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Mafia e Letteratura “Tramite culturale per eccellenza, un libro è mille ragioni per resistere alla mafia” Tesi di italiano – storia. I.P.S.I.A. Castiliano.

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Presentazione sul tema: "Mafia e Letteratura “Tramite culturale per eccellenza, un libro è mille ragioni per resistere alla mafia” Tesi di italiano – storia. I.P.S.I.A. Castiliano."— Transcript della presentazione:

1 Mafia e Letteratura “Tramite culturale per eccellenza, un libro è mille ragioni per resistere alla mafia” Tesi di italiano – storia. I.P.S.I.A. Castiliano Asti (AT) Anno scolastico 2006/2007 Cl. 5°E Di Gariglio Nicolò

2 La mafia italiana Breve storia di Cosa Nostra
“Camorra” e “ ‘Ndràngheta” La Letteratura di mafia Leonardo Sciascia Il Giorno della Civetta La Letteratura di Mafia oggi: Roberto Saviano Gomorra

3 Breve storia di Cosa Nostra
: la mafia delle origini : il prefetto di ferro : lo sbarco degli alleati : mafia dei suoli urbani e del commercio agricolo 1970 ad oggi: mafia imprenditrice. Ritorno al Menù Principale

4 1860-1926: la mafia delle origini
Molti studiosi fanno partire la storia della mafia dall'Unità d'Italia perché è in quel momento storico che si evidenzia un conflitto palese tra questa criminalità - che va organizzandosi in maniera sempre più rigida - e lo Stato. L'Unità d'Italia in Sicilia accelerò fortemente un processo di fine della struttura feudale delle campagne, nel momento in cui integrò l'economia siciliana in quella del resto del paese. Nelle campagne i grossi latifondisti, che avevano detenuto interamente il potere fino a quel tempo, cominciarono ad aver bisogno sempre più di qualcuno che garantisse loro un controllo effettivo delle proprietà, sia per difendersi dal brigantaggio, sia per resistere alle nascenti pretese delle classi contadine per una più equa distribuzione del prodotto del loro lavoro. Questo ruolo, che in altri paesi ed anche in altre zone d'Italia fu tipicamente un compito affidato alla classe borghese imprenditoriale, aiutata nella sua affermazione dallo stato liberale, venne assunto in Sicilia da alcuni personaggi che presero il nome di "campieri" (perché controllavano i campi) o "gabelloti", in quanto riscuotevano, per conto del padrone, le "gabelle". Quindi, fin dal principio, la mafia si delinea come un'organizzazione che assume dei ruoli pubblici per eccellenza, che altrove sono di competenza dello Stato. Per farlo, i mafiosi ebbero fin dalle origini contatti molto stretti con il potere pubblico ed è del tutto naturale che il terreno per queste collusioni era più nelle città, dov'era concentrato il potere politico, che nelle campagne. Indietro

5 : il prefetto di ferro Con alterne vicende, la situazione sopra descritta andò avanti fino all'avvento del Fascismo. Con il nuovo regime, divenne evidente che la funzione della mafia di concorrenza con i poteri dello stato non poteva essere tollerata da un sistema di potere che dall'esercizio assoluto del monopolio non solo della forza, ma anche del controllo sociale, traeva la sua ragion d'essere. Fu per questo che mafia e Fascismo entrarono in rotta di collisione. Il 22 ottobre 1925 si insediò a Palermo il prefetto Cesare Mori, che sarebbe passato alla storia con il soprannome di "prefetto di ferro Dunque una violenza e dei metodi che erano accettabili solo in uno stato non più democratico, dove le garanzie per i cittadini erano considerate molto meno della necessità di assicurare banditi alla giustizia. Tali metodi furono perseguiti per anni: furono fatti migliaia di arresti, senza troppe preoccupazioni se nel mucchio finivano anche molti innocenti. I metodi brutali del prefetto Mori ebbero sicuri risultati in termini militari. Il 1927 viene ancor oggi ricordato come l'anno in cui furono arrestati più mafiosi (ma forse anche più innocenti accusati di esserlo). Moltissimi altri furono costretti a fuggire, per lo più "rifugiandosi" negli Stati Uniti, andando a rimpolpare la nascente mafia italo-americana. Indietro

6 1943-1947: lo sbarco degli alleati
Che la mafia, sconfitta sul piano militare, covasse in realtà sotto la cenere e mantenesse un suo controllo sulla società siciliana sembra confermato dalle vicende dell'estate del , in occasione dello sbarco in Sicilia degli Alleati. La strategia militare che il Pentagono decise di attuare nel momento in cui si decise di aprire uno nuovo fronte contro i nazi-fascisti in Italia, fu quella di iniziare l'offensiva dalla Sicilia, sia per evidenti ragioni geografiche (per evitare l'accerchiamento da parte del nemico), sia perché si poteva costituire una testa di ponte in Sicilia proprio sfruttando la mafia. La CIA contattò alcuni importanti boss mafiosi italo- americani in carcere negli Stati Uniti, e gli offrì un patto: la libertà in cambio di un appoggio al momento dello sbarco. Il boss più famoso che rientrò in questa trattativa fu Lucky Luciano. Fu ciò che avvenne: alla fine della guerra molti mafiosi americani furono liberati ed espulsi dagli Stati Uniti come "indesiderabili", con il tacito accordo che sarebbero tornati in Italia. Inoltre gli Alleati affidarono molte cariche, nel governo provvisorio della Sicilia dopo lo sbarco, a noti mafiosi. Ciò diede nuova e sicura autorità ai mafiosi, oltre a concrete possibilità di arricchimento e di accrescimento del loro potere. Indietro

7 1947-1970: mafia dei suoli urbani e del commercio agricolo
Nel periodo del Dopoguerra, la società siciliana subì una profonda trasformazione, con una netta riduzione del peso dell'agricoltura nell'economia regionale. La mafia, com'è sua caratteristica, si adeguò a questa evoluzione, andando ad occupare, in posizione parassitaria, i nuovi campi socialmente ed economicamente predominanti: la crescita edilizia, il commercio (in particolare quello all'ingrosso dei prodotti agricoli) e il terziario pubblico. Per farlo dovette stringere con il potere politico relazioni più strette che nel passato, in quanto il ruolo dell'amministrazione pubblica nella nuova situazione economica era di molto cresciuto. La seconda grossa opportunità economica gestita dal potere politico fu quella dell'espansione edilizia dei comuni, ed in particolare di Palermo. Il capoluogo regionale conobbe negli anni Cinquanta un'espansione straordinaria, dovuta specialmente alla crescita della burocrazia regionale e comunale. Ciò comportò la necessità di costruire interi nuovi quartieri, e l'opportunità di fare ottime speculazioni sui suoli urbani Un rapporto di polizia degli anni Sessanta mostrò come tra il 1957 e il l'80% delle licenze di costruzione del comune di Palermo furono rilasciate a soli cinque nominativi, prestanome dei più potenti gruppi mafiosi della città. In questo periodo la mafia si dedica, oltre a questi molteplici intrecci con il potere politico, ad altre attività criminali, quali il contrabbando ed il racket, ovvero la richiesta di somme di denaro (il cosiddetto "pizzo") agli imprenditori sia commerciali che industriali, in cambio di protezione. Indietro

8 1970 ad oggi: mafia imprenditrice.
Questa situazione ebbe un'evoluzione improvvisa tra la fine degli anni Settanta e l'inizio degli anni Ottanta, a causa dell'aumento vertiginoso del giro d'affari mafioso, ottenuto grazie al traffico di droga. Primo sbocco di questi imprenditori fu l'edilizia, ed in particolare quella legata ai lavori pubblici. Per altro, tale attività, consentiva di accrescere il prestigio politico e l'effettivo controllo del territorio da parte della mafia. Altro importante ambito di attività è l'usura, nei confronti di imprenditori locali, i quali spesso finiscono per cedere le attività ai mafiosi, stretti in una spirale di debiti ad interessi impossibili da sostenere. Anche l'usura si avvantaggia dei rapporti politici. Attualmente gli studiosi più accreditati (Centorrino, Arlacchi) calcolano che usura e lavori pubblici siano per la mafia siciliana fonti di reddito equivalenti al traffico di droga, mentre per la camorra napoletana a queste fonti va aggiunto il gioco d'azzardo , e per la 'ndrangheta i sequestri di persona. Indietro

9 “Camorra” e “ ‘Ndràngheta”
Oggi con il termine Camorra si indica l'insieme delle attività criminali organizzate, con una marcata presenza sul territorio, che si sviluppano principalmente in Campania, ma che possono avere interessi anche al di fuori delle proprie zone di sviluppo.La camorra è attualmente considerata una delle maggiori piaghe del mmeridione d'Italia, al tempo stesso causa ed effetto di gran parte dei problemi socio-economici della Campania. Il suo potere, dovuto anche ad appoggi di tipo politico, le consente il controllo delle più rilevanti attività economiche locali, in particolare modo nella provincia di Napoli. È nel secondo dopoguerra che la camorra inizia ad assumere le caratteristiche riscontrabili attualmente. Il soggiorno obbligato a Napoli imposto dal governo degli U.S,A. al boss di Cosa Nostra americana Lucky Luciano, contribuì al superamento della dimensione locale del fenomeno ed all'inserimento dei camorristi campani nei grandi traffici illeciti internazionali. Con il termine 'Ndràngheta si indica la mafia calabrese. La 'ndrangheta si è sviluppata a partire da organizzazioni criminali operanti nella provincia di Reggio Calabria, dove oggi è fortemente radicata. Cresciuta con parvenza di sorella minore di Cosa Nostra, la 'Ndrangheta è oggi ritenuta dagli inquirenti la più potente mafia in Italia e molto probabilmente una tra le più potenti in Europa e nel mondo. La 'Ndrangheta detiene ormai il monopolio della cocaina in Europa e il controllo assoluto con i narcotrafficanti colombiani. È invischiata nella politica, nella massoneriaa, nelle imprese in tutto il mondo. Ritorno al Menù Principale

10 LA LETTERATURA DI MAFIA
Per trovare tracce significative della mafia nelle opere letterarie bisogna risalire alla commedia I mafiusi de le Vicara (1863) di Giuseppe Rizzotto e Gaspare Mosca, in cui per la prima volta venne impiegato il termine mafia, o, più precisamente quello di mafioso, nel titolo di un testo teatrale. La commedia può fornire alcuni primi interessanti dati per la definizione di un paradigma letterario della mafia. Emerge lo stereotipo mafioso delle origini della letteratura di mafia: un'idea della mafia come associazione senz'altro criminosa, ma comunque anti-borbonica, e addomesticabile dalla classe dirigente siciliana, quella liberale e repubblicana, forse collusa con essa. L'espressione mafia diviene un termine corrente a partire dal 1863 e l’opera ebbe grande successo e venne tradotta in italiano, napoletano e meneghino, diffondendo il termine su tutto il territorio nazionale. Per un secolo, però, da quel momento, graverà tra i letterati la responsabilità di aver fatto cassa di risonanza a quella mitologia mafiosa attribuendole quasi un alone romantico, fino ad arrivare alle opere di Leonardo Sciascia. Sciascia dove si rileva una visione meno romantica della mafia. Un poeta e storico della lirica italiana, Giovanni Alfredo Cesareo, fu autore nel 1921 di una commedia, La Mafia, in cui si trovano, svolti con abilità drammaturgica e capacità di introspezione psicologica, tutti i luoghi comuni su una mafia dispensatrice di giustizia, laddove giustizia non c'è, e soprattutto riparatrice di torti sessuali. È grazie a Sciascia (A ciascuno il suo e il Contesto ) e all’antimafia che gli italiani hanno incominciato a capire l’intreccio affaristico tra Potere, Lavoro e Società . Depurata da ingenuità stilistiche e ideologiche, la lezione del neorealismo in Sciascia si è tradotta nella costante attenzione a una realtà storica e umana, nella volontà di comprenderla e farla comprendere, nell'ampliamento, quasi, dei confini stessi della narrativa. successiva

11 Ritorno al Menù Principale
Il giorno della civetta è un romanzo di Leonardo Sciascia, terminato nel 1960 e pubblicato per la prima volta nel 1961 dalla casa editrice Einaudi. La prima edizione venne anticipata sulla Rivista "Mondo Nuovo" del 9 ottobre 1960 e la prima edizione comparve con una "Nota" che dichiarava la verità sottintesa alla finzione del romanzo scritta in una libertà non piena ma significativa nei confronti di una letteratura che fino a quel momento aveva fornito della mafia una rappresentazione apologetica e di una società che, negli organi politici e d'informazione, ne negava addirittura l'esistenza. Lo stesso Sciascia dichiarò in seguito “Ho scritto questo racconto nell'estate del Allora il Governo non solo si disinteressava del fenomeno della mafia, ma esplicitamente lo negava.”. A quel momento, sulla mafia esistevano inchieste e saggi sufficienti a dare al Governo e all'opinione pubblica nazionale la più precisa informazione. Ma di opere letterarie, romanzi racconti teatro, ce n'erano soltanto due: "I mafiusi di la Vicaría" (commedia in dialetto di Giuseppe Rizzotto e Gaspare Mosca; e la Vicaría era il carcere di Palermo, allora famoso quanto oggi quello dell'Ucciardone) e "Mafia", che assumeva la mafia quasi come una ideologia e la praticava come regola di vita, dei rapporti sociali, della politica. Ma “la mafia era, ed è, altra cosa: un "sistema" che in Sicilia contiene e muove gli interessi economici e di potere di una classe che approssimativamente possiamo dire borghese; e non sorge e si sviluppa nel "vuoto" dello Stato (cioè quando lo Stato, con le sue leggi e le sue funzioni, è debole o manca) ma "dentro" lo Stato. La mafia insomma altro non è che una borghesia parassitaria, una borghesia che non imprende ma soltanto sfrutta. Il giorno della civetta, in effetti, non è che un "per esempio" di questa definizione. La letteratura può e deve esistere una analisi a priori, ma senza le analisi degli specialisti, dei professionisti non si va lontano. La mafia era prima analfabeta, ma quando ha imparato a leggere ha incominciato ad uccidere i giornalisti perché ha capito l’importanza delle parole: un giornalista che scrive, che individua certi legami, certi rapporti, porta le sue intuizioni e conoscenze, crea un’opinione pubblica contro la mafia e ciò risulta un rischio enorme per essa. Ritorno al Menù Principale

12 Leonardo Sciascia Biografia
Sciascia, primo di tre fratelli, nasce a Racalmuto in provincia di Agrigento, allora detta Girgenti,, da un impiegato, Pasquale Sciascia, e da una casalinga, Genoveffa Martorelli. A sei anni Sciascia inizia la scuola elementare a Racalmuto e ben presto si dimostra intenso lettore. Nel 1935 si trasferisce con la famiglia a Caltanissetta dove si iscrive all'Istituto Magistrale "IX Maggio". Richiamato alla visita di leva viene considerato per due volte non idoneo, ma alla terza, finalmente accettato, viene assegnato ai servizi sedentari. Nel 1941 prende il diploma magistrale e nel 1944 si unisce in matrimonio con Maria Andronico, maestra nella scuola elementare di Racalmuto. Da lei Sciascia avrà le sue due figlie, Laura e Anna Maria. Il suicidio del fratello Giuseppe, avvenuto nel 1948, sconvolge Sciascia lasciandogli un profondo segno nell'animo. Nel 1949 inizia ad insegnare nella scuola elementare di Racalmuto. Le prime opere: poesie e saggi Nel 1950 pubblica le Favole della dittatura, che Pier Paolo Pasolini nota e recensisce. Nel 1952, esce la raccolta di poesie La Sicilia, il suo cuore, che viene illustrata con disegni dello scultore catanese Emilio Greco. Nel 1953 vince il "Premio Pirandello" assegnato dalla Regione Sicilia per il suo saggio Pirandello e il pirandellismo. Inizia nel 1954 a collaborare a riviste dedicate alla letteratura e agli studi etnologici. A Roma: I racconti Nell'anno scolastico viene assegnato al Ministero della pubblica istruzione a Roma e nell'autunno pubblica i tre racconti che vanno sotto il titolo Gli zii di Sicilia. La breve raccolta si apre con la La zia d'America (un tentativo di dissacrare il mito dello "Zio Sam", visto come dispensatore di doni e libertà). Il secondo racconto è intitolato La morte di Stalin. Il terzo racconto, Il quarantotto, è ambientato nel periodo del Risorgimento (precisamente tra il 1848 e il 1860) e tratta del tema dell'unificazione del Regno d'Italia vista attraverso gli occhi di un siciliano. Successiva

13 Precedente Successivo
A Caltanissetta: i romanzi Sciascia rimane a Roma un anno e al suo ritorno si stabilisce con la famiglia a Caltanissetta interrompendo l'attività scolastica per assumere un impiego in un ufficio del Patronato scolastico. Nel 1961 esce Il giorno della civetta con il quale lo scrittore indica nel giallo il genere di riferimento delle sue opere. Al romanzo si ispira il film omonimo del regista Damiano Damiani uscito nel Gli anni sessanta vedranno nascere alcuni dei romanzi più sentiti dallo stesso autore, dedicati alle ricerche storiche sulla cultura siciliana. La commedia Nel 1965 esce la commedia L'onorevole che è una impietosa denuncia delle complicità tra governo e mafia. Il ritorno al romanzo Nel 1966 ritorna con un romanzo che riprende le modalità del “giallo” già utilizzate ne Il giorno della civetta, A ciascuno il suo. La vicenda narrata è quella di un professore di liceo, Paolo Laurana, che inizia per curiosità personale le indagini sulla morte del farmacista del paese e dell'amico dottore, ma che si scontra con il silenzio di tutti i paesani, silenzio dovuto alla paura ed alla corruzione. A Palermo Nel 1967 si trasferisce a Palermo per seguire negli studi le figlie e per scrivere. Nel 1969 inizia la sua collaborazione con il “Corriere della sera”. Nel 1970 Sciascia va in pensione e pubblica la raccolta di saggi La corda pazza. Precedente Successivo

14 Precedente Successivo
Il ritorno al genere poliziesco Il 1971 è l'anno de Il contesto, con il quale l'autore ritorna al genere poliziesco. La vicenda si svolge intorno all'ispettore Rogas che deve risolvere una complicata vicenda che origina da un errore di giustizia e una serie di omicidi di giudici. Benché il romanzo sia ambientato in un paese immaginario, il lettore riconosce senza sforzo l'Italia contemporanea. Con gli Atti relativi alla morte di Raymond Roussel del 1971 si comprende che in Sciascia la propensione ad includere la denuncia sociale nella narrazione di episodi veri di cronaca nera si fa sempre più forte. Così sarà ne "I pugnalatori" del 1976 e ne “L'affaire Moro” del 1978. Nel 1979 accetta la proposta dei radicali e si candida sia al Parlamento europeo sia alla Camera. Eletto in entrambe le sedi istituzionali opta per Montecitorio, dove rimarrà fino al 1983 occupandosi quasi esclusivamente dei lavori della Commissione Parlamentare d'inchiesta sulla strage di Via Fani, il sequestro e l'assassinio di Aldo Moro. Statua di Sciascia a Racalmuto Precedente Successivo

15 Precedente Ritorno al Menù Principale
Gli ultimi anni di vita Gli ultimi anni di vita dello scrittore sono segnati dalla malattia che lo costringe a frequenti trasferimenti a Milano per curarsi , ma egli continua, sia pure con fatica, la sua attività di scrittore. Nel 1985 pubblica ‘Cronachette’ e ‘Occhio di capra’ una raccolta di modi di dire e proverbi siciliani e nel 1986 ‘La strega e il capitano’ un saggio per commemorare la nascita di Alessandro Manzoni.. Carichi di tristi motivi autobiografici sono i brevi romanzi gialli Porte aperte del 1987, Il cavaliere e la morte del 1988 e Una storia semplice che uscirà in libreria il giorno stesso della sua morte. Due mesi prima della sua morte, lo scrittore, a seguito di numerosi contatti precedenti con il Comune di Racalmuto, manifesta la sua volontà di aderire all'istituzione di una Fondazione intitolata al suo nome cui donerà circa 200 ritratti di scrittori della sua collezione privata (acqueforti, acquetinte, oli, grafiche), 2000 volumi della sua biblioteca e l'intera corrispondenza letteraria ricevute in circa cinquant'anni di attività. La Fondazione è stata successivamente costituita dal Comune di Racalmuto e dagli eredi dello scrittore,. Fondata il 26 giugno 1993 a Milano, nella sede storica presso la Biblioteca Comunale, Palazzo Sormani, l'associazione degli Amici di Leonardo Sciascia si propone di incoraggiare la lettura e la ricerca in merito al pensiero e all'opera dello scrittore. Tra le attività più importanti dell'Associazione vi sono la realizzazione dei Quaderni Leonardo Sciascia, rivista annuale che ospita scritti monografici o di rassegna, atti di convegni, ricerche, riflessioni, dibattiti sui diversi aspetti dell'opera di Sciascia. Sciascia muore a Palermo. 20 novembre Viene ricordato da numerose parole di stima, fra cui quelle del grande amico Gesualdo Bufalino. È sepolto a Racalmuto, suo paese natale, all'ingresso del cimitero. Sulla lapide bianca una sola frase: "Ce ne ricorderemo di questo pianeta". Precedente Ritorno al Menù Principale

16 Il giorno della civetta
Il giorno della civetta è un romanzo di Leonardo Sciascia, terminato nel 1960 e pubblicato per la prima volta nel 1961 dalla casa editrice Einaudi. Il racconto trae lo spunto dall'omicidio di Accursio Miraglia, un sindacalista comunista, avvenuto a Sciacca nel gennaio del 1947 ad opera della mafia. Sciascia aveva già iniziato a scrivere di mafia nel 1957 recensendo il libro di Renato Candida, comandante dei carabinieri ad Agrigento, al quale l'autore si ispira per il personaggio, protagonista del romanzo, Bellodi.. Successivo

17 Precedente Successivo
Intreccio Due colpi di lupara freddano Salvatore Colasberna, un costruttore che ha rifiutato la protezione della mafia. L'indagine è affidata al capitano Bellodi che tenta di incrinare la coltre di omertà del piccolo paese siciliano. Un confidente, Calogero Di Bella, detto Parinieddu, fa più di un nome sui possibili colpevoli e Bellodi punta sul nome giusto: Saro Pizzuco. Un dialogo in un caffè romano e l'intervento di un` 4 eccellenza" mostrano che l'indagine di Bellodi è seguita con fastidio nei palazzi del potere, ammanigliato con la mafia. Scompare intanto Paolo Nicolosi, colpevole solo di essersi imbattuto casualmente nell'assassino. La consorte ricorda che il marito, dopo i colpi di lupara, aveva visto passare di corsa un tale Zicchinetta. soprannome di un ex-detenuto, Diego Marchica. Due boss della mafia decidono di sopprimere il traditore Di Bella, che però. prima di essere ucciso, rivela in una lettera al capitano il nome del "padrino": don Mariano Arena. Bellodi fa arrestare sia i due sicari (Marchica e Pizzuco) sia il mandante (Arena). Nel corso dell'interrogatorio, mediante lo stratagemma di un falso verbale, Marchica e Pizzuco sono indotti ad accusarsi a vicenda; viene intanto ritrovata. in una contrada, l'arma del primo delitto e successivamente. in fondo a un crepaccio. si rinviene anche il cadavere di Nicolosi. Manovrata dall'alto, la stampa locale sostiene che l'indagine ha trascurato, per il delitto Nicolosi, la pista giusta, quella del delitto passionale. Altri giornali, invece, ventilano gravi compromissioni ministeriali, provocando, a Roma, una sequela di allarmate telefonate notturne tra alti burocrati. Si arriva così alla "scena madre" del romanzo: l'interrogatorio di don Mariano Arena. Il capo mafia respinge ogni responsabilità, ma sostiene con fierezza la sua visione "mafiosa` del mondo, riconoscendo tuttavia un degno avversario in Bellodi, che a sua volta preferisce il "padrino" a ministri e deputati compromessi con la mafia. Un dibattito parlamentare sui "fatti di Sicilia" conferma i sospetti del capitano: un sottosegretario dichiara che la mafia non esiste «se non nella fantasia dei socialcomunisti». La conclusione è scontata: recatosi a Parma per un breve congedo, Bellodi apprende sui giornali che la sua indagine è stata demolita con alibi inoppugnabili e che è prevalsa la tesi del delitto passionale. Bellodi non si arrende. Con i pensieri e l'ultima affermazione di Bellodi il romanzo si chiude: "Bellodi si sentiva come un convalescente: sensibilissimo, tenero, affamato. "Al diavolo la Sicilia, al diavolo tutto". Rincasò verso mezzanotte, attraversando tutta la città a piedi. Parma era incantata di neve, silenziosa, deserta. "In Sicilia le nevicate sono rare" pensò: e che forse il carattere delle civiltà era dato dalla neve o dal sole, secondo che neve o sole prevalessero. Si sentiva un po' confuso. Ma prima di arrivare a casa sapeva, lucidamente, di amare la Sicilia e che ci sarebbe tornato. "Mi ci romperò la testa" disse a voce alta.“. Precedente Successivo

18 Precedente Ritorno al Menù Principale
Personaggi e motivi dominanti L'antagonismo tra "ordine" e mafia, tra ragione e corruzione (tema dominante di molte opere di Sciascia) si risolve, nel romanzo in un duro scontro tra Bellodi, capitano dei carabinieri, e Arena, il capo mafia. Bellodi si ritrova come uno straniero in mezzo al popolo siciliano; uomo di legge, gli è estranea e gli ripugna l'omertà della gente; ma quel che più lo turba è la collusione degli uomini politici con la mafia. Ed è proprio questo il suo dramma: in Sicilia egli riesce a concludere felicemente la sua indagine, ma nulla può contro le connivenze degli ambienti politici romani e dei "quaquaraquà" di Stato, che parlano a vanvera e insabbiano sistematicamente la verità. Il capitano Bellodi non è sconfitto dal codice "culturale" mafioso, ma dal codice "politico- dei suoi "superiori", che finiscono con l'essere i veri "mandanti". Che lo Stato non abbia il diritto di proclamarsi innocente di fronte alla mafia è dimostrato dall'incredibile dichiarazione del sottosegretario che alla Camera nega l'esistenza stessa del fenomeno mafioso. Questa era l'Italia del 1961, data di pubblicazione del romanzo; e la più grave denuncia di tutto un sistema politico è quella contenuta nelle ultime righe della Nota, quando l'autore è costretto ad avvertire di non aver potuto scrivere il proprio libro «con quella piena libertà di cui uno scrittore [...] dovrebbe sempre godere». Tecniche narrative e linguaggio Il ricorso al genere "giallo" è stato giustificato dall'autore con la ragione che quella poliziesca è la «tecnica narrativa più sleale, perché impedisce al lettore di lasciare a metà il libro». In realtà, lo schema del "giallo" è ribaltato, dal momento che, alla fine del romanzo, il colpevole si salva, grazie all'omertà del potere. Squallida è la descrizione del paese: «un vecchio paese di case murate in gesso, con strade ripide e gradinate: e in cima a ogni gradinata c'è una brutta chiesa». Entro quelle case, la gente si trincera dietro il "muro" dell'omertà: un comportamento dettato dalla paura. Sul piano linguistico, tre sono gli elementi principali del romanzo: i soprannomi, il gergo dei mafiosi, i proverbi. Precedente Ritorno al Menù Principale

19 La letteratura di mafia oggi Tra i più recenti esempi di letteratura di denuncia: Gomorra di Roberto Saviano. Roberto Saviano (Napoli, 1979) è uno scrittore italiano. Nei suoi scritti, articoli e nel suo libro usa la letteratura e il reportage per raccontare la realtà economica, di territorio e d'impresa della camorra e della criminalità organizzata in genere. Cenni biografici Si è laureato in Filosofia all'Università degli Studi di Napoli "Federico II", dove è stato allievo dello storico meridionalista Francesco Barbagallo. Collabora con L'espresso e La Repubblica. Suoi racconti e reportage sono ‘apparsi su ‘Nuovi Argomenti,’ ‘Lo Straniero,’ Nazione Indiana’, ‘Sud,’ e si trovano inclusi in diverse antologie fra cui ‘Best Off.’ ‘Il meglio delle riviste letterarie italiane’’ (Minimum Fax 2005), e ‘Napoli comincia a Scampia’ (L'Ancora del Mediterraneo 2005). Nel 2006, in seguito al successo del romanzo Gomorra, fortemente accusatorio nei confronti delle attività camorristiche, ha subito pesanti minacce (confemate da dichiarazioni di collaboratori di giustizia) dopo le indagini dei Carabinieri di Napoli il ministro dell'interno in carica Giuliano Amato gli ha conferito una scorta e lo ha cautelativamente trasferito lontano da Napoli. Ritorno al Menù Princirale

20 Gomorra - Viaggio nell'impero economico e nel sogno di dominio della camorra è il primo romanzo di Roberto Saviano. Fonde in forma di romanzo fatti autobiografici, giornalismo d'inchiesta e analisi sociale per raccontare la realtà della Camorra nelle sue dimensioni economiche, imprenditoriali, sociali ed ambientali. Un romanzo che apre gli occhi sulla realtà della Campania e della periferia napoletana. Spesso si apprende dai telegiornali solo la minima parte delle attività illegali della camorra. intraprendendo questa lettura, invece, si compie un tuffo nel mondo camorrista e nei suoi meccanismi. Un romanzo d'informazione e di denuncia. Compaiono infatti i nomi dei componenti delle famiglie camorriste più famose e potenti della Campania, quali i Di Lauro, i Nuvoletta, i Casalesi e molti altri. Un libro da leggere e da studiare con attenzione per non rimanere indifferenti verso una realtà sempre più crudele e invadente. Premi Il libro ha vinto: Premio Viareggio - Opera Prima 2006; Premio Giancarlo Siani 2006; Premio Lo Staniero 2006; Premio Elsa Morante - Narrativa Impegno Civile 2006; Premio Dedalus 2006. Successivo

21 Precedente Ritorno al Menù Principale
“Vicino al bar c'era un gruppo di ragazze, si stavano organizzando per il Ferragosto. Appena videro arrivare il ragazzo di corsa capirono subito, non avevano confuso il rumore di un'automatica con quello dei petardi. Tutte si sdraiarono con il viso per terra, temendo di essere viste dal killer e quindi poter diventare dei testimoni. Ma una non abbassò lo sguardo. Una di loro continuò a fissare il killer senza abbassare gli occhi, senza schiacciare il suo seno sul catrame o coprirsi il viso con le mani. Era una maestra d'asilo di trentacinque anni. La donna testimoniò, fece i riconoscimenti, denunciò l'agguato. Nella molteplicità di motivi per cui poteva tacere, far finta di nulla, tornare a casa e vivere come sempre c'era la paura, il terrore delle intimidazioni e ancor più il senso dell'inutile, far arrestare un killer, uno dei tanti. E invece la maestra mondragonese trovò nella cianfrusaglia di ragioni per tacere un'unica motivazione, quella della verità. Una verità che ha il sapore della naturalezza, come un gesto solito, normale, ovvio, necessario come il respiro stesso.[…] Il magistrato che ha raccolto la testimonianza della maestra, la definì "una rosa nel deserto" spuntata in una terra dove la verità è sempre la versione dei potenti, dove viene declinata raramente e pronunciata come merce rara da barattare per qualche profitto. Eppure questa confessione le ha reso la vita difficile[…]. Stava per sposarsi ed è stata lasciata, ha perso il lavoro, è stata trasferita in una località protetta con uno stipendio minimo passatole dallo Stato per sopravvivere, una parte della famiglia si è allontanata da lei e una solitudine abissale le è crollata sulle spalle. […] Ciò che rende scandaloso il gesto della giovane maestra è stata la scelta di considerare naturale, istintivo, vitale poter testimoniare. Possedere questa condotta di vita è come credere realmente che la verità possa esistere e questo in una terra dove verità è ciò che ti fa guadagnare e menzogna ciò che ti fa perdere, diviene una scelta inspiegabile. Così succede che le persone che ti girano vicino si sentono in difficoltà, si sentono scoperte dallo sguardo di chi ha rinunciato alle regole della vita stessa, che loro invece hanno totalmente accettato. Hanno accettato senza vergogna, perchè tutto sommato così deve andare, perchè è così che è sempre andato, perchè non si può mutare tutto con le proprie forze e quindi è meglio risparmiarle e mettersi in carreggiata e vivere come è concesso di vivere.” Questo è un passaggio di un libro tremendo, crudo, profondo e senza retorica alcuna. Il suo autore, Roberto Saviano, come la maestra protagonista dell’episodio sopra citato, sono uomini che hanno scelto di vivere nella legalità, senza cedere al ricatto, alla paura. Saviano ha scelto di raccontare e di opporsi alle logiche della sua terra e questo gli rende onore, come a tutti colori che hanno ancora voglia di denunciare ed opporsi. Precedente Ritorno al Menù Principale


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