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Stress Lavoro-correlato Incontro di informazione 29 gennaio 2016 IIS Leonardo da Vinci.

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Presentazione sul tema: "Stress Lavoro-correlato Incontro di informazione 29 gennaio 2016 IIS Leonardo da Vinci."— Transcript della presentazione:

1 Stress Lavoro-correlato Incontro di informazione 29 gennaio 2016 IIS Leonardo da Vinci

2 STRESS  Lo stress è il secondo problema di salute più frequentemente legato all’attività lavorativa  Lo stress interessa quasi un lavoratore europeo su quattro  Dagli studi condotti emerge che una percentuale compresa tra il 50% e il 60% di tutte le giornate lavorative perse è dovuta allo stress  Nel 2002 il costo economico dello stress legato all’attività lavorativa nell’UE a 15 era di circa 20 Mld EUR  Il numero di persone che soffrono di stress legato all’attività lavorativa è destinato ad aumentare.

3 STRESS Sono sempre più numerose le persone colpite da problemi di stress sul luogo di lavoro. I motivi sono:  innovazioni apportate alla progettazione, all’organizzazione e alla gestione del lavoro;  contratti precari;  precarietà del lavoro;  aumento del carico di lavoro e del ritmo di lavoro;  elevate pressioni emotive esercitate sui lavoratori;  violenza e molestie di natura psicologica;  scarso equilibrio tra lavoro e vita privata;

4 STRESS  Stress: difficoltà, avversità, afflizione;  In fisica: forza esercitata su un oggetto che ne determina modificazioni di forma e di volume;  Bernard (1860): stress come situazione che porta ad uno squilibrio interno;  Cannon (1935): omeostasi.

5 STRESS Lo STRESS come un fattore o un insieme di fattori che, alterando l’omeostasi nella relazione ambiente-individuo, impongono all’organismo una reazione adattiva in senso ristorativo. Lo STRESS come un fattore o un insieme di fattori che, alterando l’omeostasi nella relazione ambiente-individuo, impongono all’organismo una reazione adattiva in senso ristorativo.

6 STRESS Selye (1936) Lo stress come risposta generale aspecifica a qualsiasi richiesta proveniente dall’ambiente  Aspecifica  Non una causa=>un effetto, ma cause diverse=>unico effetto  Non è importante la natura dello stimolo, ma la sua intensità  First mediator: sostanza biochimica presente in tutte le risposte da stress in grado di tradurre tutti gli stimoli esterni differenziati in un’unica SGA (sindrome generale di adattamento)

7 STRESS

8 STRESS  Risposta dell’organismo alle mutate condizioni di stimolazione interna ed esterna, la quale è determinata dall’attivazione emozionale e mediata dalla valutazione cognitiva del significato dello stimolo che si manifesta con una risposta integrata a livello sia fisiologico che comportamentale.

9 STRESS  Rilevanza dimensione soggettiva (percezione);  Essenzialità percezione sbilanciamento tra abilità soggettive e richieste ambientali;  Importanza percezione soggettiva di esercitare qualche forma di controllo sulle azioni e sull’ambiente;  Presenza supporto sociale significativo;

10 STRESS Dati Fisiologici:  Misure neuroendocrine: Corticosteroidi (cortisolo) Catecolamine (adrenalina, noradrenalina)  Misure cardiovascolari: Frequenza cardiaca, Pressione arteriosa  Lipidi e glucosio Dati Epidemiologici  Assenze per malattia  Abitudini di vita: dieta, alcool, fumo, attività fisica  Rischio cardiovascolare: ipertensione, ipercolesterolemia, eccesso ponderale  Morbosità e mortalità cardiovascolare  Disordini psicofisiologici: sintomi mal definiti, allergopatie, gastroenteropatie, etc.

11 STRESS Dati Ambientali  Fattori di rischio ambiente fisico: illuminazione, temperatura, umidità, ventilazione; rumore, vibrazioni; inquinanti, polveri, fumi …  Fattori di rischio posto di lavoro: disposizione e caratteristiche postazione; posture, uomo-macchina, contatto col pubblico, turni Misure psicologiche soggettive  Questionari  Scale di valutazione  Test psicometrici  Focus group  Gruppi di discussione

12 CONTROLLO DOMANDA Strain Stanchezza Ansia Depressione Burnout Malattia psicologica Stress medio (Eustress) Apprendimento Crescita Maggiore motivazione Basso livello di stress Il lavoratore ha molto controllo e le esigenze sono basse. Mancanza motivazione Apprendimento negativo Disapprendimento di professionalità precedentemente acquisite Inferiore Elevata Inferiore Elevata

13 Modello teorico/operativo di benessere organizzativo  DETERMINANTI ORGANIZZATIVE POSITIVE oppure NEGATIVE (Fonti di stress- Rischi psicosociali) –Clima Organizzativo –Cultura Organizzativa –Carico lavorativo –Sicurezza e Ambiente –Conflitto Organizzativo –Percezione di Supporto da parte dell’Organizzazione –Efficacia Collettiva

14 Clima organizzativo  È un costrutto psicologico che si riferisce alle percezioni sviluppate dalle persone nei riguardi del proprio ambiente di lavoro. È un insieme di esperienze, valutazioni e reazioni emotive che accomuna i membri di un’organizzazione o di un gruppo di lavoro.  Il clima organizzativo si compone di diverse dimensioni. Secondo il modello di Ostroff (1993) il clima è dato da 12 dimensioni: partecipazione, calore, ricompense sociali, cooperazione, comunicazione (fattore affettivo); crescita, innovazione, autonomia (fattore cognitivo); gerarchia, struttura, ricompense estrinseche, achievement (fattore strumentale).

15 Cultura organizzativa  Il concetto di cultura organizzativa designa i valori dominanti di un’organizzazione, le norme che vigono e si sviluppano nei gruppi di lavoro e nell’interazione tra i membri, i modelli di comportamento utilizzati con regolarità e frequenza, i linguaggi ed i rituali, le regole che i nuovi assunti devono apprendere per orientarsi all’interno dell’organizzazione e per essere accettati come membri, il lay-out e le modalità di interazione con gli interlocutori esterni (Schein, 2000).  Si articola su 3 livelli di visibilità e profondità: gli artefatti (ambiente fisico e sociale, tecnologia, linguaggio, comportamenti), i valori (strategie, obiettivi, filosofie, giustificazioni dichiarate), gli assunti di base impliciti (convinzioni inconsce e date per scontate, percezioni e pensieri di base, sentimenti).

16 Conflitto organizzativo  Il conflitto organizzativo può derivare dalla percezione di incompatibilità tra preferenze comportamentali, limitatezza delle risorse disponibili in relazione agli obiettivi di più persone nonché dal contrasto fra valori e atteggiamenti di persone diverse.  L’essenza dei conflitti sociali è l’interazione: la tipologia di relazione determina la tipologia di conflitto intrapersonale, interpersonale, intergruppi.  Secondo un approccio tradizionale il conflitto è disfunzionale per l’organizzazione e l’obiettivo da perseguire è la sua risoluzione o riduzione.  Secondo un approccio innovativo esiste un conflitto costruttivo, capace di aumentare la produttività, da un lato, e la soddisfazione per il lavoro delle persone, dall’altro: l’interesse si sposta dalla sua risoluzione alla gestione delle situazioni conflittuali.

17 Percezione di supporto da parte dell’organizzazione - Perceived organizational support (POS)  Si riferisce alle percezioni di sostegno/supporto da parte dell’organizzazione sviluppate dai suoi componenti. Il sostegno organizzativo percepito (POS) si sviluppa quando i dipendenti percepiscono di essere rispettati, apprezzati e ricompensati per il lavoro effettuato da parte dell’organizzazione e inoltre quando essa da loro accesso alle informazioni, fornisce sostegno nelle situazioni stressanti e soddisfa i bisogni socioemotivi.

18 Efficacia collettiva  Viene definita come la convinzione condivisa tra i membri che il gruppo o l’organizzazione a cui si appartiene sia capace di organizzare ed eseguire i comportamenti necessari per produrre determinati risultati. Le convinzioni di efficacia collettiva influiscono sul senso di missione e di finalità di un sistema, sulla forza dell’impegno comune in ciò che si cerca di raggiungere, sulla qualità della collaborazione e sulla resistenza del gruppo di fronte alle difficoltà.

19 Modello teorico/operativo di benessere organizzativo  VARIABILI INDIVIDUALI –Resilienza –Self-efficacy –Affettività negativa –Ottimismo –Overcommittment

20 Modello teorico/operativo di benessere organizzativo  Resilienza: capacità di far fronte in maniera positiva agli eventi traumatici di riorganizzare positivamente la propria vita dinanzi alle difficoltà. È la capacità di ricostruirsi restando sensibili alle opportunità positive che la vita offre, senza perdere la propria umanità. Persone resilienti sono coloro che immerse in circostanze avverse riescono, nonostante tutto e talvolta contro ogni previsione, a fronteggiare efficacemente le contrarietà, a dare nuovo slancio alla propria esistenza e perfino a raggiungere mete importanti.

21 Modello teorico/operativo di benessere organizzativo  Autoefficacia percepita: chi ha un'alta self- efficacy appare più capace di affrontare le innovazioni ed i rischi ad esse connesse con impegno ed entusiasmo, concepisce i compiti difficili come occasioni per mettersi alla prova e ha alti livelli di aspirazione, mentre chi ha una bassa percezione di autoefficacia preferisce ruoli sicuri in organizzazioni tradizionali, evita compiti difficili se non ritiene di essere in grado di svolgerli, abbandona il compito di fronte agli ostacoli e sottostima potenzialità e opportunità

22 Modello teorico/operativo di benessere organizzativo  Affettività negativa: caratterizza una persona infelice, tesa, sotto stress, focalizzata sugli insuccessi, angustiato, ostile e nervoso.

23 Modello teorico/operativo di benessere organizzativo  CONSEGUENZE DI BENESSERE oppure di MALESSERE (Tipologie e gradi di strain) –Soddisfazione lavorativa –Commitment –Altruismo –Assenteismo/Turnover –Sintomi di malessere psicofisico/Straining –Burnout –Mobbing

24 Soddisfazione lavorativa  Può essere definita come un sentimento di piacevolezza derivante dalla percezione che l'attività professionale svolta consente di soddisfare importanti valori personali connessi al lavoro. Si riferisce ad uno stato emozionale piacevole o positivo che deriva dalla valutazione o dall'esperienza del proprio lavoro. La soddisfazione lavorativa può essere studiata focalizzando l’attenzione sulle sue diverse dimensioni (il lavoro in sé, la retribuzione, la supervisione, le relazioni con i colleghi,...).

25 Altruismo  Rappresenta una delle due componenti (l’altra è la compliance) del costrutto di cittadinanza organizzativa (organizational citizenship). La cittadinanza organizzativa può essere inclusa nei comportamenti extra-ruolo, ossia non previsti dalla propria mansione professionale e dunque non obbligatori. Comprende quegli atti di collaborazione nei confronti di colleghi, supervisori o clienti che non sono formalmente prescritti, ma valorizzati dall’organizzazione. È uno dei tipici atti lavorativi discrezionali non esplicitamente inclusi nel sistema di ricompense ma che ha un’influenza positiva sull’efficienza organizzativa (aumenta l’efficacia della performance e diminuisce il turnover). L’altruismo si riferisce all’aiuto rivolto a persone specifiche, mentre la compliance è una forma impersonale di aiuto rivolta all’organizzazione in generale (ad es. sono sempre puntuale, avviso in anticipo quando non posso recarmi al lavoro, non perdo tempo in conversazioni inutili, non mi concedo pause oltre a quelle previste,...).

26 Commitment organizzativo  Si riferisce all’impegno dei dipendenti nei confronti dell’organizzazione di cui fanno parte. Secondo il modello di Meyer e Allen (1991) il commitment organizzativo si compone di 3 diverse dimensioni.  Impegno affettivo (affective commitment): è un attaccamento affettivo agli obiettivi e ai valori dell’organizzazione, al proprio ruolo in relazione a tali obiettivi e valori e all’organizzazione nel suo complesso per i suoi interessi indipendenti da quelli puramente strumentali. I dipendenti sono legati emotivamente all’organizzazione in cui operano, si identificano e sono coinvolti con essa. Continuano a farne parte perché lo vogliono.  Impegno normativo (normative commitment): è una sorta di responsabilità morale verso l’organizzazione. I dipendenti sentono che è loro dovere rimanere all’interno dell’organizzazione.  Impegno per continuità (continuance commitment): emerge dalla percezione di profitto associata con il rimanere a far parte dell’organizzazione e con i costi associati al lasciarla. I dipendenti rimangono nell’organizzazione perché hanno bisogno di farlo.

27 Effetti negativi  Stress/strain: si riferisce alla produzione di risposte fisiologiche, psicologiche e comportamentali di tensione (stress) da parte del lavoratore in seguito alla percezione di potenziali fonti di tensione nell’ambiente (stressor).  Burnout: può essere definito come uno stato di esaurimento fisico, emozionale e mentale che si sviluppa da una protratta esposizione a situazioni lavorative emotivamente “esigenti”. La scala utilizzata (Maslach & Leiter, 2000) applicabile sia alle professioni di servizio che ad altri campi professionali si compone di 3 dimensioni. 1. Esaurimento emotivo: stanchezza psicofisica e sensazione di essere emotivamente svuotato. 1. Esaurimento emotivo: stanchezza psicofisica e sensazione di essere emotivamente svuotato. 2. Cinismo: atteggiamento negativo e di distacco verso l’attività lavorativa. 2. Cinismo: atteggiamento negativo e di distacco verso l’attività lavorativa. 3. Sensazione di diminuzione o perdita della propria competenza professionale e del proprio desiderio di successo. 3. Sensazione di diminuzione o perdita della propria competenza professionale e del proprio desiderio di successo.

28 Effetti negativi  Assenteismo/Turnover: si riferisce alla decisione del dipendente di abbandonare l’organizzazione in cui opera. Si può suddividere in fisiologico (funzionale per l’organizzazione che può sostituire lavoratori poco idonei) e patologico (sono i lavoratori capaci ad abbandonare l’organizzazione).  Mobbing: Leymann (1996) definisce mobbing una azione ostile e non etica diretta in maniera sistematica da parte di uno o più individui generalmente contro un singolo che, a causa del mobbing, è spinto in una posizione in cui è privo di appoggio e di difesa e lì costretto per mezzo di continue attività mobbizzanti. Perché si possa parlare di mobbing devono verificarsi con una frequenza piuttosto alta e su un lungo periodo di tempo (una durata di almeno sei mesi).

29 IL BURNOUT IL BURNOUT

30 Definizione  … “il burnout può essere considerato una forma di stress occupazionale, il cui fattore caratteristico è la sua causa: l’interazione sociale fra l’operatore e il destinatario dell’aiuto. La persona colpita si sente sfinita, svuotata, le sue risorse emozionali sono consumate e non c’è una sorgente a cui attingerle nuovamente”… Maslach (1982)

31 Il Burnout  Inizialmente frequente nelle professioni d’aiuto, poi si è estesa a tutte quelle professioni in cui il contatto diretto con il cliente ha un significato profondo ed emotigeno (insegnanti, formatori/educatori, psicologi, sacerdoti, agenti di polizia penitenziaria).  Secondo Maslach (1978) il Burnout comporta esaurimento emotivo, depersonalizzazione, e ridotta realizzazione personale.  Si associano esaurimento fisico e scarsa produttività (Perlman & Hartman, 1982).

32 Le Componenti del Burnout  Esaurimento emotivo: –sensazione di svuotamento delle risorse emotive, affettive e personali dell’individuo il quale si sente logorato, sopraffatto, incapace di “ricaricarsi” e di poter contribuire con il proprio lavoro alla soluzione dei problemi.

33 Le Componenti del Burnout  Depersonalizzazione: –distacco ed ostilità nei confronti delle richieste d’aiuto, che portano a risposte negative, sgarbate e di freddezza nei confronti dei clienti/utenti e del proprio lavoro in generale.

34 Le Componenti del Burnout  Ridotta realizzazione professionale: –percezione di inadeguatezza e di incompletezza nel lavoro da parte dell’operatore; essa si accompagna ad una caduta della stima di sé e del desiderio di successo nonché ad un generale senso di insoddisfazione lavorativa.

35 Le quattro fasi del burnout - Edelwich & Brodsky, 1980 -  Questi Autori hanno evidenziato quattro stadi nell’evoluzione delle professioni d’aiuto.  1. Stadio dell’entusiasmo. Spesso la scelta di intraprendere una specifica professione d’aiuto poggia su una base di ottimismo che evidenzia i lati piacevoli e fortunati di una professione piuttosto che quelli scomodi e negativi. Viene spesso a mancare, cioè, una percezione realistica delle effettive difficoltà che l’esercizio della professione comporta. Talvolta queste aspettative irreali sono rafforzate da quella serie di atteggiamenti e convinzioni riguardanti i professionisti che si possono sintetizzare con l’espressione “mistica professionale”.

36 Cherniss (1983), sottolinea cinque conseguenze negative di tale mistica professionale. Cherniss (1983), sottolinea cinque conseguenze negative di tale mistica professionale.  a. La prima conseguenza negativa nasce dalla convinzione presenti in molti operatori che sia vera l’equazione “credenziali = competenza = successo”, molti operatori credono che la competenza porti sempre ad un’alta percentuale di riuscita nel lavoro. In realtà il possesso di un titolo non garantisce automaticamente una competenza professionale.  b. Un secondo importante aspetto della mistica professionale è l’aspettativa che lo status (psicologo, formatore, educatore, medico) garantisca sempre un alto livello di autonomia personale e di controllo sul proprio lavoro.

37  c. Una terza componente della mistica professionale riguarda il comportamento degli interlocutori. Si suppone che allievi, pazienti e clienti siano sempre riconoscenti e disposti a collaborare, il che non è vero.  d. Ci si aspetta, inoltre, che le relazioni tra i colleghi siano improntate al reciproco aiuto e alla collaborazione quando invece molto spesso sappiamo che insorgono conflitti di interesse e varie forme di competizione.  e. Infine, si pensa sovente che il lavoro in sé sia intrinsecamente interessante, significativo e stimolante, trascurando o dimenticando quegli aspetti di difficoltà e di routine che sono comunque presenti.

38  2. Fase della stagnazione. È comprensibile come presto o tardi la fase dell’entusiasmo iniziale si concluda. Di solito questa conclusione, e il passaggio alla fase successiva, si verifica quando l’operatore sociale giunge alla scoperta che i risultati del suo impegno sono incerti, aleatori e difficili da cogliere. Il professionista comincia a provare un sentimento di stallo e di noia come se non ci fossero più nuove esperienze e nuovi sforzi da fare. Quello che all’inizio era una professione o, in certi casi, addirittura una missione, diventa un lavoro, un mestiere come un altro. Se le problematiche emergenti in questa fase vengono affrontate con lucidità e coraggio, è possibile che questo stadio venga superato senza troppi danni. Se invece lo stadio della stagnazione si prolunga senza essere adeguatamente affrontato, allora si entra nella fase successiva.

39  3. Stadio della frustrazione. Se lo scarto tra le aspettative ideali e la grigia realtà quotidiana si mantiene inalterato per lungo tempo, è inevitabile che il professionista entri in questo terzo stadio caratterizzato da rabbia e depressione. La crisi si manifesta quando il professionista comincia ad intuire che le proprie aspettative hanno poco a che fare con i bisogni reali degli utenti. Emerge allora un vissuto di inutilità e di “vuoto” oppure di rabbia mista a colpa nei confronti del proprio lavoro. È in questa fase che inizia la sindrome del “burnout”.

40  4. Stadio dell’apatia. Se nemmeno nel terzo stadio è stata tentata qualche forma di intervento, allora inevitabilmente si entra nella quarta fase, intesa come disimpegno affettivo conseguente ad una situazione frustrante. In un certo senso è questo lo stadio vero e proprio del burnout. Operatori che erano partiti preoccupandosi unicamente degli utenti, diventano ora preoccupati solo di sé stessi, della propria salute, del proprio benessere economico, della propria sopravvivenza come categoria.

41 Sintomi del burnout Sintomi cognitivo/affettivo Sintomi fisici Sensazione di fallimento “Influenze” Senso di colpa e disistima Mal di testa Atteggiamento sospettoso e paranoide Disturbi alimentari e gastrointestinali Perdita di disponibilità e di sentimenti positivi verso gli utenti Disturbi del sonno, Senso di stanchezza ed esaurimento Atteggiamento colpevolizzante verso i pazienti Sintomi comportamentali Rigidità intellettuale Conflitti coniugali e familiari Abuso di psicofarmaci e alcool Impulsività, irritabilità e aggressività

42 Patogenesi: alcuni fattori di rischio  Dagli studi presenti in letterature emerge che il burnout è un processo multifattoriale, all’interno del quale interagiscono: 1. fattori socio-ambientali e lavorativi; 2. caratteristiche individuali/personologiche.

43 Alcune Cause del Burnout Fattori socio-ambientali e lavorativi Sovraccarico di lavoro (in quantità e qualità) Mancanza di controllo (o discrezionalità) Crollo del senso di appartenenza comunitario, al quale spesso segue mancanza di supporto sociale Assenza di equità (mancanza di fiducia, lealtà e rispetto) Valori contrastanti (nelle azioni, nella politica e nelle comunicazioni) Gratificazione insufficiente (morale ed economica)

44  Lo sviluppo di carriera. Può diventare fonte di stress per quei soggetti con marcate aspirazioni a emergere e a raggiungere status socioeconomici elevati, nel momento in cui tali ambizioni sono deluse. La stessa competitività tra colleghi per ricoprire un incarico migliore, rappresenta una probabile situazione stressante.  Le relazioni di lavoro. Ossia le difficoltà di relazionarsi con i colleghi, l’autorità o i dipendenti; la presenza ad esempio di stili di leadership più o meno autoritari o democratici. In alcune circostanze vi è un eccessivo direttivismo che produce tensione e malumore, in latri casi è un esagerato permissivismo che genera insicurezza e litigiosità.  La struttura e il clima lavorativo. Indispensabili nel fornire al lavoratore un senso di “appartenenza all’organizzazione”.  Ruolo nell’organizzazione. Nel quale si distingue ambiguità di ruolo, ossia mancanza di chiarezza rispetto al compito, e conflitto di ruolo, caratterizzato da richieste tra loro incompatibili. Inoltre, tra i fattori socio-ambientali e lavorativi, secondo Cooper (1988) assumono particolare rilevanza i seguenti aspetti.

45 Alcune Cause del Burnout Fattori individuali/personologici  - Variabili anagrafiche. Tra queste l’età è quella che ha dato luogo a maggiori discussioni tra i diversi Autori. Maslach (1992) ritiene che i sintomi di burnout siano più frequenti nei giovani, le cui aspettative sono deluse e stroncate dalla rigidezza delle organizzazioni lavorative. Inoltre la stessa autrice ha osservato che i lavoratori più giovani, non coniugati che sono agli inizi della carriera appaiono maggiormente esposti di quelli più anziani, coniugati, indipendentemente dal genere.

46  Aspetti motivazionali. Particolare rilevanza assume il significato personale attribuito al lavoro, le aspettative eccessive o irrealistiche, le scelte sottese non da motivazioni autentiche, ma da bisogni conflittuali o da sentimenti di onnipotenza.  Tratti di personalità. Diversi Autori hanno identificato alcune caratteristiche di personalità che possono avere un ruolo importante nella genesi del burnout, tra le quali in particolare: la bassa autostima, l’impulsività, la rabbia, l’introversione, l’eccesso bisogno di approvazione nonché l’uso di meccanismi difensivi inadeguati (Cherniss, 1983)

47 Altre Cause Legate alla Persona 1. Eccessivo impegno e dedizione. 2. Mancanza di consapevolezza dei propri limiti. 3. Mancanza di separazione tra lavoro e vita privata.

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49 Etimologia  La parola deriva dal verbo inglese “to mob” = assalire con violenza.  Ad utilizzare il termine mobbing per la prima volta fu l’etologo Lorenz (1961) che se ne servì per indicare gli attacchi osservati tra individui della stessa specie e finalizzati all’esclusione di un membro dello stesso gruppo o, più sovente, a fronteggiare il possibile attacco di un estraneo.  Negli anni Settanta Heinemann (1972) mutuò tale termine dall’etologia per descrivere i comportamenti aggressivi studiati in bambini ed adolescenti e diretti contro un coetaneo.  A partire dai primi anni Ottanta, con gli studi di Leymann, il termine “mobbing” venne utilizzato per definire una forma di terrorismo psicologico sul posto di lavoro, esercitata attraverso comportamenti aggressivi e vessatori ripetuti, più o meno intenzionalmente, da uno o più aggressori (colleghi o superiori) nei confronti di un singolo con lo scopo e/o la conseguenza di estrometterlo dal mondo del lavoro.

50 Definizione di mobbing  Secondo Leymann, dunque, “il mobbing, o terrore psicologico sul posto di lavoro, consiste in una comunicazione ostile e non etica diretta in modo sistematico da uno o più individui solitamente verso un singolo individuo, il quale a causa di ciò, si trova in una posizione indifesa e impossibilitato a ricevere aiuto, essendo costretto in quella posizione da continue azioni mobbizzanti”.  Tali azioni si verificano con un’alta frequenza di base (definizione statistica: almeno una volta a settimana) e perdurano a lungo nel tempo (definizione statistica: almeno sei mesi). L’alta frequenza e la durata dei comportamenti ostili è causa di gravi problemi psicologici, psicosomatici e sociali” (Leymann, 1996, pag. 168).

51 Il fenomeno del mobbing  Tale definizione è posta in discussione da parte di vari studiosi per la rigidità dei parametri temporali in essa previsti, tali da poter escludere le situazioni, che, pur non avendo una durata prefissata potrebbero essere caratterizzate da un’elevata frequenza e/o intensità di azioni mobbizzanti.  Per comprendere il punto di vista di Leymann, i parametri temporali vanno intesi in senso statistico e non in termini di valori assoluti, con l’obiettivo di definire il mobbing anche attraverso parametri quantitativi (quali appunto la durata e la frequenza) soprattutto nella prospettiva di poterlo distinguere dalle varie manifestazioni conflittuali che possono presentarsi sul luogo di lavoro (Pastore, 2006).

52 Caratteristiche del mobbing  Analizzando le numerose definizioni proposte nel tempo, possiamo individuare alcune caratteristiche essenziali delle situazioni di mobbing:  l’intenzionalità dell’aggressore nell’esercizio della vessazione;  la percezione della vittima di essere oggetto della vessazione;  il frequente carattere asimmetrico della relazione di potere che intercorre tra aggressore e vittima;  la durata e la frequenza delle azioni vessatorie.

53 Azioni e strategie vessatorie  Il mobbing può essere considerato un articolato pattern di comportamenti molesti posti in essere nell’ambiente di lavoro, che causano sofferenza fisica, psicologica e morale nella persona vessata.  Nella letteratura internazionale sono individuabili molteplici classificazioni delle azioni negative tipiche del processo di mobbing.  Più che parlare di singoli comportamenti mobbizzanti, sembra più appropriato porre l’attenzione sulle complesse strategie vessatorie messe in atto nel mobbing.

54 Le azioni mobbizzanti  È importante, dunque, riconoscere le diverse azioni mobbizzanti che possono essere messe in atto per i seguenti motivi: - In primo luogo, in alcuni casi i lavoratori subiscono comportamenti mobbizzanti ma non le riconoscono. Questo è dovuto al fatto che nonostante il fenomeno stia diventando di grande attualità c’è ancora molta ignoranza sul tema. - In primo luogo, in alcuni casi i lavoratori subiscono comportamenti mobbizzanti ma non le riconoscono. Questo è dovuto al fatto che nonostante il fenomeno stia diventando di grande attualità c’è ancora molta ignoranza sul tema. - In secondo luogo le strategie sono indirette e subdole. La persona che le subisce ha un’enorme difficoltà nel comprendere quello che gli sta accadendo. - In secondo luogo le strategie sono indirette e subdole. La persona che le subisce ha un’enorme difficoltà nel comprendere quello che gli sta accadendo.

55 Le azioni mobbizzanti  Leyman (1993) nelle sue ricerche, ha categorizzato cinque tipologie di azioni più comunemente diffuse: 2. Aggressione alle relazioni sociali. I colleghi non parlano più con la vittima; il soggetto viene trasferito in un ufficio lontano dai colleghi; ci si comporta come se la vittima non esistesse; si proibisce ai colleghi di parlare con la vittima. 1. Attacchi alla possibilità di comunicare. La vittima viene sempre interrotta quando parla; il capo e i colleghi limitano le sue possibilità di esprimersi; si urla o si rimprovera violentemente contro la vittima; si fanno critiche continue sul lavoro e sulla vita privata della vittima; il soggetto è vittima di telefonate mute o di minaccia.

56 Le azioni mobbizzanti  3. Aggressione all’immagine sociale della vittima. Sul posto di lavoro si spargono voci infondate sulla vittima; il soggetto viene ridicolizzato; viene preso in giro un suo handicap fisico; si imita il modo dia parlare o di camminare della vittima; si mettono in dubbio le sue decisioni.  4. Attacchi alla qualità della relazione professionali e privata. Alla vittima non viene dato più nessun compito da svolgere; il soggetto è costretto a svolgere lavori senza senso; il soggetto è costretto a svolgere lavori molto al di sopra o al di sotto della sua qualifica professionale; la vittima deve eseguire lavori umilianti.

57 Le azioni mobbizzanti  5. Attacchi alla salute. Il soggetto è costretto a svolgere lavori che nuocciono alla salute; il soggetto viene minacciato di violenza fisica, la vittima è sottoposta a violenza fisica leggera o pesante; gli mettono le mani addosso a scopo sessuale.

58 Dal mobbing allo straining  Lo straining è stato definito come “una situazione di stress forzato sul posto di lavoro, in cui la vittima subisce almeno un’azione che ha come conseguenza un effetto negativo nell’ambiente lavorativo, azione che oltre ad essere stressante è caratterizzata anche da una durata costante. La vittima che subisce lo straining è in posizione di inferiorità rispetto a chi lo attua, e viene posto in essere sempre in maniera discriminante”.  La differenza tra lo “straining” ed il “mobbing” è stata individuata nella mancanza di una frequenza sostenuta di azioni ostili ostative ripetute nel tempo.  Infatti, mentre il “mobbing” si caratterizza per una serie di condotte ostili, per lo “straining” è sufficiente una singola azione con effetti duraturi nel tempo, come, ad esempio, nel caso di un demansionamento.

59 Tipologie di mobbing psicosociale  Il mobbing psicosociale può essere: 1. Verticale. Si verifica quando la violenza psicologica viene posta in essere nei confronti della vittima da un superiore. L’azienda, dunque, “abusando del suo potere” mette in atto strategie persecutorie, per rendere impossibile la vita ad un dipendente sgradito, in modo da costringerlo a licenziarsi. Nella terminologia Anglosassone questa forma viene anche definita “bossing” o “bulling”. - Bossing. Azione compiuta dall’azienda o dalla direzione del personale nei confronti di dipendenti divenuti scomodi. Si tratta, dunque, di una strategia aziendale di riduzione, ringiovanimento o razionalizzazione degli organici. Si definisce anche mobbing pianificato. - Bossing. Azione compiuta dall’azienda o dalla direzione del personale nei confronti di dipendenti divenuti scomodi. Si tratta, dunque, di una strategia aziendale di riduzione, ringiovanimento o razionalizzazione degli organici. Si definisce anche mobbing pianificato. - Bulling. Indica i comportamenti vessatori messi in atto da un singolo capo. - Bulling. Indica i comportamenti vessatori messi in atto da un singolo capo.

60 Tipologie di mobbing psicosociale Diverse possono essere le motivazioni: Diverse possono essere le motivazioni: - La persona è diventata scomoda; - Competizione; - Minaccia alla immagine sociale; - Differenza di età; - Antipatia personale; - Conformismo; - Ragioni politiche.

61 Tipologie di mobbing psicosociale 2. Orizzontale. Si verifica, invece quando l’azione discriminante è messa in atto dai colleghi nei confronti del soggetto colpito. Il pensiero dominante dei colleghi è di esautorare il lavoratore. Anche per il Mobbing orizzontale diversi sono i fattori che possono avviare il processo: - Competizione; - Preferenze del capo; - Invidia; - Razzismo; - Campanilismo; - Fede politica.

62 Tipologie di Mobbing psicosociale  Un’altra categorizzazione riconosce altri tipi di mobbing psicosociale: 2. Mobbing indiretto. Se gli atti vessatori sono indiretti e possono essere attuati sull’ambiente di lavoro, sulla famiglia o sugli amici della vittima delle persecuzioni psicologiche (Ascenzi & Bergagia, 2000). 1. Mobbing diretto. Se le violenze psicologiche sono dirette sulla persona mobbizzata.

63 Tipologie di Mobbing psicosociale  Gli stessi Autori distinguono fra diverse Azioni mobbizzanti: 2. Mobbing pesante. Si sviluppa quando le azioni mobbizzanti sono attuate in forma palese e violenta, e in quanto tali risultano maggiormente visivi e di conseguenza, più facilmente contrastabili. 2. Mobbing pesante. Si sviluppa quando le azioni mobbizzanti sono attuate in forma palese e violenta, e in quanto tali risultano maggiormente visivi e di conseguenza, più facilmente contrastabili. 1. Mobbing leggero. Si verifica quando gli atti vessatori sono molto sottili, poco appariscenti, ma non per questo poco pericolose.

64 Tipologie di Mobbing psicosociale  In letteratura si distinguono altri tipi di mobbing: Serial mobbing. Avviene quando un impiegato cerca di “mobbizzare” un lavoratore dopo l’altro. Secondo le ricerche effettuate in Inghilterra da Field (1999), questo è il tipo di mobbing più comune. Mobbing involontario. Avviene quando un lavoratore, a seguito di un periodo di stress, diviene irritabile, irascibile con comportamenti aggressivi nei confronti dei suo colleghi. È un tipo di mobbing passeggero perché quando il periodo di stress e di pressione finisce, il comportamento del soggetto torna ad essere normale.

65 Tipologie di Mobbing psicosociale 2. Mobbing individuale. Quando oggetto è il singolo lavoratore. 1. Mobbing collettivo. Quando colpiti da atti discriminatori sono gruppi di lavoratori (si pensi alle ristrutturazioni aziendali, prepensionamenti, cassa integrazione, …).

66 Tipologie di Mobbing psicosociale - Il doppio mobbing -  In alcuni casi, infine, si può verificare una situazione di “doppio mobbing” che si verifica quando una persona mobbizzata finisce per perdere il sostegno della famiglia: la violenza subita sul posto di lavoro diventa il suo unico e ossessivo argomento di conversazione, per cui i parenti, anche quelli che gli sono normalmente più solidali, tendono ad evitarlo pur di non ascoltarlo più.  L’aspetto più caratteristico del “doppio mobbing” sta nel fatto che esso sembra un fenomeno caratteristico delle culture dell’Europa meridionale e particolarmente diffuso nella realtà italiana (Ege, 2000).

67 Le fasi del mobbing psicosociale  Il mobbing psicoociale è un processo articolato che comincia lentamente e subdolamente e diventa evidente dopo un lungo periodo di tempo.  Leymann (1992) nel corso dei suoi studi elaborò un modello del mobbing in cui era possibile delineare le quattro fasi del modello. Per questo motivo venne definito Modello a quattro fasi Modello a quattro fasi

68 Il modello a quattro fasi Leymann, 1992 - 1° FASE: conflitto quotidiano 3° FASE: errori ed abusi della Direzione del Personale 3° FASE: errori ed abusi della Direzione del Personale 4° FASE: esclusione dal mondo del lavoro

69 69 Le principali forme di strain  Una tipologia largamente accettata (Kahn & Byosiere, 1992; Cooper et al., 2001) individua tre principali categorie di strain: strain fisiologico; strain fisiologico; strain comportamentale; strain comportamentale; strain psicologico. strain psicologico.

70 70 Strain fisiologico  Importanti risposte fisiologiche direttamente legate all’esperienza lavorativa sono state individuate da Fried, Rowland e Ferris (1984) e suddivise in tre grandi categorie: cardiovascolari (pressione sanguigna, attività cardiaca, livello di colesterolo); cardiovascolari (pressione sanguigna, attività cardiaca, livello di colesterolo); biochimiche (catecolamine, cortisolo, acido urico); biochimiche (catecolamine, cortisolo, acido urico); gastrointestinali (soprattutto ulcere peptiche). gastrointestinali (soprattutto ulcere peptiche).  In un’altra rassegna Jex e Beehr (1991) individuano questi tre gruppi di sintomi come misure fisiologiche ritenute associate allo strain e li differenziano da una seconda categoria di indicatori fisiologici definiti condizioni effettive di strain e comprendenti sia conseguenze dirette dello stress, fra cui collocano il cancro, l’infarto o il diabete, sia effetti indiretti, fra cui l’abitudine al fumo, bere alcolici, diminuzione delle ore di sonno.

71 71 Strain comportamentale Le risposte comportamentali agli stressor lavorativi possono essere categorizzate secondo due tipologie (Jex & Beehr,1991; Cooper & Cartwright, 1994; Jones & Bright, 2001 ).  Comportamenti significativi per l’organizzazione, che hanno un impatto diretto sul funzionamento organizzativo, quali: riduzione della performance; riduzione della performance; turnover; turnover; assenteismo; assenteismo; incidenti sul lavoro; incidenti sul lavoro; cali di produttività. cali di produttività.  Comportamenti significativi per l’individuo, relativi alla sua salute personale e responsabili solo indirettamente di possibili effetti sulla prestazione lavorativa, quali l’abuso di: alcol; alcol; tabacco; tabacco; sostanze psicoattive. sostanze psicoattive.

72 72 Strain psicologico Importanti risposte psicologiche direttamente legate all’esperienza lavorativa sono (Jackson & Schuler, 1985; Kahn & Byosiere, 1992; Cooper et al., 2001): tensione/ansietà; tensione/ansietà; fatica cronica o patologica; fatica cronica o patologica; depressione; depressione; riduzione dell’autostima e della fiducia in se stessi; riduzione dell’autostima e della fiducia in se stessi; diminuzione della motivazione; diminuzione della motivazione; esaurimento emotivo; esaurimento emotivo; insoddisfazione lavorativa; insoddisfazione lavorativa; disimpegno verso l’organizzazione; disimpegno verso l’organizzazione; aggressività/violenza fisica; aggressività/violenza fisica;


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