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L’amore nella letteratura latina:

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Presentazione sul tema: "L’amore nella letteratura latina:"— Transcript della presentazione:

1 L’amore nella letteratura latina:
passi scelti di poeti dell’età di Cesare e di Augusto Prof.ssa Adele Galli

2 Valerio Edituo (fine del II sec. a
Valerio Edituo (fine del II sec. a.C) tramandato da Aulo Gellio, “Notti attiche”, 19,9 I precursori Quid faculam praefers, Phileros, quae nil opus nobis? ibimus, sic, lucet pectore flamma satis. istam nam potis est vis saeva extinguere venti aut imber caelo candidus praecipitans; at contra hunc ignem Veneris, nisi si Venus ipsa, nulla est quae possit vis alia opprimere.  Perché, Filero, tieni alta la fiaccola? Non ne abbiamo bisogno; andiamo così: basta la fiamma che mi brilla nel petto. Questa non la può spegnere la forza crudele del vento O la candida neve che scende dal cielo; questo fuoco di Venere, non c’è nessuna forza, se non Venere stessa, che lo possa estinguere.

3 Levio (inizio I sec. a.C.) Te Andromacha perdudum manu lascivola ac tenellula capiti meo, trepidans, libens, insolito plexi munere. Te per gioco con l’agile delicata manina, Andromaca intrecciò con alacrità e amorosamente, quale ornamento insolito per il mio capo.

4 Catullo (circa 80-50 a.C): una drammatica lacerazione interiore.
Lesbia = Clodia Cicerone, Pro Caelio 49 Si quae non nupta mulier domum suam patefecerit omnium cupiditati palamque sese in meretricia vita collocarit, virorum alienissimorum conviviis uti instituerit, si hoc in urbe, si in hortis, si in Baiarum illa celebritate faciat, si denique ita sese gerat non incessu solum, sed ornatu atque comitatu, non flagrantia oculorum, non libertate sermonum, sed etiam complexu, osculatione, actis, navigatione, conviviis, ut non solum meretrix, sed etiam proterva meretrix procaxque videatur: cum hac si qui adulescens forte fuerit, utrum hic tibi, L. Herenni, adulter an amator, expugnare pudicitiam an explere libidinem voluisse videatur?

5 Traduzione Ma se una donna, che non abbia marito, apra la casa propria alle brame di tutti, si metta a fare apertamente una vita da meretrice, usi banchettare con uomini a lei affatto estranei; se questo essa faccia in città, in villa, in mezzo alla folla di Baia; se si comporti, non solo nel modo di camminare ma anche nel modo di acconciarsi e nella compagnia, non solo nello scintillio degli occhi e nella libertà del linguaggio ma anche coi baci e gli abbracci sulle spiagge e a bordo e a cena, in modo tale da manifestarsi prostituta, non soltanto, ma prostituta sfrontata e procace: dimmi tu, Erennio, un giovanotto che per caso le si accompagnasse lo chiameresti tu adultero, o amante; diresti tu ch'egli voglia attentare al pudore di lei, o soddisfarne la libidine?

6 Catullo, Carme 51 Ille mi par esse deo videtur, ille, si fas est, superare divos, qui sedens adversus identidem te       spectat et audit dulce ridentem, misero quod omnis eripit sensus mihi: nam simul te, Lesbia, aspexi, nihil est super mi       <Lesbia, vocis,> lingua sed torpet, tenuis sub artus flamma demanat, sonitu suopte tintinant aures, gemina et teguntur       lumina nocte. - otium, Catulle, tibi molestumst: otio exultas nimiumque gestis: otium et reges prius et beatas       perdidit urbes.

7 Egli simile mi sembra essere ad un dio, egli, se e lecito, sembra superare gli dei, lui che sedendo di fronte continuamente ammira ed ascolta sorridere dolcemente, cosa che toglie a me poveretto tutti i sensi: appena ti scorsi, Lesbia, nulla mi resta, ma la lingua si blocca, sotto le membra una sottile fiamma emana, del loro stesso suono tintinnano le orecchie, anche le gemelle luci si coprono di notte. Il riposo, Catullo, ti è nocivo: esulti di riposo e smani troppo; il riposo in passato ha distrutto re e città felici.

8 Sappho (VII-V sec. a.C)., fr 31 V
φαίνεταί μοι κῆνος ἴσος θέοισιν ἔμμεν' ὤνηρ, ὄττις ἐνάντιός τοι ἰσδάνει καὶ πλάσιον ἆδυ φωνεί-     σας ὐπακούει καὶ γελαίσας ἰμέροεν, τό μ' ἦ μὰν καρδίαν ἐν στήθεσιν ἐπτόαισεν, ὠς γὰρ <ἔς> σ' ἴδω βρόχε' ὤς με φώναισ'     οὐδ' ἒν ἔτ' εἴκει, ἀλλ' †κὰμ μὲν γλῶσσα †ἔαγε λέπτον δ' αὔτικα χρῶι πῦρ ὐπαδεδρόμηκεν, ὀππάτεσσι δ' οὐδὲν ὄρημμ', ἐπιρρόμ- ἐπιβρόμεισι     βεισι δ' ἄκουαι, †έκαδε μ' ἴδρως [ψῦχρος] κακχέεται τρόμος δὲ παῖσαν ἄγρει, χλωροτέρα δὲ ποίας ἔμμι, τεθνάκην δ' ὀλίγω 'πιδεύης     φαίνομ' ἔμ' αὔται· ἀλλὰ πὰν τόλματον ἐπεὶ †καὶ πένητα† Come uno degli Dei, felice chi a te vicino così dolce suono ascolta mentre tu parli e ridi amorosa. Subito a me il cuore in petto s’agita sgomento solo che appena ti veda, e la voce si perde sulla lingua inerte. Rapido fuoco affiora alle mie membra, e ho buio negli occhi e il rombo del sangue alle orecchie. E tutta in sudore e tremante come erba patita scoloro: e morte non pare lontana a me rapita di mente.

9 Catullo, carme 109 Iocundum, mea vita, mihi proponis amorem hunc nostrum inter nos perpetuumque fore. - di magni, facite, ut vere promittere possit, atque id sincere dicat et ex animo, ut liceat nobis tota perducere vita aeternum hoc sanctae foedus amicitiae. Promettimi, vita mia, che Questo nostro amore fra di noi sarà felice ed eterno. O dei venerabili, fate che possa promettere con verità,    E dica ciò sinceramente e dal profondo dell'animo, In modo che sia possibile a noi continuare per tutta la vita,    Questo eterno patto d'amicizia.

10 Catullo, carme 85 Odi et amo. quare id faciam, fortasse requiris. nescio, sed fieri sentio et excrucior. Odio e amo. Forse mi chiedi come io faccia. Non lo so, ma sento che ciò accade, e sono messo in croce.

11 Anacreonte, VI-V sec. a.C. (Frammento 46, Gentili)
Ὲρέω τε δηὖτε κοὐκ ἐρέω, καὶ μαίνομαι κοὐ μαίνομαι. Amo e non amo, sono pazzo e non sono pazzo

12 Catullo, Carme 5 Vivamus, mea Lesbia, atque amemus, rumoresque senum severiorum omnes unius aestimemus assis. soles occidere et redire possunt: nobis, cum semel occidit brevis lux, nox est perpetua una dormienda. da mi basia mille, deinde centum, dein mille altera, dein secunda centum, deinde usque altera mille, deinde centum. dein, cum milia multa fecerimus, conturbabimus illa, ne sciamus, aut nequis malus invidere possit, cum tantum sciat esse basiorum Viviamo, mia Lesbia, e amiamoci e ogni mormorio perfido dei vecchi valga per noi la più vile moneta. Il giorno può morire e poi risorgere, ma quando muore il nostro breve giorno, una notte infinita dormiremo. Tu dammi mille baci, e quindi cento, poi dammene altri mille, e quindi cento, quindi mille continui, e quindi cento. E quando poi saranno mille e mille nasconderemo il loro vero numero, che non getti il malocchio l'invidioso per un numero di baci così alto.

13 Lucrezio (prima metà I sec. a
Lucrezio (prima metà I sec. a.C): l’amore-passione come follia irrazionale e come pericolo da evitare. De Rerum Natura, IV 1073 seqq. Nec Veneris fructu caret is qui vitat amorem, nec Veneris fructu caret is qui vitat amorem, sed potius quae sunt sine poena commoda sumit; nam certe purast sanis magis inde voluptas quam miseris; etenim potiundi tempore in ipso fluctuat incertis erroribus ardor amantum nec constat quid primum oculis manibusque fruantur. quod petiere, premunt arte faciuntque dolorem corporis et dentes inlidunt saepe labellis osculaque adfigunt, quia non est pura voluptas et stimuli subsunt, qui instigant laedere id ipsum, quod cumque est, rabies unde illaec germina surgunt. Non si priva delle gioie del sesso chi evita di innamorarsi, ne coglie anzi i piaceri senza averne a soffrire. Chi é indenne dall'amore ne trae un piacere più puro di chi ne è afflitto. Perché anche nel momento del possesso si dibatte con smaniosa frenesia l'ardore degli amanti, che non sanno cosa soddisfare per primi: se gli occhi o le mani. Ciò che desiderano, lo tengono stretto procurando dolore al corpo, conficcando spesso i denti nelle tenere labbra e imprimendovi baci violenti. Segno che il loro piacere non è puro, che uno spasimo segreto li porta a far male a quello stesso corpo.

14 Orazio (65-8 a.C): l’eros come leggerezza
Orazio, Odi, I, 9 Vides ut alta stet nive candidum Soracte nec iam sustineant onus silvae laborantes geluque flumina constiterint acuto? Dissolue frigus ligna super foco large reponens atque benignius deprome quadrimum Sabina, o Thaliarche, merum diota. Permitte divis cetera, qui simul stravere ventos aequore fervido deproeliantis, nec cupressi nec veteres agitantur orni. Quid sit futurum cras, fuge quaerere, et quem fors dierum cumque dabit, lucro adpone nec dulcis amores sperne, puer, neque tu choreas, donec virenti canities abest morosa. Nunc et Campus et areae lenesque sub noctem susurri composita repetantur hora, nunc et latentis proditor intumo gratus puellae risus ab angulo pignusque dereptum lacertis aut digito male pertinaci. Vedi come il Soratte si leva biancheggiante di molta neve, né ormai reggono al peso le selve sovraccariche, e i fiumi stanno fermi per il ghiaccio pungente. Discaccia il freddo, o Taliarco, riponendo legna in quantità sul focolare, e cava più largamente dall’anfora sabina il vino di quattro anni. Rimetti ogni altra cura agli dèi, per opera de’ quali, cessate appena le battaglie dei venti sul procelloso mare, né gli annosi cipressi, né gli orni hanno più alcun fremito. Non domandarti quel che sarà per accadere domani e qualunque altro giorno ti concederà la sorte, tienilo per un guadagno; né disprezzare, giovane come sei, i dolci amori, né le danze, finché dalla tua fiorente età è lontana la bisbetica vecchiezza. Adesso ti siano cari il campo di Marte e le piazze, e i discorsi a voce bassa sul far della notte si rinnovino all’ora stabilita; e si rinnovi anche il riso piacevole della fanciulla, il quale la tradisce, mentre si nasconde nell’angolo più remoto, e il pegno che tu le strappi dalle braccia o dal dito, che resiste debolmente.

15 Orazio, Odi, I, 5 Quis multa gracilis te puer in rosa perfusus liquidis urget odoribus grato, Pyrrha, sub antro? cui flavam religas comam, simplex munditiis? Heu quotiens fidem mutatosque deos flebit et aspera nigris aequora ventis emirabitur insolens, qui nunc te fruitur credulus aurea, qui semper vacuam, semper amabilem sperat, nescius aurae fallacis. Miseri, quibus intemptata nites. Me tabula sacer votiva paries indicat uvida suspendisse potenti vestimenta maris deo. Chi è, Pirra, il giovane esile / che ti stringe, umido di profumi, / sul letto di rose della tua grotta? / per chi con grazia misurata annodi / i tuoi capelli biondi? Quanto dovrà / lamentare la tua infedeltà, l’avversità / degli dei e osservare stupito le acque / agitate da un vento oscuro, / se ora senza sospetto ti gode dorata / e sempre libera ti spera, degna d’amore, / ignaro dell’inganno che respira. / Sventura a chi risplendi sconosciuta. / Per me su una parete sacra / la tavola votiva testimonia / che al dio potente del mare / le vesti bagnate ho consegnato.

16 e ) L’universo elegiaco: otium e militia amoris e1) Cornelio Gallo e l’antidoto all’amore dell’amico Virgilio tristia nequit[ia     . . .]a, Lycori, tua. [tempora sic nostrae perierunt grata iuventae] tristia nequit[ia fact]a Lycori tua. (Parson-Nisbet 1979) Così finirono i dolci tempi della nostra giovinezza, resi tristi, o Licoride, dalla tua dissolutezza. [dulcia sunt alienis eheu mea sed mihi fata] tristia nequit[ia fact]a Lycori tua (Lee 1980) Dolci fati ad altri, ma a me tristi, resi tali dalla tua dissolutezza, o Licoride. [nunc ego fata pati despecto cogor amore] tristia nequit[ia fact]a Lycori tua. (Newman 1980) Ora io, disprezzato il mio amore, sono costretto a subire tristi fati, resi tali dalla tua dissolutezza, o Licoride

17 Virgilio, Bucoliche, ecloga X, passim
Hic gelidi fontes, hic mollia prata, Lycori, hic nemus; hic ipso tecum consumerer aevo. nunc insanus amor duri me Martis in armis tela inter media atque adversos detinet hostis. tu procul a patria (nec sit mihi credere tantum) Alpinas, a, dura, nives et frigora Rheni me sine sola vides. a, te ne frigora laedant! a, tibi ne teneras glacies secet aspera plantas! ibo et Chalcidico quae sunt mihi condita versu carmina pastoris Siculi modulabor avena. certum est in silvis inter spelaea ferarum malle pati tenerisque meos incidere amores arboribus: crescent illae, crescetis, amores. non illum nostri possunt mutare labores, nec si frigoribus mediis Hebrumque bibamus, Sithoniasque nives hiemis subeamus aquosae, nec si, cum moriens alta liber aret in ulmo, Aethiopum versemus ovis sub sidere Cancri. omnia vincit Amor: et nos cedamus Amori."

18 Qui fonti fresche, qui teneri prati, o Licoride, qui c'è il bosco; qui con te mi lascerei consumare solo dal tempo. Ora un folle amore mi tiene stretto fra le armi di Marte crudele, in mezzo ai dardi e faccia a faccia coi nemici: tu lontana dalla patria; potessi non credere ad una notizia di tal genere ! Vedi da sola, senza di me, le nevi delle Alpi e di rigidi freddi del Reno. Ohimè, i freddi non ti facciano male ! Il gelo tremendo non tagli i tuoi teneri piedi !  Andrò e modulerò i versi che ho composto con il metro calcidico con il flauto del pastore siciliano (Teocrito). Ho deciso che preferisco soffrire nei boschi fra le grotte delle belve ed incidere i miei amori sui teneri alberi; questi cresceranno, voi, amori, crescete. I nostri affanni (lavori poetici) non possono cambiare il dio, nemmeno se bevessimo in pieno inverno l'acqua dell'Ebro (Tracia) e affrontassimo le nevi sitonie dell'inverno acquoso; nemmeno se, mentre morente si secca la corteccia sull'alto olmo, pascolassimo le pecore degli Etiopi sotto la costellazione del Cancro: Amore vince tutto, e noi cediamo all'amore". 

19 e2. Tibullo, Elegie, I, 1, vv. 1-11, 51-60 Divitias alius fulvo sibi congerat auro Et teneat culti iugera multa soli, Quem labor adsiduus vicino terreat hoste, Martia cui somnos classica pulsa fugent: Me mea paupertas vita traducat inerti, Dum meus adsiduo luceat igne focus. Ipse seram teneras maturo tempore vites Rusticus et facili grandia poma manu; Nec spes destituat, sed frugum semper acervos Praebeat et pleno pinguia musta lacu. O quantum est auri pereat potiusque smaragdi, Quam fleat ob nostras ulla puella vias. Te bellare decet terra, Messalla, marique, Ut domus hostiles praeferat exuvias; Me retinent vinctum formosae vincla puellae, Et sedeo duras ianitor ante fores. Non ego laudari curo, mea Delia: tecum dum modo sim, quaeso segnis inersque uocer. Te spectem, suprema mihi cum uenerit hora, et teneam moriens deficiente manu.

20 Un altro accumuli per sè ricchezze di biondo oro e possegga molti iugeri di terreno coltivato, e lo
spaventi pure l'ansia continua del nemico vicino e le trombe marziali suonate gli facciano passare il sonno : la mia modesta agiatezza mi faccia passare una vita tranquilla, purchè il mio focolare arda di un fuoco eterno. Io stesso pianti le tenere viti nella stagione propizia e da contadino i grandi alberi da frutto con mano esperta, e non manchi la Speranza, anzi offra sempre mucchi di biada e mosti densi nel catino pieno. O quanto v'è d'oro e smeraldi : perisca, piuttosto che la mia ragazza pianga per i miei viaggi. A te, Messalla, si addice combattere per terra e per mare, affinchè la tua casa faccia bella mostra dei trofei nemici : mi trattengono le catene di una bella ragazza, e siedo come un portinaio davanti alle dure porte. Io non mi preoccupo di essere lodato, mia Delia: purchè io sia con te, di grazia, mi si chiami pure pigro ed inane; che io possa guardarti, quando sarà giunta l'ora suprema per me, che possa tenerti mentre muoio, con la mano che viene meno.

21 e3) Properzio, Elegie, I, 3 Qualis Thesea iacuit cedente carina languida desertis Cnosia litoribus; talis visa mihi mollem spirare quietem Cynthia consertis nixa caput manibus, ebria cum multo traherem vestigia Baccho, et quaterent sera nocte facem pueri. hanc ego, nondum etiam sensus deperditus omnis, molliter impresso conor adire toro; et quamvis duplici correptum ardore iuberent hac Amor hac Liber, durus uterque deus, subiecto leviter positam temptare lacerto osculaque admota sumere arma manu, non tamen ausus eram dominae turbare quietem donec diversas praecurrens luna fenestras, luna moraturis sedula luminibus, compositos levibus radiis patefecit ocellos.

22 Come la fanciulla di Cnosso giacque allo stremo
Sul lido deserto, mentre la nave si allontanava così mi apparve Cinzia spirare un molle sopore Poggiato il capo sul malfermo sostegno delle mani, mentre traevo passi ebbri per eccessivo Bacco, e i servi scuotevano le fiaccole a tarda notte. Io non ancora completamente fuori di senno, cerco di avvicinarmi a lei premendo mollemente il letto. E sebbene afferrato da duplice ardore mi urgessero Da una parte Amore, dall’altra Libero, dèi crudeli entrambi, a tentarla sottoponendo lievemente un braccio al suo corpo adagiato, e a baciarla, attirandola a me, ed a impugnare le armi, tuttavia non osavo turbare il riposo di colei che mi ha in suo potere. finché la luna, passando davanti alle finestre socchiuse, la luna frettolosa con la sua luce che invece ama attardarsi, la indusse con lievi raggi ad aprire gli occhi chiusi.


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