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ENRICO FERMI E LA SCUOLA DI ROMA

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Presentazione sul tema: "ENRICO FERMI E LA SCUOLA DI ROMA"— Transcript della presentazione:

1 ENRICO FERMI E LA SCUOLA DI ROMA
Luisa Bonolis

2 “Il moderno stabilimento scientifico” costruito sul Viminale tra il 1877 e il 1880 su progetto di Pietro Blaserna, il suo primo direttore

3 Orso Mario Corbino nel 1908

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5 Dall’autunno del 1924 fino ai primi mesi del 1926 Fermi insegna meccanica teorica e fisica matematica all’Università di Firenze dove ritrova l’amico Rasetti, che all’epoca è assistente universitario Nel gennaio 1925 Pauli pubblica il suo famoso articolo sul principio di esclusione. Nell’estate dello stesso anno Heisenberg, Born e Jordan gettano le basi della nuova meccanica quantistica. Esce l’articolo Sulla quantizzazione del gas perfetto monoatomico, il celebre lavoro nel quale Fermi formula la teoria di un gas ideale di particelle che obbediscono al principio di esclusione di Pauli. P.A.M. Dirac sviluppa questo tipo di statistica indipendentemente da Fermi. La prima applicazione della statistica di Fermi-Dirac viene fatta in ambito astrofisico. Il 10 dicembre dello stesso anno R. H. Fowler presenta alla Royal Society un lavoro intitolato Dense Matter [Materia densa] in cui mostra che un gas di elettroni all’interno di una nana bianca deve essere un "gas di Fermi" degenere.

6 Una cattedra per Fermi «La Commissione, esaminata la vasta e complessa opera scientifica del prof. Fermi, si è trovata unanime nel riconoscerne le qualità eccezionali e nel constatare che egli, pure in così giovane età e con pochi anni di lavoro scientifico, già onora altamente la fisica italiana. […] egli è oggi il più preparato e il più degno per rappresentare il nostro Paese in questo campo di così alta e febbrile attività scientifica mondiale. La commissione pertanto è unanime nel dichiarare che il prof. Fermi è altamente meritevole di coprire la cattedra di fisica teorica messa a concorso e ritiene di poter fondare su lui le migliori speranze per l'affermazione e lo sviluppo futuro della fisica teorica in Italia». Dall’ottobre del 1924 Fermi è professore incaricato di fisica teorica e meccanica razionale a Firenze. Persico, che ha un anno più di lui ed è a Roma come assistente di Corbino, in quegli anni aveva collaborato con Vito Volterra e aveva curato, tra l’altro, la pubblicazione del bellissimo corso di Tullio Levi-Civita, il Calcolo Differenziale assoluto, quasi subito pubblicato in inglese per iniziativa di E. T. Whittaker. I due sono in agitazione perché sperano che venga bandito un concorso per la fisica teorica a Roma. Fermi scrive a Persico il 1 ottobre 1925: «Io credo che la commissione risulterà costituita come segue: Corbino (o Levi-Civita, o Volterra) Garbasso Cantone (o [Quirino] Majorana) Somigliana Maggi». Ma dopo quindici giorni una cattiva notizia: «Caro Enrico, c’è una novità poco piacevole: precisamente che il concorso di fisica teorica è stato rimandato». Fermi e Persico decidono quindi di concorrere alla cattedra di fisica matematica a Cagliari, ma secondo l’espressione di Corbino finì per prevalere il criterio della “lunghezza della barba” e a Fermi viene preferito Giovanni Giorgi, un ingegnere il padre del sistema di misura, cosiddetto MKS, basato sulle unità fondamentali metro, kilogrammo, secondo, integrate da un’unità elettrica. Due membri della commissione, quasi certamente Levi-Civita e Volterra, votarono per Fermi, che subì la vicenda come «uno scacco che gli sembrava ingiusto e per molti anni non dimenticò né il concorso né i giudici», come ricorda Segrè; anche se ben presto avrebbe avuto una posizione ben più prestigiosa a Roma. Sia Volterra sia Levi-Civita, entrambi personaggi di fama internazionale, avevano interessi prevalentemente matematici e non fisici. Matematici come Castelnuovo e Enriques avevano vasti interessi e curiosità scientifiche, ma erano ancora più lontani dalla fisica. Fermi li frequentava e, con l’eccezione di Corbino, rappresentavano il suo principale contatto forte con il mondo universitario romano. Nel frattempo, nel febbraio del 1926, Fermi pubblica Sulla quantizzazione del gas perfetto monoatomico, il celebre lavoro nel quale generalizza il principio di esclusione che Pauli aveva formulato per gli elettroni atomici, a un qualsiasi sistema di particelle identiche, come nel caso di un gas perfetto monoatomico. In questa ipotesi, gli atomi non sarebbero indipendenti perché l’impossibilità di occupare uno stato con più di una particella agisce, come è forse intuitivo, come una forza repulsiva. Le particelle che obbediscono alla nuova statistica quantica (elettroni, protoni, ecc) in onore di Fermi saranno chiamate fermioni, su proposta di Dirac. La nuova statistica era profondamente diversa dalla statistica classica formulata nella seconda metà dell'Ottocento da J. C. Maxwell e da L. Boltzmann (alla quale tende per alte temperature), in cui le singole entità fisiche considerate sono distinguibili l’una dall’altra e da quella formulata nel 1924 dal fisico indiano S. N. Bose per i quanti di luce o fotoni e applicata da Einstein alle molecole di un gas. Le particelle che seguono la statistica di Bose e Einstein (atomi di elio, mesoni), che saranno chiamate “bosoni” in onore di Bose, al contrario dei fermioni, possono stare nello stesso stato quantico, ma differiscono dalle particelle classiche di Maxwell e Boltzmann: due configurazioni che differiscono solo per lo scambio di particelle corrispondono, nel conteggio statistico, ad un’unica possibilità. L’importanza di questo lavoro verrà gradualmente riconosciuta portando Fermi in primo piano fra i giovani teorici di tutto il mondo. Nel 1926, grazie anche all'appoggio dei matematici Castelnuovo, Enriques e Levi-Civita, all’epoca piuttosto influenti nell’ambiente accademico italiano, Corbino riesce, a far bandire per l'Università di Roma un concorso a cattedra di Fisica teorica, il primo in Italia. La commissione giudicatrice si riunì il 7 novembre Ne facevano parte A.Garbasso, G. A.Maggi, M. Cantone, Quirino Majorana e lo stesso Corbino. Due giorni dopo Fermi viene proclamato vincitore. Il giudizio della commissione sull'attività di Fermi è estremamente lusinghiero: «La Commissione, esaminata la vasta e complessa opera scientifica del prof. Fermi, si è trovata unanime nel riconoscerne le qualità eccezionali e nel constatare che egli, pure in così giovane età e con pochi anni di lavoro scientifico, già onora altamente la fisica italiana. […] Mentre gli sono perfettamente familiari i concetti più delicati della meccanica e della fisica matematica classica, riesce a muoversi con piena padronanza nelle questioni più difficili della fisica teorica moderna, cosicché egli è oggi il più preparato e il più degno per rappresentare il nostro Paese in questo campo di così alta e febbrile attività scientifica mondiale. La commissione pertanto è unanime nel dichiarare che il prof. Fermi è altamente meritevole di coprire la cattedra di fisica teorica messa a concorso e ritiene di poter fondare su lui le migliori speranze per l'affermazione e lo sviluppo futuro della fisica teorica in Italia». Enrico Persico, risultato secondo con un ottimo giudizio, sarà chiamato a Firenze e il terzo, Aldo Pontremoli, a Milano. Pontremoli morirà più tardi nel corso di una spedizione polare.

7 Fermi e Rasetti a via Panisperna
Gli interessi di Fermi erano stati negli ultimi anni decisamente rivolti alla fisica teorica, ma fin da quando era studente aveva alternato con disinvoltura l’attività sperimentale con quella puramente teorica. L’Istituto di via Panisperna era particolarmente attrezzato per la spettroscopia, essendo dotato di moderni spettroscopi della casa costruttrice Hilger (comunemente detti ''coccodrilli'', a causa della loro forma allungata e di uno sportello che sembra una fauce spalancata) e quindi la prima iniziativa del neoprofessore fu quella di formare il primo nucleo di un gruppo che si occupasse di fisica sperimentale. Fermi riuscì a far trasferire a Roma Franco Rasetti, suo amico e compagno di studi all’università di Pisa, con il quale aveva già una ben collaudata esperienza di lavoro nel campo spettroscopico che era poi proseguita nel corso degli anni durante i quali Fermi aveva avuto un incarico come professore a Firenze. Nel gennaio del 1927 Rasetti, che è un esperto spettroscopista, si insedia a Roma come aiuto di Corbino e i due amici iniziano subito a lavorare in questo settore. Oltre ad essere un eccellente fisico Rasetti era uno sciatore e provetto alpinista, collezionista di insetti e, in generale, una persona dagli interessi più svariati.

8 I colori dell’arcobaleno
«Non riesco a ricordare l’origine remota del mio interesse per la fisica… Appena cominciai a leggere mi appassionai di libri che parlavano di scienza, come Le ricreazioni scientifiche… Possiedo ancora un quadernino datato 27 marzo 1912…» Emilio Segrè

9 La scelta della facoltà
«Terminai la scuola superiore nel luglio del 1922, mi immatricolai in ingegneria in base a un processo di eliminazione. I primi due anni introduttivi erano comuni a ingegneria, fisica e matematica […] L’idea di una carriera come fisico sembrava ben lontana dall’essere attraente perché offriva scarse speranze di trovare un impiego qualsiasi. I miei genitori, e io stesso, vedevano certamente con favore una carriera universitaria, ma questo tentativo appariva piuttosto rischioso perché all’epoca esistevano ben poche prospettive in Italia – in totale circa venti cattedre di fisica, tutte occupate. Al massimo si liberava un posto l’anno a causa di pensionamenti o morti. Per di più mi chiedevo con un certo timore se in Italia la fisica fosse aggiornata…In ogni caso il biennio preparatorio avrebbe procrastinato una decisione definitiva, così decisi di iscrivermi.» Emilio Segrè Segrè: nato a Tivoli il 30 gennaio 1905. Alla fine della scuola superiore erano essenzialmente tre le possibilità di scelta: diventare avvocato, medico o ingegnere. Nella tradizione italiana la laurea in ingegneria era allora considerata addirittura prestigiosa, e naturalmente anche piuttosto redditizia. La maggioranza degli studenti venivano dalla buona borghesia di una certa cultura. La formazione era a un livello molto alto, nella tradizione dell’École Polytechnique, con una forte enfasi sulla preparazione matematica, più che sulle basi scientifiche. Il biennio era in comune con i fisici. In ogni caso l’insegnamento della fisica, a parte la formazione degli ingegneri, era soprattutto finalizzato alla formazione degli insegnanti. Il suo precoce desiderio di studiare fisica, veniva scoraggiato dalla famiglia; , suo padre era proprietario di una cartiera a Tivoli e quindi si auspicava per lui una laurea in ingegneria. Per fortuna la scelta veniva posposta al biennio preparatorio e così il giovane Segrè, futuro “ragazzo di via Panisperna” e futuro premio Nobel per la fisica si iscrisse a Ingegneria nel 1922.

10 I professori di Emilio Segrè
Guido Castelnuovo Francesco Severi «Nel mio primo anno di università studiai algebra con il professor Francesco Severi, geometria con il professor Guido Castelnuovo e chimica con il professor Nicola Parravano. Seguii anche un corso di disegno. Severi faceva delle lezioni eccellenti […] Castelnuovo era un esempio di chiarezza e nonostante la sua voce monotona, che induceva al sonno, si imparavano cose nuove e interessanti. Molto presto, tuttavia, mi venne il sospetto che il chimico Parravano non sapesse sempre di cosa stava parlando. A casa avevo trovato un trattato di fisica-chimica di Walther Nernst e confrontando ciò che avevo imparato da quello con ciò che insegnava Parravano, conclusi che aveva travisato parecchie cose, o che almeno le capiva in modo diverso da me…» (Emilio Segrè) «Francesco Severi era un bell’uomo, dalla figura atletica con una corta barba nera. Le sue lezioni, dette in perfetto toscano e con sonoro timbro baritonale, erano modelli di esposizione limpida e rigorosa della materia; ma Severi non riuscì mai ad ispirarmi quella simpata spontanea, che provavo per Castelnuovo […] Agli esami Severi era severissimo e non faceva nulla per mettere il candidato a suo agio». Questo invece è il ritratto che ne ha fatto Livio Gratton. Negli archivi dell’Università di Roma “La Sapienza” sono conservati i libretti delle lezioni impartite in quegli anni (1923 – 1928) agli studenti di ingegneria, matematica e fisica. I corsi strettamente di matematica appaiono assai simili a quelli di oggi e rispecchiano una tradizione consolidata sia nel campo dell’algebra e della geometria analitica che in quello dell’analisi. Alcuni insegnanti erano addirittura eccezionali. A Roma insegnava Levi-Civita, allievo di Gregorio Ricci-Curbastro, che negli anni aveva sviluppato il calcolo differenziale assoluto. Dalla loro collaborazione era nata la pionieristica Memoria Methodes de calcul differentiel absolu et leurs applications pubblicata nel 1900 sui “Mathematische Annalen” in cui il calcolo di Ricci-Curbastro rivelava tutta la sua grande potenza applicativa, all’analisi matematica, alla geometria differenziale, alla meccanica analitica, all’intera fisica matematica. (corrispondenza con Levi Civita) Quindici anni più tardi Einstein aveva riconosciuto nella relatività generale una sorta di “giustificazione finale” della potenza di questo algoritmo, l’unico strumento appropriato alla soluzione dei problemi matematici posti dalla sua teoria: per questo motivo aveva avuto un lungo contatto proprio con Levi-Civita. A partire dal 1916 quest’ultimo si era occupato a fondo di relatività, scrivendo circa quaranta note su questo argomento e continuava a svolgere un ruolo importante nel diffondere la conoscenza delle teorie relativistiche in Italia, dove l’ambiente dei fisici – formato quasi esclusivamente da fisici sperimentali – era a esse tendenzialmente ostile. Mentre Guido Castelnuovo, tra i matematici, era un sostenitore, in Italia vi erano resistenze come quelle opposte in forma quasi ideologica da Carlo Somigliana e Cesare Burali Forti; per altro appoggiati dai tradizionalisti di estrazione sperimentale in campo fisico, come lo stesso zio di Ettore Majorana, Quirino (che sarà a lungo Presidente della Società Italiana di Fisica), o Michele la Rosa e il notissimo Augusto Righi. Paradossalmente, gli esperimenti di costoro costituiranno, per l’epoca, alcuni dei migliori “test” della relatività.

11 Le lezioni di fisica e di matematica
Orso Mario Corbino «Al secondo anno Severi ci insegnava l’analisi, il Senatore Orso Mario Corbino, capo del dipartimento, ci insegnava la fisica (praticamente soltanto l’elettricità), Pittarelli la geometria descrittiva e Tullio Levi Civita la meccanica razionale. Nei primi due anni di università nessuno ci insegnò termologia o ottica, e tanto meno argomenti di fisica moderna». Emilio Segrè Il corso di meccanica razionale tenuto da Levi-Civita era scarsamente frequentato. La sua opera scientifica e le sue straordinarie qualità umane lo rendevano un insegnante fuori del comune. Per più di quarant’anni fu un maestro d’eccezione. Levi-Civita era di bassa statura e di vista corta; tuttavia si sforzava di raggiungere la cima della lavagna, avvicinandosi al massimo con il naso, alzando il braccio e scrivendo alla cieca. In questa posizione una volta fu raggiunto alla testa da un proiettile lanciato con una cerbottana da qualche studente villano. Levi-Civita si girò e con l’espressione più innocente che si potesse immaginare disse: «C’è qualche segno sbagliato?» Il suo candore e la sua buona fede erano talmente evidenti che nessuno rise e nessuno di quei maleducati osò più disturbarlo. Fra i suoi compagni di corso c’erano Luciano ed Ettore Majorana, Enrico Volterra, figlio del matematico Vito e c’era anche Giovanni Enriques, figlio del matematico Federigo, appena chiamato a Roma nel 1922 sulla cattedra di matematiche superiori presso la facoltà di scienze. Giovanni Enriques aveva frequentato la terza liceale al “Tasso” dopo il trasferimento del padre a Roma ed era compagno di scuola di Segrè. Del gruppo faceva parte anche Gastone Piqué, legato a Ettore Majorana da un’amicizia che risaliva agli anni di liceo. Tullio Levi-Civita

12 «Corbino faceva lezione nell’aula principale, dove le file arcuate dei banchi digradavano ripide verso la cattedra. Corbino, di statura bassissima, grassottello e vivacissimo, entrava nell’aula a passetti affrettati, si arrampicava su per i tre o quattro gradini che portavano alla cattedra, quasi spariva dietro a questa. Girava sulla scolaresca le pupille puntiformi e mobilissime, e cominciava a parlare. L’aula gremita si faceva d’un tratto silenziosa. L’elettricità sembrava quasi divertente.» Laura Fermi Le lezioni di Corbino

13 Un genio per compagno: Ettore Majorana
«Una volta, non avendo preparato a sufficienza la lezione, Severi iniziò la dimostrazione di un teorema prendendo una strada sbagliata. Majorana sussurrò immediatamente che ben presto si sarebbe trovato nei guai, così che tutti eravamo preparati a quello che sarebbe accaduto. Dopo un minuto o due la faccia di Severi diventò rossa e fu evidente che non sapeva come continuare. Alcune voci mormorarono: “Majorana l’aveva previsto”. Severi non sapeva chi fosse Majorana, ma disse con aria sprezzante: “Allora che venga avanti, questo signor Majorana ”. Ettore fu spinto alla lavagna, dove cancellò quello che aveva scritto Severi e fornì la dimostrazione esatta.». Segrè ricorda un altro notevole episodio che rivela come Majorana, accanto alle sue innate capacità, avesse già una cultura matematica raffinata: «In un’altra occasione, mentre aspettavo di essere chiamato per un esame orale, Majorana mi dette una prova sintetica dell’esistenza dei cerchi di Villarceau su un toro. Io non la capii del tutto, ma lì per lì la memorizzai.Quando entrai nell’aula d’esame, il professor Pittarelli mi chiese, come era sua consuetudine, se avessi preparato un argomento particolare. “Si, risposi, sui cerchi di Villarceau” e mi precipitai immediatamente a ripetere le parole di Majorana prima di dimenticarle. Il professore rimase colpito e si congratulò per quella dimostrazione così elegante che non conosceva». A quanto pare Majorana non era molto forte in disegno (nei suoi appunti non c’è mai una figura) e gli amici lo prendevano spesso in giro raccontando la famosa la storiella di quando Ettore, durante il corso di geometria proiettiva, aveva preso un enorme foglio di carta e dopo alcune ore di lavoro vi aveva disegnato la sua costruzione che era completamente esatta dal punto di vista concettuale, ma piccolissima e collocata di sbieco in un angolino, mentre il resto del foglio era rimasto intatto. La scena veniva raccontata con abbondanza di particolari e tutto culminava con la descrizione dell’espressione di rimprovero e impazienza del professore che contrastava nettamente con l’aria rispettosa ma imperturbabile e leggermente assente assunta nel frattempo da Ettore. Majorana ascoltava questi racconti fatti dai suoi amici con un’aria leggermente divertita, come se il tutto riguardasse un’altra persona, e alla fine faceva qualche commento sottile e spiritoso su tutta la faccenda e sul racconto che ne era stato fatto.

14 La Scuola di Ingegneria
«Le lezioni erano all’una, non esattamente un’ora piacevole per Roma, ma l’insegnante presentava gli argomenti in un modo affascinante. L’esposizione sembrava una sorta di soap opera, e alla fine di ogni lezione mi chiedevo che cosa ci avrebbe riservato quella successiva: Nuove singolarità? Nuovi sviluppi in serie di potenze?» Emilio Segrè Nel terzo anno Majorana, Segrè e gli altri si trasferiscono alla Scuola di ingegneria. I corsi diventano molto meno interessanti, pieni di «pratica ingegneristica a basso livello e senza immaginazione», come racconta Segrè, che per tirarsi su il morale decide di frequentare il corso sulla teoria delle funzioni di variabile complessa tenuto da Ugo Amaldi, padre del suo futuro amico e collega Edoardo Amaldi. «Le lezioni erano all’una, non esattamente un’ora piacevole per Roma, ma l’insegnante presentava gli argomenti in un modo affascinante. L’esposizione sembrava una sorta di soap opera, e alla fine di ogni lezione mi chiedevo che cosa ci avrebbe riservato quella successiva: nuove singolarità? nuovi sviluppi in serie di potenze?» Il gruppo degli studenti più brillanti, con Majorana in testa, diventa sempre più critico sui sistemi di insegnamento. Amaldi riferisce che Ettore «sentiva che si perdeva troppo tempo su dettagli inutili e non ci si soffermava a sufficienza sulla sintesi generale necessaria a uno studio serio e sistematico. Questa convizione era profondamente radicata in lui, tanto che di frequente dava origine a animate, e a volte accese discussioni con alcuni dei professori». Nel terzo anno Volterra teneva un corso di Fisica matematica. Gli argomenti tipici erano: teoria dell’elasticità, dell’elettricità, del magnetismo, e qualsiasi ramo della fisica classica che richiedeva una gran quantità di equazioni differenziali. Anche Vito Volterra era un personaggio assolutamente eccezionale: senatore del Regno nel 1905 e fondatore della Società italiana di Fisica, fu dal 1921 fino alla morte presidente del Bureau International des Poids et Mesures. Oltre ai suoi notevoli contributi alla teoria delle equazioni integrali e integro-differenziali e alla teoria generale delle funzioni di linea, Volterra aveva ottenuto risultati importanti in fisica matematica, in particolare con le ricerche sulla teoria luminosa nei mezzi birifrangenti e sulla teoria delle distorsioni elastiche. Quell’anno Volterra si soffermò a lungo sul problema delle vibrazioni elastiche, ma a quanto pare Segrè trovava terribilmente noiose le equazioni alle derivate parziali e si addormentava regolarmente. Volterra teneva anche un corso di meccanica superiore, non obbligatorio, dove spiegava un bel po’ di idrodinamica ed equazioni integrali.

15 Vacanze in montagna con i “logaritmi”
Nell’estate del 1925 la famiglia Amaldi era andata in vacanza sulle Dolomiti; anche Enrico Fermi si trovava là insieme al gruppo dei matematici: Guido Castelnuovo, Enrico Bompiani, Francesco Tricomi, e soprattutto Tullio Levi-Civita, a cui Ugo Amaldi è molto legato. Fermi aveva circa ventiquattro anni. Era con il giovane fisico olandese Ralph de Laer Kronig, conosciuto a Leida nell’autunno dell’anno precedente quando aveva fatto un soggiorno di studi da Paul Ehrenfest. Edoardo aveva appena terminato il liceo; a detta di Laura Fermi, che ne divenne amica in quell’epoca, dimostrava meno della sua età, aveva la faccia «incorniciata da folti capelli castani e ricciuti, le grosse labbra rosse, sporgenti e fanciullesche». Completamente affascinato dai discorsi dei due giovani, che parlavano di fisica dalla mattina alla sera, li seguiva sempre, e nel corso delle lunghe passeggiate si sforzava di imparare qualcosa nonostante il livello fosse vcompletamente fuori dalla sua portata. Dopo la partenza di Kronig Amaldi e Fermi, gli “atleti” della compagnia, avevano deciso di fare un faticoso giro in bicicletta. Quella vacanza era stata per Edoardo Amaldi l’ingresso in un mondo in cui avrebbe avuto un ruolo da protagonista. L’anno dopo, in Valgardena, Fermi rivedrà Laura Capon, sua futura moglie, conosciuta un paio d’anni prima, sempre nel giro dei matematici – “ i logaritmi”, come li chiamava la sorella di Laura. I suoi genitori sono amici dei Castelnuovo, che hanno numerosi figli e sono sempre seguiti da uno stuolo di parenti e amici; ci sono anche i Levi-Civita. Gina Castelnuovo spiega a Laura: «Mio padre e gli altri matematici vorrebbero parlar di fisica con lui, ma lui scappa via appena può e viene con noi. Gli piacciono i giochi e le passeggiate; organizza lui tutte le gite». Fermi avrà sempre una gran passione per l’esercizio fisico. Nella sua biografia Atomi in famiglia Laura ricorderà il suo futuro fidanzato «in calzoni alla zuava e giacchetta alla tirolese» mentre guidava con sicurezza le piccole carovane di ragazzi: «già aveva acquistato l’aria seria dello studioso e la sicurezza della persona usa a esercitare il proprio ascendente sui giovani con l’insegnamento e col consiglio». Ai primi di settembre del 1925, di ritorno dalla montagna Fermi passò a trovare gli Enriques. « […] siamo stati per qualche giorno, io e mia sorella, a Caprino Veronese a far visita alla Cornelia [la cognata di Levi-Civita], poi sono stato qualche giorno a Viareggio dagli Enriques» scrive Fermi a Enrico Persico, suo carissimo amico fin dall’adolescenza.

16 «Mi sfidò a calcolare le vibrazioni di una corda pesante che dondolava, cosa che feci con sua soddisfazione. Così cominciò la nostra amicizia» Emilio Segrè «Nel frattempo il mio disgusto per gli studi di ingegneria aumentava costantemente. Per fortuna nella primavera del 1927, Giovanni Enriques mi presentò al nuovo assistente di Corbino, Franco Rasetti». È ancora Emilio Segrè che racconta. Di famiglia molto benestante, Emilio possiede un’automobile, una Fiat 509, con la quale il gruppetto dei tre appassionati fa scorribande in lungo e in largo sui monti dell’Appennino. Nasce rapidamente un’amicizia e tra un coleottero e l’altro Rasetti insegna a Segrè «i principi della meccanica statistica e la distribuzione di Boltzmann». Gli spiega che, ad eccezione di Fermi e di lui stesso, non esistono in Italia professori di fisica in grado di parlare di teorie del genere. «Sul Pizzo d’Eta imparai anche un po’ di calcolo delle variazioni e di meccanica analitica». Poche settimane più tardi Segrè partecipa a una gita a Ostia e viene presentato a Fermi: «Mi sfidò a calcolare le vibrazioni di una corda pesante che dondolava, cosa che feci con sua soddisfazione. Così cominciò la nostra amicizia». Ormai gli era chiaro che “a fisica c’era gente che sapeva il fatto suo”. Durante l’estate un piccolo gruppo composto da Giovanni Enriques e suo cugino Piero Franchetti, Franco Rasetti e Giovanni Ferro Luzzi fece un lungo giro sulle Alpi, sempre con l’auto di Segrè. Ostia, estate 1927

17 Il Convegno di Como 11-20 settembre 1927
Dall’ 11 al 20 settembre si svolgeva a Como un Convegno internazionale di fisica per commemorare il centenario della morte di Alessandro Volta. Segrè si accodò a Rasetti e là sperimentò l’emozione di incontrare di persona tutti quei pezzi grossi della fisica di alcuni dei quali conosceva solo il nome: Max Planck, Antoon Lorentz, Ernest Rutherford, Niels Bohr, Robert Millikan, Wolfgang Pauli e Werner Heisenberg. Einstein, molto attivo nella difesa della democrazia contro il diffondersi dei regimi autoritari, aveva firmato una protesta contro il fascismo in Italia e quindi non aveva partecipato. Laura Fermi ha descritto coLaura Fermi ha descritto con spirito la scena: «”Chi è quell’uomo che cammina curvo, con gli occhi incerti e la pronuncia indistinta?” chiedeva Segrè a uno dei suoi due mentori. “Quello è Bohr”. “Bohr? E chi è Bohr?” “Pazzesco” esclamava Rasetti “non hai mai sentito parlare dell’atomo di Bohr?” “E che cosa è l’atomo di Bohr?” Fermi glielo spiegava. Poi Segrè si informava di altre persone e dei loro lavori. Compton, Lorentz, Planck... l’effetto Compton... la costante di Planck... Segrè imparava una gran quantità di fisica. Gli piaceva». Dopo ogni relazione seguivano accanite discussioni e a quanto pare Fermi, Pauli e Heisenberg stavano sempre insieme a chiacchierare. FOTO FERMI HEISENBERG PAULI Alla conferenza di Sommerfeld ci fu un pienone, tutti volevano ascoltare il grande Sommerfeld che parlava di Fermi, praticamente l’unico fisico italiano menzionato durante il convegno. La statistica di Fermi si era infatti rivelata uno strumento fondamentale nella teoria elettronica dei metalli, infatti il suo campo di applicazione più immediato scaturisce dal considerare gli elettroni nei conduttori come un “gas di Fermi”. Nel lavoro Sulla degenerazione del gas e il paramagnetismo, in cui «La statistica quantica del gas perfetto monoatomico che è dovuta a Fermi […] viene estesa al caso in cui gli atomi del gas possiedano spin», Pauli considera appunto gli elettroni di conduzione all’interno di un metallo come un gas perfetto degenere per spiegare il debole paramagnetismo dei metalli. Subito dopo, nell'estate di quell’anno, Sommerfeld era appunto riuscito a spiegare per la prima volta, il contributo al calore specifico da parte degli elettroni di un metallo, anche se il primo lavoro pubblicato in cui si trova un’applicazione della statistica di Fermi è Dense Matter [Materia densa] presentato da Fowler alla Royal Society nel dicembre del 1926, in cui aveva mostrato che un gas di elettroni alle elevatissime densità di materia tipiche di una nana bianca deve essere un “gas di Fermi”. degenere. Da Como i partecipanti al convegno si erano spostati a Roma ed erano stati ricevuti da Mussolini. Segrè ricorda che «Corbino privatamente commentava che l’Italia avrebbe dovuto esibire più fisica e meno ospitalità e che non avrebbe dovuto illudersi che organizzare un convegno fosse un surrogato di successi scientifici». In ogni caso il Convegno rappresentò per Fermi la raggiunta consacrazione a livello internazionale. Il Convegno Volta fa definitivamente scattare nel giovane Segrè il desiderio di passare da ingegneria a fisica. Aveva accarezzato quest’idea fin da quando aveva conosciuto Rasetti e Fermi, e ora gli era ben chiaro di trovarsi finalmente di fronte a un’opportunità unica per imparare la fisica e lavorare in questo campo: «I giovani professori, che erano poco più grandi di lui, mi trattavano non come un novellino ma come un futuro collega. Erano pronti a darmi accesso immediato al laboratorio dell’isituto di fisica, a mostrarmi cosa facevano e a darmi l’opportunità di aiutarli nel loro lavoro. Che cosa potevo desiderare di più?»

18 Il convegno di Como Dall’ 11 al 20 settembre si svolgeva a Como un Convegno internazionale di fisica per commemorare il centenario della morte di Alessandro Volta. Alla conferenza di Sommerfeld ci fu un pienone, tutti volevano ascoltare il grande Sommerfeld che parlava di Fermi, praticamente l’unico fisico italiano menzionato durante il convegno. La statistica di Fermi si era infatti rivelata uno strumento fondamentale nella teoria elettronica dei metalli, infatti il suo campo di applicazione più immediato scaturisce dal considerare gli elettroni nei conduttori come un “gas di Fermi”. Nel lavoro Sulla degenerazione del gas e il paramagnetismo, in cui «La statistica quantica del gas perfetto monoatomico che è dovuta a Fermi […] viene estesa al caso in cui gli atomi del gas possiedano spin», Pauli considera appunto gli elettroni di conduzione all’interno di un metallo come un gas perfetto degenere per spiegare il debole paramagnetismo dei metalli.

19 Le vacanze di Majorana Mentre Segrè sta vivendo esperienze ed eventi tumultuosi, che daranno una svolta decisiva al suo futuro, Majorana sembra starsene tranquillo all’Hotel Tamerici, ai Bagni di Montecatini, e il 2 agosto scrive all’amico Gastone Piqué: «Caro Gastone, Ho bevuto stoicamente tre gocce d’acqua amara, e poi altre dieci gocce, e poi altri sei bicchieri. Sono in attesa; che dio me la mandi buona. Il languore che mi pervade mi induce nell’animo i più teneri sentimenti. Quanta soavità nel riposo di colui che ha sorseggiato un litro de un quarto d’acqua purgativa!... Il fascino delicato della tua bella terra e del popolo che l’abita, e un senso sottile di nostalgia completano l’incanto. conto di rivederti fra te giorni, forse domani se verrò er fissare le camere, e affretto col desiderio quell’istante, perché non v’è altra gioia che quella di vederti per il tuo Ettore PS – Il dovere mi chiama. Addio. L’amicizia con Gastone è fatta anche della speciale complicità che si stabilisce nei legami che nascono durante l’adolescenza. Ecco una cartolina di due giorni dopo «Caro Gastone, verrò forse domani, nel pomeriggio; ti ricercherò attivamente e ordinatamente: 1°) al n. 42 2°) al gatto nero 3°) al bagno Felice 4°) sotto quelle finestre. Saluti affettuosi, Ettore». Anni dopo Piqué spiegherà a Erasmo Recami il “codice” nascosto nell’elenco qui sopra: il numero 42 era quello della casa d’abitazione, il “Gatto Nero” era un bar mentre a il bagno Felice era uno stabilimento, entrambi frequentati abitualmente da Gastone. Nel punto 4 Ettore alludeva alle finestre dell’abitazione di una ragazza corteggiata all’epoca dall’amico. In estate la famiglia Piqué andava regolarmente al mare, a Viareggio, che era frequentata anche dagli Enriques, e dove Ettore trascinava tutta la famiglia per trascorrere le vacanze insieme all’amico fraterno. La “rinomata saletta” non era altro che il famoso Caffè Faraglia detto “Faraglino” dove negli anni di università Ettore e Luciano Majorana avevano l’abitudine di incontrarsi con gli amici e i compagni di studi. Amaldi ricorda che sui due circolava una storiella che risaliva all’inizio dell’estate, quando insieme a tre amici erano andati in gita nei dintorni di Roma con l’auto di famiglia (una Fiat 507 scoperta). 1929T Ettore si era messo alla guida pur non avendo alcuna pratica e tanto meno la patente, ma quasi subito erano usciti di strada e la macchina si era capovolta. Tutti erano rimasti incolumi e all’arrivo della polizia avevano dichiarato che l’incidente era accaduto con Luciano al volante. «La cosa finì lì senza troppe complicazioni e l’aria indifferente e naturale con cui Ettore e Luciano parlavano di questa avventura aveva dato loro fra i colleghi universitari la fama di giovani spericolati». Ettore, che in realtà si era ferito a una mano, ferita di cui gli rimase poi la cicatrice, da allora non volle mai più guidare l’auto, anzi diceva: «Se dico di voler guidare, impeditemelo». Un’ altra delle loro imprese fu quella di decidere di scalare il Monte Velino in pieno inverno.

20 Il Regio Istituto Fisico di via Panisperna

21 La scuola di Via Panisperna
«Nessuno lo notò, ma ero diventato, almeno ufficialmente, il primo allievo di Fermi ed era nata la scuola di fisica di Roma» Emilio Segrè «…”Credo che se ci sono persone in grado di fare uno sforzo adeguato, questo è il momento giusto per cambiare da ingegneria a fisica…e se cambiate ci saranno un bel po’ di opportunità per fare un lavoro molto interessante” … Per due anni ero stato molto interessato, ma in un certo senso non avevo avuto il coraggio di farlo. Questa era l’occasione per decidere di cambiare. Così mi iscrissi a fisica». (Edoardo Amaldi) Nell’autunno del 1927 Emilio Segrè cominciò a frequentare regolarmente il laboratorio dell’Istituto di Fisica, in via Panisperna 89a, dove trovò Fermi e Rasetti, - basso e un po’ tarchiato l’uno, alto e magro l’altro - «vestiti di camici grigi non proprio puliti», che emanavano un leggero odore, talmente caratteristico da restare fissato per sempre nella sua “memoria olfattiva” . I due «cercavano di mettere a fuoco le frange di un interferometro di Jamin sulla fessura di uno spettroscopio Hilger di un antico modello racchiuso in una lucida cassa di mogano. Cercavano di impressionarmi con l’importanza del loro lavoro, una misura dell’indice di rifrazione del vapore di tallio». Fin dall’inizio Fermi fece a Segrè “lezioni private”. Verso le sei e mezza del pomeriggio lo chiamava in ufficio e là, presente anche Rasetti, gli spiegava tutto quello che gli veniva in mente o quello che gli veniva chiesto. Si trattava di una via di mezzo tra una lezione e una conversazione informale; mentre parlava Fermi riempiva dei fogli di carta con una serie di formule. Gli argomenti spaziavano dal libero cammino medio nei gas, alla diffrazione da una fenditura, alle fluttuazioni, alla teoria classica della radiazione di risonanza, al potere rotatorio delle molecole, alle pompe a diffusione, alla diffrazione di raggi X secondo von Laue e W. H. Bragg. Nell’estate del 1925 la famiglia Amaldi era andata in vacanza sulle Dolomiti con il gruppo dei matematici. Anche Enrico Fermi si trovava là, in compagnia del fisico olandese Ralph de Laer Kronig, conosciuto a Leida l’anno precedente quando aveva fatto un soggiorno di studi da Paul Ehrenfest. Edoardo Amaldi aveva appena terminato il liceo; affascinato dai discorsi dei due giovani fisici, li seguiva sempre nelle loro escursioni. L’incontro ravvicinato con Fermi durante quella vacanza fu per il giovane Edoardo il primo contatto con un mondo in cui avrebbe avuto un ruolo di protagonista. Edoardo Amaldi, che molti anni dopo ricorderà bene le circostanze in cui si iscrisse a fisica, alla fine del biennio di ingegneria: «Avevo l’abitudine di frequentare le lezioni di Corbino. […] Corbino era estremamente brillante. Faceva delle belle lezioni, molto animate, molto attraenti, e faceva dei piccoli scherzi divertenti per spiegare le cose in un modo molto intelligente. Un giorno verso la fine del secondo anno, fece il famoso discorsetto in cui diceva: “Credo che se ci sono persone in grado di fare uno sforzo adeguato, questo è il momento giusto per cambiare da ingegneria a fisica. Abbiamo fatto in modo di avere Fermi qui a Roma. Forse non sapete chi è Fermi, ma sono sicurissimo che non abbiamo mai avuto in Italia da tanti, tanti anni un fisico con la sua classe. È molto giovane e conosce la fisica moderna. Noi anziani non ne sappiamo niente, ma lui sì; e se cambiate ci saranno un bel po’ di opportunità per fare un lavoro molto interessante” […] Per due anni ero stato molto interessato, ma in un certo senso non avevo avuto il coraggio di farlo. Questa era l’occasione per decidere di cambiare. Così mi iscrissi a fisica». La vita all’Istituto di fisica era intensa, organizzata in orari rigidi, senza interruzione per il pranzo di mezzogiorno. Sotto la guida di Fermi si imparava ad «amare la fisica con una intensità confrontabile con quella dell’amore fisico». La domenica andavano con gli amici a fare passeggiate, ma il gruppetto di fisici dopo un po’ si appartava e cominciava a parlare di lavoro. «Rasetti e Fermi mi convinsero rapidamente che erano dei supermen (una opinione non del tutto sbagliata, soltanto esagerata) e che chiunque si fosse associato a loro lo sarebbe diventato ugualmente». Ma Segrè aveva continuato a mantenere un piede a ingegneria: «Segrè era di natura cauta. Si diede a soppesare i vantaggi della fisica rispetto a quelli dell’ingegneria; ne discusse col suo compagno di scuola più intelligente, Ettore Majorana». I Castelnuovo d’abitudine ricevevano il sabato sera, dopo cena. Nel loro salotto si radunavano personaggi come Volterra, Levi-Civita ed Enriques, fratello della moglie di Castelnuovo. Erano un gruppo legato da forti vincoli affettivi, nati anche dai comuni interessi scientifici e dalle notevoli qualità umane che li caratterizzavano in modi diversi. I più giovani partecipavano a queste riunioni stringendo a loro volta legami molto profondi. Laura Fermi ricorda anche che quell’autunno Segrè prese a frequentare insieme a Fermi e Rasetti casa Castelnuovo, nel cui salotto si radunavano Volterra, Levi-Civita ed Enriques, che era il fratello della moglie di Castelnuovo. Il gruppo dei giovani se ne stava in un’altra stanza: «Emilio era buon conoscitore di uomini. Non gli piacevano i giochetti di società in casa Castelnuovo; lo annoiava il gioco delle “pulci” inventato da Fermi e consistente nel far saltare le monete sul tappeto della tavola, premendole sul bordo con un’altra moneta: il compiacimento di Fermi, che era sempre vincitore a “pulci”, gli sembrava puerile».

22 Majorana visita l’Istituto di fisica
«Egli venne all’Istituto di Fisica di Via Panisperna e fu accompagnato da Segrè nello studio di Fermi ove si trovava anche Rasetti. Fu in quell’occasione che io lo vidi per la prima volta. Da lontano appariva smilzo, con un’andatura timida quasi incerta; da vicino si notavano i capelli nerissimi, la carnagione scura, le gote lievemente scavate, gli occhi vivacissimi e scintillanti: nell’insieme, l’aspetto di un saraceno». Edoardo Amaldi Dopo aver a lungo riflettuto Segrè si iscrive a fisica come studente del quarto anno e gli sembra del tutto naturale parlare con Ettore Majorana il suo compagno di studi più brillante per convincerlo a unirsi al gruppo dei fisici. Nel frattempo Ettore si era iscritto al nuovo anno accademico, anzi, era stato Gastone Piqué a farlo per suo conto, come era consuetudine, come si deduce da una lettera del 17 ottobre del 1927 scritta dalla casa di campagna della famiglia Majorana, sull’Etna: «Caro Gastone … ti ringrazio sinceramente per la consueta corvéé; non t’ho scritto prima perché la fretta non mi piace, specialmente in certe cose. Devi sapere che mi sono dato al più scientifico dei passatempi: non faccio niente e il tempo passa lo stesso. Veramente mi sto occupando di una quantità incredibile di cose, ma, trattandosi di vili fatti del pensiero, e non di fatti empirici, bisogna farci la tara». La lettera continua con un crescente tono sarcastico, a cui Ettore, nonostante i pensieri cupi, non rinuncia:«Se non mi viene un accidente, verrò tra pochi giorni. Né devi credere che sia impossibile che mi venga un accidente nel fiore dell’età; al contrario abbilo per molto verosimile. Infatti io sono stato fin dalla nascita un genio ostinatamente immaturo ; il tempo e la paglia non sono serviti a nulla e non serviranno mai, e la natura non vorrà essere così maligna da farmi morire immaturamente d’arteriosclerosi. Ma benché vasto e insondabile sia il mare del mio disprezzo per tutto il mondo sublunare non è senza giubilo che mi appresto a varcare la soglia della rinomata saletta in via Montecatini, né senza trepidazione berrò il calice amaro, sino all’ultima goccia. T’abbraccio, Ettore». La “rinomata saletta” non era altro che il famoso Caffè Faraglia detto “Faraglino” dove negli anni di università Ettore e Luciano Majorana avevano l’abitudine di incontrarsi con gli amici e i compagni di studi. Amaldi ricorda che sui due circolava una storiella che risaliva all’inizio dell’estate quando insieme a tre amici erano andati in gita nei dintorni di Roma con l’auto di famiglia (una Fiat 507 scoperta). Ettore si era messo alla guida pur non avendo alcuna pratica e tanto meno la patente, ma quasi subito erano usciti di strada e la macchina si era capovolta. Tutti erano rimasti incolumi e all’arrivo della polizia avevano dichiarato che l’incidente era accaduto con Luciano al volante. «La cosa finì lì senza troppe complicazioni e l’aria indifferente e naturale con cui Ettore e Luciano parlavano di questa avventura aveva dato loro fra i colleghi universitari la fama di giovani spericolati». A quanto pare Ettore, che in realtà si era ferito a una mano, ferita di cui gli rimase poi la cicatrice, da allora non volle mai più guidare l’auto, anzi diceva: «Se dico di voler guidare, impeditemelo». Un’ altra delle loro imprese fu quella di decidere di scalare il Monte Velino in pieno inverno. FOTO MONTAGNA, FOTO DELLA LETTERA DI LUCIANO AD AMALDI Durante l’autunno e nella prima parte dell’inverno di quel 1927 Segrè parlava spesso delle straordinarie capacità di Majorana nel circolo dei fisici che nel frattempo si erano raccolti intorno a Fermi e nello stesso tempo continuava a cercare di convincerlo a seguire il suo esempio facendogli notare che la Scuola di ingegneria non era per lui, mentre gli studi di fisica sarebbero stati molto più in sintonia con le sue aspirazioni scientifiche e le sue attitudini speculative. Alla fine Ettore decise di andare a dare un’occhiata di persona. A distanza di molti anni Edoardo Amaldi ricordava bene il primo colloquio di Majorana con Fermi: «Egli venne all’Istituto di Fisica di Via Panisperna e fu accompagnato da Segrè nello studio di Fermi ove si trovava anche Rasetti. Fu in quell’occasione che io lo vidi per la prima volta. Da lontano appariva smilzo, con un’andatura timida quasi incerta; da vicino si notavano i capelli nerissimi, la carnagione scura, le gote lievemente scavate, gli occhi vivacissimi e scintillanti: nell’insieme, l’aspetto di un saraceno». Segrè accompagnò Majorana nello studio di Fermi, dove si trovava anche Rasetti. All’epoca Fermi stava lavorando al modello statistico dell’atomo che prese in seguito il nome di modello di Thomas-Fermi. I due finirono col parlare delle ricerche in corso all’Istituto e Fermi espose rapidamente le linee generali del modello e mostrò a Majorana gli estratti dei suoi recenti lavori sull’argomento. Nella seduta del 4 dicembre Corbino aveva presentato all’Accademia dei Lincei il nuovo lavoro di Fermi, Un metodo statistico per la determinazione di alcune proprietà dell’atomo. «Lo scopo del presente lavoro è quello di mostrare alcuni dei risultati sopra la distribuzione degli elettroni in un atomo pesante che si possono ottenere trattando tali elettroni, dato il loro considerevole numero, con un metodo statistico; ossia, in altre parole, considerandoli come un gas di elettroni che circonda il nucleo». In questo modo Fermi aveva ottenuto un’equazione differenziale non lineare per il potenziale elettrico a cui è soggetto ogni elettrone. In un quaderno di appunti conservato presso la Domus Galilaeana a Pisa, è rimasta traccia dei numerosi tentativi fatti da Fermi per risolvere analiticamente l’equazione, di cui sarà dimostrata l’esistenza e unicità della soluzione soltanto dopo diversi decenni. Ma a Fermi interessavano soltanto le soluzioni approssimate; utilizzando una vecchia calcolatrice Brunsviga a manovella aveva lavorato per una settimana calcolando i valori numerici del potenziale e aveva mostrato a Majorana la tabella in cui erano raccolti. Majorana ascoltò con interesse questi discorsi, chiese informazioni dettagliate sul problema matematico e andò via senza fare commenti né tantomeno manifestare le sue intenzioni. Secondo il racconto di Amaldi «Il giorno dopo nella tarda mattinata, si presentò all’ Istituto, entrò diretto nello studio di Fermi e gli chiese, senza alcun preambolo, di vedere la tabella che gli era stata posta sotto gli occhi per pochi istanti il giorno prima. Avutala in mano, estrasse dalla tasca un fogliolino su cui era scritta un’analoga tabella da lui calcolata a casa nelle ultime 24 ore, trasformando […] l’equazione del secondo ordine non lineare di Thomas-Fermi in un’equazione di Riccati che poi aveva integrato numericamente». Nella sua versione dei fatti Segrè riferisce il commento di Majorana: «“È sorprendente, Fermi non ha fatto alcun errore”, disse».

23 Studenti a via Panisperna

24 Ettore Majorana con le sorelle.
A destra Giovanni Gentile Jr.

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26 Il primo Congresso di fisica nucleare. Roma

27 Enrico Fermi e Franco Rasetti, Convegno di Fisica nucleare, Roma 1931

28 Enrico Fermi e Bruno Rossi Convegno di fisica nucleare Roma, 1931

29 James Chadwick

30 I primi modelli di nucleo con neutroni: Heisenberg, Wigner, Majorana
2 giugno 1933, Pauli a Heisenberg : «Per quanto riguarda la fisica nucleare sono tuttora fortemente convinto della validità del teorema dell’energia nel decadimento , se si considera l’emissione di altre particelle leggere molto penetranti. Credo anche che il carattere di simmetria dell’intero sistema, così come l’impulso, debbano essere sempre conservati in tutti i processi nucleari». I primi modelli di nucleo con neutroni: Heisenberg, Wigner, Majorana Già prima della Pasqua del 1932 Majorana aveva abbozzato una teoria dei nuclei leggeri basata su protoni e neutroni come costituenti elementari in cui i primi interagivano con i secondi attraverso forze di scambio. Ma aveva concluso, a differenza di quanto farà Heisenberg, che solo lo scambio delle posizioni e non delle posizioni e degli spin insieme (equivalente allo scambio di carica) fosse ammissibile, se si voleva che la particella  fosse la più stabile e non il deutone (nucleo del deuterio). La considerazione era basata sul concetto di “saturazione”, corrispondente all’idea che tutti i legami attrattivi entrassero in gioco e cioè sulla proprietà dell’energia di legame di crescere proporzionalmente al numero A di nucleoni. Heisenberg, aveva affermato, sbagliando, che le sue forze avrebbero saturato i legami nella particella , come voluto. Infatti l’energia di legame della particella  è circa 13 volte superiore a quella del deuterio. Majorana parlò delle sue idee con i colleghi di via Panisperna e «Fermi, che aveva immediatamente capito l'interesse [della teoria] gli consigliò di pubblicare al più presto i suoi risultati, anche se parziali. Però, Ettore non ne volle sentir parlare, perché considerava incompleto il suo lavoro. Il numero datato 19 luglio 1932 dello“Zeitschrift für Physik” conteneva il primo lavoro di Heisenberg sulle “Forze di scambio di Heisenberg”, cioè le forze che implicavano lo scambio sia delle coordinate spaziali sia degli spin, il che equivaleva a uno scambio di carica fra protone e neutrone che venivano così a “condividere” un elettrone in analogia alle forze responsabili del legame chimico omeopolare. I tre lavori di Heisenberg usciti sullo “Zeitschrift für Physik” nel sono un ibrido fra vecchio e nuovo - modello p-n di nucleo, con un piede sul modello p-e per il neutrone - e tuttavia hanno importanza cruciale nella formulazione di una teoria delle forze nucleari. La formulazione, considerata con il senno di poi, ha un che di paradossale perché, da un lato, mette sullo stesso piano protoni e neutroni (che nel 1941 saranno raggruppati da C.Møller nel nome collettivo “nucleone”, di cui protone e neutrone sarebbero “stati” distinti; il nome “leptone” per l'elettrone e altre particelle che non interagiscono fortemente sarà invece proposto da A. Pais nel 1947) distinguendoli con un numero quantico che verrà chiamato “spin isotopico” per la sua caratteristica di essere una grandezza fisica a due valori, come lo spin dell'elettrone di Pauli; dall'altro include nel computo dell'energia una energia di legame elettrone-protone per rappresentare un neutrone composito. In effetti Heisenberg non aveva avuto molto successo con i calcoli sulla saturazione dei legami, cioè sulla proprietà dell’energia di legame di crescere proporzionalmente al numero A di nucleoni. Gli elettroni diventano ospiti imbarazzanti nel nucleo, ma nonostante la scoperta del neutrone non significa che subito venga messo da parte il modello e-p. Ancora è difficile rinunciare all’idea che nei processi beta gli elettroni vengano fuori dai nuclei se non si trovano già là. Nonostante la natura puramente fenomenologica di questi primi modelli di nucleo dopo la scoperta del neutrone il soggetto era ormai abbastanza lanciato. Tuttavia rimaneva il mistero non risolto dell’origine dinamica del decadimento .

31 1933: le leggi razziali in Germania

32 22-29 ottobre 1933 VII Convegno Solvay
“Così, durante il convegno Solvey sui nuclei atomici, a Bruxelles nell’ottobre 1933, ebbe luogo una chiarificazione generale…Ormai era evidente che, sulla base di questa concezione della struttura nucleare, i neutrini, come ora venivano chiamati, dovevano essere fermioni per conservare la statistica nel decadimento beta. Inoltre Ellis ci mise al corrente di un nuovo esperimento effettuato dal suo studente W. J. Henderson, che stabiliva un limite superiore netto allo spettro beta e ne consolidava la sua interpretazione. Alla luce delle nuove circostanze, le mie precedenti precauzioni nel differire la pubblicazione ora apparivano non necessarie. Alla fine della relazione di Heisenberg comunicai le mie idee sul neutrino”. Alla conferenza Pauli aveva sottolineato: “L’interpretazione supportata da Bohr ammette che le leggi di conservazione dell’energia e dell’impulso non valgono nell’ambito dei processi nucleari, dove particelle leggere giocano un ruolo essenziale. Questa ipotesi non mi sembra né soddisfacente né tanto meno plausibile. In primo luogo la carica elettrica si conserva nel processo, e non vede perché la conservazione della carica debba essere una legge più fondamentale rispetto alla conservazione dell’energia e dell’impulso. Inoltre, sono precisamente le relazioni legate all’energia che governano diverse proprietà caratteristiche degli spettri beta (esistenza di un limite superiore e la relazione con gli spettri gamma, il criterio di stabilità di Heisenberg). Se le leggi di conservazione non fossero valide, saremmo obbligati a concludere sulla base di queste relazioni che una disintegrazione beta ha luogo sempre con una perdita di energia e mai con un guadagno; questa conclusione implica l’irreversibilità di questi processi rispetto al tempo, il che non mi sembra affatto accettabile” Pauli si rende conto della difficoltà enorme di lavorare sul rinculo del nucleo come mezzo per indagare su quella che al momento appare una fantomatica particella “...lo studio sperimentale della differenza di impulso nelle disintegrazioni beta costituisce un problema estremamente interessante; si può prevedere che le difficoltà saranno del tutto insormontabili a causa della piccolissima energia del nucleo di rinculo”. A questo punto appare lecita la domanda: «Perché Pauli non andò fino in fondo formulando lui stesso la teoria del decadimento ?» Secondo l’ipotesi di L. M. Brown e Rechenberg il motivo principale risiedeva nella convinzione che Pauli condivideva con Bohr e Heisenberg: le teorie fisiche note, inclusa la meccanica quantistica e la teoria relativistica dei campi non erano sufficientemente adeguate alla descrizione dei fenomeni nucleari. Il compito di assemblare tutti gli elementi in una teoria quantistica del decadimento  fu messo in atto da Fermi, il suo meno esitante amico italiano, che fin dal Congresso di fisica nucleare tenuto a Roma nel 1931 conosceva bene il punto di vista di Pauli: Fermi «mostrò immediatamente un vivo interesse e un atteggiamento molto positivo verso la mia nuova particella neutra».

33 La creazione e l’annichilazione di nuove particelle
Agosto 1932, Iwanenko: “L’espulsione di un elettrone è simile alla nascita di una nuova particella”. Dicembre 1933, Perrin :“Il neutrino...non pre-esiste nel nucleo atomico, è creato all’atto dell’emissione, come il fotone”. Fermi a Occhialini (in data non identificata): “Quando facciamo gli esami chiamiamo per nome uno studente, si apre la porta e quello entra: e noi pensiamo che, prima della chiamata, lo studente se ne stesse in corridoio in attesa. Così che quando ci sembra che un elettrone se ne scappi fuori da un nucleo, crediamo che, prima di uscire, quell’elettrone se ne stesse già là dentro. Le cose non vanno in questo modo. E’ come se, quando la porta si apre, lo studente di colpo venisse creato sulla soglia. Prima, insomma, non stava da nessuna parte. Ecco che cosa fanno questi elettroni. Facile, vero?”

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35 L’ “intuito fenomenale” di Fermi
Secondo Fermi il decadimento beta del nucleo è dovuto a un nuovo tipo di interazione tra i quattro fermioni implicati nel processo di decadimento beta. Questa interazione causa la trasformazione di un neutrone nel nucleo in un protone con la simultanea produzione di una coppia elettrone-neutrino. Il modello più semplice consisteva nell’assumere una interazione puntiforme con una costante di accoppiamento g. Fermi assume quindi che l’interazione sia proporzionale alla sovrapposizione della funzione d’onda delle particelle presenti negli stati iniziali e finali, nello stesso punto dello spazio. Fermi fu guidato in questo campo completamente nuovo dall’analogia con l’elettrodinamica. n p

36 Frédéric Joliot e Irène Curie, 1934

37 Fermi in laboratorio

38 Attrezzatura, sorgenti radioattive e quaderno di laboratorio del gruppo di Fermi a via Panisperna

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40 Caro Fermi… I suoi risultati sono di grande interesse… Mi congratulo con lei per la sua fuga dalla sfera della fisica teorica, coronata da successo!… Rutherford

41 “Sono nato a Pisa nel 1913 in una numerosa famiglia benestante…A scuola ero moderatamente bravo, ma la cosa più importante nella mia vita era il tennis, di cui mi picco a tutt’oggi di essere un profondo conoscitore. Entrai alla Facoltà di Ingegneria dell’Università di Pisa ed ebbi voti decenti durante il biennio. A me però non piaceva il disegno, cosicché, terminato il biennio, decisi di abbandonare gli studi di ingegneria e di iscrivermi al terzo anno di fisica. Mio fratello Guido affermava con autorità: ‘Fisica! Vuol dire che devi andare a Roma. Lì ci sono Fermi e Rasetti’…”

42 Emilio Segrè, Edoardo Amaldi, Ettore Majorana, Bruno Pontecorvo

43 Via Panisperna Autunno 1934
“Dopo essermi laureato all’Università di Roma fui nominato assistente del Dipartimento di Fisica…Fui molto contento quando, al ritorno dalle vacanze, mi fu chiesto di dare una mano negli esperimenti con i neutroni…Amaldi e io dovevamo effettuare misure quantitative delle attività indotte dai neutroni in varie sostanze…Tuttavia, anche nel caso più semplice, quando veniva misurata perfino l’attività di un solo campione (un cilindro standard d’argento) succedeva che risultava difficile riprodurre i risultati…Non riuscivamo a trovare una spiegazione alle irregolarità dell’attività indotta…Rasetti, essendo uno scettico, non credeva ai nostri risultati. Fermi disse di continuare gli esperimenti, ma non sembrava particolarmente interessato…Diversi giorni più tardi…la mattina del 22 ottobre, Fermi decise di misurare la radioattività del cilindro d’argento facendo passare i neutroni della sorgente attraverso un cuneo di paraffina, invece che di piombo…” Via Panisperna Autunno 1934

44 I neutroni lenti La sera stessa il gruppo scrive una lettera per la "Ricerca Scientifica" Azione di sostanze idrogenate sulla radioattività provocata dai neutroni-1 in cui annuncia la sensazionale scoperta: «Uno spessore di alcuni centimetri di paraffina interposto fra la sorgente e l’argento invece di diminuire l’attivazione la aumenta». I neutroni rallentati fino all’energia dell’agitazione termica delle molecole dalle collisioni con nuclei di idrogeno passano più tempo nelle vicinanze dei nuclei bersaglio diventando più efficaci nell’indurre la radioattività artificiale. La scoperta dell’effetto dei neutroni lenti apre una nuova fase nel programma di ricerca del gruppo che si concentra ormai sul problema degli effetti derivanti da questo fenomeno. La scoperta ha immediate applicazioni pratiche nella possibilità di produrre isotopi radioattivi artificiali da utilizzare per esempio come traccianti a scopi fisici, chimici e biologici. Orso Mario Corbino convince Fermi e i suoi collaboratori a prendere un brevetto.

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46 Corbino si prende cura del valore delle applicazioni: il brevetto dei neutroni lenti

47 Fermi e Amaldi Nel giro di pochi mesi, a cavallo con l’anno precedente, Fermi e Amaldi pubblicano una serie di lavori su "La Ricerca Scientifica" che culminano con un ampio articolo inviato a "Physical Review" nel quale si illustrano una serie di risultati conclusivi dello studio sistematico sull’assorbimento e la diffusione di neutroni lenti. Il problema della diffusione viene affrontato da Fermi utilizzando alcune variabili che lo semplificano notevolmente: in particolare la "letargia" che è una misura logaritmica dell’energia del neutrone e che permette una rappresentazione grafica unidimensionale della successione di collisioni elastiche che portano il neutrone alla termalizzazione. Fermi sviluppa un’equazione di diffusione in cui si danno valutazioni importanti della distanza che un neutrone raggiunge a partire dal punto in cui è stato creato fino alla completa termalizzazione: la misura di questa distanza è affidata a un parametro che di lì in poi verrà chiamato "età di Fermi”.

48 Modello del nucleo composto
Da queste ricerche emerge un nuovo interessante fenomeno: il forte assorbimento, da parte di molti elementi, di neutroni la cui energia cinetica cade in alcune bande di energia caratteristiche del nucleo bersaglio. In seguito alla scoperta di queste risonanze Bohr propone nell’aprile del 1936 il cosiddetto "modello del nucleo composto", secondo il quale le reazioni nucleari possono suddividersi in due fasi: nella prima la collisione tra un neutrone e un nucleo pesante dà luogo alla formazione di un nucleo composto che sopravvive per un tempo relativamente lungo e successivamente si decompone secondo un processo che non ha alcuna relazione con il primo stadio e nel quale tuttavia si conservano l’energia totale, la parità e il momento angolare. La ragione principale della stabilità dello stato composto è che l’energia inizialmente concentrata nella particella in entrata viene suddivisa fra tutte le altre particelle del nucleo bersaglio. Soltanto quando questa energia, a causa di una fluttuazione, si concentra di nuovo su un’altra particella, quest’ultima riesce a sfuggire dando luogo a uno stato finale che non conserva alcuna "memoria" della situazione iniziale.

49 Enrico Fermi e Edoardo Amaldi, estate 1938

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51 Stoccolma 10 dicembre 1938 New York 2 gennaio 1939
«Per aver dimostrato l’esistenza di nuovi elementi radioattivi prodotti dall’irradiazione mediante neutroni e per la scoperta, legata alla precedente, delle reazioni nucleari provocate da neutroni lenti» Stoccolma 10 dicembre 1938 New York 2 gennaio 1939

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56 Il nuovo istituto di Fisica dell’Università di Roma


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