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Sulla rotta di Darwin.

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1 Sulla rotta di Darwin

2 Indice La partenza L’itinerario Il metodo Il Sud-America
Darwin geologo Gli Indios L’Isole Galàpagos Come nacque la teoria La Biodiversità Bibliografia FINE

3 La partenza “Dopo essere stata per due volte respinta indietro da violente libecciate, la Beagle, brigantino da dieci cannoni della regia marina militare, salpò da Devenport il 27 dicembre 1831 al comando del capitano Fitzroy. Scopo della spedizione era completare il rilevamento della Patagonia e della Terra del Fuoco, ispezionare le coste del Cile, del Perù e di alcune isole del Pacifico, ed eseguire misure di longitudine intorno al mondo”. Così, come nei libri di avventura , aveva inizio un viaggio che doveva durare cinque anni. Protagonista dell’insolita esperienza era Darwin che allora aveva 22 anni, e che partecipò al viaggio come naturalista.

4 La “Beagle” tratta in secca sulla riva del Santa Cruz

5 Sezione trasversale della Beagle
Questo disegno è stato eseguito da Philip Gidley King parecchi anni dopo il viaggio. Darwin è qui visibile in due posti, nella cabina del capitano (personaggio 1 in alto a sinistra) e nella cabina di poppa.

6 La poppa della Beagle Anche questo disegno è stato eseguito da P.G. King. Al centro del ponte è visibile il timone sulla cui ruota è inscritta la seguente citazione “L’Inghilterra si aspetta che ogni uomo faccia il proprio dovere”.

7 L’Itinerario Dal 27 dicembre 1831 al 2 ottobre 1836, la Beagle conduce il suo passeggero in un viaggio che a volte gli dovette sembrare a ritroso nel tempo, un viaggio nel passato. Le prime tappe sono le Isole di Capo Verde, Rio de Janeiro, Bahia Blanca, Buenos Aires, la Patagonia, le isole Falkland e la Terra del Fuoco. Poi, attraversato lo stretto di Magellano, vengono raggiunti il Cile, il Perù, l’Arcipelago delle Galàpagos. Infine, l’Oceano Pacifico, Tahiti, l’Australia. Il viaggio di ritorno è anch’esso molto lungo perché, doppiato il Capo di Buona Speranza, la Beagle tocca di nuovo il Brasile prima di giungere definitivamente in Inghilterra.

8 L’itinerario della Beagle - America Latina

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10 Il metodo di lavoro Ad ogni approdo, situazioni geografiche diverse, caratteristici esseri viventi, si presentavano all’avida curiosità di Darwin. Tuttavia nei suoi taccuini e nel suo Diario “Viaggio di un naturalista intorno al mondo” dava sempre descrizioni particolareggiate delle osservazioni fatte, anche se compiute con strumenti semplici, inoltre stava molto attento a etichettare ogni campione con un numero che fosse poi lo stesso riportato sia nell’elenco dei campioni sia nelle sue note. Oltre a fare osservazioni e a raccogliere campioni, Darwin durante le lunghe ore di navigazione, avanzava congetture sull’origine di quello che più lo aveva colpito.

11 L’isola di Moorea L’isola di Moorea, nel Pacifico meridionale vicino a Tahiti, influenzò il pensiero di Darwin sull’origine delle scogliere coralline. Nel 1835, in una sosta della Beagle a Tahiti, da una collina Darwin vide pressappoco questo panorama di Moorea, a circa 25 Km di distanza, e ipotizzò che se l’isola, circondata da scogliere coralline, fosse sprofondata lentamente, al suo posto si sarebbe formato un atollo corallino.

12 Scogliera corallina Nella scogliera di Moorea, a livello del mare, vicino al lato prospiciente Tahiti, è visibile parte della scogliera corallina. E’ l’isoletta coperta di alberi al centro. Darwin estese la propria teoria sulla formazione delle scogliere e vi incluse le scogliere costiere, le barriere coralline e gli atolli.

13 Taccuino Le prime due pagine del taccuino sul quale Darwin annotava i campioni geologici che raccoglieva danno un’idea della sua meticolosità nel registrare i dati. Egli numerava meticolosamente ogni campione e riportava lo stesso numero accanto ai propri commenti su quel campione.

14 SUDAMERICA Gauchos In Patagonia Colate di ghiaccio Le Isole Falkland
La Terra del Fuoco L’Isola degli Uccelli Verso le Galàpagos

15 Gauchos SudAmerica CONTINUA
Dopo aver toccato il 6 gennaio le Canarie e il 16 dello stesso mese le Isole di Capo Verde, il 29 febbraio il Beagle approda a San Salvador, in Brasile. Darwin scende a terra e si entusiasma nell’ammirare la foresta tropicale, così diversa dagli ambienti in cui fino ad allora era vissuto: “L’eleganza delle erbe, la novità delle piante parassite, la bellezza dei fiori, il verde splendente del fogliame, ma soprattutto la rigogliosità della vegetazione, mi colpirono di ammirazione… ” Il 5 luglio, il Beagle, approda nell’estuario del Rio de la Plata, ai confini tra Argentina e Uruguay. Darwin sbarca nel porto di Maldonado, poco lontano da Montevideo, capitale di quella nazione, con l’intenzione di spingersi nell’interno a cavallo. Al primo contatto, i gauchos, famosi cow boys sudamericani, non gli fanno una buona impressione: “Con i loro ornamenti a colori vivaci, con gli speroni tintinnanti alle calcagna e con i coltelli affilati come pugnali (e adoperati spesso come tali) alla cintola, hanno un aspetto molto diverso da quello che ci si sarebbe potuto aspettare dal loro nome di gauchos e cioè <contadini> ” In genere montano cavalli piccoli e velocissimi, adatti un tempo per la caccia con le bolas, un sistema ingegnoso costituito di palle di pietra legate con lunghe corregge che forse vi sarà capitato di vedere in qualche film o documentario. CONTINUA

16 Gauchos Le bolas si lanciavano da cavallo per catturare gli “struzzi” sudamericani che il giovane Darwin osserva nella pampa, la grande distesa erbosa dell’entroterra argentino: “Vedemmo sulle belle praterie molti struzzi (Struthio rhea). Alcuni branchi arrivavano a venti o trenta individui. Quando erano fermi su qualche piccola prominenza e si stagliavano contro il cielo chiaro, avevano un aspetto maestosissimo. ” Oltre allo struzzo sudamericano, o nandù, Rhea americana (presente nelle praterie e nelle savane dalla Bolivia e dal Brasile fino al Rio Negro nell’Argentina meridionale), che è alto un metro e mezzo, ce n’è un altro in Patagonia, il raro nandù di Darwin (Pterocnemia pennata). CONTINUA

17 Gauchos Il primo incontro con un altro esemplare della singolare fauna mammifera di questi luoghi, Darwin l’ha nelle campagne dell’interno, presso il Rio de la Plata, non distante dalla città di Maldonado. Ecco la sua descrizione: “Il più grande roditore del mondo, l’Hydrochaerus capybara (porco d’acqua) è qui pure comune. Ne uccisi uno a Montevideo che pesava quarantacinque chili; la sua lunghezza, dall’apice del muso fino alla coda a moncone, era di circa un metro e la sua circonferenza di un metro e dieci. Questi grandi roditori frequentano occasionalmente le isole alla foce del Plata, dove l’acqua è completamente salata, ma sono molto più abbondanti sulle rive dei laghi e dei fiumi. Durante il giorno stanno tra le piante acquatiche, o pascolano all’aperto sulla prateria. “ E opportuno ricordare, che Darwin adoperava con disinvoltura il fucile per impadronirsi delle specie oggetto dei suoi studi. E’ singolare veder nuotare i capibara in gruppo o uscire dall’acqua tutti bardati dai sarmenti dei giacinti selvatici (Eichornia crassipes), una pianta originaria del Brasile che ormai ha invaso tutti i corsi e gli specchi d’acqua, dall’Asia all’Africa, provocando pesanti danni alla natura. E poi infilarsi tutti assieme, con il loro strano grugnito, nel folto della foresta riparia. Negli stessi ambienti vivono anche i caimani o jacarè (Caiman jacare), tipici “coccodrili” sudamericani che si possono osservare crogiolarsi al sole sulle larghe spiagge sabbiose dei principali fiumi che sfociano nell’Atlantico, ma ai quali Darwin non fa cenno.

18 In Patagonia SudAmerica CONTINUA
La Patagonia è il territorio vasto e inospitale, a forma di triangolo, che si estende dal Rio Colorado (che sfocia nella Baia Blanca) a nord e lo Stretto di Magellano a sud. Percorsa dalla Cordigliera delle Ande, è suddivisa tra Argentina, a est, e il Cile, a ovest. Il suo nome deriva dall’appellativo degli indigeni del posto, che per la statura alta e i piedi assai grandi erano denominati dai primi coloni patagones, che in spagnolo significa proprio grandi piedi. Il Beagle del capitano FitRoy arrivò a Port Desire (oggi Puerto Deseado) il 23 dicembre. Proveniva dal Rio de la Plata da dove era salpato il 6 dello stesso mese. La Patagonia ha affascinato tanti autori: da Blaise Cendrars, a Bruce Chatwin, da Antoine de Saint-Exupery, a Ferdinando Pessoa e a Luis Sepùlveda. Ma non suscita l’entusiasmo del giovane Darwin. Ecco la sua prima impressione: “La sera stessa scesi a terra. Il primo sbarco su una terra nuova è molto interessante e lo è ancora maggiormente quando, come in questo caso, tutto il suo aspetto porta l’impronta di caratteri spiccati e particolari. A un’altezza compresa fra i sessanta e i novanta metri sopra ad alcune masse di porfido si stende una larga pianura, che è veramente caratteristica della Patagonia. La superficie è perfettamente piatta ed è formata da ghiaia ben arrotondata, mista a terra bianchiccia. Qua e là vi sono sparsi ciuffi di erba bruna e tenace e, ancora più raramente, alcuni bassi cespugli spinosi. Il clima è secco e piacevole e il bel cielo azzurro è raramente coperto. Quando ci si trova nel mezzo di una di queste pianure e si guarda verso l’interno, la vista è generalmente limitata dalla scarpata di un’altra pianura, un po’ più alta, ma ugualmente livellata e squallida. In ogni altra direzione l’orizzonte è indistinto per il tremolante miraggio che sembra sollevarsi dalla superficie riscaldata. “ L’ambiente vegetale descritto è quello tipico di gran parte del territorio. Nella lingua locale, i bassi cespugli spinosi (Verbena tridens) e l’erba bruna di cui parla lo scienziato formano la cosiddetta mata negra. La bassa erba di graminacee più chiare (del genere Stipa) forma invece la mata blanca. In grandissima percentuale questa vegetazione contraddistingue il classico paesaggio patagonico, almeno quello pianeggiante che si stende tra il mare e la catena delle Ande. CONTINUA

19 In Patagonia In realtà la Patagonia ha una struttura geologica molto simile ai cosiddetti trappi del Deccan (India meridionale): una serie di basse alture appiattite in cima, che da lontano appaiono come una successione di terrazze disposte a gradini. Ogni terrazza è stata formata, diversi milioni di anni fa, da una singola colata lavica, che si estendeva evidentemente per molti chilometri. Così mentre si sale, si passa da una colata all’altra. La parte superiore di una colata più resistente formava una pianura estesa, e poi quella successiva coinvolgeva la terrazza accanto, forse larga la metà. Tra i vari animali sudamericani, soprattutto due specie popolano queste steppe australi: il nandù di Darwin (Pterocnemia pennata o Struthio darwinii) e il guanaco. Del primo, un piccolo struzzo di grande eleganza, Darwin parla diffusamente: “Quando ero al Rio Negro, nella Patagonia settentrionale, sentii parlare spesso i gauchos di un uccello rarissimo, che chiamavano Avestruz Petise. Lo descrivevano più piccolo dello struzzo comune (che là è abbondante) ma molto somigliante a esso. Dicevano che era di colore scuro e macchiettato, che le sue zampe erano più corte e piumate di quelle dello struzzo comune e che si catturava con le bolas più facilmente di questo. Quando ero a Port Desire, in Patagonia, il signor Martens uccise uno struzzo e io esaminadolo dimenticai sul momento nel modo più inesplicabile, la questione del Petise e pensai che fosse un individuo non completamente adulto della specie comune. L’uccello venne cotto e mangiato prima che me ne ricordassi. Fortunatamente erano state conservate la testa, il collo, le zampe, le ali, parecchie delle penne più grandi e gran parte della pelle e da questi resti venne ricostruito un esemplare quasi completo, che è esposto ora nel Museo della Zoological Society. Il signor Gould, nel descrivere la nuova specie, mi ha fatto l’onore di darle il mio nome.” Questi piccoli struzzi se ne stanno in gruppo o solitari nelle aride praterie, anche vicino alle strade carrabili, e non mostrano timore nei confronti dell’uomo e dei suoi veicoli. CONTINUA

20 In Patagonia I nandù di Darwin sovente vagano nella steppa in compagnia di un altro importante componente della fauna patagonica: il guanaco (Lama huanachos). Anche in questo caso, le vivide descrizioni di Darwin ci assistono nell’illustrare la specie: “Il guanaco, o lama selvatico, è il quadrupede caratteristico delle pianure della Patagonia è la controparte sudamericana del cammello d’Oriente. Allo stato naturale è un animale elegante, con un collo lungo e sottili zampe delicate. E’ comunissimo in tutte le regioni temperate del continente e arriva a sud fino alle isole vicine al Capo Horn. Vive generalmente in piccoli branchi da una mezza dozzina a trenta individui, ma sulle rive del Santa Cruz ne vedemmo un branco che ne contava almeno cinquecento.” Al visitatore amante della natura il guanaco offre spettacoli affascinanti. Non più forse i branchi di cinquecento capi di cui parla Darwin, ma anche in piccoli gruppi le loro sagome rivestite di un morbido pelame rossiccio, il loro muso scuro e gli occhi intelligenti ne fanno uno dei più eleganti ornamenti di queste squallide pianure, come le definisce impietosamente il padre dell’evoluzionismo. Accanto alle “prime donne “ della fauna patagonica, il viaggiatore appassionato di ornitologia potrà scoprire alcuni uccelli descritti da Darwin – del resto, come è noto, gli uccelli sono tra gli animali in fondo più facili da vedere negli spazi aperti, o da sentire nelle foreste. CONTINUA

21 In Patagonia “Non è raro vedere nei punti più deserti un ibis (Theristicus melanopis), una specie che si dice si trovi nell’Africa centrale; nel loro stomaco rinvenni cavallette, cicale, piccole lucertole e persino scorpioni. In una certa epoca dell’anno questi uccelli stanno in gruppo e in un’altra a coppie; il loro grido è molto forte e singolare, come il nitrito del guanaco.” In realtà questo uccello non vive in Africa, e gli scorpioni sono aracnoidei e non insetti, come li definisce Darwin: “Questi insetti non erano rari sotto le pietre. Trovai uno scorpione cannibale che ne divorava tranquillamente un altro.” Il signore dei cieli patagonici è, naturalmente, il condor. Nel viaggio verso sud, il Beagle cala le ancore ai primi di aprile del 1834, alla foce del fiume Santa Cruz: “La regione era sempre uguale e completamente priva di interesse. L’assoluta uniformità dei paesaggi di tutta la Patagonia è uno dei suoi caratteri più notevoli. Le pianure livellate di arida ghiaia sono coperte dalle stesse piante stentate e nane e nelle valli crescono i medesimi cespugli spinosi. Ovunque si vedono gli stessi uccelli e gli stessi insetti.” Il 27 di aprile Darwin trova però di che divertirsi: “Oggi ho ucciso un condor. Misurava, da un’estremità all’altra delle ali, due metri e sessantacinque centimetri, e dal becco alla coda un metro e venti.” Darwin uccideva, comunque, solo a scopo scientifico, cioè per rifornire di esemplari impagliati le bacheche e i laboratori dei musei britannici. Il condor (Vultur gryphus) è il più grande dei rapaci viventi. Popola la catena delle Ande dalla Colombia fino alla Terra del Fuoco. “Spesso si vedono i condor – scrive Darwin – librarsi a grande altezza sopra un punto determinato, con i più graziosi cerchi. Sono sicuro che in qualche caso lo fanno solo per divertimento. In altri, secondo i contadini cileni, per osservare un animale morente o il puma che divora la sua preda. Se i condor si precipitano e poi si risollevano tutti insieme, il cileno sa che il puma, vigilando la carcassa, è balzato fuori per scacciare i predoni.” CONTINUA

22 In Patagonia I puma (Felis concolor) di cui Darwin parla sono ormai rari in Patagonia. I pochi rimasti hanno un aspetto timido. Sono bellissimi, con un’aria assolutamente innocente e i grandi occhi ambrati che spiccano sul pelame color terra di Siena. Non sono molto amati dagli allevatori, che li accusano di uccidere le pecore merinos dei grandi allevamenti invece che i guanachi. D’altra parte, come i colonizzatori bianchi han fatto fuori i nativi, così le loro pecore hanno invaso gli antichi pascoli dei guanachi e dei nandù, privando i puma delle loro prede naturali, e favorendo, così, la loro probabile estinzione. A differenza dei puma sono, invece, molto comuni gli armadilli pigmei (Dasypus pichiy). Darwin li incontrò e descrisse nella sua missione in Patagonia: “Durante una giornata a cavallo se ne vedevano generalmente molti. Per catturarlo era necessario precipitarsi quasi da cavallo nell’istante medesimo in cui lo si scorgeva, perché sul terreno friabile l’animale scavava così rapidamente che già i suoi quarti posteriori erano quasi scomparsi prima che si potesse smontare da cavallo. Sembra quasi una crudeltà uccidere animali tanto graziosi, perché, come diceva un gaucho mentre piantava il suo coltello nel dorso di uno di essi: “Son tan mansos” (Sono tanto mansueti). ” CONTINUA

23 In Patagonia In Patagonia, il luogo naturalisticamente più interessante di tutto il litorale dal Rio Negro al Capo Horn è certamente la Penisola Valdés. In questa piatta protuberanza della costa, alla quale è collegata da un sottile istmo, si danno convegno alcune delle più belle e importanti specie animali del continente australe. Tuttavia, alcuni animali furono osservati da Darwin, anche se in altri luoghi, soprattutto nella parte meridionale dell’America del sud. Nelle pagine seguenti andremo alla scoperta di queste zone ricchissime di animali. CONTINUA

24 In Patagonia Se ci si affaccia dalle scarpate di Punta Delgado la spiaggia sottostante si presenta occupata da centinaia di otarie (non “foche”!) o leoni marini (Otaria flavescens) “stravaccati” al tiepido sole australe, che riempiono l’aria delle loro voci. Tra di esse stormi di gabbiani di varie specie e sussiegosi e candidi chioni (Chionis alba), un uccello polare che Darwin descrive così: “Chionis alba abita le regioni antartiche e si nutre di alghe e di molluschi sugli scogli lasciati scoperti dalla marea. Pur non avendo i piedi palmati, per qualche ragione inesplicabile si trova frequentemente in alto mare.” Il personaggio più importante del luogo è l’elefante marino (Mirounga elefantina). I maschi di questi immensi mammiferi, pesanti fino a 30 quintali, se ne stanno pacifici sulla battigia come grassi commendatori in vacanza e sorvegliano i loro harem di femmine, che sono molto più minute e carine. Nel lato meridionale della Penisola Valdes si apre una vasta baia, il Golfo Nuevo, in cui, dominato da un basso promontorio di rocce giallastre, si trova il piccolo Puerto Piramide. Ed è qui, proprio qui , che nei mesi di novembre e dicembre si danno convegno, per ragioni amorose e riproduttive, le cosiddette balene franche e balene nere (Eubalaena australis). Ce n’erano molte, molto confidenti e curiose, ma la caccia indiscriminata le ha ridotte a non più di 3-4 mila capi. Stranamente Darwin non ne parla nel suo Diario. CONTINUA

25 In Patagonia L’altro golfo, quello settentrionale, denominato Golfo di San Josè, è invece il regno degli uccelli acquatici. Tra la costa, bassa e paludosa, e un’isoletta che sorge non lontano dalla riva, chiamata non a caso Isola degli Uccelli, si svolge il rutilante carnevale della fauna ornitica di questa parte dell’America meridionale. Lungo la battigia, nei canaletti, negli acquitrini, nelle piccole paludi che orlano il litorale e nelle acque basse del mare si possono osservare i cigni coscoroba (Coscoroba coscoroba) bianchi con il becco e le zampe rosso fuoco, i magnifici ed eleganti cigni dal collo nero (Cignus melanocoryphus), i gabbiani grigi (Leucophaeus scoresbii), molti cormoroni di diverse specie e i fiammegginti fenicotteri del Cile (Phoenicopterus chilensis) di cui parla anche Darwin: “In Patagonia, nel Cile settentrionale e alle isole Galapagos, trovai questi uccelli ovunque vi fossero dei laghi salati. Li vidi in cerca di cibo, probabilmente i vermi che stanno nel fango.”

26 Colate di ghiaccio SudAmerica CONTINUA
Verso sud la Patagonia mostra i suoi aspetti più splendidi. Se si percorre via terra la valle del fiume Santa Cruz (l’equipaggio del Beagle lo risalì controcorrente, nell’aprile 1834, su tre baleniere con 25 marinai d’equipaggio) ci si avvicina sempre più alla Cordigliera delle Ande, che qui si trova a poche centinaia di chilometri dal mare. Per Darwin (ma, in realtà, per un qualsiasi visitatore) la vista di queste montagne rappresentò uno spettacolo indimenticabile: “Da un’altura – scrive lo scienziato il 29 aprile – salutammo con gioia le bianche cime della Cordigliera, quando le vedemmo emergere dal loro scuro involucro di nuvole.” Dopo un viaggio di 225 chilometri dal mare, chilometri percorsi trascinando le tre barche con funi, da terra, il comandante FitzRoy decide di tornare indietro. Erano giunti in una grande vallata posta a circa cento chilometri dal Pacifico, sotto la Cordigliera in cui svettava il Cerro FitzRoy di metri, un picco intitolato proprio in onore del giovane capitano. Con grande dispiacere di Darwin la spedizione inglese, dopo ventun giorni di faticosissimo viaggio, torna a bordo della nave: “Guardavamo con rincrescimento quelle grandi montagne, perché eravamo costretti a immaginare la loro natura…” Comunque, Darwin fece importanti osservazioni di natura geologica, di cui si parlerà in seguito. Qui sulla sinistra un’immagine del Viaggio sulle Ande, da un disegno tratto dall’edizione del 1890 del Journal of Researches into the Natural Histiry of the Various Countries by H.M.S. Beagle di Darwin. CONTINUA

27 Colate di ghiaccio CONTINUA
Se gli esploratori avessero percorso ancora pochi chilometri, si sarebbero trovati al cospetto degli stupendi spettacoli che la Patagonia sa offrire. In prossimità delle montagne il paesaggio cambia non poco. Intanto la vegetazione appare più ricca e varia. Le pianure piatte e infinite, racchiuse nella chiostra dei monti, presentano nell’estate australe colorate fioriture di topa-topa, una calceolaria (Calceolaria crenatiflora) dai singolari fiori gialli che spiccano sulle distese rossastre della prateria; assieme a queste, nei primi rilievi montuosi, alcume piccole orchidee dorate (Gavilea lutea), le bacche rosse della chaura (Permettia mucronata), … CONTINUA

28 Colate di ghiaccio CONTINUA
…i viticci dell’arvejilla (Lathirus magellanicus, una papilionacea rosa e porpora), delle viole gialle (Viola maculata) e l’esplosione dei fiori a pon-pon color rosso fuoco sugli arboscelli di notro (Embrotrium coccineum). CONTINUA

29 Colate di ghiaccio CONTINUA
Lungo tutto il tragitto fioriscono in dicembre i cespugli spinosi (probabilmente quelli che Darwin vide in aprile, quando non erano in fiore) del calafate (Berberis buxifolia), parente della nostra uva ursina), che ha bei fiori gialli da cui si sviluppa una bacca azzurra buona da mangiare. Questa pianta è qui tanto apprezzata da essere scelta come simbolo della Patagonia e un paese di grande sviluppo turistico, situato sulle rive del Lago Argentino, è stato chiamato proprio Calafate. Nei piccoli e limpidi stagni in cui si riflettono le vette andine, nuotano uccelli interessanti e del tutto indifferenti alla presenza dell’uomo (presenza che, in uno stagno italiano infestato dai cacciatori, avrebbe provocato fughe precipitose). Ecco i bellissimi fenicotteri cileni rosa confetto, gli eleganti cigni dal collare nero e due altri uccelli di specie simili ad alcune del nostro emisfero: la folaga a becco giallo (Fulica leucoptera) che, a parte il colore del becco e delle macchie bianche sulle ali, è quasi uguale alla nostra fuligginosa e comune folaga, e il gobbo rugginoso (Oxyura leucocephala), una specie ormai estinta nelle nostre paludi, del quale ha il colore rossiccio e il becco color turchese. CONTINUA

30 Colate di ghiaccio CONTINUA
Lo spettacolo più emozionante e sublime (che Darwin non ha goduto) è, però, quello dei ghiacciai che scendono dalle Ande e che, con le acque di scioglimento, formano grandi laghi circondati da foreste e monti perennemente sovrastati da nubi. La navigazione verso il ghiacciaio Uppsala, nel Parco Nazionale de Los Glaciares che protegge 600mila ettari di territorio, è un’esperienza favolosa. Rocce nere e iceberg candidi fanno tra loro, su una distesa di acque color giada, un contrasto spettacoloso. Il ghiacciaio scende nel lago frantumandosi in mille schegge mentre il cielo che lo sovrasta è rigato dal nero volo dei condor. Il ghiacciao Spegazzini, dal nome del botanico italiano che lavorà in Patagonia, è un’altra meraviglia di ghiacciai azzurri, verde smeraldo e turchesi chiusi tra quinte di foreste oscure e di neri picchi aguzzi. Al ghiacciaio più bello e famoso, il Perito Moreno, si arriva in auto. Da alcuni belvedere posti a poca distanza è possibile ammirare questa immane lingua di ghiaccio di metri di fronte e 60 metri di altezza che si frantuma rumorosamente piombando in colossali frammenti color turchese e celeste nel sottostante Lago Argentino. CONTINUA

31 Colate di ghiaccio In cielo, oltre ai soliti condor, il volo potente del caracara (Polyborus plancus), un grande rapace sudamericano, di cui Darwin, pur non amandolo, parla a lungo nel suo diario: “Queste false aquile raramente possono uccidere un qualsiasi uccello o animale e i loro costumi di avvoltoio e di necrofago sono evidentissimi a chi si sia addormentato sulle squallide pianure della Patagonia, perché quando si desta vede su ogni altura circostante uno di questi grandi uccelli che l’osserva pazientemente con l’occhio maligno (…). Il loro volo è pesante e lento, come quello della cornacchia inglese.” Quali che siano le ingenerose considerazioni dello scienziato, il vedere un caracara volare sullo sfondo azzurrino dei ghiacciai è uno spettacolo che non si dimentica.

32 Le Isole Falkland (I. Malvine)
SudAmerica Le Isole Falkland (I. Malvine) La Beagle approdò nelle Isole Falkland il 1 marzo 1833. Qui Darwin incontrò il pinguino di Magellano: “Questo uccello è chiamato comunemente pinguino somaro per la sua abitudine, quando è sulla spiaggia, di gettare indietro la testa e di emetter uno strano e forte suono, molto simile al raglio d’un asino…” Tuttavia, la zona in cui c’è la popolazione più numerosa di pinguino di Magellano (Spheniscus magellanicus) si trova a Punta Tombo, 180 chilometri a sud di Puerto Madryn, piccola città posta alla radice meridionale della Penisola Valdés. Proprio qui durante l’inverno (il nostro inverno, a cui nell’emisfero sud corrisponde l’estate australe) si riuniscono centinaia di migliaia di pinguini, e c’è chi dice addirittura milioni, per riprodursi. Il pinguino di Magellano è uno strano uccello: alto una settantina di centimetri, non vola ma nuota benissimo ed è ricoperto da un mantello di piccole penne rigide che rivestono un soffice e caldo piumaggio. Vive non lontano dall’Antartide, ma lo si può trovare, con sottospecie diverse, addirittura all’equatore, per es. alle Galapagos. Pare che i primi coloni di queste zone, che venivano dal Galles, li chiamassero nella loro lingua pen-gwin cioè “testa bianca” per la vistosa striscia di penne candide che gli passa sopra l’occhio. Se ne stanno sulla battigia in gruppi e si tuffano proprio come bagnanti sulla spiaggia di Ostia. Si aggirano impettiti nell’elegante marsina bianca e nera e si rifugiano nelle buche scavate sotto i cespugli (anche a due chilometri dalla costa) per covare le loro uova e allevare i piccoli, ripartendosi equamente i compiti tra maschio e femmina.

33 La Terra del Fuoco SudAmerica CONTINUA
Chiamata così da Magellano (che passò di lì nel 1520) per il gran numero di fuochi accesi sulle rive dagli indigeni fuegini (indigeni che, nei secoli successivi, i coloni bianchi provvidero a sterminare) la Terra del Fuoco è una delle tappe più importanti del lungo viaggio del Beagle, vascello al cui nome è stato dedicato il canale che unisce l’Atlantico al Pacifico, più a sud dello Stretto di Magellano e più a nord del famoso Capo Horn. Provenendo dalle Isole Falkland, doppiato il Capo San Diego e superato lo Stretto di Le Maire il 17 dicembre, dopo quasi un anno di navigazione, il vascello cala le ancore nella Baia del Buon Successo: “Il giorno seguente – scrive Darwin – cercai di penetrare per un tratto nella regione. La Terra del Fuoco si può descrivere come un paese montuoso sommerso in parte dal mare, così che profondi seni e baie occupano il posto dove dovrebbero essere le valli. I fianchi delle montagne, tranne che sull’esposta costa occidentale, sono rivestiti da una grande foresta dalla riva del mare fino alla cima. Gli alberi appartenevano tutti a una sola specie, il Fagus betuloides, mentre il numero delle altre specie di faggio e del canelo è del tutto insignificante. Questo faggio conserva le foglie tutto l’anno, ma il fogliame è di un colore particolare bruno-grigio, con una sfumatura di giallo. Siccome tutto il paesaggio è colorato in questo modo, ha un aspetto cupo e triste e non è neppure ravvivato spesso dai raggi del sole.” CONTINUA

34 La Terra del Fuoco CONTINUA
Per apprezzare appieno il fascino della natura di questo arcipelago alla fine del mondo, bisogna visitare il Parco Nazionale della Terra del Fuoco, di 63mila ettari, istituito nel 1960. Gli alberi che compongono la fitta foresta fuegina appartengono in grandissima parte a specie molto simili ai nostri faggi: soprattutto il guindo (Nothophagus betuloides) grande (arriva a 30 metri di altezza) e con fogliame persistente; il lenga (Nothophagus pumilio), alto e con fogliame caduco; e il nire (Nothophagus antartica), anch’esso con fogliame caduco. Il canelo di cui scrive Darwin è, invece, la Drimys winteri, un albero sempreverde dalle foglie aromatiche abbastanza diffuso in questi territori. Il cupo sottobosco delle foreste fuegine è ravvivato nella bella stagione da fiori deliziosi come quelli della palomita (Codonochis lesonii), una piccola orchidea bianca, e dai tanti altre di cui si è parlato trattando della Patagonia. Il 15 gennaio, il Beagle entra a vele spiegate nel canale scoperto dal capitano FitzRoy nel precedente viaggio in Sud America e intitolato alla sua nave: “Le alte montagne sul lato settentrionale si elevano a milleduecento metri. Sono coperte da un vasto manto di nevi perenni e numerose cascate versano le loro acque, attraverso i boschi, nello stretto canale in basso. In molti punti, magnifici ghiacciai scendono dai fianchi dei monti fino all’orlo dell’acqua. E’ appena possibile immaginare qualcosa di più bello del blu berillo di questi ghiacciai che contrasta col bianco opaco delle distese di neve più in alto. I frammenti caduti nell’acqua dal ghiacciaio galleggiavano qua e là e il canale, perciò, per lo spazio di un miglio, sembrava un mare polare in miniatura.” CONTINUA

35 La Terra del Fuoco CONTINUA
Nelle foreste che coprono le pendici del Canale Beagle, e che in parte sono comprese nei confini del Parco Nazionale, sui tronchi degli alberi si trovano strane “pallette” giallastre grandi un po’ meno di una pallina da ping-pong e dal forte odore. Il nome scientifico di questo fungo (ché di fungo, in effetti, si tratta) è Cyttaria darwinii. Gli abitanti locali lo chiamano pan de indio, ed è buono da mangiare: ha un sapore piuttosto dolciastro e non cattivo o amaro o piccante. Il riferimento a Darwin nel nome è legato alla descrizione del fungo registrata dal naturalista nel suo diario: “Vi è un prodotto vegetale che merita di essere citato, per la sua importanza come alimento per i fuegini. E’ un fungo tondo, di colore giallo chiaro, che cresce in gran numero sui faggi. Quando è giovane è elastico e turgido, con una superficie levigata, ma quando è maturo si restringe, diventa più ruvido e ha la superficie butterata come un favo. Questo fungo appartiene a un genere nuovo e curioso. Nella Terra del Fuoco il fungo viene raccolto in grande quantità dalle donne e dai bambini, quando è maturo e ruvido, e viene mangiato crudo. Ha un sapore mucillaginoso, leggermente dolce, con un lieve odore di muschi. A eccezione di poche bacche, soprattutto di un Arbustus nano, gli indigeni non mangiano altro cibo vegetale che questo fungo.” CONTINUA

36 La Terra del Fuoco Di uccelli in questa piuttosto triste foresta se ne vedono pochi. Ma non è difficile, seguendo il suo strano e potente richiamo, osservare “un picchio nero, con una bella cresta scarlatta sul capo” (così lo descrive Darwin), che frequenta gli alberi marcescenti di cui vi è abbondanza. Si tratta del picchio nero di Magellano (Campephilus magellanicus), piuttosto comune nel Parco nazionale, splendido nel suo abito nero con una vistosa cresta color pomodoro maturo. Passa le giornate sui tronchi scavandoli col becco alla ricerca degli insetti che costituiscono il suo cibo. Nei piccoli laghi torbosi che si aprono nei fondo valle, vivono oggi, introdotti dall’uomo, anche castori canadesi (Castor canadensis), una specie alloctona e invasiva che arreca non pochi danni ai fragili ecosistemi di questa parte del mondo. Abbattono alberi e creano, con le dighe, dei piccoli laghi dall’acqua di un intenso color marrone per la presenza di torba.

37 L’Isola degli uccelli SudAmerica CONTINUA
Per avere, finalmente, una full immersion nella ricca fauna marina di questa parte della Terra del Fuoco, occorre andare, in barca, nel Canale Beagle e navigare tra l’infinità di isolotti e scoglietti che sono disseminati tra le sue rive. In questa terra affascinante, alla fine del mondo, con un paesaggio intristito da un cielo quasi perennemente grigio e coperto di basse nuvole pioviggionose, gli animali apportano una nota di colore e di allegria. Ci sono, per esempio, piatti isolotti dove si concentrano le otarie orsine (Arctocephalus australis), chiamate in lingua locale lobos de mar (“lupi di mare”). Grasse, scure e paciose vivono qui assieme alle otarie di Byron. Un tempo erano perseguitate per la carne e soprattutto per la loro stupenda pelliccia, oggi le otarie orsine non corrono più pericolo d’estinzione e sono addirittura aumentate di numero. I maschi di questa specie sono molto scuri, con una testa e un muso che ricordano quelli degli orsi bruni (Arctocephalus in greco significa proprio “testa d’orso”), mentre, come al solito, le femmine sono più snelle e chiare. Ma le maggiori concentrazioni di animali si trovano sugli isolotti, non distanti da Ushuaia, dove si raccolgono tutte le specie marine tipiche della Terra del Fuoco. La disposizione dei posti su questi isolotti è più o meno costante. Prendiamo, per es, l’ Isla de los pajaros (“Isola degli Uccelli”), la più famosa e popolosa di tutte. In basso, a pochissima distanza dalla superficie marina, si trovano gruppi di otarie delle due specie, lucide e grasse. Questi lupi di mare coprono gli scogli che sono avvolti, a questo livello, da un verde mantello di alghe. Si tratta del kelp (Macrocystis pirifera) dai lunghi steli, vegetale comunissimo in tutti i mari freddi, che Darwin ha descritto con ammirazione: “Questa pianta cresce su ogni scoglio, dal livello inferiore della marea fino a una grande profondità. E’ sorprendente il numero di creature viventi di ogni ordine che dipendono strettamente da quest’alga.” CONTINUA

38 L’Isola degli uccelli CONTINUA
Un poco più in alto, tra gli anfratti e le cavità delle basse pendici di roccia scurissima, soggiornano oche antartiche (Choephaga hybrida), in lingua locale caranca, dal piumaggio che presenta una incredibile diversità tra il maschio e la femmina. Anche Darwin ne parla: “L’anitra degli scogli, così chiamate perché vive esclusivamente sulla costa del mare (Anas antarctica) è comune tanto qui quanto sulla costa occidentale dell’America e giunge a nord fino al Cile. Nei profondi e remoti canali della Terra del Fuoco, il maschio, candido come la neve, accompagnato invariabilmente dalla sua consorte più scura, strettamente vicini su qualche lontana punta rocciosa, sono una caratteristica comune del paesaggio.” E’ veramente uno spettacolo stupefacente vedere questi due uccelli di sesso diverso e dai colori tanto differenti, vivere in perfetta armonia sulle scogliere battute dalla pioggia. CONTINUA

39 L’Isola degli uccelli CONTINUA
Al piano superiore, invece, infuria il carnevale dei cormorani. Non si può immaginare il numero, la varietà e il vociare di questi segaligni uccelli bianchi e neri. Ce ne sono a migliaia, raggruppati in attesa di precipitarsi in acqua in cerca di pesci, e formano spettacoli davvero affascinanti (di cui, inspiegabilmente, Darwin non parla nel suo diario di viaggio). Si dividono in due specie diverse, che gli ornitologi locali conoscono bene. Simili nel piumaggio nero, con il petto e il ventre bianchi, i due cormorani differiscono soprattutto per la porzione di caruncole rosso fuoco tra l’occhio e il becco. Per quanto riguarda le abitudini, il cormorano imperiale (Phalacrocorax atriceps), che presenta la parte anteriore del collo bianca, fa il nido a terra, sulla sommità piatta degli isolotti. Invece, il cormorano di roccia (Phalacrocorax magellanicus) depone le sue uova sulle pareti rocciose a picco sul mare. Assieme a questi, che sono i personaggi principali, esiste tutta una folta corte di altri uccelli: gabbiani grigi (Leucophaeus scoresbii), gabbiani della Patagonia (Larus maculipennis), albatri dal sopracciglio nero (Diomedea malonophrys), chioni, gabbiani domenicani (Larus domenicanus) e tanti altri. La varietà delle oche selvatiche del Canale Beagle e dei territori circostanti non si esaurisce con le oche bianche e nere di cui si è già parlato. Grazie a un atteggiamento della popolazione locale del tutto indifferente alla loro presenza, e non aggressivo, altre specie molto confidenti popolano le spiagge marine di ciottoli, le steppe dell’interno e le rive del Lago Escondido, a 55 chilometri da Ushuaia. CONTINUA

40 L’Isola degli uccelli L’oca selvatica più comune e visibile quasi ovunque in queste distese solitarie, è l’oca di Magellano (Chloephaga picta), il cui maschio è candido con una fitta barratura nera sul ventre e sulla schiena, mentre la femmina ha la testa e il collo color ruggine. Sfugge alla regola di una colorazione diversa tra maschi e femmine solo l’oca a testa cenerina (Chloephaga poliocephala, in lingua locale couquen real). Ma, la vera gloria della Terra del Fuoco (anche se è presente in altre zone dell’America del Sud, per esempio, Darwin la descrive durante la sosta alle Isole Falkland), è il famoso pato vapor (anatra a vapore). Questa massiccia anatra selvatica (specie Tachyeres) ha dei comportamenti davvero singolari che suscitano la meraviglia in chi la osserva nel suo ambiente naturale, come accadde a Darwin. Parlando della fauna delle Isole Falkland, così la descrive: “In queste isole è molto abbondante una grande e stupida anitra (o oca) (Anas brachiptera) che pesa qualche volta fino a dieci chili. Questi uccelli, per il loro modo straordinario di remare e di sollevare spruzzi sull’acqua, erano chiamati una volta “cavalli da corsa” ma ora vengono denominati più propriamente “piroscafi”. Le ali sono troppo piccole e deboli per consentire il volo, ma con il loro aiuto, in parte nuotando e in parte battendo la superficie dell’acqua, essi si spostano molto rapidamente. La tecnica è sotto un certo aspetto simile a quella di un’anitra domestica quando è inseguita da un cane, ma sono quasi sicuro che il “piroscafo” muove le ali alternativamente invece che contemporaneamente, come fanno gli altri uccelli. Queste goffe e stupide anitre fanno un tal rumore e tanti spruzzi, che l’effetto è straordianariamente curioso.”

41 Verso le Galapagos SudAmerica CONTINUA
Uscito dallo Stretto di Magellano, il 10 giugno 1834 il Beagle drizza la prora verso nord, seguendo le coste del Cile sull’Oceano pacifico. Le pagine del diario di Darwin sono piene d’interessanti e acute descrizioni dei paesaggi e degli ambienti che visita, sia sbarcando dalla nave, sia avventurandosi in escursioni nell’interno. Giunti nella parte meridionale del Cile, dove si trova l’arcipelago delle Chonos, una baleniera fu inviata per rilevare le coste orientali dell’isola Chiloé, con l’ordine di raggiungere il Beagle all’estremità meridionale. Darwin accompagnò questa spedizione. Non mancano, nei suoi ricordi, episodi curiosi. Come il seguente che riguarda una specie già allora molto rara ed esclusiva di questa parte della costa cilena:“La sera raggiungemmo l’isola di San Pedro, dove trovammo il Beagle all’ancora. Doppiando la punta, due degli ufficiali sbarcarono per compiere una serie di misure col teodolite. Una volpe (Canis fulvipes) di una specie nuova che si dice sia particolare dell’isola e molto rara, stava seduta sulle rocce. Era così intenta a osservare il lavoro dei due ufficiali che potei, camminando cautamente dietro di lei, colpirla sulla testa col mio martello da geologo. Questa volpe, più curiosa o più scienziata, ma meno saggia della generalità delle sue sorelle, è ora imbalsamata nel museo della Zoological Society.” La volpe di cui sopra, oggi definita Volpe di Darwin (Pseudalopex fulvipes), è ancora presente, seppure molto rara e minacciata, in quell’isola dove il nostro giovane scienziato la fece oggetto delle sue non proprio amichevoli attenzioni. Sarebbe però ingiusto accusare Darwin di poco amore e disinteresse per le specie in via d’estinzione. In una precedente occasione, sulle Isole Falkland, per esempio, egli parla dell’estinzione di un canide. Ne parleremo nella sezione “Darwin e la biodiversità” CONTINUA

42 Verso le Galapagos CONTINUA
Una specie autoctona, che però è oramai ben nota anche in Italia, dove veniva allevata come animale da pelliccia, è la nutria, anche detta castorino (Myocastor coypus). Dalle nostre parti, dopo essere sfuggito alla cattività nell’immediato secondo dopoguerra, questo grande roditore si è diffuso in maniera spettacolare in quasi tutti gli specchi e corsi d’acqua del nostro paese. In genere crea problemi non da poco per i danni alle colture agricole, alla flora indigena e alle opere di contenimento delle acque, che rovina a causa dell’abitudine di scavare le proprie tane entro gli argini dei fiumi. Darwin ne parla descrivendo la fauna delle Isole Chonos lungo la costa cilena, dove sbarcò il 7 gennaio 1835: “La zoologia delle isolette di questo arcipelago è molto povera, come ci si poteva aspettare. Fra i quadrupedi sono comuni due specie acquatiche. Il Myopotamus coypus (simile a un castoro, ma con la coda arrotondata) è ben noto per la sua bella pelliccia, che è oggetto di commercio lungo tutto l’arcipelago”. CONTINUA

43 Verso le Galapagos L’altro animale descritto da Darwin parlando di queste isole è la lontra marina sudamericana (Lutra felina): “Una piccola lontra marina è molto comune; questo animale non si nutre esclusivamente di pesce, ma, come le foche, mangia abbondantemente piccoli granchi rossi che nuotano in gran numero presso la superficie dell’acqua.” I locali la chiamano chungungo o nutria de Magellanes: vive nella acque costiere del Sudamerica e oggi è divenuta molto rara. Come già acutamente Darwin aveva notato, si nutre di invertebrati, soprattutto crostacei e molluschi. E i piccoli granchi rossi di cui parla il naturalista sono i Pleuroncoides planipes tipici di questi mari, ce ne sono di simili anche lungo le coste delle Galapagos, e che rappresentano un cibo ricercato, oltre che per le lontre, anche per le otarie e molti uccelli acquatici.

44 I fossili della pampa argentina: l’estinzione delle specie
Fece scoperte eccezionali. A Punta Alta, in Brasile, scoprì un ossario di giganteschi mammiferi terrestri fossili (saranno quelli che successivamente descriverà Owen nel volume dedicato alla Zoologia del viaggio del Beagle). Nove esemplari di quadrupedi oltre a molti frammenti, tra cui parti di crani e ossa di Megaterio di oltre quattro metri “come dice il nome, un animale di dimensioni colossali” , i cui denti e unghioni erano simili a quelli del bradipo; ossa di Megalonyx; uno scheletro quasi perfetto di Scelidotherium :” […] doveva essere grosso quanto un rinoceronte e nella struttura del cranio si avvicina… al formichiere del capo, ma per alcune altre caratteristiche è simile agli armadilli ” il Mylodon darwinii di genere affine ma di dimensioni più piccole; e il Toxodon, “forse uno degli animali più strani che siano stati scoperti: per mole era uguale all’elefante o al Megatherium, ma la struttura dei suoi denti, a quanto asserisce il signor Owen, prova inequivocabilmente che era affine ai roditori, ordine che attualmente comprende la maggior parte dei mammiferi più piccoli. In molti particolari era affine ai pachidermi, ma a giudicare dalla posizione degli occhi, degli orecchi e delle narici viveva probabilmente nell’acqua come il dugongo e il manato ai quali somigliava. E’ proprio sorprendente trovare mescolate nella struttura del Toxodon le caratteristiche di alcuni ordini che sono attualmente nettamente separati!” Quelli di Darwin non sono passivi resoconti: differenze e somiglianze tra specie, interpretate alla luce della loro distribuzione geografica, pongono interrogativi a cui gli schemi classici non offrono risposte soddisfacenti. Quando parte, le idee di Darwin non si discostano dalla tradizionale cornice creazionista; al suo ritorno, molto probabilmente non è ancora un trasformista, ma ha individuato una quantità di problemi irrisolti e a cui dare, prima ancora che una corretta soluzione, una corretta formulazione.

45 Bahia Blanca “ A Punta Alta l’erosione ha messo allo scoperto una sezione di quelle piccole pianure, molto interessanti per il numero e le caratteristiche straordinarie dei resti di giganteschi mammiferi terrestri in esse racchiusi”. Questa era l’opinione di Darwin, non condivisa però dagli abitanti del luogo. Per essi i “mostri” erano frutto di stregoneria.

46 Scelidotherium Nel “Viaggio” di Darwin troviamo questa descrizione del Scelidotherium: “… un grosso animale munito di corazza ossea a pezzi poligonali, somigliantissima a quella di un armadillo” Resti fossili dell’animale Sua ricostruzione

47 Armadillo Quando l’armadillo si sente minacciato, si arrotola su se stesso trasformandosi in una palla.

48 Megaterio Invece di arrampicarsi sugli alberi, probabilmente i Megateri “con la loro grossa coda e i loro enormi calcagni, saldamente piantati nel terreno come un treppiedi” tiravano giù i rami cibandosi del loro fogliame, favoriti in questo da una lingua lunga ed estensibile come quella delle giraffe.” Scheletro del Megaterio

49 La Pampa circa 1 milione e 800 mila anni fa
La ricostruzione del paesaggio in cui vivevano i Megateri. Oggi si presenta molto diverso, e anche gli animali e le piante sono diversi da quelli rappresentati nel disegno.

50 Bradipo Il bradipo presenta molte caratteristiche anatomiche simili al megaterio, può essere considerato un discendente dei Megateri, e i suoi unghioni sono un adattamento alla vita sugli alberi. E’ anche chiamato PIGRONE per la sua lentezza, tanto che sulla sua pelliccia crescono indisturbate le alghe verdi come sui tronchi degli alberi. Il suo manto è inoltre mimetico rispetto allo sfondo. Il suo habitat è quindi la chioma degli alberi, e i pericoli per questo animale nascono quando per qualche motivo scende a terra, dove non è in grado di difendersi da un predatore. Attualmente molti di loro vengono uccisi dagli automezzi, che viaggiano lungo le strade che attraversano le foresta amazzonica. Infatti, quando un bradipo attraversa la strada lo fa molto lentamente, come è sua abitudine, e solo se l’autista si ferma, lo afferra e lo deposita a uno dei lati della strada, l’animale può salvarsi.

51 I fossili della Patagonia
In Patagonia, alcuni mesi dopo la scoperta di Bahia Blanca, Darwin trovò le ossa di altri mammiferi estinti: alcuni erano giganteschi, ma altri erano addirittura piccoli come topi. L’estinzione quindi sembrava essere un destino comune di tutte le specie, grandi e piccole, ma “…cosa mai può aver distrutto tante specie? La mente è dapprima irresistibilmente sospinta a sospettare una qualche grande catastrofe. Ma per distruggere tanti animali grandi e piccoli, dalla Patagonia meridionale al Brasile, dalla Cordigliera delle Ande all’America del Nord fino allo stretto di Behring, essa dovrebbe scuotere l’intera impalcatura del nostro globo”. Darwin quindi aveva la certezza che le specie si erano estinte, ma non credeva, come Cuvier, che l’estinzione fosse dovuta a una catastrofe. Come nel caso del Megaterio, Darwin ricostruiva la forma degli animali estinti, e restava sorpreso della loro somiglianza con gli animali che si vedeva intorno. “Non v’è dubbio - scriveva nel suo Viaggio - che questa meravigliosa affinità tra morti e vivi, getterà in avvenire molta luce sull’apparizione e sulla scomparsa degli esseri viventi sul nostro globo”. Per Darwin era infatti probabile che da alcuni animali estinti si fossero originate nuove specie più adatte all’ambiente. Ma come?

52 Ricostruzione del Megatherium
Il disegno è tratto dall’edizione del 1890 del Journal of Researches into the Natural History of the Various Countries Visited by H.M.S. Beagle di Darwin.

53 Darwin geologo Oggi si tende ad annoverare Darwin essenzialmente tra i biologi, interessato, come egli era all’origine e all’evoluzione delle specie. Durante il viaggio ciò che particolarmente lo attrae è però la geologia. Ha con sé il primo volume dei Principi di geologia di Lyell, il cui sottotitolo recita: Un tentativo di spiegare i primi cambiamenti della superficie terrestre riferendosi a cause tuttora operanti. (Il secondo volume lo raggiungerà a Montevideo nel 1832 e il terzo alle Falkland.) a regalarglielo è stato FitzRoy, ed Henslow, pur avendogliene raccomandato la lettura, lo ha avvertito di “non accettare in nessun modo le opinioni che vi vengono difese”. Darwin, al contrario, si entusiasma subito alle tesi uniformiste di Lyell. Lyell sostiene che i cambiamenti della superficie terrestre sono stati determinati da forze che hanno esercitato un’azione costante e graduale nel corso del tempo e che sono tuttora in attività. Non differentemente da John Hutton ( ) prima di lui, si pone in netta contrapposizione con il catastrofismo, ossia con la teoria secondo cui i cambiamenti subiti dalla superficie terrestre e le conseguenti estinzioni di specie viventi sarebbero il prodotto di eventi catastrofici straordinari, come il Diluvio universale, che si sono ripetuti in occasioni diverse dopo la creazione e a cui hanno fatto seguito, a seconda delle interpretazioni, o nuovi interventi creativi o – come per es. aveva sostenuto Cuvier – migrazioni di specie provenienti da altre regioni e andate a ripopolare le zone sconvolte dalla catastrofe. (Sia il termine “uniformismo” sia quello di “catastrofismo” furono introdotti da Whewell proprio in una recensione dei Principi di Geologia). Pur impegnandosi ad interpretare la natura e la storia della Terra secondo “un sistema regolare di cause secondarie”, Lyell, d’altra parte, era e restava un creazionista, seppure moderato, e arrivava a estendere la sua spiegazione naturalistica all’estinzione delle specie, ma non alla loro origine. “Se nuove specie subentrino di volta in volta al posto di quelle estinte resta un punto su cui non esiste un’opinione netta, dal momento che i dati finora in nostro possesso sono ritenuti insufficienti a dirimere la questione.” Darwin si sarebbe presto trovato ad affrontare il dilemma. Comunque, sull’estinzione e sulla gradualità del fenomeno non nutrì dubbi: “[…] ammetter che le specie di solito divengano rare prima di estinguersi, non provare sorpresa per la rarità di una specie rispetto a un’altra, e tuttavia attribuire a qualche causa straordinaria l’estinzione totale di una specie e il meravigliarsene grandemente, sembra a me proprio lo stesso cke l’ammettere che la malattia di un individuo sia preludio alla morte, non sorprendersi della malattia, e poi, quando l’uomo muore, meravigliarsene e credere che sia morto per cause violente.” I suoi contributi alla geologia furono molto importanti. Infatti, seguendo il metodo della stratigrafia cronologica indicato da Lyell riuscì a dimostrare la correttezza della teoria dei suoi due connazionali J. Hutton e C. Lyell secondo cui la geologia mondiale era governata dai movimenti di innalzamento e sprofondamento (isostasia) della superficie terrestre: Il sollevameto del Sud-America, ovvero l’origine delle Ande. Lo sprofondamento dell’Oceano Pacifico, ovvero l’origine delle isole coralline.

54 Isostasia E’ la condizione d’equilibrio della crosta terrestre che si realizza con spostamenti verticali e orizzontali di masse superficiali e profonde. Secondo l’i. le zolle tettoniche della crosta terrestre galleggiano, per la loro relativa leggerezza, sul mantello che si comporta come un fluido particolarmente denso e pesante. Le masse che costituiscono la crosta terrestre sono in equilibrio instabile, in conseguenza di mutamenti interni e/o esterni, e tendono continuamente a ristabilire l’equilibrio grazie a migrazioni di masse superficiali o profonde, in senso verticale o orizzontale. In base a considerazioni geofisiche, si pensa che queste spostamenti avvengano a profondità non molto elevata rispetto al raggio terrestre e che quindi esista una superficie, detta di compensazione isostatica, situata a km di profondità, al di sotto della quale cessano le variazioni di densità e si realizza uno stato permanente di equilibrio. Le variazioni della linea di spiaggia sono in parte dovute all’i.: lo scioglimento delle calotte glaciali, che nel Quaternario antico coprivano numerose regioni dell’emisfero boreale, ha provocato un sollevamento delle regioni nordiche sgravate dal peso dei ghiacci, che ha portato antiche linee di spiaggia ad altezze massime di 270 m. Il movimento è tuttora in atto: per es., il golfo di Botnia si alza di ca 1 m al secolo. Questa, anche se in forma semplificata, è la spiegazione attuale del fenomeno. Ai tempi di Darwin, i due grandi geologi J. Hutton (seconda metà del ‘700) e C. Lyell (prima metà dell’800) intuivano solo le cause del fenomeno. Occorre sottolineare che oggi pensiamo alla crosta terrestre come a una struttura dinamica, soggetta a forze che, agendo in tempi lunghissimi, hanno mutato la fisionomia e la posizione di continenti e oceani. Questa idea si è imposta lentamente a partire dall’inizio del XX secolo, scardinando i modelli fissisti che avevano dominato il pensiero del secolo precedente. Secondo tali modelli, la crosta terrestre era una struttura essenzialmente statica, nella quale i continenti e gli oceani occupavano da sempre la medesima posizione, ed è contro questa idea dominante nella comunità scientifica che hanno dovuto fare i conti i due geologi inglesi. Verso la fine dell’Ottocento, tuttavia, cominciò a farsi strada l’idea che grandi porzioni della crosta potessero essere soggette a movimenti rilevanti, partendo dall’analisi di dati di geofisica.

55 Carta geologica del Sud-America
Le Ande Ogni volta che sbarcava, Darwin dedicava la sua attenzione alla stratigrafia delle rocce e alla natura del suolo e stabiliva correlazioni tra l’ordine stratigrafico e la successione delle associazioni di organismi e delle rocce che li contenevano. In Cile, nell’agosto del 1834, parte per un’escursione ai piedi delle Ande:”Ero venuto qui allo scopo di esaminare i grandi giacimenti di conchiglie che si trovano alcuni metri sul livello del mare e vengono arrostite per farne calce. Le prove del sollevamento di tutta la linea costiera sono palesi; all’altezza di cento-duecento metri si trovano molte conchiglie che all’aspetto si direbbero antiche, e ne ho trovate alcune anche a quattrocento metri. Queste conchiglie o giacciono libere a fior di terra o sono incluse nello scuro terriccio vegetale. Esaminandole al microscopio scopersi con molta meraviglia che questo terriccio consisteva in realtà di fango marino ricchissimo di minuti frammenti di organismi.” E, nel 1835, sempre sulla Cordigliera, descrive come tutte le valli principali siano caratterizzate dall’avere ai due lati una specie di terrazze di ciottoli e sabbia: “[…] mi sono convinto che le terrazze di ciottoli siano state formate, durante il graduale sollevamento delle Cordigliere, dai torrenti che continuavano ad abbandonare i loro detriti sulle spiagge in fondo ai lunghi e stretti bracci di mare, situate dapprima nelle parti superiori delle valli, poi sempre più in basso a mano a mano che il terreno si innalzava lentamente. Se le cose stanno così, e io non ne dubito, la grande e frastagliata catena delle Ande non è sorta a un tratto, come fino a poco tempo fa tutti credevano ed ancor oggi molti continuano a credere […]. Alla mente riesce impossibile afferrare, se non a poco a poco e con fatica, l’effetto prodotto da una causa che si ripete tanto spesso.” Da queste osservazioni dedusse che era in atto una forza di sollevamento che agiva su una vasta area geografica e tanto lentamente da non turbare la continuità dell’altezza della pianura e dei litorali rialzati. Questa scoperta insieme con altre simili prova inoltre il fenomeno detto trasgressione marina: periodi in cui il mare avanza e copre estese regioni (ingressione marina), alternati a periodi in cui il mare si ritira lasciando scoperte estese regioni (regressione marina). Ma quale può essere la causa dei movimenti verticali e orizzontali delle terre emerse? Risposte convincenti a questa domanda saranno date solo dopo la seconda meta del secolo XX con la teoria dell’espansione dei fondali oceanici e soprattutto con la teoria della tettonica delle placche. Carta geologica del Sud-America

56 Carta geologica: I tre profili a destra corrispondono alle tre linee tratteggiate sulla carta

57 Le Ande Gradualismo, tempi immensamente lunghi, azione incessante e uniforme delle stesse forze naturali; osservazioni e riflessioni geologiche lo portavano a individuare correlazioni importanti fra attività vulcanica e catene montuose, tra isole vulcaniche e margini delle coste continentali e, naturalmente, a interrogarsi sulla comparsa più o meno improvvisa negli strati geologici di gruppi di organismi diversi, attribuendola in generale alla imperfezione delle testimonianze geologiche stesse. Sarebbe stato così “fortunato” da trovarsi testimone diretto di altri eventi catastrofici sì, ma completamente naturali. Avrebbe assistito, infatti, all’eruzione del vulcano andino Osorno, al disastroso terremoto di Concepciòn del 2 febbraio 1835, a maremoti, e ne avrebbe constatato gli effetti appena prodotti. Al ritorno dl viaggio, divenuto membro e poi segretario della Geological Society, farà varie comunicazioni sulle sue osservazioni vulcanologiche e sulla geologia del Sud America e negli anni successivi pubblicherà importanti lavori come Geological Observations in the Volcanic Islands (1844) e Observations in South America (1846), rielaborati e ristampati più volte. Tra questi studi il più noto è forse quello sulle barriere coralline, Coral Reefs (1842), in cui perverrà a conclusioni diverse da quelle sostenute da Lyell e ancor oggi considerate sostanzialmente valide. Il viaggio sulle Ande, dal Journal

58 Il terremoto di Concepcion
Il 20 febbraio 1835 Darwin assistette a Concepcion ad un terremoto accompagnato da un sollevamento delle superficie terrestre di varie decine di metri.

59 Tettonica del Sud-America
Tutte queste osservazioni insieme convinsero Darwin ad affermare che l’intero continente sudamericano si stava sollevando, e che la formazione delle Ande come il verificarsi di terremoti e di eruzioni vulcaniche erano gli effetti di tale movimento. Come già detto, Darwin non era in grado di provare queste congetture (solo nella seconda parte del secolo scorso sarebbe venuta una risposta plausibile con la “Tettonica delle placche”), tuttavia, le sue ipotesi erano corrette. Carta geologica: i rilievi sono indicati con il tratteggio, i vulcani con i punti rossi, le frecce indicano le aree in cui si ha compressione e sollevamento.

60 Le isole coralline Se tutta l’America Meridionale e probabilmente anche quella Settentrionale, si stava sollevando, contemporaneamente qualche altra zona stava invece sprofondando. Darwin pensò che il principale imputato fosse l’Oceano Pacifico e lo dimostrò con gli studi sull’origine ed evoluzione delle scogliere coralline. La teoria elaborata da Darwin è ancora oggi ritenuta corretta nelle sue linee generali e si articola in quattro fasi: prima fase seconda fase terza fase quarta fase

61 PRIMA FASE “Cominciamo col prendere in esame un’isola circondata da coralli costieri, … ed immaginiamo che quest’isola con i suoi scogli sprofondi lentamente.”

62 SECONDA FASE “A mano a mano che l’isola sprofonda, noi possiamo supporre che le masse viventi dei coralli si riproducano fino a raggiungere di nuovo la superficie. Nel frattempo però il mare eroderà a poco a poco le coste dell’isola, e questa diventerà più piccola e bassa”

63 TERZA FASE “Ritorniamo ora alla nostra isola circondata da una barriera corallina, e continuiamo a farla abbassare. Con l’isola andrà lentamente sprofondando anche la barriera, ma i coralli continueranno a crescere vigorosi verso l’alto. Non così invece per l’isola. A mano a mano che l’acqua sommergerà la terra, le singole cime formeranno dapprima altrettante isolette. Infine, anche l’ultima e più alta vetta sparirà inghiottita dai flutti. In quell’istante sarà nato un atollo.

64 QUARTA FASE In definitiva gli atolli hanno origine dalle barriere coralline e “rappresentano i contorni delle isole sprofondate intorno alle quali esse sono cresciute”. Togli l’isola rimane l’atollo

65 Scogliere coralline “La teoria – racconterà Darwin nell’Autobiografia – era già stata completamente pensata fin da quando ero sulle coste occidentali del Sud America, e ancora non avevo visto una vera e propria scogliera corallina, sicché non mi rimaneva che verificare e completare le mie opinioni con un accurato esame delle scogliere di coralli viventi. Nei due anni precedenti mi ero occupato continuamente degli effetti del sollevamento intermittente della Terra, associato alla denudazione e alla deposizione dei sedimenti, sulle coste del Sud America. Tutto ciò mi aveva condotto a riflettere a lungo sugli effetti dell’abbassamento, e mi fu facile sostituire nel pensiero il continuo deposito di sedimenti con la crescita verso l’alto dei coralli. Nacque così la mia teoria sulla formazione delle barriere coralline e degli atolli”. Anziché, come riteneva Lyell, pensare a un innalzamento delle isole vulcaniche colonizzate dai coralli, e spiegare la loro conformazione circolare come dovuta al raggrupparsi dei coralli intorno ai bordi dei crateri vulcanici sommersi, gli apparve più probabile che fossero le isolette a sprofondare lentamente, cosicché i coralli, che notoriamente hanno bisogno di fondali bassi, tra i 35 e i 50 metri al massimo, per svilupparsi, tenderebbero ad accumularsi per mantenersi sempre a un livello della superficie a loro adatto. A mano a mano che i fondali scendono sale la barriera e successivamente, quando l’isola è completamente sommersa, appare la caratteristica conformazione dell’atollo. Una tavola tratta dall’edizione torinese del 1888 del testo di Darwin “Sulla struttura e distribuzione dei banchi di corallo e delle isole madreporiche”. Lo scienziato visitò diverse isole tra cui Moorea e Bora Bora.

66 Isola di Moorea L’ isola di Moorea, nel Pacifico meridionale, vicino a Tahiti, influenzò il pensiero di Darwin sull’origine delle scogliere coralline. Nel 1835, in una sosta della Beagle a Tahiti, da una collina Darwin vide pressappoco questo panorama di Moorea, e ipotizzò che “un’isola circondata da una barriera non è altro che un atollo con un cucuzzolo che sorge dalla laguna: togliete il cucuzzolo e rimarrà un perfetto atollo”.

67 La scogliera dell’isola di Moorea
Nella veduta di Moorea, a livello del mare, vicino al lato prospiciente Tahiti, è visibile parte della scogliera corallina: è l’isoletta coperta di alberi al centro.

68 Bora Bora A sinistra veduta dell’isola Bora Bora circondata da barriere coralline, a destra, un disegno originale di Darwin di quell’atollo.

69 Gli Indios Darwin fu anche molto colpito dalle miserie ed arretratezza delle popolazioni indigene “non avrei mai creduto che ci fosse tale abisso tra un uomo civilizzato ed un selvaggio; c’è una differenza più grande che tra un animale domestico ed il suo equivalente selvatico, proprio perché nell’uomo v’è maggiore capacità di miglioramento. […] I loro atteggiamenti erano proprio abbietti e l’espressione dei loro ceffi palesava diffidenza, stupore ed apprensione. […] Il linguaggio di questa gente, a quanto abbiamo constatato, non merita quasi la qualifica di articolato ….” Anche l’incontro con altre tribù fu altrettanto desolante. Creature miserabili e derelitte, pressoché nude o coperte solo da mantelli di guanaco o di foca. “Poveri rottami umani”, anche rachitici, con le facce orribili imbrattate di pittura bianca, la pelle sudicia e untuosa, i gesti violenti. Dormono raggomitolati come animali in terra; si nutrono cibandosi esclusivamente di ciò che trovano, il che spesso li conduce a patir la fame e a praticare il cannibalismo; non ci sono prove che credano in una qualche forma di vita futura seppure talvolta seppelliscano i loro morti; la loro destrezza è paragonabile all’istinto degli animali in quanto migliora con l’esperienza, tanto è vero che la canoa, massima espressione della loro ingegnosità, è rimasta immutata da oltre 250 anni. E’ veramente una descrizione molto dura quella che fa Darwin delle popolazioni indigene, tuttavia, è necessario sottolineare che lo scienziato rifiutava con categorica decisione l’idea lamarckiana che attraverso i fossili si potesse documentare un qualunque tipo di progresso in direzione dell’uomo e vedeva con sdegno l’eventualità che la rivendicata continuità tra animale e uomo significasse l’abbattimento di qualsiasi “linea di demarcazione tra razionale e irrazionale, responsabile e irresponsabile”, postulando l’esistenza di uno o più gruppi umani tassonomicamente separati e intermedi. Tuttavia, il viaggio offrì a Darwin altre occasioni per riflettere sull’uomo e sulla civiltà. A Buenos Aires c’era la rivoluzione, bande di soldati imperversavano; a Montevideo imperava una classe dirigente corrotta e ignorante e la violenza dilagava; in Sud-America in Australia e in Nuova Zelanda gli aborigeni stavano progressivamente sparendo decimati dai nuovi arrivati. In Argentina fu testimone di alcuni episodi della guerra di sterminio operata dalle truppe del generale Juan Manuel de Rosas contro gli indiani. “Qui tutti sono pienamente convinti che questa guerra sia giustissima, dato che viene fatta contro gente barbara. Chi crederebbe che ai nostri tempi si possano commettere tali atrocità in un paese civile e cristiano? I bambini degli indiani vengono risparmiati per essere venduti o dati via come servi, o piuttosto come schiavi, almeno fino a quando i loro padroni potranno dar loro a intendere che sono tali.” Eppure nelle colonie spagnole, secondo Darwin, gli schiavi erano sempre trattati meglio che in quelle portoghesi o inglesi. Lo schiavismo è forse ciò che più lo indigna e a questo tema dedica alcune pagine del suo diario di viaggio. “Dipingete a voi stessi la possibilità di vivere sotto la perpetua minaccia che vi siano strappati moglie e figli, creature che anche uno schiavo ha il diritto di chiamare sue, e che vengano venduti come bestie al migliore offerente! E questi misfatti vengono operati e giustificati come cose da poco da uomini che pretendono di amare il prossimo come se stessi, di credere in Dio, e di pregare che la sua Volontà sia fatta su questa terra. Fa ribollire il sangue e tremare il cuore il pensiero che noi inglesi e i nostri discendenti americani, con tutte le nostre vanterie di libertà, si sia stati e si continui ad essere colpevoli di simili cose; ma abbiamo anche una consolazione, quella di avere compiuto infine un sacrificio più grande di quelli compiuti da qualsiasi altra nazione per espiare i nostri peccati.” Nel 1833, il Parlamento inglese aveva abolito la schiavitù. CONTINUA

70 Pellerossa addio Sono passati più di 170 anni dalla spedizione del Beagle attorno al mondo. I magici paesaggi della Patagonia meridionale sono restati più o meno invariati nella loro solitaria e deserta bellezza. Per alcune specie, come lo struzzo di Darwin e le balene, le iniziative di protezione degli ultimi decenni hanno portato addirittura a un incremento delle popolazioni. E’ andata, però, molto meno bene alle popolazioni umane indigene di questa parte del mondo. Se il lupo delle Falkland si è, come aveva previsto lo scienziato, estinto, mai egli avrebbe potuto prevedere che le tante tribù d’indigeni della Terra del Fuoco, che aveva conosciuto nel 1832, potessero essere completamente spazzate via dall’arrivo della “civiltà”. L’uomo bianco con l’alcol, con le malattie, ma soprattutto con le fucilate, le ha sterminate in tutti i luoghi possibili di questi gelidi territori posti tra l’Argentina e il Cile. Ecco una descrizione dal vero di Darwin degli indigeni della Terra del Fuoco: “I fuegini sono una razza completamente diversa da quella dei rachitici e miserevoli infelici che stanno più a Occidente, e sembrano strettamente affini ai famosi patagoni dello Stretto di Magellano. Il loro unico indumento consiste in un mantello fatto di pelle di guanaco, col pelo verso l’esterno, che portano gettato semplicemente sulle spalle, lasciando spesso scoperta la persona. La loro pelle è di colore rosso rame sporco. Un vecchio aveva un nastro con delle penne bianche legate attorno al capo, che tratteneva la sua capigliatura nera, abbondante e arruffata.” Di questi veri pellerossa ancora nel 1995 sopravviveva una quindicina di individui puri. Oggi non ce n’è neanche uno. Nell’arcipelago delle Galapagos le cose sono andate meglio. Nel 1959, in occasione del centenario della pubblicazione dell’ Origine delle specie di Charles Darwin, il governo dell’Ecuador dichiarò tutto l’arcipelago Parco Nazionale. All’epoca della creazione della riserva, sulle isole abitavano circa duemila persone; nel 1980 erano già salite a 15mila; oggi sono circa 30mila e creano alcuni problemi di conservazione. Il turismo è anch’esso aumentato, ma in maniera ben organizzata e controllata, e non rappresenta un pericolo per la conservazione di questo paradiso naturale, anzi. I veri pericoli vengono oggi dalla pesca eccessiva praticata soprattutto dai pescherecci coreani e dai riversamenti di petrolio causati dal naufragio delle petroliere. Preoccupano anche i mutamenti climatici, con l’aumento della frequenza della corrente oceanica detta El Nino, che riscalda le acque delle Galapagos creando gravi problemi alla fauna marina.

71 Immagini di indigeni Sulla destra un indigeno della Terra del Fuoco, qui in basso una capanna di indigeni della Terra del Fuoco. I disegni sono di Conrad Martens, disegnatore a bordo del Beagle.

72 Le isole Galapagos Nel settembre del 1835 la Beagle, che aveva risalito il versante occidentale del continente sud-americano, puntò a vele spiegate verso l’Equatore in pieno Pacifico. Dopo alcuni giorni di navigazione il brigantino gettava l’ancora nella baia di San Cristobal, un’isola delle Galapagos. “Questo arcipelago – si legge nel suo diario – consiste di dieci isole principali, di cui cinque più grandi delle altre. Sono situate sotto l’Equatore (che in realtà le attraversa, Ndr), cinque o seicento miglia ad occidente delle coste del Cile. Sono tutte costituite da rocce vulcaniche. Alcuni crateri, che sovrastano le isole più grandi, raggiungono l’altezza di metri. Se consideriamo che queste isole si trovano proprio sotto l’equatore, il clima è tutt’altro che eccessivamente caldo e ciò sembra dipendere soprattutto dalla temperatura singolarmente bassa delle acque circostanti, convogliate qui dalla grande corrente polare.” Per Darwin rappresentarono una specie di laboratorio dell’evoluzione. Poco dopo Darwin, a bordo di una baleniera, sarebbe approdato alle galapagos anche Herman Melville ( ) e vi avrebbe trovato ispirazazione per il famoso romanzo Moby Dick, la Balena bianca. Le isole, note anche con il nome Islas Encantadas, avevano ispirato molte leggende e superstizioni, legate alla loro magica atmosfera: quasi allucinazioni, a causa della difficoltà di approdo dovute alle forti correnti che le facevano apparire ormai vicinissime e poi improvvisamente sparire. I marinai credevano che i capitani delle navi, al momento della morte, venissero trasformati in tartarughe.

73 Arcipelago delle Galapagos
Le isole Galapagos sorpresero Darwin per la grande varietà delle specie viventi: “Ma il fatto che mi meraviglia moltissimo è che parecchie delle isole posseggano le loro particolari specie di tartarughe, di tordi beffeggiatori, di fringuelli e di numerose piante. Si potrebbe realmente immaginare, - scriveva 24 anni prima dell’”Origine delle Specie” – che da un originario numero di uccelli di questo arcipelago una specie sia stata modificata per finalità diverse”. E’ da questa ipotesi che successivamente i biologi evoluzionisti trarranno uno dei meccanismi di speciazione: la radiazione adattativa. Nella figura sono rappresentate alcune tra le specie più significative: Tartarughe Iguane di terra Iguane di mare Sule 2 Poiana delle Galapagos 6 Cormorano 16 Foca

74 Giganti pacifici e eterni
Anche le tartarughe, come i fringuelli, danno a Darwin altro materiale per elaborare la sua teoria dell’evoluzione. “Non ho parlato di quella che è di gran lunga la caratteristica più notevole nella storia naturale di questo arcipelago e cioè che le diverse isole sono abitate in misura rilevante da gruppi diversi di esseri viventi. La mia attenzione fu attirata per la prima volta su questo fatto dal vicegovernatore signor Lawson, il quale mi disse che le tartarughe erano differenti sulle varie isole e che egli poteva dire con certezza da quale isola provenisse ciascuna. Non mi sarei mai immaginato che isole distanti cinquanta o sessanta miglia fra di loro e la maggior parte in vista una dell’altra, formate da roccia identica, poste sotto un clima perfettamente identico, elevatesi a circa la stessa altezza, dovessero essere abitate in modo diverso, ma vedremo che è proprio così.” E’ singolare sottolineare come Darwin ammetta di non aver prestato, inizialmente, molta attenzione a distinguere le tartarughe, “[…] E’ destino di moltissimi viaggiatori di non scoprire ciò che è più interessante di una località se non quando se ne sono allontanati in fretta,, me devo forse considerarmi fortunato per aver raccolto materiale sufficiente a stabilire questa singolarissima circostanza nelle distribuzione degli esseri viventi”. Quel che di quest’ultime certamente non gli sfugge è la prelibatezza: “La carne arrostita entro il guscio è buonissima, e con le giovani tartarughe si fa una zuppa eccellente; preparata diversamente la carne mi parve insipida”. Quindi, Darwin riconosce di non aver visto ciò che era davanti ai suoi occhi, ma il materiale raccolto, seppure in questo caso “già parzialmente mescolato”, sarà poi esaminato, al rientro in patria, da esperti che, alla luce anche di analoghi risultati ottenuti nella classificazione degli esemplari di iguana e, soprattutto, dei fringuelli, metteranno in evidenza come si tratti di organismi, per quanto molto simili, comunque appartenenti a specie diverse, ciascuna caratteristica di una particolare isola. CONTINUA

75 Giganti pacifici e eterni
All’isola Floreana, dove lo scopritore dell’evoluzione naturale sostò il 23 settembre del 1836, delle immense tartarughe terrestri che popolavano l’isola ai tempi di Darwin non c’è purtroppo più traccia. “Nei boschi – scrive il naturalista parlando dei pochi abitanti dell’isola – vi sono molti porci e capre selvatici, ma il principale alimento animale è fornito dalle tartarughe. Il loro numero è perciò fortemente diminuito su quest’isola (…). Si dice che una volta singole navi ne abbiano portate via fino a settecento…”. Oggi, per queste assurde stragi (dovute anche al fatto che tali rettili potevano restare in vita per mesi sulle navi, fornendo cibo fresco alle ciurme) e per l’azione distruttiva di maiali, capre, buoi, cavalli, asini, gatti e cani inselvatichiti – discendenti da quelli importati qui dai bucanieri – le grandi testuggini terrestri sono estinte da anni su Floreana e divenute rarissime nelle altre isole (nell’isola di Espanola, ad esempio, nei primi anni ’90 del secolo scorso erano rimaste solo 13 testuggini). Un destino davvero triste per animali che dettero il loro nome a questi luoghi (“galapàgo” significa, in spagnolo, proprio tartaruga). Solo da poco tempo decisi programmi di eradicazione degli animali domestici sfuggiti all’uomo hanno portato ad un ristabilirsi delle condizioni primitive, anche tramite l’istituzione all’isola di Santa Cruz del Centro Charles Darwin, dove le testuggini delle Galàpagos vengono allevate per essere reintrodotte là dove l’improvvida azione umana le ha fatte scomparire. Un buon numero di tartarughe sopravvive anche sull’isola Isabela.

76 Le tartarughe Le tartarughe dell’isola di San Salvador sono più rotonde, più scure e più appetitose a mangiarsi. Quelle dell’ isola di Espanola e della vicina Santa Maria, hanno la parte anteriore del guscio rivolta in su come una sella.

77 Iguana di mare (Amblyrhinchus cristatus)
Punta Suarez Il secondo protagonista di questa parte dell’Isola Espanola è la famosissima iguana marina che non incontrò il favore del naturalista britannico; tuttavia, come è noto, su queste isole vivono due specie di iguane L’Iguana marina (Amblyrhynchus cristatus) è più piccola e di colore nero sporco. Vivono in branchi numerosi esclusivamente sulle scogliere, si nutrono di alghe e, pur respirando con i polmoni, esse resistono sott’acqua per più di un’ora e nuotano serpeggiando con la robusta coda, mentre tengono le zampe ferme e aderenti al corpo. In caso di pericolo esse cercano rapidamente rifugio sulla terraferma. L’Iguana di terra ha il dorso rosso bruno e il ventre arancio giallastro e non si mescola mai con la specie marina. Essa abita sempre nell’entroterra e il terreno delle isole è sconvolto da numerosissime buche scavate, senza fretta, da questi animali, nutrendosi di cactus. Iguana di mare (Amblyrhinchus cristatus) Iguana di Terra CONTINUA

78 Iguana di terra “Osservai a lungo una di queste lucertole (Conolophus subcristatus) scavarsi la tana, finché non fu affondata per metà nel terreno, allora mi avvicinai e la tirai per la coda; essa fu molto sorpresa e uscì subito fuori a vedere cosa succedeva; poi mi guardò fisso come per dire: perché mi tieni la coda?”. Alcuni tipici adattamenti di questo animale sono la coda e le zampe molto robuste per scavarsi delle buche dentro cui rintanarsi nelle ore più calde della giornata (coda e zampe posteriori funzionano come una sorta di base d’appoggio mentre le zampe anteriori munite anche di robuste unghie scavano la buca), ma soprattutto lo sviluppo di un apparato digerente adatto a mangiare i cactus spinosi, simile a quello di un ruminante. L’habitat delle iguane di terra è la parte interna dell’isola, arida e con il suolo di un colore rosso-scuro, e il colore di questi animali li mimetizza rispetto all’ambiente. Darwin non aveva gran simpatia per questi rettili, che descrive così: “Come i loro parenti, sono animali brutti, di colore gialliccio arancione inferiormente e rosso bruniccio sul dorso e a causa del basso angolo facciale hanno un’espressione particolarmente stupida. Sono forse di statura un poç minore della specie marina, ma parecchie pesavano da quattro chili e mezzo a sette chili. Hanno movimenti pigri e torpidi. Quando sono spaventate, camminano lentamente, con la coda e il ventre sollevati da terra. Si fermano spesso e sonnecchiano per un minuto o due, con gli occhi chiusi e le zampe posteriori allargate sul terreno riarso. […] Abitano in tane che scavano qualche volta fra i blocchi di lava, ma più spesso su tratti piani del soffice tufo simile ad arenaria.”. […] Quando scava la buca, l’animale usa alternativamente i lati opposti del corpo […]. Osservai a lungo un individuo fino a quando metà del suo corpo fu sepolto; mi avvicinai allora e lo tirai per la coda; ne fu molto stupito e subito risalì per vedere di cosa si trattasse e poi mi fissò in viso come per dire: “Perche’ mi tiri la coda?”

79 Iguana di mare “E’ comunissima su tutte le isole dell’arcipelago e vive esclusivamente sulle coste marine rocciose, non essendo mai stata trovata (o almeno io non ne vidi mai) neppure a dieci metri nell’entroterra. E’ una creatura di aspetto orribile, di colore nero sporco, stupida e lenta nei movimenti. La lunghezza normale di un adulto è di circa un metro, ma vene sono anche di un metro e venti; un grande esemplare pesa nove chili. Si vedono occasionalmente nuotare a qualche centinaio di metri dalla riva. si può spesso osservare un gruppo di sei o sette di questi orribili rettili sulle nere rocce, pochi centimetri sopra le onde, godersi il sole a zampe distese.”

80 Iguana di mare Le iguane marine sono dei “lucertoloni” neri con marezzature rosse sul corpo, che vivono, in tutto il mondo, solo sugli scogli e nel mare delle Galapagos. Di questi incredibili bestie Darwin ebbe un’impressione piuttosto negativa: “E’ comunissima su tutte le isole dell’arcipelago e vive esclusivamente sulle coste marine rocciose, non essendo mai stata trovata (o almeno io non ne vidi mai) neppure a dieci metri nell’entroterra. E’ una creatura di aspetto orribile, di colore nero sporco, stupida e lenta nei movimenti. La lunghezza normale di un adulto è di circa un metro, ma vene sono anche di un metro e venti; un grande esemplare pesa nove chili. Si vedono occasionalmente nuotare a qualche centinaio di metri dalla riva. Si può spesso osservare un gruppo di sei o sette di questi orribili rettili sulle nere rocce, pochi centimetri sopra le onde, godersi il sole a zampe distese.” A proposito delle loro abitudini alimentari, lo scienziato scrive:”Non si deve però credere che vivano di pesce.” E per avvalorare questa dichiarazione, spiega cosa aveva trovato nello stomaco degli individui da lui catturati e sezionati, deducendo che questi strani rettili, contrariamente alle impressioni, si cibano esclusivamente delle alghe di specie diverse che crescono in folti ciuffi sulle rocce bagnate dalla marea. Tuttavia, in questi ultimi anni sono stati osservati diversi individui di questa specie intenti a mangiare i cactus più vicini alla costa. Forse è in atto un’ulteriore modificazione evolutiva di questi animali?

81 La Sula dai piedi azzurri
Una Sula dai piedi azzurri (Sula nebouxi) in cova.

82 Le sule Vi è anche una specie dai piedi rossi e una completamente bianca con una sorta di mascherina nera sulla fronte. Ciò che colpisce Darwin sono le parate nuziali, durante le quali i maschi in competizione per la conquista delle femmine prima di tutto ostentano in modo vistoso le loro zampe palmate di colore azzurro per distinguersi dalle altre specie.

83 Poiana delle Galapagos
E’ uno degli uccelli più rari del mondo, e non mostra paura dell’uomo, “…Sembrerebbe che gli uccelli di questo arcipelago non avendo fino ad ora imparato che l’uomo è un animale più pericoloso della tartaruga, non vi badino, allo stesso modo che in Inghilterra gli uccelli timidi, come le gazze, non badano alle mucche ed ai cavalli che pascolano nei campi.”, del resto aggiunge “… Un fucile è qui quasi superfluo, perché con la canna spinsi via un falco dal ramo di un albero …”. Una poiana delle Galapagos (Buteo galapagoensis) si riposa su un immenso cactus

84 Le foche Un gruppo di femmine di Otaria delle Galapagos (Zalophus californianus wollebaeki) si esibiscono stravaccate al sole, allattando i piccoli, caracollando sulla battigia, immergendosi, lanciando i loro rochi richiami. Tanto sono maldestri sulla terraferma, quanto sono veloci e agile in acqua, e capaci quindi di difendersi dal loro terribile predatore, lo squalo.

85 I vulcani sopra il mare Le forme arrotondate delle Galapagos denunciano la loro origine vulcanica. Studiando la loro posizione geografica e la conformazione geologica gli studiosi hanno concluso che la sorte delle Galàpagos è segnata: tra qualche milione di anni gli spostamenti delle placche terrestri porteranno l’arcipelago ad inabissarsi sotto il continente sudamericano.

86 Un punto caldo nella crosta terrestre
Le Galapagos sono isole vulcaniche: come si sono formate e quale sarà il loro destino?

87 L’origine delle Isole Galapagos
Le ISOLE GALAPAGOS rappresentano la sommità di edifici vulcanici radicati nella crosta oceanica pacifica. Sulle isole si accumulano colate di lava dalle superfici ondulate, modellate in forme allungate che ricordano enormi spirali a corda, indice di un magma molto caldo e fluido di tipo basaltico. Secondo la teoria della tettonica delle placche la superficie del nostro pianeta sarebbe suddivisa in zolle rigide in moto relativo tra di loro (“deriva”). La maggior parte dei terremoti e dei vulcani si concentra lungo le linee di sutura tra le diverse placche. Isole vulcaniche di questo tipo sono ad esempio le Marianne, l’Islanda, le Hawaii, le Fiji o Tahiti. In questi arcipelaghi, le isole sono distribuite a distanze regolari lungo una precisa direzione. Anche l’età dei vulcani segue lo stesso andamento. Questi sembrano perciò il frutto di un fenomeno radicato a grande profondità al di sotto delle “placche” mobili. Il magma si originerebbe in un “punto caldo” sottostante e fisso. Le placche sovrastanti ne trascinerebbero progressivamente alla deriva i prodotti vulcanici superficiali. Le isole Galapagos (v. figura diapositiva precedente) sono molto vicine alla sutura tra due placche (“Cocos” e “Nazca”), ma non esattamente coincidenti con essa. Per la verità Darwin nel 1853 osservò, anche se a scala ridotta, la distribuzione rettilinea dei vulcani di queste isole. Non, tuttavia, lungo un solo allineamento, ma lungo due, uno verso nord-est e l’altro verso sud-est. Questo duplice andamento ha trovato spiegazione solo in anni molto più vicini a noi, nella geologia dei fondali oceanici. Le isole risultano sorgere all’estremità di due imponenti rialzi del fondale: Il “Cocos Ridge” a nord-est ed il “Carnegie Ridge” ad est. Si tratta di accumuli lavici sommersi, con rilievo di oltre mille metri rispetto al circostante fondale oceanico. Sarebbero questi rialzi, similmente a quanto proposto per gli archi di isole tipo Hawaii, la traccia del passaggio della placca al di sopra del “punto caldo” delle Galapagos. Il vicino “Galapagos Rift”, una dorsale vulcanica totalmente sommersa di 25 Ma di anni, costituisce il limite tra le due placche di Nazca e di Cocos. Da allora i vulcani delle Galapagos avrebbero prodotto i rialzi di Carnegie e Cocos, trascinati dalle due placche in due direzioni diverse. Attualmente la placca di Nazca, cui le isole Galapagos appartengono, si sta muovendo ad una velocità di circa cm/anno verso la placca sudamericana. La sutura è rappresentata da una “fossa” (“fossa di Colombia”) dove la placca di Nazca si inabissa al di sotto della placca sudamericana (“subduzione”). Mentre il punto caldo delle Galapagos resta fisso, la placca di Nazca trasporterà le isole e la dorsale di Carnegie facendole infine scomparire al di sotto della placca sudamericana. La placca di Cocos trasporta invece la dorsale di Cocos alla deriva verso nord. La particolare posizione geografica delle isole fa sì perciò che i loro prodotti vulcanici vengano trasportati lungo due direzioni diverse. Anche l’osservazione di Darwin circa la distribuzione dei vulcani delle Galapagos si è dunque rivelata preziosa.

88 Un gruppo di Sule ha nidificato all’interno di un vulcano spento.
I nidi nel vulcano Un gruppo di Sule ha nidificato all’interno di un vulcano spento. Un ragno endemico del Volcano Alcedo

89 San Cristobal Qui, in mezzo alle barche, gli animali imperano.
Le otarie se ne stanno stravaccate sulla spiaggia o addirittura sui battelli, mentre tutt’attorno sostano impettiti pellicani bruni (Pelecanus occidentalis). Se ci si immerge con la maschera subacquea nelle acque di una spiaggetta vicino al porto, si possono vedere dei bellissimi pesci angelo blu e gialli (Holocanthus passer), e nuotare insieme a loro tra le otarie. Queste si divertono a giocare, prima di sgranocchiarli, con dei ricci marini tutti gialli. Una volta a terra, Darwin si trovò a camminare su una distesa accidentata di lava nera, disposta in bizzarre ondulazioni ed intersecata da grossi crepacci. Presso la costa la vegetazione era stenta, bruciata dal sole, ma, avventurandosi nell’interno, il naturalista incontrò le prime due tartarughe giganti, mentre stavano mangiando pezzi di cactus. “Quando mi avvicinai una mi guardò fisso, e se ne andò lentamente, l’altra emise un sibilio profondo e tirò dentro il capo. Questi enormi rettili, circondati dalla nera lava, dai cespugli senza fiori e dai grandi cactus, mi parvero animali antidiluviani”. Darwin scopre che, anche se le isole dell’Arcipelago sono poco distanti tanto che dall’una si possono vedere i profili montuosi dell’altra, su ogni isola vive un tipo di tartaruga particolare.

90 LA LAVA Torrenti di lava “a corda” nella Sullivan Bay, sull’isola di San Salvador.

91 L’isola Espanola CONTINUA
Chiamata da Darwin Hood, presenta uno degli spettacoli più splendidi dell’arcipelago “Punta Suarez”. Qui, lungo un sentiero di poco più di un chilometro, c’è da vedere di tutto: la rarissima poiana delle Galapagos, sule dai piedi azzurri,e altre due specie di sule, albatri delle Galàpagos, fetonti, gabbiani coda lunga e tanti esemplari di iguana marina, abbarbicati ai neri scogli di lava sullo sfondo di un mare color inchiostro stilografico. Ma quello che più colpisce è il comportamento della fauna dell’arcipelago, che stupì anche Darwin: “Concluderò la mia descrizione della storia naturale di queste isole, dando una relazione sull’estrema dimestichezza degli uccelli. Questa attitudine è comune a tutte le specie terrestri e cioè ai tordi beffeggiatori, fringuelli, scriccioli, pigliamosche tiranni, alla tortora e alla poiana. Tutti si avvicinano spesso tanto da poter essere uccisi con una frusta e qualche volta, come ho provato io stesso, con un berretto o un cappello. Un fucile è qui quasi superfluo, perché con la canna spinsi via un falco dal ramo di un albero. Un giorno, mentre ero sdraiato, un tordo beffeggiatore si posò sull’orlo di una scodella fatta col guscio di una tartaruga, che tenevo in mano, cominciò tranquillamente a bere l’acqua e mi permise di alzarlo da terra mentre era posato sul vaso. Gli isolani di allora si approfittavano dell’ingenuità degli uccelli. Leggete questa testimonianza di Darwin: “Nell’isola Charles vidi un bambino che sedeva presso un pozzo con una bacchetta in mano, con la quale uccideva le tortore e i fringuelli che venivano a bere. Se n’era già procurato un piccolo mucchio per cena e mi disse che aveva sempre avuto l’abitudine di aspettarli vicino a quel pozzo con lo stesso scopo.” CONTINUA

92 L’isola Espanola CONTINUA
Chiunque, a più di 170 anni dal viaggio del Beagle, si trovi su queste isole potrà confermare la fiducia commovente degli uccelli nei confronti degli uomini che oggi, fortunatamente, li rispettano maggiormente. E fu proprio l’insostituibile possibilità di poter osservare questi animali da vicino, che dette a Darwin lo spunto per iniziare le sue ricerche sull’evoluzione naturale. Le prime osservazioni riguardano i famosi fringuelli: “Tutte le specie di questo gruppo di fringuelli – scrive nel suo diario di viaggio – unite in piccoli stormi, vivono sul terreno arido e sterile delle zone più basse. I maschi di tutte queste specie, o certamente della maggior parte, sono di un nero brillante e le femmine (forse con una o due eccezioni) sono brune. Il fatto più curioso è la perfetta gradazione nelle dimensioni del becco delle diverse specie di Geospiza, da uno largo come quello del frosone, a quello di un fringuello (…). Osservando tale gradazione e diversità di struttura in un gruppo piccolo e molto omogeneo di uccelli, si potrebbe realmente immaginare che da un originario esiguo numero di uccelli di questo arcipelago una specie sia stata modificata per finalità diverse.” A Espanola vivono, tra gli altri, i fringuelli dal becco conico (Geospiza conirostris), dal piumaggio nero lavagna, pesanti non più di 25 grammi, razzolare sul terreno sollevando ciottoli in cerca di semi che frantumava col robusto becco. E pare che riesca a smuovere, come qualche ornitologo ha osservato, anche sassi più pesanti di 350 grammi. La cosa più interessante è che ognuna delle tredici specie di fringuelli, come hanno scoperto altri studiosi, ha costumi alimentari diversi: la specie con il becco più grosso mangia semi più duri di cui rompe il guscio; un’altra si nutre di larve d’insetti che estrae dai tronchi servendosi di lunghi steli d’erba; altre mangiano i detriti che cadono dai nidi di uccelli più grandi; altre ancora preferiscono gli insetti e così via. CONTINUA

93 L’isola Espanola Tuttavia, Darwin, nei suoi appunti (Ornithological Notes), aveva scritto: “quando vedo queste isole, tutte in vista l’una dell’altra e ciascuna in possesso solo di uno scarso patrimonio di animali, abitate da questi uccelli, differenti solo, lievemente nella struttura e occupanti la stessa posizione nella Natura, devo sospettare che essi siano solo delle varietà […]. Se esiste un minimo fondamento per queste osservazioni per queste osservazioni, allora la zoologia degli Arcipelaghi dovrà essere riesaminata; giacché questi fatti potrebbero compromettere le stabilità delle specie.” Darwin, dunque, era incline a considerare come varietà di una stessa specie gli individui lievemente diversi che occupano isole diverse ed evidenziava anche la loro somiglianza con altre specie osservate sul continente. Questo, di per sé, non contraddiceva ancora l’interpretazione tradizionale, che ammetteva, comunque, una certa flessibilità delle specie, considerandola anzi necessaria per consentire loro di diffondersi a partire dai propri “centri di creazione”. E’ questo un punto in cui le interpretazioni degli storici divergono, alcuni sostenendo che Darwin non ebbe, durante il viaggio, “rivelazioni” sulla trasmutazione delle specie, nulla lo spinse a pensare in termini di evoluzione, trovò le variazioni tra i gruppi interessanti ma non problematiche; altri, invece, ritenendo che egli individuò prontamente gli elementi a sostegno delle trasmutazione delle specie per giungere così di lì a breve a una diversa spiegazione causale delle loro origine. Ritorneremo su questo punto nella parte riguardante alcune considerazioni sulla sua teoria. Ma se i famosi fringuelli di Darwin non affascinano il visitatore, soprattutto per la loro piccolezza e i colori scuri, gli altri animali dell’Isola Espanola lo riempiono d’ammirazione.

94 Punta Suarez Nella Punta Suarez la fauna offre spettacoli assolutamente stupendi. Due sono le specie più importanti in questo magico luogo: gli albatri e le iguane. Innanzitutto gli albatri. Il suolo ciottoloso e coperto di bassi cespugli ospita una immensa colonia di albatri delle Galapagos (Diomedea irrorata). L’albatro, grandissimo uccello marino cantato da Boudelaire in una celebre poesia, è presente alle Galapagos con una specie del tutto esclusiva, che qui nidifica in circa 12mila coppie. Nella stagione della cova, eleganti nel loro abito bianco e nero su cui spicca il grande becco giallo oro, gli albatri se ne stanno accoccolati sulle uova, con le ali ripiegate. Ali la cui apertura può raggiungere i tre metri, e che dispiegano in volo sulle immensità oceaniche in cui vivono tutto l’anno, bevendo addirittura l’acqua di mare, il cui eccesso di sale espellano dalle narici. L’odore che promana dalle loro deiezioni e dai resti dei pesci e il coro sonoro e discordante dei loro richiami, rendono la visita alla colonia di Punta Suarez qualcosa di indimenticabile. CONTINUA

95 Punta Suarez A Punta Suarez c’è un picco di roccia Leon Dormido (“Leone Dormiente”), un vero e proprio “faraglione” a forma di sfinge, che ospita un grande condominio di animali: in basso è tutto un brulicare di iguane marine che prendono il sole sulle rocce lavate dalle onde; più in alto, dove i massi di lava nera neri sono coperti dalle bianche deiezioni degli uccelli marini, ecco le belle sule mascherate (Sula dactylatra) e le sule dai piedi azzurri (Sula nebouxi). Queste ultime sono esclusive dell’arcipelago e lo si capisce dal grado di confidenza che mostrano nei riguardi dell’uomo. Le sule sono grandi uccelli marini che vivono in tutti i mari del globo. Una di esse, la sula bassana (Morus bassanus), d’inverno arriva qualche volta anche nei nostri mari. Le Galapagos, oltre a queste due varietà, che sono presenti in ogni isola, ne hanno anche una terza con i piedi rossi (Sula sula), che si trova sull’isola Genovese, meno visitata dai turisti, nel settore nord dell’arcipelago. Il volo candido di un fetonte (Phaeton aethereus) dalla lunga ondeggiante coda e dal vistoso becco scarlatto, un uccello oceanico tipico dei mari tropicali.

96 Isola Rabida Camminando sulle rive di un laghetto costiero perso tra la vegetazione e abitato da bei codoni delle Bahamas (Anas bahamensis) dal becco rosso e grigio-celeste, si può assistere a strani “dialoghi” tra otarie, lustre e grasse nel loro pelame bruno, e i fenicotteri cileni rosa confetto. Ma il colore rosa, su queste isole, non è esclusivo dei fenicotteri. Immergendosi nelle acque marine, nemmeno tante calde, è possibile ammirare grandi pesci pappagallo (Scarus ghobban). Le rocce vulcaniche nero carbone delle Galapagos sono ravvivate, nei luoghi sottoposti al lavacro continuo delle onde, dal colore rosso arancio di tantissimi e veloci granchi (Grapsus grapsus) che dividono il luogo con le otarie agili e festose, con i pellicani e con le beccacce di mare americane (Haematopus palliatus) bianche e nere e con un grande becco rosso ceralacca. Il grande darwin, perso dietro ai suoi appassionati studi, non si curava molto degli uccelli comuni anche in altri luoghi che aveva visitato nei tre anni precedenti di navigazione intorno al mondo. E così non ne parla affatto.

97 Isola Bartolomé Forse l’isola dai paesaggi più belli, sormontati come sono da uno strano obelisco di magma solidificato (personaggio obbligato di quasi tutte le cartoline turistiche di quaggiù). E’ strano, ma anche di questa isola Darwin non s’interessa e non descrive le varie specie di uccelli di cui una è veramente singolare e rara, dato che vive solo qui: il pinguino delle Galàpagos (Spheniscus mendiculus). Questo strano, piccolo pinguino che, contrariamente a quanto si possa pensare, vive proprio all’Equatore, è un simpatico giocherellone, nonostante il nome scientifico che significa “piccolo accattone”. Se ne sta sugli scogli, ma, appena uno s’immerge in mare nelle sue vicinanze, è lieto di seguirlo nuotando velocissimamente e compiendo allegre evoluzioni subacquee. Il suo comportamento contraddice quanto di lui dicono gli zoologi come Bernard Stonehouse, secondo il quale questo uccello si dimostrerebbe “sulla terraferma assai fiducioso, mentre in acqua è timido e pauroso al pari di tutti gli altri pinguini”. Tuttavia, che mostri una certa prudenza è anche normale, se si tiene conto dei molti suoi predatori.

98 Isola Santa Maria Darwin vi sostò il 23 settembre del 1836 e in una piccola laguna orlata di mangrovie, alle spalle della spiaggia, osservò un gruppo di fenicotteri e numerose tartarughe, di quest’ultime oggi purtroppo non c’è più traccia, mentre i fenicotteri sono ancora presenti anche in altre isole. Per esempio nella vicina isoletta Ràbida, una numerosa popolazione di fenicotteri convivono pacificamente, in una piccola laguna costiera, con le placide otarie. La pigmentazione di questi uccelli deriva dai crostacei di cui si nutrono.

99 Isola Plaza Sud Insieme all’iguana di mare sulle Galapagos vivono anche le iguane di terra. Attualmente, come anche durante il Viaggio, se ne osservano molte sull’Isola Plaza Sud o Batra (Seymour Sud). A parte l’aspetto, che non rispondeva ai criteri estetici del giovane Darwin, l’iguana terrestre (Conolophus subcristatus) è un animale mite e addirittura simpatico. Osservandoli, si ha l’impressione che questi piccoli mostri preistorici altro interesse non abbiano che quello di mangiare: “Gli individui che abitano la regione inferiore, e sono la maggior parte, di rado hanno modo di assaggiare una goccia d’acqua in tutto l’anno, ma in compenso si rimpinzano dei succulenti cacti i cui rami sono occasionalmente spezzati dal vento. Parecchie volte ne gettai un pezzo a due o tre di essi quando erano insieme ed era molto divertente osservarli mentre cercavano di afferrarlo e di portarselo via in bocca, come cani affamati con un osso.” Per esaminare bene questi indifesi lucertoloni, Darwin ne uccide parecchi. Di tutti esamina gli stomaci, trovandoli pieni solo di resti vegetali. Ma se le iguane terrestri sono rigidamente vegetariane, le persone che nei secoli approdavano in queste isole non si facevano un problema a mangiarsele. Darwin, che le assaggiò, ne dà un giudizio piuttosto definitivo: “Quando sono cotte, queste lucertole danno una carne bianca, che è apprezzata da coloro che hanno uno stomaco superiore a ogni pregiudizio.” Se nell’entroterra la scena è occupata da queste iguane, sulle scogliere della costa si può ammirare la solita serena popolazione animale: otarie stese al sole, gabbiani di diverse specie intenti in animate conversazioni, granchi giallorossi in perlustrazione tra le rocce in cerca di cibo.

100 Santiago A Santiago (la James di Darwin, il quale vi sbarcò il 4 ottobre del 1835) rimase particolarmente colpito dai Granchi Rossi (Grapsus grapsus): corrono sugli scogli di basalto color liquerizia alla ricerca di cibo, sfiorano le Otarie da pelliccia che qui sono particolarmente abbondanti, passeggiano di traverso tra le zampe delle belle Beccacce di mare e degli Aironi della lava intenti alla pesca. Anche se di gabbiani abbiamo parlato poco o niente, considerandoli uccelli ubiquitari e perciò di scarso interesse, non si possono dimenticare due di essi, molto abbondanti nell’Arcipelago. Il primo è il gabbiano della lava (Larus fuliginosus), dal piumaggio grigio e dai sopraccigli bianchi; il secondo è il gabbiano coda di rondine (Creagus furcatus), le cui splendenti zampe rosse risaltano sul grigio ardesia dei massi di lava, in felice contrasto con i piedi azzurri delle sule, qui particolarmente abbondanti e fiduciose.

101 North Seymour Nord Sulle falesie di massi lavici precipiti sul mare, spiccano le macchie rosso fuoco del petto delle nere fregate (Fregata magnificens) in amore. Con un’apertura alare di quasi due metri e una sagoma estremamente affusolata, con ali sottili e lunghe timoniere a coda di rondine, la fregata vive solo nei mari tropicali. Dove si ciba, pensate un po’, quasi esclusivamente di pesci volanti, che riesce a catturare in aria con acrobatiche evoluzioni. Quando è in abito nuziale, il maschio della fregata gonfia una specie di pallone di gomma scarlatta che copre la gola, diventando vistoso e, pare, molto attraente per le femmine, che invece vestono un semplice piumaggio nero (come i maschi, però con il petto e il dorso bianchi. E’ su questa isola che è possibile ammirare questi eleganti uccelli sul nido, costruito sugli arbusti locali. Tutto attorno alle splendide coppie, bianche e rosse sui rami secchi, splendono i fiori gialli dei cespugli di Cordia lutea.

102 I vegetali delle Galapagos
Anche i vegetali che crescevano nelle isole erano di molte specie tra loro simili, ma leggermente diverse, proprio come accadeva per gli animali. “Non avrei mai immaginato che isole distanti fra loro cinquanta o sessanta miglia, della stessa natura rocciosa, con un clima uniforme e una altitudine pressappoco uguale, sarebbero state abitate in modi tanto diversi.” Una specie endemica appartenente al genere Passiflora, che è possibile trovare sull’Isola Santa Maria.

103 Due specie endemiche Una pianta vascolare e una felce, che si possono ammirare sull’isola di Santa Cruz. Sono la Milconia robinsoniana e la Cyathea wheatherbyana.

104 Altre due specie endemiche
A causa del loro lungo isolamento dalla terraferma, tutte le isole oceaniche hanno sviluppato specie caratteristiche e spesso molto diverse dalle piante che si possono trovare sui lontani continenti. Le due specie vegetali qui fotografate sono il Cacabus miersii e una specie del genere Coldenia.

105 Un albero Le lunghe barbe del cosiddetto “muschio spagnolo”.
A Santa Cruz, una delle poche isole con un piccolo centro abitato anche ai tempi di Darwin (in tutto, tra paesi, sentieri, aeroporti, porti, tutto il Parco Nazionale delle Galapagos ha solo il 4 per cento del suo territorio antropizzato), è interessante fare un’escursione nella parte centrale dell’isola, cosa che fece anche Darwin. In alto, dove le nubi che vengono dall’oceano si addensano, la vegetazione arida delle zone più basse lascia il posto ad una strana giungla umida ove impera la macchia di Scalesia, appunto il “muschio spagnolo”, una pianta della famiglia delle Composite che, isola per isola, si presenta con aspetti diversi.

106 I fringuelli delle Galapagos
Ma sono gli uccelli a mostrare a Darwin il più ampio ventaglio di specie. Erano tutte specie caratteristiche dell’arcipelago e non si trovavano in nessun altro luogo. Eppure gli uccelli più piccoli avevano per Darwin un aspetto familiare, erano simili ai fringuelli delle campagne inglesi a lui ben noti. Simili eppure diversi, soprattutto nella forma dei becchi. Torna a Espanola

107 I BECCHI Esaminando i becchi dei fringuelli, disseminati in varie isole dell’arcipelago, Darwin rimase colpito dalla loro diversità. “ Si potrebbe realmente immaginare - scrisse - che da un originario piccolo numero di uccelli di questo arcipelago sia stata presa una specie e modificata per diversi fini.” Becco forte e affilato come una cesoia Becco piccolo a punta, simile a una pinzetta Becco largo e forte, come uno schiaccianoci Becco lungo simile a una pinzetta con la punta larga Becco lungo simile a una pinza con la punta lunga Becco adattato per afferrare i semi tra la polpa e i fiori di cactus Becco adattato per afferrare e tagliare insetti e bruchi Becco adattato per raccogliere piccoli insetti nelle crepe e nelle fenditure del terreno Becco adattato per frantumare piccoli semi duri Becco adattato per frantumare grossi semi duri

108 Come nacque la teoria dell’evoluzione di Darwin
Folgorazione alle Galàpagos o rielaborazione successiva? E’ probabile che siano vere entrambe le ipotesi, conoscendo la personalità di questo grandissimo scienziato. Del resto nel suo “Diario” scrisse:” Luglio [1837] iniziato il Taccuino sull’argomento “trasmutazione delle specie”- all’incirca a partire dal mese di marzo ero stato profondamente colpito dal carattere dei fossili del Sud-America e delle specie che popolano l’arcipelago delle Galàpagos. Sono fatti (e l’ultimo in particolare) che stanno all’origine di tutte le mie idee”. Forse non è corretto dire che Darwin si fosse chiarite improvvisamente le idee alle Galapagos, ma sicuramente esse hanno rappresentato per lui una tappa fondamentale. Quel che, comunque, è opportuno sottolineare è che Darwin rielaborò alcune parti del suo racconto di viaggio, già nel 1837, e in occasione della nuova edizione del 1845, il capitolo dedicato alle Galapagos fu soggetto a vistose revisioni. Esso dunque fornisce una testimonianza storica non tanto di che cosa Darwin comprese già durante il suo viaggio, quanto piuttosto di quel che era giunto a pensare e riteneva di poter dire pubblicamente nel 1845, grossomodo tra il suo rientro in Inghilterra alla fine del 1836 e la pubblicazione dell’Origin nel 1859, periodo durante il quale egli avrebbe svolto una quantità immensa di lavoro teorico e pratico per mettere a punto le sue idee sull’evoluzione. “La storia naturale di queste isole – scrive dunque Darwin – è assai curiosa e degna di molta attenzione. La maggior parte degli organismi sono autoctoni e non si trovano in alcun altro posto e anche gli abitatori delle diverse isole differiscono tra di loro; malgrado ciò essi conservano tutti una marcata affinità con piante e animali sudamericani dai quali sono però separati da un tratto di oceano largo cinque o seicento miglia. L’arcipelago è un piccolo mondo a sé stante, o piuttosto un satellite dell’America, dalla quale ha tratto pochi sperduti coloni e da cui ha ricevuto l’impronta generica dei suoi prodotti indigeni. Se poi si considerano le piccole dimensioni di queste isole, tanto più si accresce la meraviglia per il numero dei loro esseri aborigeni e per la loro limitata diffusione. Vedendo ogni altura coronata dal suo cratere e i confini della maggior parte delle correnti laviche ancora ben distinti, siamo indotti a credere che fino a un periodo geologicamente recente, l’oceano abbia ricoperto ogni cosa senza interruzione. Quindi, sia nello spazio, sia nel tempo, ci sembra di essere qui vicini, in certo qual modo, a quel grande fenomeno, mistero dei misteri, che è la prima comparsa di nuovi esseri su questa terra.” Torna a le Isole Galàpagos

109 Come nacque la teoria dell’evoluzione di Darwin
Segue un elenco estremamente accurato delle diverse specie di uccelli raccolte e tra queste “un singolarissimo gruppo di fringuelli, affini tra loro per la struttura del becco, per la coda corta e per la forma del corpo e del piumaggio. Si tratta di tredici specie ripartite dal signor Gould in quattro gruppi. Tutte queste tredici specie sono peculiari dell’arcipelago e lo stesso vale per l’intero gruppo […]. La cosa più curiosa è la perfetta gradazione del becco delle diverse specie […]. Osservando una tale gradazione e diversità di struttura di un gruppo piccolo e omogeneo di uccelli, si può realmente immaginare che, essendoci originariamente in questo arcipelago solo un esiguo numero di uccelli, una specie sia stata modificata in modo da assolvere finalità diverse.”. Il “signor Gould” è John Gould ( ), uno dei maggiori ornitologi dell’Ottocento, tassidermista presso la Zoological Society e autore di stupende tavole naturalistiche, al quale Darwin affidò le sue collezioni di uccelli. Dai risultati del suo lavoro di classificazione sarebbero derivati o avrebbero trovato conferma gli interrogativi di Darwin. “Perché mai questi minuscoli punti della superficie terrestre, che in tempi geologici non lontani dovevano essere ricoperti dall’oceano, costituiti di lava basaltica, e quindi diversi per struttura geologica dal continente americano, situati in un clima particolare, perché mai – mi chiedo – ebbero abitanti autoctoni associati in diverse proporzioni, sia per qualità, sia per numero, da quelli del continente più vicino, e quindi con equilibri e interferenze reciproche diverse? E perché mai vennero creati con una struttura del tipo di quella degli abitanti dell’America?”. Diventano sempre più evidenti le incongruenze di una spiegazione creazionista, e nella cornice interpretativa dello spazio e del tempo – la distribuzione geografica e i tempi geologici – il “mistero dei misteri” comincerà a trovare soluzione. Ma Darwin si esprime con cautela. Lo abbiamo appena visto a chiedersi perché mai sarebbero stati “creati”, in isole così diverse per struttura dal continente, animali invece così simili a quelli del continente. Ma i suoi dubbi sono altri ancora. “La distribuzione degli inquilini di questo arcipelago non sarebbe forse per nulla strana se, poniamo il caso, un’isola avesse un tordo beffeggiatore e un’altra un uccello d’un genere del tutto diverso; se un’isola avesse un suo genere di lucertola e una seconda un altro genere distinto, o non avesse affatto {…]. Ma il fatto che più fa meraviglia è che parecchie isole abbiano le loro proprie tartarughe, di tordi beffeggiatori, di fringuelli e di numerose piante, e che queste specie abbiano il medesimo posto nella naturale economia dell’arcipelago. Si può supporre che alcune di queste specie rappresentative, almeno nel caso delle tartarughe e di alcuni uccelli, possono in seguito risultare esser niente altro che razze ben distinte, ma anche se così fosse, il fatto conserverebbe sempre grande interesse per il naturalista filosofo.” Domenica 2 ottobre 1836 il Beagle arriva in Inghilterra. Darwin parte immediatamente in carrozza alla volta di Shrewbury. Durante il viaggio sul Beagle ha scritto 770 pagine di diario, 1383 di note sulla geologia e 368 sulla zoologia. A bordo l’equipaggio lo ha soprannominato “il Filosofo”. Ha raccolto 1529 campioni di specie conservati in alcool, 3907 tra pelli, ossa ed esemplari conservati a secco, più una piccola tartaruga presa alle galapagos e che è già cresciuta cinque centimetri.

110 PERCHE’ Tuttavia Darwin per diversi anni non esce allo scoperto. Nei suoi appunti cita più volte Lamarck e arriva a chiamarlo “spirito profetico nella scienza”; ma, in sostanza, è impegnato a prenderne le distanze. “La mia teoria è molto diversa da quella di Lamarck” scrive nel Taccuino B. E “my theory” comincia a diventare un’espressione ricorrente. Ormai, dunque, esiste una teoria darwiniana, ma Darwin è determinato a tenerla privata, anzi privatissima. Perché? Da una parte c’era il Creazionismo, e quanto fossero temibili i suoi esponenti Darwin lo sapeva bene. Non stupisce che, nei Notebooks, ricordi a se stesso le persecuzioni dei primi astronomi. Proprio Wheeler, nella Storia delle scienze induttive (1837), appena pubblicata, aveva di nuovo citato la “eresia” eliocentrica di Copernico, la condanna da parte dell’Inquisizione di Galileo e quella al rogo di Giordano Bruno. Wheeler si pronunciava sprezzante nei confronti di Galileo e di Bruno e li tacciava di arroganza, mentre aveva toni di indulgente giustificazione per l’Inquisizione che aveva agito con moderazione ed esclusivamente perché costretta dalle circostanze. Dall’altra parte c’era il lamarckismo (o quel che si intendeva per lamarckismo, e che Darwin stesso, sulla scia di Lyell, intendeva per lamarckismo): volontarismo, spinta interiore, desiderio, progresso. Del lamarckismo, sebbene apparentemente perdente sul piano scientifico – basti pensare a Grant – si erano appropriati i radicali, perché si sposava bene con le loro idee di autosviluppo della natura e di progresso; e i radicali erano anticlericali e materialisti. Si battevano per le riforme, ma su posizioni estremiste; sobillavano le masse che, in questo periodo di gravissima crisi economica, erano particolarmente disponibili a lasciarsi sobillare: sono gli anni del luddismo, della distruzione delle macchine che tolgono lavoro agli operai. I radicali insomma fomentavano il disordine e contrastavano l’applicazione del Poor Law Emendment Bill, l’emendamento alla cosiddetta “legge dei poveri”, sostenuta dai Whig e che di fatto eliminava quasi completamente ogni forma di assistenza dello Stato nei confronti dei poveri e creava situazioni di forte competizione per il posto di lavoro. Darwin era un Whig, apparteneva alla classe agiata, non aveva alcuna intenzione di rinunciare ai suoi privilegi. Non poteva rischiare che le sue idee sulla trasformazione delle specie fossero strumentalizzate a fini politici. I radicali, per giunta erano anche anti-malthusiani, e proprio allora Darwin aveva trovato in Malthus un’importante chiave interpretativa per affrontare alcuni dei suoi problemi.

111 Darwin e la Biodivesità
Darwin fu il primo a preoccuparsi dell’azione dell’uomo sulla Biodiversità, infatti rileva come pochi siano i paesi che hanno subito mutamenti tanto notevoli quanto quelli avvenuti in Sud-America dopo il 1535, quando sbarcarono all’estuario del Plata i primi coloni con 72 cavalli. Da allora, con l’introduzione di altri animali domestici e con la loro enorme diffusione “mandrie di cavalli, buoi e pecore non solo hanno alterato tutto l’aspetto della vegetazione, ma hanno quasi bandito il guanaco, il cervo e il nandù, e il maiale rinselvatichito sembra aver quasi sostituito il pecari in alcune regioni. In occasione dell’ approdo sulle Isole Falkland, dal 1 marzo 1833 al 10 marzo 1834, egli parla di uno speciale canide, tra il lupo e la volpe, che abitava quelle isole. Lo stesso animale compare anche nella relazione del comandante John Byron che, dopo il naufragio della sua nave The Wager, trovò rifugio nel 1741 su queste isole. Così Darwin:” Il solo quadrupede indigeno è una grande volpe simile a un lupo (Canis antarcticus) comune in entrambe le isole maggiori (…). Questi lupi sono ben noti per la relazione di Byron sulla loro domesticità e curiosità, che i marinai, che si precipitavano in acqua per sfuggirli, scambiavano per ferocia (…). Anche i gauchos, li uccidono spesso la sera, tenendo in mano un pezzo di carne e nell’altra un coltello pronto a colpirli (…). Il loro numero è rapidamente diminuito ed essi sono già banditi dalla metà dell’isola (…). Entro pochi anni, dopo che le isole saranno regolarmente colonizzate, questa volpe sarà probabilmente classificata, con il dodo, come un animale che è sparito dalla faccia della Terra.” Profezia puntualmente avverata, se è vero che il lupo delle Falkland o lupo antartico (Dusicyon australis) si è definitivamente estinto nel 1876, quarant’anni dopo il viaggio del naturalista. Analogamente in Australia:” Pochi anni fa questo paese era pieno di animali selvatici, ma attualmente l’emù è stato respinto molto lontano, e il canguro è diventato più raro: della loro distruzione sono stati largamente responsabili i levrieri inglesi. Ci vorrà forse molto tempo prima che gli animali del luogo vengano completamente sterminati, ma la loro fine è segnata.”

112 Australia Uccello del paradiso Koala è un Emù marsupiale Tuatara
Dalle Isole Galapagos, il Beagle si dirige verso Tahiti e la Nuova Zelanda per approdare, il 12 gennaio 1836, nella baia di Sidney in Australia. Qui Darwin, dopo uno sfortunato (per lui) tentativo di caccia al canguro in cui non riuscì a vedere neppure un esemplare, osservò per la prima volta l’ornitorinco e il suo compagno d’avventura ne uccise uno. Tutti i mammiferi australiani hanno il marsupio come il canguro che è un po’ il simbolo del continente. Durante l’ultima glaciazione giunsero in Australia le prime popolazioni umane con i loro animali domestici. Da quel momento per gli animali autoctoni sono iniziati seri problemi di sopravvivenza, aggravati con la colonizzazione di questo continente da parte degli Europei a partire dal ‘700. Il motivo di queste estinzioni è da ricercarsi proprio nel contatto con specie alloctone, oltre alla caccia operata dai coloni. Infine, dopo migliaia di miglia di mare, il 2 ottobre dello stesso anno il comandante Fitz Roy con il suo equipaggio calò le ancore nel porto di Falmouh in Inghilterra. E lì, conclude Darwin, “lasciai il Beagle, dopo aver vissuto quasi cinque anni a bordo della buona, piccola nave”. Tuatara Canguro Ornitorinco Echidna Lupo della Tasmania: estinto Kiwi Insetto stecco Geco australiano

113 Bibliografia “Viaggio di un naturalista intorno al mondo” è disponibile nelle edizioni Einaudi 1989 e Feltrinelli 1982, che, per la cura di P. Omodeo comprende anche l’”Autobiografia” e le “Lettere” (1831 – 1836). “Sulla rotta di Darwin” di F. Pratesi – Carlo Gallucci editore, 2007. “Darwin: una vita per un’idea, la teoria dell’evoluzione” di B. Continenza – “I grandi della scienza”, Le Scienze.


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