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1. SAPERI DELLA CULTURA E AGIRE FORMATIVO Le differenze che percepiamo implicano sempre una selezione e una scelta. Siamo responsabili di cosa percepiamo,

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1 1. SAPERI DELLA CULTURA E AGIRE FORMATIVO Le differenze che percepiamo implicano sempre una selezione e una scelta. Siamo responsabili di cosa percepiamo, senza essere consapevoli di come percepiamo. La percezione è sempre finalizzata. Se cambia lo scopo cambia anche la percezione. La via del cambiamento parte dall’agire. La capacità di agire e di pensare accade attraverso i contesti. I contesti sono il presupposto. Dalle azioni nascono altre azioni. Le fuoriscite delle abitudini contengono potenziali innovativi. Le azioni che intraprendiamo (consapevoli e inconsapevoli) hanno esiti futuri: ogni azione ci cambia e ci trasforma. COMPRENSIONE TACITA E COMPETENZE CONTESTUALI Chi fa formazione ha sempre a che fare con un gruppo. In un gruppo formato da Formatori e Formandi si mettono insieme gli aspetti delle diverse identità. Tutto ciò riguarda soprattutto le conoscenze implicite e le conoscenze tacite. Le conoscenze implicite riguardano ciò che non si può o non si vuole esprimere, ma di cui si è consapevoli e si potrebbero esplicitare. Le conoscenze tacite si basano sul presupposto che possiamo conoscere più di quanto possiamo esprimere. Importante qui è la sensibilità al contesto, competenza per la quale si è in grado di interpretare ciò che viene dato per sottinteso, comprendere ciò che non viene detto. CAPACITà DECISIONALE Momento fondamentale dell’agire è dato dalla capacità decisionale, che non riguarda le decisioni semplici e banali. Le decisioni sono quelle che non danno per scontata la piattaforma di base. La capacità decisionale riguarda una scelta, una invenzione. Ogni decisione è quindi riflessiva ed autoriflessiva, implica una messa in gioco tra persona e gruppo. Le decisioni strategiche, invece, comportano un ulteriore esercizio, quello della libertà di inquadrare sotto quale aspetto va interpretato e affrontato un problema. La questione delle scelte è collegata con quella delle preferenze. Le scelte non hanno una strutturazione logico-gerarchica. I criteri logici vengono stravolti dalla dimensione temporale. Il tempo influisce sulla percezione di ciò che scegliamo. Un formatore competente è colui che esprime la capacità di percepire i propri modi percepire. Il compito dei processi formativi è quello di ristrutturare ciò che è abitudinario per viverlo come pro- creativo. La ripetizione sempre uguale implica un programma risparmio. Una strategia è invece, una situazione aleatoria che implica elasticità.

2 ABITUDINI E ROUTINE Le abitudini e routine sono aspetti della nostra vita che cambiamo difficilmente e possono essere ostacoli x sviluppare capacità trasformative. Le abitudini si modificano tramite nuovi contesti, e nuove serie di azioni che rompono la routine ed i vecchi contesti. Qui distinguiamo le azioni procreative che mettono in luce i vincoli e le possibilità di una situazione, costituiscono una indagine e creano connessioni nuovi tra eventi e informazioni (modificazione della situazione). Le azioni formative trasformano le premesse e le condizioni di un contesto, si identificano con una o più interazioni e ogni azione presuppone, istituisce e costruisce un contesto. Le azioni esplorative posso rivelarsi tali, anche se non riescono a ottenere i risultati prefissati, ma che, nel contempo aprono altri orizzonti fino allora impensati ( scoprire in maniera casuale, Serendipity). Le cornici sono il tornasole si ogni azione. La cornice ambivalente è quella selettiva che mentre apre una finestra, causa cecità nei confronti degli altri. La cornice formativa interviene in situazioni complesse ed indecise per cambiarle. L’incertezza è la molla di ogni nuovo sentire. (cornici=dinamicità=associazione di due contesti=nuove metafore). EMOZIONI Nel processo formativo hanno un ruolo fondamentale le emozioni. Bateson parla di dualismo, con la separazione tra mente e corpo e il primato della prima sul secondo. L’incontro tra insegnante e alunno è un ottimo esempio. Le identità personali e professionali sembrano illusoriamente essere lontane e indipendenti. Il dualismo presuppone che il formatore consideri le proprie percezioni come rappresentazioni della realtà. Qui la formazione considera una separazione delle emozioni e quindi un appello al controllo delle emozioni. Se c’è dualismo tra formatore e formando allora il formatore può percepire padronanza e controllo sulle cose, anestetizzando le emozioni stesse; parlando di emozioni si valutano sempre quelle del formando e mai del formatore. Le emozioni sono sempre presenti nella nostra vita (è impossibile non provare emozioni) ed intervengono in maniera determinante quando c’è da classificare, orientare, decidere, giudicare; quindi interferiscono con l’agire. È tempo che i processi formativi non prendano le distanze da ciò che non controllano.

3 2. FORMAZIONE E RICERCA NEI GRUPPI Il rapporto tra contesti comunitari e ricerca è fondamentale per prevenire fenomeni di conformismo e appiattimento culturale. Educare alla ricerca vuol dire, sviluppare la capacità che sono state accantonate. Pur lavorando in gruppo non è detto che ci sia l’aspetto formativo. Formare, significa prepararsi all’imprevisto, questo esercizio è di creatività. In un gruppo vi saranno diverse percezioni della realtà da un soggetto ad un altro, ma sono differenze che possono diventare relazioni: x l’attività formativa è necessaria la capacità di entrare e uscire tra vari contesti e molteplici punti di vista. Il rapporto tra vita e formazione è delineato dalla ricerca. La ricerca deve essere considerata una attitudine generale che emerge con l’educazione. L’educazione influisce sui comportamenti quindi l’educazione stessa dovrà favorire la mente verso l’apertura, verso la curiosità (è stupore verso l’ignoto), il desiderio d’interessarsi; lo sguardo curioso permette acquisizione di novità e perdita di rigidità, ma avere curiosità significa avere dubbi. La ricerca si serve di uno strumento per incuriosire, quello della debanalizzazione. È L’uscita dall’ eccesso di abitudini e ovvietà presenti nel quotidiano); nella vita ci sono banalità necessarie che x noi sono certezze e rassicurazioni (es. lavatrice è macchina banale, se si rompe non lo è più) ma che necessitano di un limite. Bisogna imparare a cambiare punti di vista per uno allargamento di orizzonti. Il percorso che favorisce la debanalizzazione è quello proposto da Von Foester con distinzione tra domande illegittime e legittime (quelle di cui non si conosce risposta). Quindi in un sistema d’istruzione con sole domande legittime il risultato sarà imprevedibile e stimolerà il confronto, incuriosisce, de banalizza, apre verso nuovi contesti. Queste domande sono la frontiera verso le modalità intersoggettive e formative di ricerca. Gli aspetti relazionali della ricerca sono connessi con i processi di formazione delle identità personali: vita dei gruppi. In ambito di gruppo le diversità tra soggetti possono portare a scontro tra identità e non a confronto; l’evoluzione di gruppo è una co-evoluzione che coinvolge educatori ed educandi ed è favorita con l’incontro di gruppo x migliorarsi e vicenda; co-evolvere è sinonimo di ricercare, inventare, trasformarsi, usare metodi dinamici (no rigidi e chiusi), aprirsi a più punti di vista (no etichettature). Nel gruppo quindi, il formatore non deve considerarsi detentore di un sapere unico ma diventa parte integrante del processo d’apprendimento, così come l’educando che non sarà un semplice ricettore passivo.

4 3. PROSPETTIVE DI FORMAZIONE PER EDUCATORI DI COMUNITà A DOPPIA DIAGNOSI Si prende spunto da attività concrete in un centro riabilitativo x tossicodipendenti, dove vi è una figura di un responsabile aiutato da educatori. La comunità a doppia diagnosi aveva unito alla diagnosi di tossicodipendenti quella di uno o più disturbi psichiatrici. In queste comunità l’obiettivo è quello di collegare il lavoro con la formazione, è un tentativo di evitare quelli che Bateson chiama principi dormitivi. Spesso lavoro e formazione non sono connessi e quindi non sono concepiti reciprocamente in relazione. Nelle strutture a doppia diagnosi un pericolo che insidia soprattutto gli educatori, è quello di etichettare per via dell’ansia di definire gli altri. Qui la routine è ostacolo al cambiamento (favorisce cristallizzazione): valutare diversi punti di vista favorisce la discontinuità e aumenta le relazioni ed il coinvolgimento di gruppo (tutto x debellare il pigro appiattimento formativo); quindi formazione e lavoro di gruppo necessitano di debanalizzazione. La ricerca e la formazione sono sempre una esperienza di accoglienza e di integrazione, nonché di micro- interculturalità. È necessario dunque che il team si eserciti ad accogliere la soggettività degli altri per considerarla nella loro totalità. Tra le abilità che concorrono un team efficiente, ricordiamo l’integrazione tra manodopera e mente d’opera (capacità di corresponsabilizzarsi di fronte alle proprie percezioni e considerare il lavoro occasione di apprendimento). Qualsiasi diagnosi così non diventa una barriera, ma bisogna esercitare la creatività relazionale. Senza co-evoluzione si assiste ad una meccanizzazione e ad una ruolizzazione delle interazioni che cancellano la reciprocità. L’efficienza del team si vede nella possibilità di ristrutturare i fallimenti e le ricadute dei pazienti. Per migliorare il livello di interazioni il cambiamento di procedura consiste nell’incontro e quindi nella relazione abitudinaria tra gli educatori e i responsabili, che porta ad un confronto. L’eterarchia consente che le decisioni e gli errori possano trasformarsi in occasioni di modifica. In questo modo il potere è circolare e ognuno presta attenzione all’altro. Descriversi nuovamente, raccontarsi in maniera diversa promuovono le identità plurime.

5 4. PREVENIRE E FORMARE Non tutti i disagi sono evitabili ma alcuni si possono prevenire (significa agire tempestivamente, anticipare l’insorgere di problemi). Prevenzione punta a migliorare qualità della vita contro disagi, sofferenze e fallimenti. Se la crescita non finisce mai, l’ingresso nell’adultità non avviene una volta per tutte. l’adulto, in quanto tale, non deve credersi compiuto ma deve mostrare capacità di cambiare. L’età adulta è responsabile della prevenzione del disagio dell’età giovanile. È chiamata ad intervenire sul futuro di chi le è affidato, prendendosene cura. La ruolizzazione dei rapporti interpersonali è una vera e propria sotto cultura. Non ci può essere interdipendenza senza il riconoscimento reciproco. Capiamo che tra i giovani e gli adulti c’è mutua dipendenza di identità: le identità non sono stabili ma dipendono dalle relazioni. La nostra identità è formata da una pluralità di dipendenze (riconoscimento dipendenza reciproca). Fare prevenzione implica il condividere uno spazio e un tempo per cambiare insieme. La prevenzione è così interculturale (costruire collegamenti tra modi diversi di percepire). In quest’ottica il potere della prevenzione è costruttivo. Delimitare del disagio una unica causa, significa l’esistenza di un solo rimedio. Come esempi del rapporto tra prevenire e formare sono stati presi in esame il desiderio, le prostituzioni e la tecnologia. DESIDERIO E PREVENZIONE Il desiderio orienta tutte le facoltà umane. Un importante aspetto del desiderio è quello di essere sempre in un processo di imitazione. L’imitazione ha un ruolo decisivo nei rapporti interpersonali. Imitare non sarebbe solo la base del desiderio ma anche intelligenza umana. Ogni apprendimento si riduce all’imitazione. Il desiderio da essere una delle prerogative più intimistiche, passa ad essere considerato il desiderio di qualcun altro. Un desiderio fa nascere un altro desiderio, entrambi possono porsi in competizione e far nascere un conflitto violento. Per quanto riguarda le dinamiche del desiderio abbiamo il doppio vincolo. Esempio: il maestro nel campo formativo è orgoglioso di

6 Percepirsi come modello, tuttavia un allievo troppo perfetto, quando minaccia di superare il maestro, quest’ultimo può diventare ostile, stupito da un atteggiamento che trova concorrenziale Che crea una cieca rivalità distruttiva. Nei casi di sofferenze che riguardano le abitudini alimentari, vi è un cambiamento di direzione della violenza. L’anoressica riesce a far coincidere la potenza del sacrificio con quella dell’autosacrificio. Un tragico potere che si misura attraverso l’impotenza vissuta. Nella spirale delle mode, è felice chi viene considerato tale, dove presunzione di potere e di felicità si muovono di pari passo. Una mentalità alla moda ritiene che i belli abbiano una vita facile. Siamo di fronte al desiderio di trasformare il proprio corpo nel suo crudele teatro. L’anoressia permette di ottenere un riconoscimento identitario all’esterno della famiglia, nella società, non importa se negativo o positivo. Questa presunzione si rivela tragica. L’anoressica interpreta tutti i tentativi di aiutarla come complotti invidiosi di gente che vorrebbe strapparle la sua vittoria. Non a caso il desiderio dell’anoressica è quello di abolire un altro desiderio, quello di mangiare. È stato individuato come tratto comune a esperienze di sofferenza che la prevenzione e la formazione incontrano, l’assolutizzazione del desiderio che crea dipendenza. PROSTITUZIONI E DIPENDENZE Parlare di dipendenze e prostituzioni vuol dire chiamare in causa i temi delle identità relazionali e sociali. Le forme di prostituzione sono connesse a pratiche di oppressione, sfruttamento e disagio; a queste si collegano forme di dipendenza (alcol, droghe); pur essendo un fenomeno stigmatizzato e disprezzato le forme di prostituzione sono integrate nel sistema di relazioni. Dal punto di vista dei clienti, a parte il basso livello di auto-stima, la maggior parte di essi si ritengono normali. Inoltre rapporto sessuale mercificato fa evitare forme di coinvolgimento emotivo insito in rapporto relazionale normale; il cliente crede di avere controllo su questo rapporto, ma questa è illusione perché diventa dipendenza, si è assuefatti (come fosse una droga chimica).

7 A livello identitario la prostituzione, come tutte le forme di disagio, serve a far sentire migliori i cosiddetti sani/normali. TECONOLOGIA E PREVENZIONE Le culture umane sono i frutti più potenti delle relazioni interpersonali, quando sono orientate al continuo compito costruttivo e ricostruttivo della realtà. I mezzi impiegati per questa ricostruzione comprendono anche le tecnologie. Le tecnologie agiscono sulle nostre modalità di relazione. Nuove tecnologie hanno portato mutamenti nelle modalità di relazione e di comunicazione: nuove tecnologie sono da considerare come protesi del corpo umano, come una nostra estensione. Queste tecnologie hanno effetti sulle nostre emozioni, sugli affetti, sui rapporti. I Cambiamenti tecnologici appaiono come irreversibili (uomo non può fare a meno degli strumenti che inventa, così che la tecnologia si radica nella quotidianità umana, es. il cellulare). La velocità e l’irreversibilità servono a lasciare spazi e tempi alla tecnologia futura. La tecnologia è molte veloce, quindi è anche molto difficile fare opera di prevenzione contro eventuali conseguenze dannose. Mentre l’evoluzione biologica segue uno schema darwiniano (evita mutamenti biologici dannosi, prevenendo condizioni nocive x l’uomo), l’evoluzione tecnologica segue uno schema lamarckiano (cambiamenti transitano da una generazione all’altra nonostante gli effetti collaterali). Lo spessore preventivo deve proporsi come correttivo della miopia, riguardo agli effetti contestuali delle adozioni tecnologiche. All’irreversibilità delle scelte tecnologiche, la narrazione può opporre il potere della variabilità del narratore. Questa capacità esprime in tentativo di accedere alla saggezza.

8 5. APPRENDIMENTO E TECNOLOGIE L’apporto di nuove tecnologie fa capire che intelligenza umana crea cose che permettono all’umanità di superarsi, di inventare e di reinventarsi (non si ha a disposizione solo un nuovo utensile ma si impara a fruirne partendo da zero conoscenza). La tecnologia costituisce un potenziamento delle facoltà umane sia dal punto di vista percettivo che rielaborativo. Un calcolatore è privo di emozioni, è incapace di riprodurre queste caratteristiche, ha solo capacità di simulare. La distinzione chiave qui è tra riproduzione e simulazione. In ambito formativo c’è scontro tra i sostenitori delle nuove tecnologie e chi ne è critico e non ne vede utilità in favore della formazione degli studenti. Si tratta di saper individuare quale tipo di contesto relazionale venga considerato formativo. Lo stesso scontro tra sostenitori e critici costituisce il vero problema della formazione. Nell’ambito scolastico gran parte dell’apprendimento è nato e cresciuto intorno al medium che è il libro e quindi la scrittura da leggere insieme. La strumentazione che prevede il leggere e lo scrivere, ma monopolizzato la maggior parte delle modalità di apprendimento. Le modalità si sono Cristallizzate nel tempo, appiattendosi. Il libro come medium è ancora molto trasversale alle discipline. L’influenza del libro può essere confrontata con altri limiti e potenziali. Ad esempio porre accanto al libro il messaggio iconico, legato all’immagine può servire a dare un impatto più immediato. Importante è da dire che la lettura è diventata strumento e fine dell’apprendimento. Leggere significa anche rimanere di fronte a se stessi senza essere sconcentrati. Però c’è da dire che la multimedialità delle tecnologie di apprendimento, aiutano a muoversi nelle modalità comunicative moderne. Perciò usufruire di mezzi diversi, vuol dire sperimentare strade nuove rispetto a quelle che il libro offre. L’umanità è infatti capace di elaborare informazioni anche per mezzo di immagini mentali (dal canale verbale a quello iconico). Si rompe così la linearità del testo e si apre ad una serie più ampia di approcci (l’ipertesto è l’interazione tra fenomeni corporei e mentali, quindi maggiore partecipazione delle facoltà corporee).

9 PLURALITà DEI MEDIA La multimedialità è data dalla compresenza di mezzi espressivi diversi all’interno di uno stesso strumento comunicativo. (libro illustrato, audiovisivi, film, videocassette). L’ipertestualità (di solito realizzata con un supporto informatico) consiste nella rottura della linearità del testo scritto, filmico e audiovisivo e consente di personalizzare il percorso del soggetto, attraverso i diversi linguaggi del testo. La caratteristica è la non linearità, il soggetto può scegliere la trama, la sequenza, l’ordine delle tappe. L’ipermedialità consiste nella possibilità di utilizzare allo stesso tempo, molti media, senza preoccuparsi di avere un punto di partenza o di arrivo. La caratteristica è quella di mettere a fianco al linguaggio verbale, quello non verbale, inoltre, lo stile ipermediale identifica la modalità di produzione. L’interattività vuol dire apprendere ad apprendere, infatti, uno degli obiettivi raggiunti dell’apprendimento formativo è quello di riconoscere che i collegamenti e le connessioni sono l’impalcatura delle diverse modalità di apprendimento. Esistono due tipi di interattività. L’interattività ipermediale consiste nell’interazione mente-corpo. Poi invece vi è una pluralità di media che implica una interattività tra fenomeni corporei e mentali. Il computer permette ipermedialità, perché entra in rapporto con le operazioni mentali. Per ragioni culturali uno dei due emisferi assume dominanza sull’altro. Utilizzare una pluralità di media può servire a promuovere la cooperazione di tali emisferi. Questo utilizzo è preventivo nei confronti dei disturbi e dei fallimenti dell’apprendimento. UOMO-COMPUTER Il computer da macchina analitica viene considerato oggetto evocativo. Grazie all’interazione uomo- macchina, il computer è vissuto come uno specchio per la mente. Il computer è una macchina che favorisce animismo (x un oggetto inanimato provo stessi sentimenti e pensieri che provo x esseri viventi). È importante indagare su come il computer influenzi la crescita. La studiosa Sherry Turkle individua tre fasi. La prima fase è chiamata metafisica che comprende i primi contatti tra bimbi e Pc, con bimbi che credono che la macchina possa pensare e provare emozioni.

10 Nella seconda fase è detta padronanza, riguarda i bambini di 7, 8 anni che non s’interessano della natura del calcolatore, s’interessano soltanto di come farlo funzionare. L’ultima fase è quella della riflessione che riguarda gli adolescenti, dove i soggetti si pongono le domande su se stessi. Il pc viene usato per costruire la propria identità. Rischia così di illudere ed esprimere un confronto rassicurante sulla realtà. L’ interazione uomo-macchina produce alcuni rischi per la comunicazione, ma è anche vero che l’interazione da perseguire, nell’ambito formativo, è quella uomo-uomo, attraverso la macchina. Una rete telematica dovrebbe far pensare ad una sempre più ampia “comunità di apprendimento”, ma questa comunità è ancora troppo lontana. È messA a rischio da fattori quali: per la prima volta nella storia le nuove tecnologie non sono tramandate da generazione anziana a generazione giovane ma viceversa (sono i giovani che insegnano agli anziani, spesso tagliati fuori x ragioni generazionali); inoltre c’è discriminazione verso quei popoli poveri che non possono permettersi basi telematiche e supporti informatici.


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