza dei soggetti dell'azione: sembra che l'unica identità degli hommes d'équipage - uomini senza volto - consista nella loro appartenenza alla nave: persino nei gesti dei beffeggiamenti e dell'insulto restano anonimi, insignificanti. Nel secondo verso questi uomini tuttavia agiscono: catturano degli albatri. Ma si noti come il pur lieve enjambement - che unisce e insieme separa i marinai dal loro gesto (prennent) - fa convergere l'attenzione attorno ad albatros: è questa parola che si accampa al centro della rappresentazione; e il secondo emistichio - vastes oiseaux des mers - allontana lo sguardo dalla nave, dai marinai, e lo fa salire al cielo: guardiamo dunque le navire dall'alto, con la stessa prospettiva aerea degli albatri. Possiamo qui notare la figura dell'ipàllage: infatti l'apertura delle ali rende gli albatri vastes, un attributo che propriamente appartiene alla parola che segue, cioè a mers. Gli uccelli seguono il vascello come indolents compagnons de voyage. L'immagine, grazie anche all'isolamento del sintagma, acquista una grande forza, adeguata alla sua importanza nel contesto generale della poesia. Intanto possiamo notare come la regolarità ritmica del sintagma - accenti su terza, sesta e nona posizione (conservati anche nella traduzione letterale in italiano) - rafforzi l'unità di senso, conferendo alla figura un movimento che sembra mimare il movimento delle grandi ali in volo: c'è insomma una semantizzazione del significante (il suono contribuisce all'icasticità dell'immagine). In secondo luogo, possiamo osservare che l'immagine degli albatri come compagni di viaggio suppone che lo sguardo del poeta si volga verso una natura nella cui essenza c'è anche il rapporto, cordiale e rispettoso, dei viventi tra loro e con le cose: ma sarà proprio la perdita di questa armonia della "physis" (natura), la rottura di questa fraternità creaturale ad essere rappresentata sulle planches della nave: l'esilio - dell'albatro, del poeta - è appunto esilio da una "physis" così intesa e da una solidarietà illusoria o smarrita. Gli albatri baudelairiani col loro volo sembrano assistere, seppure indolents (ma sarà opportuno ricordare che nella prima stesura Baudelaire aveva scritto "curieux"), la nave che scivola sugli abissi. Il gesto dei marinai è pertanto un oltraggio a questa fedeltà di presenza, a questo indolente (o curioso) accompagnamento. Ma possiamo ancora notare che, essendo l'albatro un'allegoria del poeta, l'aggettivo indolents allude all'inutilità della poesia nella società borghese industrializzata e fondamentalmente utilitarista. Quanto all'immagine del navire glissant sur les gouffres amers, notiamo che il secondo sintagma è una chiara metafora della condizione esistenziale dell'uomo contemporaneo, smarrito nello sprofondamento oscuro della coscienza, nel male oscuro di una interiorità insondabile. Gli amari abissi riportano in basso lo sguardo del lettore. E infatti la seconda quartina ci riporta negli spazi scenici del primo verso della poesia, in quel crudele "divertimento" che ha come gesto iniziale la cattura degli albatri. La seconda quartina si regge su una trama di opposizioni: il volo (interrotto) e la deposizione sul ponte, la sovranità dell'azzurro e la goffaggine dei movimenti, le grandi ali bianche spiegate nel volo e poi trascinate ai fianchi come fossero remi. La deposizione degli albatri ha il carattere tragico e gratuito di una dissacrazione, di una profanazione. Ma la profanazione ha un legame segreto con la cosa profanata. Potremmo qui avventurarci nel non detto dei versi: ciò che l'azzurro significa (cioè l'altrove) e che gli albatri abitano con la libertà e la leggerezza del volo, è forse sostanza di un desiderio che assale i marinai. L'azzurro insomma è il profilo di un sogno, la figura di un dominio delle forze naturali. Le grandi ali bianche dell'albatro catturato sono come remi inerti, trascinati ai fianchi. L'onda di senso dell'intera strofa si raccoglie intorno a quel traîner in cui l'ombra del volo è cancellata, e il cammino stesso è impedito. Non solo icona dell'impotenza, del corpo privo di movimento e di energia, ma anche emblema della prigionia e dell'esilio. Nella terza quartina, i primi due emistichi dei primi due versi - Ce voyageur ailé / Lui, naguère si beau - sostengono, dall'alto del volo e della bellezza, lo sguardo sulla sopravvenuta abiezione. Il prima della caduta è presente - come dolente ricordo - nel tempo della miseria. Con questa strofa, dallo stormo degli albatri si distacca un albatro, l'albatro di questa poesia, impedito nella libertà del volo. Quella del volo è una metafora chiara della fantasia, dell'immaginazione, comunque del libero scorrere dei pensieri [Si ricordi il pastore del leopardiano Canto notturno, che vedeva nel volo un lampo d'impossibile felicità: "forse, s'avessi io l'ale..."]. Ma se il volo è metafora di ciò che il poeta sperimenta nei pensieri e quindi nel linguaggio, quando i marinai mimano l'impotenza dell'albatro è l'impotenza umana che mettono in scena: mimano se stessi, l'assenza di ali e quindi di libertà che è in loro. Perciò la condizione di comicità non cancella nella figura dell'albatro la sua appartenenza a un "altrove", a quell'azzurro ora cancellato. Nella strofa finale l'allegoria mostra il suo senso; la fine illumina il principio. È come l'albatro il poeta; l'uno e l'altro sono nella separazione, nello spaesamento; dicono la caduta nell'improprio, nella inappartenenza. L'arcata che sostiene l'allegoria è una similitudine: e nella reversibilità dei due termini della comparazione, delle due icone, si rappresenta la solidarietà creaturale, la comune appartenenza allo stesso destino, alla stessa avventura. Sia l'albatro che il poeta raccontano le forme dello stesso evento: la caduta. L'immagine del poeta, il suo ritratto romantico e infelice riempie di sé il nuovo paesaggio. Tuttavia l'immagine dell'albatro permane negli elementi prima negati e sacrificati: il volo, il dominio del cielo. Una sovranità che sostituisce all'azzurro le nubi e la tempesta. La comparazione congiunge in un solo verso le due sovranità, dell'albatro e del poeta: Le Poéte est semblable au prince des nuées. All'albatro si è sostituito il poeta, ma nel ritratto della sua condizione permangono ancora gli elementi figuranti dell'albatro. Il poeta, infatti, è principe nel regno delle nuvole. Perciò in Albatros il cielo è complice del poeta, sua protezione: la terra, invece, è il luogo dell'esilio. NOTA - La presente analisi deve parecchi spunti al bellissimo saggio di Antonio Prete: L'albatros di Baudelaire, Nuova Pratiche Editrice, Parma, 1994. Vedi note

9 Da tale estraneità si genera angoscia esistenziale, a cui il poeta tenta di sottrarsi
Ricorrendo a compensatori paradisi artificiali (ebbrezza, vizio, piacere) Vagheggiando il partire (“Tuffarci in fondo all’abisso (Inferno o Cielo che importa?) toccare il fondo dell’ignoto per trovarvi il nuovo”) Oltrepassando i confini dei sensi (decifrare la “foresta di simboli” per scoprirne l’essenza): ricerca di corrispondances fra i sensi umani e la natura, ricorrendo a una scrittura alogica basata sull’analogia (libera associazione di immagini) e sulla sinestesia (commistione degli stimoli sensoriali)

10 Corrispondenze       È un tempio la Natura in cui viventi pilastri       Lasciano a tratti sfuggire confuse parole;       L'uomo vi passa attraverso foreste di simboli       Che l'osservano con sguardi familiari. 5    Come degli echi lunghi che lungi si confondono       In una tenebrosa e profonda unità,       Vasta come la notte e il chiarore del giorno,       I profumi, i colori e i suoni si rispondono.       Vi son profumi freschi come carni di bimbo, 10  Dolci come degli oboi, verdi come prati,       - Ed altri corrotti, ricchi e trionfanti,       Che han l'espansione propria delle cose infinite,       Come l'ambra ed il muschio, il benzoino e l'incenso,       Che cantano i trasporti dell'anima e dei sensi.

11 L’alternativa alla poetica simbolista delle corrispondances è quella dell’allegorismo moderno
Rappresentare cioè la fine dell’accordo con la natura, la trasformazione in essa in un “seconda natura” artificiale. L’allegoria rappresenta la vita alienata nella metropoli moderna, proponendo figure e apologhi narrativi con precisi intenti concettuali (vedi Perdita d’aureola) Alcune poesie affrontano il particolare rapporto tra l'artista, la sua attività creativa ( la poesia ) e la città. A livello simbolico Parigi diviene la prigione da cui bisogna evadere con l'immaginazione poetica, che è sempre atto di elevazione dal basso, dal fermo e condizionato universo delle cose. L'albatros e Il cigno sono le metafore che esprimono il bisogno di distacco fisico dalla bassezza dell'universo umano, in uno slancio verticale, ideale verso la purezza del cielo della creazione. Ma le due composizioni sono  accomunate anche dal persistere dei vincoli che negano questa liberazione; o perlomeno dalla definizione del disagio a misurarsi con gli uomini della nuova città, insensibili all'arte, che popolano Parigi, ormai segnata dal progresso industriale, dove il cigno non ritrova più il suo bel lago natale ma solo un secco rivolo, mentre bagna le sue ali nella polvere. Queste immagini restituiscono tutta la fisicità del disagio a convivere con una città, dove la folla fa sentire ancor più solo il poeta, dove la solitudine del resto è cercata come unico modo per ricrearsi un vero spazio creativo.

12 Definizione tratta dall’antologia curata da Verlaine del 1884
I poeti maledetti Definizione tratta dall’antologia curata da Verlaine del 1884

13 Arthur Rimbaud 1854-1891 Ribellismo Vedi note
Fugge di casa a 16 anni – non sopporta il conformismo piccolo-borghese Ribellione antiborghese: partecipa alla Comune Amore per la violenza popolare (la “canaglia”> forme di esistenza vili e meschine ma preferibili alla vita borghese), alcool, vita sregolata – disagio esistenziale Bellissimo, fu amato da Verlaine che per gelosia gli sparò Viaggiò molto, in Africa fu agente commerciale ma dovette tornare per operarsi di un tumore al ginocchio che lo condusse comunque alla morte. Ribellismo Arthur Rimbaud considerato l'incarnazione del poeta maledetto, nacque a Charleville nel 1854 in una tipica famiglia borghese (dove non ebbe né l'affetto del padre, che assai presto lasciò la famiglia, né quello della madre, inflessibile e tiranna). Educato in famiglia ed a scuola secondo gli schemi più tradizionali, si segnalò per la straordinaria precocità intellettuale componendo versi sin dall'età di dieci anni; a 16 anni rifiutò di colpo tutti gli schemi secondo cui era stato educato, fuggì ripetutamente di casa, cominciò il suo vagabondaggio: visse tra esperienze di ogni genere, senza escludere alcol, droga e carcere. Si rifiutò di tornare a scuola e, nel corso di una nuova fuga, incontrò Paul Verlaine, amicizia che fu decisiva nello stimolare la straordinaria e precocissima vena creativa del poeta adolescente. Tentò di raggiungere Parigi dove, alla caduta dell'Impero di Napoleone III, era sorta la Comune. Proprio nel '70 ebbe inizio l'avventura letteraria di questo "enfant prodige" (che cominciò a comporre imitando Hugo e i parnassiani), un'avventura che durò cinque anni, durante i quali scrisse tutte le sue opere più importanti. Riscosse grande successo tra i poeti simbolisti e nell'ambiente intellettuale parigino, ma questo successo fu effimero, e ben presto Rimbaud si ritrovò a essere ignorato e dileggiato. Nel 1872 mise fine al suo movimentato soggiorno parigino e ritornò a Charleville, dove però non ottenne stima né comprensione. Continuò tuttavia a frequentare Verlaine, che l'accompagnò a Londra, poi a Bruxelles, dove scrisse una parte delle Illuminazioni e Una stagione all'inferno (1873). Verlaine pose fine al loro legame burrascoso nel 1873, ferendolo con un colpo di pistola. Rimbaud abbandonò la poesia (dopo aver distrutto quanto poteva dei suoi scritti) e si lanciò in una vita d'avventure, che lo vide insegnante a Londra nel 1874, scaricatore di porto a Marsiglia nel 1875, mercenario nelle Indie olandesi e disertore a Giava nel 1876, al seguito di un circo nel 1877, capomastro a Cipro nel Infine, nel 1880 si stabilì come commerciante in Abissinia. Verlaine, pensando che Rimbaud fosse morto, ne pubblicò le Illuminazioni nel Nel 1891, Rimbaud ritornò in Francia per sottoporsi a cure mediche per un tumore a un ginocchio, a causa del quale morì in quello stesso anno. La prima adolescenza si potrebbe riassumere raccontando le fughe da Charleville, le ribellioni, le lunghe ed esaltanti camminate nella campagna, le letture più disparate: dai libri di scuola a quelli di viaggio fino ai libri di alchimia e della cabala. Le poesie scritte in questo periodo attestano la ricerca di una forma poetica; oscilla tra l’imitazione dei parnassiani e quella di Victor Hugo. I suoi versi esprimono la gioia e l’esaltazione delle solitarie passeggiate, le prime emozioni sentimentali, la propria potenza immaginativa, l’ironia crudele per la vita meschina della borghesia di Charleville. Rimbaud, il poeta "visionario", volle rinnovare la poesia e, con l’audacia dei giovani, fece tabula rasa di tutta la retorica precedente, rinnegando persino Baudelaire – giudicato a suo avviso trop artist, e poiché non gli restava alcun mezzo che non fosse falsato, non si fidò che della sua sensazione pura. Inventò quindi la poesia della sensazione, traducendo in poesia quello che si potrebbe chiamare lo stato psicologico da cui nascono, senza alcuna interferenza, i nostri atti. Al pensiero puro corrispose un ugual linguaggio ed un ugual ritmo che riassume tutto: profumi, suoni e colori. Rimbaud si trovò così alla punta estrema di ogni audacia letteraria e poetica, dove né i simbolisti né i surrealisti riuscirono a seguirlo. Rimbaud non ebbe discepoli e neppure imitatori, nondimeno fu allora come oggi il punto di partenza di ogni audacia poetica. LA POESIA di RIMBAUD La poesia di Rimbaud cancella i tradizionali legami logici, le categorie (di tempo e spazio, di causa ed effetto) che per secoli avevano regolato la poesia. La parola non è più solamente un mezzo di comunicazione ma ha il compito di evocare un mondo tutto fantastico. Una stagione in inferno (1873) è una specie di diario autobiografico immerso in un'atmosfera demoniaca nella quale i momenti fondamentali della vita: l'infanzia, l'odio-amore per la madre, la solitudine, il degrado sociale, si trasfigurano nei simbolismi della magia, dell'odio, della veggenza. Nelle Illuminazioni, scritte nel 1874 e successivamente pubblicate da Verlaine, il poeta tentò di realizzare il "deragliamento dei sensi" mediante brevi componimenti poetici in cui si evidenziano allucinazioni, impressioni fugaci, tentativi di espressione nuova. Ne emerge un nuovo modello di poeta, il poeta-veggente che si oppone al modello di poeta civile, di poeta-vate; il poeta-veggente calpesta le istituzioni, i valori e la morale borghese, si abbandona alla più folle sregolatezza dei sensi. Vedi note

14 Il veggente 1871 Il battello ebbro: un battello senza marinai va alla deriva su un fiume americano e giunge al mare, contemplando spettacoli ignoti all’uomo> creazione di un nuovo mondo con disposizione onirica 1871 Lettera del veggente: deragliamento dei sensi, con alcune conseguenze: Eliminazione categorie spazio-temporali (presente allucinatorio) Crollo impalcature sintattiche (parola non comunicativa ma evocativa) Uso dell’analogia/associazione di immagini> creazione di una realtà nuova

15 dalla "Lettera del Veggente " ( 1871 ) «lo dico, che bisogna essere " veggente ", farsi " veggente ". Il Poeta si fa "veggente" mediante una lunga, immensa e ragionata "sregolatezza di tutti i sensi".  Tutte le forme di amore, di sofferenza, di follia; egli cerca se stesso, esaurisce in sé tutti i veleni, per non serbarne che la quintessenza.  Ineffabile tortura in cui ha bisogno di tutta la fede, di tutta la forza sovrumana, nella quale egli diventa in mezzo a tutti il grande malato, il grande criminale, il grande maledetto, - e il Sommo Sapiente!

16 Egli giunge infatti all'ignoto
....Egli giunge infatti all'ignoto!  Poiché ha coltivato la sua anima, già ricca, più di chiunque altro!  Egli giunge all'ignoto, e se, smarrito, finisse col perdere l'intelligenza delle sue visioni, le ha pur vedute!  Che crepi nel suo balzo attraverso le cose inaudite e innominabili: verranno altri orribili lavoratori: incominceranno dagli orizzonti dove l'altro si è accasciato! [... ] Dunque il poeta è veramente un ladro di fuoco. Ha l'incarico dell'umanità, persino degli "animali"; dovrà far sentire, palpare, ascoltare le sue invenzioni; se ciò che riporta di "laggiù" ha forma, egli dà forma; se è informe, egli dà l'informe. 

17 Trovare una lingua; - Del resto ogni parola essendo idea, verrà il tempo di un linguaggio universale!  Bisogna essere un accademico, - più morto di un fossile - per ultimare un dizionario di qualsiasi lingua.  Se un debole si mettesse a pensare sulla prima lettera dell'alfabeto, tosto rovinerebbe nella pazzia! Questa lingua sarà l'anima per l'anima, riassumendo tutto, profumi, suoni, colori, sarà pensiero che aggancia il pensiero e che tira.  Il poeta definirebbe la quantità di ignoto che nel suo tempo si risveglia nell'anima universale: darebbe di più - della formula del suo pensiero, della notazione della "sua marcia verso il Progresso"!  Enormità che diventa norma, assorbita da tutti, egli sarebbe davvero "un moltiplicatore di progresso"!  Questo avvenire sarà materialista, vede bene; - sempre pieno di "Numero" e di "Armonia", questi poemi saranno fatti per restare. - In fondo, sarebbe ancora un po' la Poesia greca. L'arte eterna avrebbe la sua funzione, così come i poeti sono cittadini.  La Poesia non ritmerà più l'azione; sarà più "avanti".

18 Questi poeti saranno!  Quando sarà spezzata l'infinita schiavitù della donna, quando ella vivrà per sé e grazie a sé, l'uomo, - finora abominevole, - avendola resa, sarà poeta, poeta anch'essa!  La donna troverà dell'ignoto! I suoi mondi di idee differiranno dai nostri? - Troverà cose strane, insondabili, ripugnanti, deliziose; noi le prenderemo, le capiremo. Nel frattempo chiediamo ai "poeti" del "nuovo", - idee e forme.  Tutti gli abili crederanno subito di aver soddisfatto tale domanda. - Non è questo! ».

19 VOYELLES, VOCALI La poesia presenta grandi difficoltà di comprensione in quanto ogni legame logico è infranto. E’ un linguaggio "alla deriva" eppure estremamente controllato nel quale, molti anni prima di Freud, si dà spazio alle immagini simboliche e agli accostamenti alogici, propri dei meccanismi dell'inconscio. Vocali (Voyelles) è scritto all'inizio del 1872, probabilmente sotto la suggestione delle Corrispondenze di Baudelaire; il sonetto associa lettere dell'alfabeto e colori, realizzando in immagini le sensazioni che dai colori o dalla forma delle vocali scaturiscono.

20 A nera, E bianca, I rossa, U verde, O blu: vocali, Io dirò un giorno le vostre origini segrete: A, nero corsetto villoso delle mosche lucenti Che ronzano intorno a fetori crudeli,

21 Golfi d'ombra; E, candori di vapori e di tende, Lance di fieri ghiacciai, re bianchi, brividi di umbelle; I, porpore, sangue sputato, riso di belle labbra Nella collera o nelle ebbrezze penitenti;

22 U, cicli, vibrazioni divine di mari verdi, Pace dei pascoli seminati di animali, pace delle rughe Che l'alchimia scava nelle ampie fronti studiose.

23 O, Tuba suprema piena di stridori strani, Silenzi attraversati dai Mondi e dagli Angeli: - O l'Omega, raggio violetto dei Suoi Occhi!

24 Opere più significative
Paul Verlaine Contaminazione vita-letteratura Alternanza di suggestioni religiose e trasgressioni, desiderio di redenzione e voluttà di perdizione Si lega a Rimbaud e viaggia con lui: in preda all’alcool gli spara. In carcere sembra convertirsi al cattolicesimo, ma una volta uscito ricade nei suoi eccessi e muore in miseria. Dimensione languida e malinconica Ricerca di musicalità PAUL VERLAINE nacque nel 1844, trascorse l'infanzia e l'adolescenza a Parigi. Più che seguire gli studi di legge ai quali era stato avviato, frequentò i circoli letterari e i poeti parnassiani. Si diede ben presto ad una vita disordinata alla quale alternava qualche periodo di regolarità. Nel 1871 si legò in un turbinoso ed equivoco rapporto col giovane Rimbaud col quale viaggiò per l'Europa, ma un giorno, in preda all'alcool, lo ferì con alcune rivoltellate. Imprigionato, sembrò accostarsi alla fede cattolica e ritornare, dopo la libertà ad una vita normale. Ma fu presto ripreso dalle antiche abitudini e la sua vita fu un susseguirsi di miserie e di disordini. Morì nel 1896. Opere più significative I poemi saturnini (1886): opera giovanile in cui sono già individuabili i temi fondamentali della sua poesia di sempre: malinconia, tenerezza e intimità. Romanze senza parole (1874): raccoglie liriche scritte nel periodo del carcere; esse, come esprime il titolo, tendono a manifestare la musicalità della poesia divenuta simbolo della profonda intimità delle cose. Saggezza (1881): frutto di una crisi spirituale, dopo un periodo di dolorose meditazioni, il poeta sembrò ritrovare la pace dell’anima nella appassionata adesione alla religione cattolica, di cui questi versi sono testimonianza. I poeti maledetti (1884): raccolta di saggi su alcuni poeti del tempo in cui Verlaine esprime il suo concetto anticonvenzionale e anticonformista sul poeta, in lotta contro la società mediocre che non lo comprende, spregiudicato sia nelle poesia sia nella vita. Esalta, infatti, quei poeti suoi amici, oscuri ma degni di gloria, che conducevano una vita misera e irregolare ma coerente con il loro rifiuto degli schemi comuni, sia nella vita sia nel loro vivere. Vedi note

25 Arte poetica La musica, più d'ogni cosa; e a tal fine fa' l'abitudine all'Impari vago e solubile nell'aria: non pesa e non posa. Le parole, io sono d'avviso sceglile con qualche malizia: meglio la canzone un po' grigia d'Indeciso unito al Preciso. Pupille, oltre veli, più belle; nel pieno meriggio quel fremito di luce, d'autunno quel tepido cielo: blu trapunto di stelle. Ma con il Colore va' cauto: che la Sfumatura soltanto ti fidanza il sogno piu blando al sogno, e l'oboe col flauto. La musica è la lingua universale dell'anima da cui la poesia deve trarre le sue nuove risorse: il verso asimmetrico e indefinito, parole precise ma libere dalla costrizione del "messaggio", immagini luminose ma dai colori sfumati; e non più la furbizia dei giochi di parole, non l'eloquenza retorica della rima: meglio le sonorità nascoste dell'assonanza. Il verso sia il mezzo per liberare le sensazioni più profonde dell'anima; il verso e nient'altro. Guida alla lettura L'Arte poetica di P. Verlaine è un testo programmatico, rappresenta cioè quell'aspetto fondamentale del lavoro poetico che è la riflessione sul linguaggio. Per comprendere l'importanza di questo momento operativo, centrale nel lavoro di ogni grande poeta, occorre aprire una parentesi sul ruolo che ricopre il linguaggio letterario nel sistema culturale complessivo di una società. I due aspetti principali della letteratura, quello della prosa letteraria propriamente detta e quello della poesia, rappresentano due possibilità alternative della composizione letteraria. In breve: da sempre la società affida alla prosa letteraria il compito di divulgare i propri valori ufficiali, ideologici, religiosi ed etici in senso lato. La prosa narrativa e romanzesca costituisce cioè l'aspetto collettivo della cultura sociale, è "voce del popolo" sublimata in forme e contenuti di valore artistico più o meno elevato. Al contrario, la poesia - dalla nascita della lirica in poi - è nello stesso tempo il luogo della sperimentazione linguistica e dell'enunciazione di valori "nuovi", quando non addirittura "negativi". Ogni grande trasformazione storica ha generato anche una nuova poesia, e questa ha contribuito a dotare la propria epoca del linguaggio e delle immagini utili a rappresentare la nuova realtà. Questo fenomeno è facilmente comprensibile se si accetta l'ipotesi che la rappresentazione del mondo dipenda totalmente dal linguaggio, che sia cioè il linguaggio il luogo a partire da cui noi "vediamo (interpretiamo) il mondo". La poesia, come laboratorio privilegiato della ricerca linguistica, è dunque uno dei momenti attraverso i quali l'uomo, e la società nel suo insieme, interpreta e scopre il senso dell'esistenza, in quella fase in cui la realtà non è più in grado di rispondere alle esigenze di rinnovamento che agitano la coscienza collettiva.   Alla luce di questa premessa, è necessario ora verificare quanto di nuovo enunci il componimento di Verlaine, in relazione al suo tempo. Lo vedremo analizzando alcune parole-chiave del testo: ·          La Musica ·          L'Indeciso (unito al Preciso) ·          La Sfumatura ·          Il verso.  La Musica La ricerca dell'unione tra poesia e musica è un ideale estetico che ha segnato tutta la storia della poesia e che in varie epoche si è concretizzato in forme artistiche importanti, componimenti poetici dedicati al canto o pensati per imitare la musicalità attraverso la sonorità della parola. Ma è col romanticismo che questa ricerca tocca la sfera dei contenuti spirituali e filosofici più profondi. A partire dalla Germania, la musica entra ben presto nella concezione romantica che vede nell'arte lo strumento di conciliazione del conflitto tra vita terrea e Assoluto spirituale, e questo per via del suo aspetto meno materiale - rispetto ad arti come pittura, scultura e letteratura. Essa diventa la rappresentazione di quell'indistinto che è al centro dell'estetica romantica, inteso come rivelazione dello Spirito. Sostituendo i concetti tipicamente romantici, per altro molto importanti nella formazione dei simbolisti francesi, con i nuovi temi della ricerca estetica di fine ottocento - l'inconscio, l'ignoto, la lingua dell'anima [vedi Rimbaud, alle pp. X e y] - non è difficile comprendere come l'idea romantica abbia potuto trasfondersi totalmente nella concezione poetica simbolista. La musica, che per i romantici era lo strumento dell'unione con lo Spirito assoluto, qui - capovolta la prospettiva da un Infinito "esterno" a un infinito "interiore" - rimane la lingua privilegiata attraverso cui l'anima del poeta può comunicare agli uomini ciò che ha colto nella propria profondità, e che le parole del linguaggio "letterario" ufficiale non potrebbero mai esprimere («E il resto è letteratura» - v. 36). L'Indeciso (unito al Preciso) Si ripropone qui - espresso però con la chiarezza di un programma poetico esplicito e consapevole - quanto affermavamo in merito alle caratteristiche generali della poetica simbolista: l'essere cioè l'immagine simbolica utilizzata da questi poeti una figura priva di significato preciso ma dotata di grande evidenza e concretezza. È di grande interesse notare che la stessa posizione sul valore poetico (e filosofico) delle immagini "indeterminate" l'aveva già espressa Giacomo Leopardi, in alcune pagine fondamentali del suo Zibaldone. Questo non fa che confermare il grande debito che la poesia simbolista deve riconoscere nei confronti della cultura romantica. La Sfumatura La sfumatura (in francese «nuance») è il termine centrale della poetica simbolista. Esso rappresenta il capovolgimento in senso psicologico ed estetico dell'atteggiamento romantico teso ad esaltare la drammaticità dei contrasti e delle passioni. Se l'oggetto dell'indagine poetica è l'indistinto e indicibile abisso dell'interiorità pre-cosciente, l'atteggiamento di chi persegue questa indagine - che è soprattutto ascolto - non può che essere quello del silenzioso abbandono semi-cosciente, quel saper cogliere l'immagine che si svela con la "coda dell'occhio" più che con l'eroismo della volontà. Da qui, l'importanza delle sfumature più impercettibili e sottili, la cui fragilità è il correlativo della profondità su cui si aprono, come miraggi passeggeri. E ancora una volta, l'immagine più adatta a rappresentare l'incantesimo dell'evanescente apparizione della profondità, è di tipo musicale: la sottile differenza tra il timbro dell'oboe e quello del flauto (v. 16).  Il verso È lo strumento del poeta. Esso riassume nella sua forma tutte le intenzioni espressive enunciate dal programma verlainiano: Dev'essere dispari e a tal fine fa' l'abitudine all'Impari, vago e solubile nell'aria cioè composto da un numero dispari di sillabe (la sillaba è l'unità di misura della metrica poetica) poiché ciò favorisce la sensazione di incompletezza e di sospensione del ritmo che crea vaghezza e indeterminatezza. Non deve contenere troppe rime; meglio l'assonanza, che favorisce la musicalità della parola: E torci il collo all'Eloquenza; la Rima, è meglio che lo domi. E quindi, il verso si faccia musica in parole: E sempre musica. Il verso Sia soltanto l'essenza viva Di un animo già sulla via D'altri amori, nel cielo terso. È significativo notare la vicinanza cronologica tra la pubblicazione di questa poesia e quella del romanzo di D'Annunzio Il piacere. In esso troviamo, all'inizio della Parte II, un'enunciazione estetica che condivide, esasperandoli, molti elementi della poetica verlainiana. Eccone un estratto: «Altri versi gli vennero alla memoria, altri ancora, altri ancora, tumultuariamente. La sua anima si empì tutta d'una musica di rime e di sillabe ritmiche. Egli gioiva; quella spontanea improvvisa agitazion poetica gli dava un iesprimibile diletto. Egli ascoltava in sé medesimo que' suoni, compiacendosi delle ricche imagini, degli epiteti esatti, delle metafore lucide, delle armonie ricercate, delle squisite combinazioni di iati e di dieresi, di tutte le più sottili raffinatezze che variavano il suo stile e la sua metrica, di tutti i misteriosi artifizii dell'endecasillabo appresi dagli ammirabili poeti del XIV secolo e in ispecie dal Petrarca. La magia del verso gli soggiogò di nuovo lo spirito; e l'emistichio sentenziale d'un poeta contemporaneo gli sorrideva singolarmente. - «Il Verso è tutto.» Il verso è tutto. Nella imitazion della Natura nessuno istrumento d'arte è più vivo, agile, acuto, vario, moltiforme, plastico, obediente, sensibile, fedele. Più compatto del marmo, più malleabile della cera, più sottile d'un fluido, più vibrante di una corda, più luminoso d'una gemma; più fragrante d'un fiore, più tagliente d'una spada, più flessibile d'un virgulto, più carezzevole d'un murmure, più terribile d'un tuono, il verso è tutto e può tutto. Può rendere i minimi moti del sentimento e i minimi moti della sensazione; può definire l'indefinibile e dire l'ineffabile; può abbracciare l'illimitato e penetrare l'abisso; può avere dimensioni d'eternità; può rappresentare il sopraumano, il soprannaturale, l'oltramirabile; può inebriare come un vino, rapire come un'estasi; può nel tempo medesimo possedere il nostro intelletto, il nostro spirito, il nostro corpo; può infine, raggiungere l'Assoluto, Un verso perfetto è assoluto, immutabile, immortale; tiene in sé le parole con la coerenza d'un diamante; chiude il pensiero come in un cerchio preciso che nessuna forza mai riuscirà a rompere; diviene indipendente da ogni legame e da ogni dominio; non appartiene più all'artefice, ma è di tutti e di nessuno, come lo spazio, come la luce, come le cose immanenti e perpetue. Un pensiero esattamente espresso in un verso perfetto è un pensiero che già esisteva preformato nella oscura profondità della lingua. Estratto dal poeta, seguita ad esistere nella coscienza degli uomini. Maggior poeta è dunque colui che sa discoprire, disviluppare, estrarre un maggior numero di codeste preformazioni ideali. Quando il poeta è prossimo alla scoperta d'uno di tali versi eterni, è avvertito da un divino torrente di gioia che gli invade d'improvviso tutto l'essere.»[1] [1] «Il verso è tutto» è la dichiarazione-manifesto dell 'estetica (estetismo) di Andrea Sperelli, il protagonista del romanzo. Si tratta in realtà di un'autocitazione che D'Annunzio fa di un suo verso, appartenente alla raccolta poetica Isotteo: La Chimera. Vedi note

26 Stephane Mallarmé 1842-1898 Poeta eletto che ricerca l'essenza
SMATERIALIZZAZIONE DELLA POESIA FUGA DALLA REALTA’ Processo continuato da Poeta eletto che ricerca l'essenza Stephane Mallarmé nacque a Parigi nel Uomo modesto e schivo, Mallarmé ebbe un'infanzia difficile; di origine piccolo-borghese, rimase orfano di padre a cinque anni e la sua tristezza venne accentuandosi alla morte precoce della sorellina Maria. Studiò, senza eccellere, al collegio d'Auteuil dove nel 1860 ottenne il Baccalaureato. Dovette subito cercarsi un impiego e lo trovò all'ufficio del registro di Sens. Cercò rimedio alla decisione del lavoro nella lettura di Baudelaire che influì grandemente su di lui, tanto che i suoi versi risentirono subito del contrasto tra realtà e sogno, in un'ispirazione decadente. Per studiare l'inglese si trasferì in Inghilterra (1862) dove però il suo soggiorno si rivelò economicamente difficile. Un anno dopo il suo ritorno in Francia, sposò una giovane istruttrice tedesca, dedicandole un affetto tenero, ma mai appassionato. Ottenne la cattedra d'inglese ma per trentanni insegnò senza gusto e senza passione, passando da città in città. Insegnare per lui era sottrarre tempo alla poesia, al gusto all'amore della libertà (che esprime anche nei suoi versi). La sua poesia esprime con vigore il sogno della purezza e del distacco dal mondo: l'opera poetica è miracolosa come la creazione, ma al termine d'una faticosa ascesa, non v'è che nulla, la pagina bianca, il silenzio. Giunto a Parigi frequentò poeti come Verlaine e altri artisti e ottenne la direzione della rivista La derniere mode. Nel 1876 non riuscì a pubblicare la definitiva versione del Pomeriggio di un fauno, rifiutato dai parnassiani perché troppo crudo. La fama gli venne dopo la citazione che di lui fece Huysmans nel suo A Ritroso del Da allora fu considerato un caposcuola e i suoi martedì –giorno in cui riceveva gli amici- divennero il più prestigioso cenacolo letterario del tempo. Nonostante i molti contatti, i moltissimi impegni, che generalmente lo distruggevano, continuò a sentirsi solo. Morì nel 1898. Opere 1875 Il Pomeriggio D'un Fauno 1887 Parnaso Contemporaneo 1895 La Musica E Le Lettere 1897 Divagazioni Un Tratto Di Dadi Non Abolirà Mai Il Caso Stephane Mallarmé Vedi note

27  La poetica Evita ogni realistica, e quindi limitata e condizionante, puntualizzazione (atteggiamento dei parnassiani):   "...i parnassiani prendono l'oggetto così com'è e ce lo mettono davanti e per questo mancano di mistero: perché privano la mente dell'incanto di credere che sta creando. Definire un oggetto è annullare i tre quarti del godimento della poesia, che nasce dalla soddisfazione di indovinare a poco a poco: suggerirlo, evocarlo... è questo che ammalia la fantasia".

28 Depura il linguaggio da tutte le incrostazioni e i detriti di cui la comunicazione giornaliera (l'uso che ne fa la tribù) lo ha caricato ...per dare un senso più puro alle parole della tribù Riscopre il potere magico che ha la parola, la quale può diventare creatrice di realtà, commuove e scuote profondamente: Poeta creatore  "...io dico: un fiore! E, fuor dell'oblio, musicalmente si leva, idea stessa e soave, l'essenza di tutti i fasci dei fiori..." Ricorre al simbolo ma non univoco, convenzionale: il simbolo deve essere scelto dal poeta a rappresentare alcune sue intuizioni particolari, come travestimento soggettivo di esse.

29 Con la sua tecnica il poeta vuole attingere la verità assoluta, penetrare nel mistero universale, cogliere l'essenza del reale, le idee pure, i concetti astratti e i legami che intercorrono fra di loro, al di là e al di fuori di ogni razionalità, fino a giungere al vuoto, alla pagina bianca. Il suo diviene un sacerdozio poetico: il poeta è il mediatore, l'intermediario tra il visibile e l'invisibile: "Le religioni si trincerano in arcani misteri che si rivelano solo a coloro che sono predestinati. Anche l'arte ha i suoi arcani". Di qui prenderanno le mosse tutte le successive avanguardie poetiche: dai futuristi ai surrealisti, dai poeti puri come Ungaretti agli ermetici come Quasimodo.


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