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INTERVENTO SOCIALE INTERVENTO RESIDUALE INTERVENTA ASSISTENZIALE

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Presentazione sul tema: "INTERVENTO SOCIALE INTERVENTO RESIDUALE INTERVENTA ASSISTENZIALE"— Transcript della presentazione:

1 INTERVENTO SOCIALE INTERVENTO RESIDUALE INTERVENTA ASSISTENZIALE
BENEFICENZA PRIVATA INTERVENTA ASSISTENZIALE BENEFICENZA PRIVATA

2 WELFARE STATE WELFARE MUNICIPALE Autonomia legislativa delle regioni
Centralità assoluta del comune

3 Valorizzazione del principio di sussidiarietà
WELFARE SOCIETY Decentramento amministrativo Riduzione della presenza diretta delle istituzioni pubbliche Valorizzazione del principio di sussidiarietà

4 328/2000 AZIONE PARTECIPATA COMUNITARIA CENTRALITÀ DEI CITTADINI
Semplificazione amministrativa Riforma delle autonomie locali Evoluzione revisionistica del testo costituzionale 328/2000 AZIONE PARTECIPATA COMUNITARIA CENTRALITÀ DEI CITTADINI

5 Il principio di sussidiarietà
Consiste nel far svolgere all’ente gerarchicamente più in basso tutti i compiti di cui è capace lasciando all’ente sovraordinato un intervento in caso ce ne sia necessità

6 Cittadinanza attiva Soggetti Terzo settore Comunità Autorità suprema
(vigilanza,direzione,repressione) Autorità inferiore (affari minori) Cittadinanza attiva Sono soggetti che prendono parte in modo regolare alle attività di governo Soggetti Terzo settore Comunità

7 Cittadinanza attiva Comunità Soggetti Terzo settore
(insieme di esperienze, tradizioni,pensieri) Soggetti (volontà di un individuo di agire e di essere riconosciuto come attore) Terzo settore (organizzazioni che si caratterizzano per la dichiarata assenza di lucro)

8 IL PIANO DI ZONA Programmazione: attività volta a definire gli orientamenti, i principi e gli obiettivi strategici, attraverso una sequenza cronologica di processi decisionali, organizzativi, di coordinamento e gestionali che conducono alla comprensione ed interpretazione della domanda sociale e alla riqualificazione dell’offerta.Il fine ultimo della programmazione è di fornire un profilo del contesto quanto più vicino alla realtà per poter realizzare dei progetti specifici.Essa oggi si caratterizza per un approccio bottom up (dall’alto verso il basso) che deve rispondere ai bisogni della società e non ridursi ad una logica di razionalità strumentale, secondo modalità di razionalizzazione delle risorse disponibili.Questa logica di programmazione non è più basato sullo spiegare, ma sul comprendere e interpretare. Programmazione sociale: - Modello sinottico - Modello incrementale - Modello policentrico - Modello pertecipativo Modello relazionale: la programmazione si presenta coma la coniugazione tra conoscenza ed intervento, basata sulla costruzione di un sistema: osservazione-diagnosi-guida relazionale (sistema ODG) (Donati )

9 Modello di programmazione multidimensionale
Sfera pubblica Sfera privata Stato delle cose Analisi dei bisogni Co-progettazione degli interventi Realizzazione interventi Co-verifica Esiti desiderati Partecipazione Valutazione

10 Fase dell’analisi dei bisogni: fulcro della programmazione
Ipotesi scenario Metodologia e strumento Raccolta dati Dati oggettivi Dati soggettivi (quantitativi) (qualitativi) Elaborazione dei dati Comprensione ed interpretazione dei dati Individuazione delle priorità

11 Elementi degli obiettivi: fase finale
Bisogni prioritari individuati OBIETTIVI Vincoli Tempi Risorse Metodo

12 Piano di Zona: - strumento attraverso cui coordinare e gestire l’attuazione delle politiche sociali in un determinato territorio; - innovazione legge 328/2000; - sistema di elementi ognuno dei quali influenza ed è influenzato Esso può avere una dimensione: oggettiva: considerato uno strumento della programmazione; soggettiva: considerato un documento Struttura sociale del Piano di Zona: Normativa: comprende valori, norme e aspettative di ruolo; fornisce le prescrizioni dei comportamenti dei partecipanti (Davis 1949); Comportamentale: costituente i comportamenti effettivi che ogni componente dell’organizzazione mette in atto; sono generatori di mutamenti alle norme (Homans 1950)

13 Modello di organizzazione di Leavitt (1965): IL DIAMANTE
Dimensione organizzativa del Piano di Zona: (greco-strumento) “ le organizzazioni sono unità sociali deliberatamente costruiti e ricostruiti per il raggiungimento di fini specifici” (Etzioni e Gross1996) Modello di organizzazione di Leavitt (1965): IL DIAMANTE Adattamento da Scott (1994) ORGANIZZAZIONE Ambiente Struttura sociale Scopi Tecnologia Rappresentazioni di obiettivi desiderati (Scott1994) Partecipanti assumendo una funzione di orientamento ossia una funzione di guida programmatica delle organizzazioni (Etzioni e Gross1996)

14 Modelli di rappresentazione o di visione delle organizzazioni
Identificare le organizzazioni con: sistemi cibernetici: sistemi capaci di autocontrollo e di autoregolazione secondo obiettivi o criteri prescritti dall’ esterno; sistemi aperti: utilizzano risorse ambientali per la propria sopravvivenza; “un organizzazione è un sistema di attività interdipendenti che connettono coalizioni instabili di partecipanti; tali sistemi sono radicati nell’ ambiente in cui operano, dipendono da continui interscambi con esso e ne sono costituiti” (Scott 1994) Modelli di rappresentazione o di visione delle organizzazioni (Kaneklin e Olivetti Manokian 1990): Unidimensionale: funzionale nel orientare comportamenti degli individui, in quanto non si dà adito a possibili interpretazioni diversificate; Pluridimensionale: è multiforme quindi non funzionale nel orientare comportamenti degli individui, idoneo a sgombrare dubbi e incertezze; Binoculare: consente di avere un interpretazione complessiva tale da poter essere nuovamente interpretata e che conduce a tracciare delle linee d’azione senza creare ulteriori conflitti intra/interpersonali.

15 LAVORO SOCIALE Capacità di azione INDIVIDUO Istituzione
del welfare state SISTEMA SOCIALE

16 Per l’operatore sociale è importante :
La conoscenza L’attenzione sulla persona L’azione che porta agli obiettivi finali La formazione degli operatori sociali si sintetizza in diversi punti: Obiettivi manifesti (ampliamento di conoscenze e mutamento del comportamento dell’operatore) Input (la formazione può essere richiesta o dall’operatore singolo o si può basare sulle dinamiche di ruolo) Output (operatori formati con un nuovo bagaglio conoscitivo)

17 Gli operatori sociali svolgono questo lavoro per diverse motivazioni:
Primaria che consiste nei bisogni fisiologici se alcuni di questi gli vengono privati subito l’uomo attiva un rimedio attraverso processi complessi Secondaria non è altro che il denaro Autorealizzazione soddisfacimento dei bisogni di curiosità, competenza, successo

18 Molto spesso tra gli operatori c’è una forte dissonanza
tra ciò che si vorrebbe fare (l’ideale) e la realtà (il reale). Questa situazione porta anche a dei conflitti.

19 IL BURNOUT Applicando la teoria classica di Freidmann (1971), la valorizzazione del lavoro dell’operatore sociale potrebbe avvenire in base: Al valore intellettuale: ogni attività può agire come apprendimento oltre che da stimolo alla partecipazione; Al valore morale: il lavoro sociale unisce al lavoro intellettuale la dignità e la stima di chi compie quel lavoro; Al valore sociale: l’operatore sociale deve comprendere e condividere che il suo svolgimento è utile alla collettività.

20 Il termine burnout fa la sua comparsa nel 1974, quando Freudenberger denomina burnout un certo quadro sintomatologico tendente a diventare cronico registrato tra operatori di servizi socio-assistenziali esposti agli stress di un rapporto diretto e continuativo con un utenza molto disagiata. “Il burnout è una sindrome di esaurimento emozionale, di spersonalizzazione e di riduzione delle capacità personali che può presentarsi in soggetti che per professione “si occupano della gente”. Si tratta di una reazione alla tensione emozionale cronica creata dal contatto continuo con altri esseri umani, in particolare quando essi hanno problemi o motivi di sofferenza. Quindi si può considerare un tipo di stress occupazionale, ma il fattore caratteristico del burnout è che lo stress sorge dalla interazione sociale tra l’operatore il destinatario dell’aiuto.” (Maslach 1982) “Il burnout è il risultato non tanto dello stress in sé, ma dello stress non mediato, dell’essere stressati senza via d’uscita, senza elementi di moderazione, senza sistema di sostegno.” (Farber1983) ………………………….

21 Definizione transazionale del burnout Cherniss 1983
STRESS ESAURIMENTO CONCLUSIONE LAVORATIVO DIFENSIVA Richiesta Tensione nervosa Distaccamento Fatica Ritiro Irritabilità Cinismo Risorse Ansietà Rigidità disponibili


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