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CORSO DI FORMAZIONE COOPERATIVA F.A.I. Anno 2010 Quarto tema:

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1 CORSO DI FORMAZIONE COOPERATIVA F.A.I. Anno 2010 Quarto tema: IL GIOCO NEI BAMBINI Erica Gilardini

2 Dire dell'importanza del gioco nello sviluppo affettivo ed intellettivo dei bambino è quasi scontato; dire che i bambini giocano è come dire che il cielo è azzurro. Ma, per comunicare con i bambini dobbiamo giocare con loro: così si impara a capirli e conosce- re sia loro che noi stessi. Col gioco i bambini dicono quello che con le parole non sanno esprime- re. Il gioco è, come diceva M. Klein, la via regia all'inconscio dei bambini. Invece, sembra non esserci spazio per il gioco, per giocare con i bambini-figli, anche perchè gio- care coi bambini non è facile, perchè ci mette in contatto con la nostra infanzia, la va a ripescare e, non sempre, i ricordi della nostra infanzia ci fanno piacere. Ma si può imparare a giocare, facendo spazio alle emozioni e alla spontaneità; nessuno può essere costretto a giocare, il gioco richiede l'intenzione di giocare e bisogna essere disponibili a lasciarsi cambiare dal gioco, a evolvere. Dal 1959, il gioco è diventato anche un diritto: nella Dichiarazione dei Diritti del Bambino si affer- ma che quest'ultimo deve avere tutte le possibilità di dedicarsi a tali attività, non solo come espressione puramente ludica, ma come opportunità finalizzata all'educazione e all'apprendimen- to; sarà compito della società favorire la concretizzazione di tale diritto. Data l'importanza del gioco nella formazione della personalità, nello sviluppo cognitivo e sociale fin dai primi mesi di vita e, considerando il passaggio dall'egocentrismo infantile alla socialità relazionale, si può analizzare il processo di sviluppo dell'attività ludica, suddividendola in tre fasi: G. SOLITARIO: tipico del neonato nel primo anno di vita, ove non c'è reciprocità di interazione, se non nel contatto materno. Lo scopo è quello di esplorare e scoprire il proprio corpo ed il mondo esterno, attraverso sensazioni di movimento ed azioni ripetitive (gioco d'esercizio) quali il dondolamento, battere le mani, portarsi gli oggetti alla bocca, afferrare, fino all'apprendimento del coordinamento motorio, finalizzato ad uno scopo.

3 Da una prospettiva psicoanalitica, il giocattolo, a partire da questa fase, viene definito
“oggetto transizionale”, ossia qualcosa di morbido e caldo, su cui il bambino investe una forte carica affettiva diventando uno strumento di difesa dall'angoscia prodotta dalla solitudine. Questo oggetto ha un ruolo insostituibile per il suo sviluppo affettivo e sociale: è un ponte, che aiuta il bambino ad entrare in contatto con la realtà esterna, allentando la simbiosi con la madre, permettendogli di adattarsi ai cambiamenti e di superare le difficoltà future. Es. bambole di pezza, pupazzi di peluche, lembi di stoffa. G. PARALLELO: siamo ancora in una fase di gioco infantile in un'età compresa tra uno e 3-4 anni, dove si verifica un primo contatto ludico interpersonale (i coetanei e gli adulti), ma il gioco è ancora individualistico. Il bambino tuttavia comincia a sviluppare la sua immaginazione e creatività, mediante la creazione di scene, improvvisandosi attore o regista, cercando la complicità degli adulti, ad esempio fingendo di essere la mamma o il papà. Il simbolismo che emerge da queste attività permette di riprodurre, mediante imitazione, esperienze viste ma non ancora direttamente sperimentate. Il gioco d'imitazione favorirà l'acquisizione dell'empatia, ovvero la consapevolezza delle emozioni provate dagli altri significativi, mediante la comprensione degli stati emotivi simulati. Dal punto di vista cognitivo, il bambino si trova in una fase di gioco chiamata “simbolica” o rappresentativa, che progredirà fino ai 6 anni. G. SOCIALE: si svolge a partire dai 5 anni, dove si manifesta un interazione sociale vera e propria, occasione offerta dalla frequentazione assidua dei coetanei, a partire della scuola materna. Il gioco ora assume una connotazione più strutturata attraverso la condivisione univoca di regole: è in questa fase che ha termine il “gioco infantile”. Questo fenomeno favorirà sia il potenziamento di specifiche abilità cognitive (attenzione, concentrazione, memo- ria), sia la qualità delle relazioni con il gruppo (competizione e cooperazione). Ciò permetterà al bambino di sperimentare lo stare con gli altri attraverso dei giochi dove le regole non saran- nouna semplice imposizione, ma l'interiorizzazione di un modello comportamentale.

4 A partire dai 6 anni, il gioco diventa un mezzo finalizzato alla socializzazione, fino al momento
in cui all'interesse per il gioco condiviso, fondato sul movimento, farà spazio uno più individua- listico, ad esempio quello legato al mondo delle tecnologie, a cui il bambino si avvicina sempre più precocemente. Quindi: Quando l'adulto non tollera e apprezza il gioco continuo, caratteristica del bambino in buona salute fino all'età del dominio della parola, la regressione imposta provoca irregolarità dell'armonia psicosociale del bambino che saranno visibili nella seconda infanzia. Un bimbo in buona salute si diverte, esplora, vive! Giorno dopo giorno, nella ripetizione ed esplorazione dei suoi giochi, il bambino non solo conosce le persone della famiglia ma ogni particolare degli oggetti e i segni degli scambi interattivi, attributi per la sua identità. Giochi quali nascondere il viso dell'adulto per farlo riapparire o lanciare un oggetto fissato all'estremità di uno spago per non vederlo più e farli poi riapparire tirando lo spago, rappresen- tano esercizi per padroneggiare l'assenza della madre subita dal bambino e la riapparizione, poiché lui ne è dipendente. Il bambino sperimenta come la sua persona resti la stessa, nonos- tante l'assenza della persona attraverso la quale conosce la propria identità (G. del Rocchetto). Giochi dell'avere e tenere, g. del tocca tutto, g. del fare (montaggi e smontaggi), puzzle e cos- truzioni, g. maschili e femminili (fare la guerra, farsi belle), g. attivi e passivi (osservo, ascolto). Il gioco è associato all'apprendimento del linguaggio, cioè al codice di significati e di gesti e comportamenti. Il bambino raggiunge l'intelligenza di se stesso e del mondo circostante grazie alla funzione simbolica che costruisce reti di analogie e corrispondenze con la realtà concreta delle esperienze corporali e mentali. Per questo i verbi (avere, condividere, odiare, ecc.) assu- mono un senso soltanto attraverso l'esperienza, altrimenti resterebbero astrazioni mentali, im- magini sensoriali arcaiche di prima che il bambino abbia potuto godere della motilità giocando.

5 TEORIE DI ALCUNI AUTORI
PIAGET J. Tra i 12 e i 18 mesi, ha individuato nello sviluppo infantile una prima fase caratterizzata dal gioco percettivo-motorio, non orientato socialmente, e una seconda fase, caratterizzata dall'in- tegrazione del gioco simbolico, dai 18 mesi ai 5 anni. Mentre i primi (afferrare gli oggetti, lan- ciarli, sistemarli uno sull'altro) rafforzano nel bambino la sicurezza nelle sue possibilità di apportare piccoli cambiamenti alla realtà esterna, i secondi, in cui gli oggetti diventano simboli di altri oggetti, consentono al bambino di imparare la rappresentazione di eventi fantastici, di esercitare il linguaggio verbale, di scoprire quell'attività creativa che Piaget chiama “fabulazio- ne” e che condiste nel piacere di ascoltare e inventare fiabe. Quando arriva ai 5 anni il bambino scopre poi l'interazione nel gioco e, intorno ai 7-8 anni conquista la capacità di giocare rispettando le regole. WINNICOTT D.W. Si è occupato del gioco inserendolo tra quei fenomeni transizionali che aiutano il bambino, che ha beneficiato di buone cure materne, ad emanciparsi in maniera non traumatica dalla dipendenza materna, imparando l'autonomia e conservando una certa fiducia in una realtà positiva che lo protegge. Ha definito il gioco come un “fenomeno” transizionale, che consente al bambino di situarsi in un'area di illusione, che media tra il mondo interiore del bambino ed il mondo esterno, dapprincipio concepito come un patrimonio condiviso con la madre. Sotto questo aspetto, il gioco e gli oggetti transizionali danno al bambino un senso di sicurezza e lo aiutano nel controllo dell'angoscia. Quindi il gioco si trova in uno stadio intermedio tra i vincoli posti dalla realtà esterna e le infinite possibilità offerte dalla creazione fantastica, tra una realtà reale e una realtà immaginaria.

6 BATESON G. Secondo lui, il gioco forza ogni categoria di cui disponiamo. Lo spazio del gioco consente infatti a bambini ed adulti di mettere in discussione le categorie mentali che contengono la propria storia passata, permettendo l'apprendimento pedagogico, laddove porta, grazie ad una tradu- zione simbolica delle proprie emozioni, ad una riorganizzazione psichica del proprio universo emotivo. Con il gioco infatti, grazie alle sue regole pre-definite, è possibile trasgredire alle categorie mentali ereditate dalle figure genitoriali, per giungere ad una ridefinizione del proprio modo personale di essere nel mondo e per vedere con occhi nuovi la propria storia passata. Da questo punto di vista, il gioco agevola una definizione della propria identità. Il far finta nel gioco, che può essere considerato una sorta di agire per prova, consente inoltre di mettere in scena esperienze non ancora reali ed educa ad una capacità trasformativa dell'esperienza, grazie alla possibilità che offre di imitazione della realtà. Col gioco i bambini possono far finta di essere adulti, sperimentando questa condizione, senza doverne affrontare i relativi fallimenti e le inevitabili sofferenze. BRUNER J.S. Per dirla secondo il suo pensiero, il gioco offre un'eccellente opportunità per provare combina- zioni di comportamenti che non sarebbero mai sperimentate sotto pressione funzionale e offre un modo per minimizzare le conseguenze delle azioni e quindi apprendere in una situazione meno rischiosa. KLEIN M. Per prima ha messo in luce l'importanza del gioco come via regia per accedere all'inconscio infantile. Il gioco per il bambino non è semplice passatempo ma il lavoro fondamentale che

7 gli consente di crescere, di alimentare il pensiero simbolico, di imparare a padroneggiare il
mondo esterno e a dominare e mediare l'angoscia del proprio mondo interiore, mediante l'elaborazione dei conflitti e delle fantasie inconsce. Il gioco è l'equivalente delle libere associazioni degli adulti. Consente al bambino di proiettare all'esterno angosce e conflitti e quindi attraverso il gioco è possibile osservare le fantasie inconsce dei bambini r l'angoscia ad esse legata. Per riprodurre simbolicamente desideri o esperienza, i bambini si servono dello stesso linguaggio e della stessa forma di espressione arcaica e filogeneticamente acquisi- ta che è ben nota nei sogni; si può capire quindi quello che i bambini esprimo col gioco nello stesso modo in cui vengono svelati i sogni, secondo Freud. FREUD S. Il gioco permette al bambino di rimettere in atto esperienza psichiche dolorose e di provare a riparare inconsciamente situazioni di sofferenza, lasciando emergere quanto c'è di non digerito nella storia emotiva. Il bambino ripete più volte lo stesso gioco, per trasformare un'esperienza dolorosa e frustrante in una controllabile (ad es. l'assenza della madre nel gioco del Rocchetto), che gli permette di sopportare la separazione. Quindi le paure, le ansie, ma anche l'aggressività ed ogni impulso presenti nella vita emotiva del bambino, possono essere elaborati col gioco con una riduzione dell'ansia, che alla lunga può indurre trasformazioni patologiche della personalità. Nel gioco del rocchetto, osservò il suo nipotino di 18 mesi che giocava con un rocchetto, lanciandolo lontano; ciò gli sembrava una sorta di messa in scena di un vissuto doloroso del bambino, legato alle numerose partenze della madre. I “gioco-laboratori di ascolto” mirano ad osservare la vita emotiva dei bambini, così come viene da questi elaborata nel gioco, allo scopo di gettar luce sull'origine delle loro ansie, paure, sensi di colpa e sui loro impulsi e desideri.

8 I GIOCO LABORATORI DI ASCOLTO
Dalle considerazioni sul gioco come strumento d'intelligenza e dell'evoluzione dell'affettività del bambino, capace di offrire spunti per la messa in discussione dei modelli genitoriali, di sperimentare esperienze al riparo da qualsiasi conseguenza rischiosa, nasce uno strumento di osservazione del disagio infantile chiamato Gioco-laboratori di Ascolto. È il silenzio il fondamento del disagio, del maltrattamento e dell'abuso infantile. Il silenzio permette che l'abuso abbia inizio, continui e che non venga scoperto. L'ascolto è invece il vero nemico dell'abuso, la capacità di ascoltare segnali di sofferenza per mettere in atto interventi di protezione e riparazione. I gla si presentano come strumento di primo ascolto della sofferenze e si fondano sulla possibilità offerta dal gioco di guardare criticamente i modelli familiari e riscrivere la propria storia personale guardandola con altri occhi. Inoltre vi è un complicato intreccio di paura, colpa, vergogna, impotenza, sensazione di essere stati traditi, odio, rabbia, impossibilità di contestare i modelli familiari. Il gioco offre la possibi- lità, oltre che di ripetere, in una drammatica messa in scena, in traumi subiti, anche di far finta di essere qualcun altro e di identificarsi con le figure negative che hanno provocato i traumi o con altre figure positive nelle quali il bambino vorrebbe invece riconoscersi. Col gioco vengo- no quindi ridefinite le categorie mentali e la propria identità segnata dal trauma. Bruno Munari ha offerto ai bambini, grazie ai laboratori, spazi per il gioco e per la creatività, per poter accedere a spazi altri, altrimenti inesplorabili, della vita interiore del bambino e per far emergere il vissuto ad essa legato. I laboratori si fondano sul gioco di gruppo che consente, mediante processi di simbolizzazio- ne affettiva delle relazioni, di far emergere conflitti e ansie, sia nei contenuti fantastici sia nelle modalità di relazione con i compagni del gruppo e permette ai bambini di riprodurre i modelli relazionali istituiti nella propria famiglia fantasmatica e l'elaborazione degli affetti legati ad eventuali traumi.

9 I materiali devono essere adeguati: oggetti di piccole dimensioni, semplici e non meccanici
e che offrano la possibilità di concepire le situazioni più disparate (casette con personaggi della famiglia di varie forme e misure, animali domestici e selvatici, accessori per costruire e materiale per manipolare). Il compito dello psicologo-mediatore-educatore è esclusivamente valutativo: osserva il materiale prodotto dai bambini nelle interazioni di gioco, nella rappresentazione di ruoli, nel gioco del far finta, per rilevarne il contenuto sottostante ed individuare l'eventuale presenza di indicatori di disagio. La ricchezza degli stati emotivi presenti è immensa, inoltre si ritrovano la ripetizione di esperienze reali spesso tessuti con elementi fantastici. Lo scopo è l'ascolto del disagio del bambino, nell'intento di rompere quel muro di silenzio ed isolamento dietro cui spesso i bimbi nascondono i più dolorosi segreti. Si tratta di aiutare il bambino a dire l'indicibile attraverso il gioco, in un linguaggio a lui più consono, per esprimere ciò che non riesce a dire a parole. Il ruolo dell'esperto è di mediare il gioco con un atteggiamento empatico, fornendo un semplice ambiente accogliente, senza andare a scardinare le difese del bambino, ma osservando ciò che emerge dal gioco stesso senza intervenire con interpretazioni o commenti, o tentativi di indurre il bambino alla verbalizzazione. Il conduttore deve essere pronto a mediare rivelazione emotivamente forti, senza affrontarle al momento del gioco, ma in un momento successivo, in contesto individuale adatto ad aiutare il bambino a tradurre in parole la sua sofferenza. I giochi non hanno uno scopo terapeutico, ma l'intento di un primo ascolto, ricordando che gli “interrogatori” spesso assumono per il bambino l'aspetto di un ulteriore abuso. Questi giochi possono essere seguiti da colloqui di restituzione ai genitori e si prestano ad essere utilizzati all'interno di progetti specifici d'intervento a tutela dei minori. Hanno uno scopo preventivo, relativo alla sofferenza generale del bambino, non solo legata al tema del maltrattamento. Sulla base del resoconto steso e fornito dall'esperto possono essere pensati i dettagli per il successivo intervento: approfondimento di alcune tematiche emerse, interventi a scopo diagnostico, invio ai servizi territoriali o agli organi giudiziari.

10 UN CASO CLINICO Winnicott D.W. - “D. , di 4 anni, aveva un fratellino con deficit mentale ed un vizio cardiaco. La madre era venuta a discutere l'effetto che questo aveva avuto su di sé e sulla figlia. In seduta vidi entrambe. Quando aprii la porta, si presentò una bambinetta impaziente, che spingeva avanti con un piccolo orsacchiotto. Mi rivolsi direttamente all'orsacchiotto (cfr. il saper giocare empa- ticamente), e chiesi il suo nome. Rispose: “semplicemente Orsacchiotto”. E sorrise. Si era instaurato con la bambina l'inizio di un forte rapporto. Entrammo nella stanza e ci sedemmo. La madre sul divano e D. su una piccola sedia vicino al tavolo dei bambini. D. prese il suo piccolo orsacchiotto e lo ficcò nella mia tasca della giacca. Provò a vedere quanto vi sarebbe potuto entrare ed esaminò le tasche, notando come esse non comunicassero tra loro. Ciò avvenne mentre io e la madre parlavamo del fratellino. Infatti, D. aggiunse: “ha un buco nel cuore”. Mentre giocava ascoltava con un orecchio. Appoggiai l'orecchio sull'orsacchiotto nel mio taschino e dissi che gli avevo sentito dire qualcosa. D. rispose molto interessata: “credo che voglia qualcuno con cui giocare”. Le spiegai che avrebbe trovato un grosso agnello nella cesta; andò a prenderlo e fece sua l'idea la mia idea tra un'amicizia tra l'orsacchiotto e l'agnel- lo (cfr. analisi minuziosa). Mise i due vicino alla madre, mentre io continuavo la mia consulta- zione con lei: si può notare come D. manteneva un interesse per quello che dicevamo noi e facendo ciò, una parte di sé si identifica con gli adulti e con i loro atteggiamenti (cfr. i bambini giocano mentre gli adulti parlano in asilo). Nel suo gioco, D. decise che quelle due creature erano i suoi bambini. Li mise sotto i suoi vestiti, facendosi come incinta di essi. Dopo un periodo di gravidanza, annunziò che stavano per nascere ma che non sarebbero stati gemelli. Indicò chiaramente che l'agnello sarebbe nato per primo e l'orsacchiotto dopo (cfr. identifica- zione con agnello grande vs fratellino con orsacchiotto piccolo). Terminata la nascita, mise i bambini nel letto, che improvvisò sul pavimento e li coprì. Prima li mise uno ad un capo e l'altro all'altro capo, dicendo che se li avesse messi insieme avrebbero litigato. Poi li mise a

11 dormire insieme (cfr. lei ed il fratello)
dormire insieme (cfr. lei ed il fratello). Infine andò e prese un mucchio di giocattoli, li mise tutti intorno al letto/pavimento e giocò con essi. Mi intromisi di nuovo con una mia idea: “guarda, stai mettendo sul pavimento, intorno alle teste di questi bambini i sogni che fanno mentre dormono” (cfr. interpretazione/commento al gioco). Questa idea la entusiasmò, la fece sua e continuò a svolgere i diversi temi come se sognasse i sogni dei bambini. A questo punto la madre stava piangendo e D. la guardò. La rassicurai dicendo che stava piangendo per il fratel- lino che era malato. Ciò rassicurò D. perchè era diretto e realistico. Disse: “Buco nel cuore”. D. giocava con me e da sola e, nello stesso tempo, si interessava dello stato di sua madre. La ,madre invece era troppo ansiosa per un diretto confronto con me e aveva bisogno di D. per distrarsi /mi durante il colloquio. Si riuscì pian piano a trattare con la madre questa questione ed arrivò ad affermare come il padre di D. abusava della precocità della bambina (cfr. vari significati di abuso) e la preferiva quando si mostrava come una piccola adulta. Ciò portava in D. ad uno sviluppo prematuro, ad un'identificazione con la madre, che la portava ad assumere a tratti il suo ruolo e sostituirsi ad essa, e alla partecipazione ai suoi problemi da adulti (rispetto alla gravidanza, alla capacità di assumersi la responsabilità per la cura del fratello). Per far ciò, necessita dell'oggetto transizionale, l'orsacchiotto, che aveva portato con sé in seduta e che le permetteva di separarsi dalla madre per poi poter assumere il ruolo adultizzato.”-

12 BIBLIOGRAFIA Anzieu A., Il gioco nella psicoterapia del bambino. Borla.. Camaioni L., Manuale di psicologia dello sviluppo. Il mulino. Battacchi M. W. Il gioco. La nuova Italia. Bregani P. Far per finta: il gioco di finzione nella scuola materna. Angeli. Bruner J. Il gioco: ruolo e sviluppo del comportamento ludico negli animali e nell'uomo. Armando editore. Doldo F., I problemi dei bambini. Oscar saggi Mondadori. Foti C., Roccia C., Rostagno M. C'era un bambino che non era ascoltato. L'ascolto nella comunicazione nella tutela e nella cura del minore. Freud S. La psicoanalisi infantile. Laeng M. Movimento, gioco e fantasia, Giunti. Lowenfeld M. Il gioco nell'infanzia. La nuova Italia. Montessori M. La scoperta del bambino. Munari B. Il laboratorio per bambini a Brera. Piaget J. La formazione del simbolo nel bambino. La nuova Italia. Restelli B. Giocare con tatto. Winnicott D.W. Gioco e realtà. Armando editore.


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