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John Fante “Sono nato in una fabbrica di maccheroni nel 1911” (Correspondence H.L.Mencken 29)

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1 John Fante “Sono nato in una fabbrica di maccheroni nel 1911” (Correspondence H.L.Mencken 29)

2 Francesca Amoroso, L’odissea italiana di un wop, Fiore 19-30. fine anni Trenta → alcuni brani tradotti da Wait Until Spring, Bandini appaiono in “Omnibus” e “Oggi” 1948 → Mondadori pubblica Aspettiamo primavera, Bandini (ed. integrale) 1941 → Elio Vittorini traduce Il cammino nella polvere → inserisce un brano tradotto da Wait Until Spring, Bandini nell’antologia Americana pubblicata da Bompiani 1957 → In tre ad attenderlo: è la trad. di Liliana Bonini di Full of Life (ristampato da Fazi con il titolo originale nel 1998 e la traduzione di Alessandra Osti) 1983 → la casa editrice Sugar Co ripropone Chiedi alla polvere (trad. Maria Giulia Castagnone; ripubblicato nel 1994 da Marcos y Marcos e nel 2004 da Einaudi) 1983 → Mondadori pubblica Bunker Hill (trad. Francesco Durante), poi pubblicato con maggiore successo nel 1996 da Marcos y Marcos e nel 2004 da Einaudi 1988 → la casa editrice Leonardo pubblica La strada per Los Angeles (trad. di Francesco Durante), riproposta poi nel 1996 da Marcos y Marcos e nel 2005 da Einaudi. 1989 → la casa editrice Leonardo pubblica Aspetta primavera, Bandini nella traduzione di Carlo Alberto Corsi, poi riproposta da Marcos y Marcos nel 1995 e da Einaudi nel 2005 1990 → La confraternita del Chianti (trad. Francesco Durante, riproposta nel 1995 da Marcos y Marcos e da Einaudi che cambia il titolo in La confraternita dell’uva 1996 → Fazi pubblica Un anno terribile 1997 → Fazi pubblica A Ovest di Roma e Il mio cane stupido (trad. Alessandra Osti)

3 I racconti di John Fante Dago Red (trad. F. Durante, Marcos y Marcos, 1997; Einaudi 2006) Il Dio di mio padre (Marcos y Marcos, 1998) La grande fame. Racconti 1932-1959 (Marcos y Marcos, 2000) Una moglie per Dino Rossi (Sellerio, 1988, trad. Maria Montone)

4 Vicenda editoriale negli Stati Uniti Stephen Cooper fa un lavoro certosino di divulgazione delle opere di Fante (“Madness and Writing in Hamsun, Fante and Bukowski.” Genre 19 (1988). 19-27) Neil Gordon “Fu sempre ai livelli, e spesso migliore, dei suoi riconosciuti contemporanei Fitzgerald, Steinbeck, West, Shulberg” (“Realization and Recognition: the Art and Life of John Fante.” Boston Review 28.5 - ottobre/novembre 1993. 24-29) Fred L. Gardaphè “John Fante è meglio di Hemingway” (2003, “John Fante. Profilo di scrittore.” – Documentario)

5 La scrittura di John Fante Stile naive, Primitivo, spontaneo Talento e dono la sua capacità narrativa Confessione di matrice religiosa cattolica Sfogo autobiografico Prosa fresca e rapida Furioso, emotivo, forte, violento, ruggente Scrittura ormonale, viscerale

6 Tensione etnica tra Vecchio e Nuovo mondo Relazione Padre-Figlio Famiglia come luogo di scontri e tensione La scrittura Cattolicesimo abbinato alla figura della madre Il grande Sogno americano Temi

7 Olga Peragallo, Italian American Authors and their contribution to American literature, cit.,. –“Candide narrative of Italian family life” (95) Rose Basile Green, The Italian-American Novel in the Main stream of American Literature, cit. –“In John Fante ci sono investigazioni psicologiche che non si trovano negli scrittori italoamericani precedenti” (3) Emanuele Pettener, Nel nome, del padre, del figlio e dell’umorismo, cit, –“Tutto questo e molto altro che affiora alla superficie della scrittura di Fante è spesso ambiguo, invisibile, e non completamente definibile, poiché la scrittura di Fante è una scrittura umoristica che investiga nella psicologia dei personaggi anziché determinarla a priori, che suggerisce anziché proclamare, che indaga nella realtà anziché fissarla, che pone domande anziché dare risposte.” (12-13)

8 Leggere Fante su due livelli Estetico-letterario Protagonista e antagonista, sempre presenti, così vicini l’uno all’altro, così simili, così diversi quid pluris dello stile di Fante che diventa furioso, emotivo, forte, oscillante tra toni morbidi e ruggiti. Metaforico-implicito La relazione protagonista - antagonista è metafora di quella con il proprio background etnico e con l’American Dream

9 La prosa di Fante come confessione letteraria Richard Collins, John Fante. A Literary Portrait. Tornawanda, NY: Guernica editions, 2000. “Fante non si nasconde dietro la letteratura, ma la usa in modo più rilevante e ribelle, per esporre se stesso, per trovare il modo di dire tutto della propria esperienza e, soprattutto, per confessare persino ciò che è stato sperimentato non solo nell’immaginazione, in uno stato di “introspezione disinteressata” [“unselfish inwardness” è espressione ripresa da Knut Hamsun] (29) Fante non usa la letteratura come veicolo per esporre se stesso, ma espone se stesso per fare letteratura!

10 I romanzi di Fante: autobiografie camuffate? “L’atteggiamento di Fante nei confronti dell’arte del romanzo [va da] semplice story-telling come vocazione e carriera al principio, al desiderio di concepire una forma romanzesca e la fama presso la critica, fino ad una scrittura intesa meno come carriera che come costante richiamo alla confessione di per sé” (“Fante” 98) “la confessione letteraria ha almeno questo in comune con la confessione religiosa: ciascuna è un modo per essere assolto dai peccati, tra cui le menzogne, durante e – attraverso – la narrazione di storie ricche di dramma e conflitto.” (“Fante” 100) Se si trattasse di confessione di matrice cattolica”, il lettore dovrebbe trovare in Fante un insegnamento morale in modo da imparare qualcosa da lui… Invece di imparare, il lettore si diverte: “il lavoro di Fante è assolutamente amorale” (E.Pettener)

11 Dal fango all’oro… attraverso l’umorismo! “Ripensavo agli spaghetti che nuotavano nella salsa di pomodoro, cosparsi di parmigiano, alle crostate al limone della mamma, all’arrosto d’agnello e al pane caldo, e mi sentivo così infelice che affondavo di proposito le unghie nella carne del braccio fino a farne uscire il sangue. Ne ricavavo una grande soddisfazione. Tra tutte le creature del Signore, io ero la più miserabile, costretta persino a infliggersi delle torture. Era indubbio, nessuno al mondo soffriva più di me.” Chiedi alla polvere, 32

12 Gabriel Arturo Bandini alias Nietzsche “Io rigetto l’ipotesi Dio! Basta con la decadenza di questo cristianesimo fraudolento! La religione è l’oppio dei popoli! Tutto ciò che siamo o che speriamo di essere lo dobbiamo al demonio e ai suoi pomi proibiti!” (23) “Presi il libro di Nietzsche e mi avviai alla porta. Nietzsche! Che ne sapeva lui di Friedrick Nietzsche? Appallottolò la banconota da dieci dollari e me la tirò. ‛La tua paga di tre giorni, ladro!’ Feci spallucce. Nietzsche in un posto del genere!” (12)

13 “Oh Spengler! Che libro! Che peso! Come la guida telefonica di Los Angeles. Giorno dopo giorno lo leggevo e non capivo mai niente, ma non me ne importava niente, leggevo perché mi piaceva quel borbottio di una parola via l’altra, e avanti così per pagine e pagine, sullo sfondo un fosco misterioso rimbombo…” (48) “Una volta stavo leggendo nel parco. Stavo disteso sul prato. Tra le foglie d’erba c’erano delle piccole formiche nere. Mi guardavano, si arrampicavano sulle pagine, qualcuna si chiedeva che cosa stessi facendo, altre, disinteressate, proseguivano. […] Che stupide formiche! Formiche borghesi! Cercare di gabbare uno la cui mente si nutriva di Spengler e Schopenauer e degli altri grandi! Era il loro destino: il Declino della Civiltà delle Formiche. Leggevo dunque e uccidevo formiche.” (48)

14 The American dream Renè Girard, “Mensonge Romantique, Veritè Romanesque”, Paris: Grasset, 1961 La grande innovazione del genere romanzo consiste in una scoperta antropologica l’essere umano è incapace di desiderare un oggetto direttamente ha bisogno di un altro soggetto (“mediatore”) che desideri l’oggetto il desiderio nasce dall’ammirazione, dall’invidia, dal senso di competizione dell’essere umano nei confronti del “mediatore”

15 Il sogno di Arturo (diventare il più grande giocatore di baseball in America!) è un perfezionamento di quello di Svevo (diventare il più grande muratore d’America!) che è il perfezionamento del sogno di un’intera generazione di emigranti (fare l’America!) Wait Until Spring, Bandini

16 “Andai al solito ristorante, mi sedetti su uno sgabello davanti al bancone e ordinai un caffè. Il sapore era più o meno quello ma, nel complesso, la bevanda non valeva quello che costava. Mentre ero lì mi fumai un paio di sigarette, lessi i cartelloni che riportavano i risultati delle partite dell’American League, e notai con soddisfazione che Joe DiMaggio teneva ancora alto l’onore degli italiani, perché era in testa alla classifica dei battitori. Un gran battitore, quel DiMaggio. Uscii dal ristorante, mi immobilizzai danti a un immaginario battitore e battei la palla, segnando un punto a mio favore […] Mi avviai lungo Olive Street e oltrepassai un caseggiato giallo, impregnato come una carta assorbente della nebbia notturna, e pensai ai miei amici Ethie e Carl, che venivano da Detroit ed avevano vissuto lì […]. Mi ritrovai all’incrocio tra la Quinta e Olive, dove lo sferragliare dei grandi tram mi rodeva le orecchie, e l’odore della benzina velava le palme di tristezza; il marciapiede nero era ancora bagnato per la nebbia notturna […] Oltrepassai il portiere di Biltmore [Hotel] e lo odiai subito, lui e i suoi galloni dorati, il suo metro e ottanta e la sua dignità, quando un’automobile nera si fermò accanto al marciapiede e ne smontò un tizio. Aveva l’aria d’essere ricco. Dopo di lui scese una donna ed era bella, portava una pelliccia di volpe argentata e quando attraversò il marciapiede e varcò le porte girevoli fu come una musica. Cosa non darei per godermela un po’, pensai, mi basterebbe un giorno e una notte, ma proseguii e lei non fu più che un sogno, mentre il suo profumo indugiava ancora nell’aria umida del mattino. Mi incantai davanti alla vetrina di un negozio di pipe e ci rimasi un sacco di tempo, mentre il mondo intero spariva ad eccezione di quella vetrina e delle pipe. Le fumai una per una, immaginando d’essere un grande scrittore e di scendere da una grossa auto nera con un’elegante pipa di radica in bocca e in mano un bastone da passeggio, seguito dalla donna con la volpe argentata, visibilmente orgogliosa di me. Firmammo il registro dell’albergo, poi ordinammo un cocktail, ballammo un po’, prendemmo un altro cocktail e io recitai qualche strofa in sanscrito, e la vita mi sembrava meravigliosa perché ogni due minuti una fata mi fissava estasiata ed io, il grande scrittore, ero costretto a farle un autografo sul menù, rendendo pazza di gelosia la mia compagna con la volpe argentata. Los Angeles, dammi qualcosa di te! Los Angeles, vienimi incontro come ti vengo incontro io, i miei piedi sulle mie strade, tu, bella città che ho amato tanto, triste fiore nella sabbia.” ( Chiedi alla polvere, 11-13)

17 L’America mitica di John Fante La Los Angeles dorata degli Anni Trenta Le “cose” americane…il baseball, Detroit, il riccone e la vamp in volpe argentata, il portiere dai galloni dorati, la grossa macchina nera, i cocktail, la pipa… La precisione nel nominare le strade di Los Angeles –Marcel Proust insiste sul magico potere che i nomi dei luoghi che non abbiamo mai visto hanno nella nostra immaginazione. –I nomi dei luoghi non ci appaiono come “ideali inaccessibili ma come autentiche ed avvolgenti sostanze” in cui ci si immerge per gustare il piacere della vita “non ancora vissuta.” –“dal più semplice e realistico dei punti di vista i paesi che abbiamo desiderato occupano in qualsiasi momento uno spazio molto maggiore nella nostra vita reale del paese in cui ci capita di vivere.” (Marcel Proust, Dalla parte di Swann, Milano, Bompiani, p.560)

18 Svevo Bandini “He came along, kicking the deep snow. Here was a disgusted man. His name was Svevo Bandini, and he lived three blocks down the street. He was cold and there were holes in his shoes. That morning he had patched the holes on the inside with pieces of cardboard from a macaroni box. The macaroni in that box was not paid for. He had thought of that as he placed the cardboard inside of his shoes.” (incipit, 1) “A hundred and fifty pounds was the weight of Svevo Bandini, and he had a son named Arturo who loved to touch his round shoulders and feel for the snakes inside. He was a fine man, Svevo Bandini, all muscles, and he had a wife named Maria who had only to think of the muscle in his loins and her body and her mind melted like the spring snows. She was so white that Maria, and looking at her was seeing her through a film of olive oil.” (2)

19 Svevo Bandini had a wife who never said: give me money for food for the children, but he had a wife with large black eyes, sickly bright from love… (2) “He had a son named Arturo, and Arturo was fourteen and owned a sled …” (2) “The house was not paid for. It was his enemy, that house. It had a voice, and it was always talking to him, parrot-like, forever chattering the same thing. Whenever his feet made the porch floor creak, the house said insolently: you do not own me, Svevo Bandini, and I will never belong to you.” (4)

20 Arturo Bandini “He was Arturo, and he was fourteen. He was a miniature of his father, without the mustache. His upper lip curled with such gentle cruelty. Freckles swarmed over his face likenants over a piece of cake. He was the oldest, and he tought he was pretty tough, and no sap kid brother could call him a liar and get away with it.” (17) “His name was Arturo, but he hated it and wanted to be called John. His last name was Bandini, and he wanted it to be Jones. His mother and his father were Italians, but he wanted to be an American. His father was a bricklayer, but he wanted to be a pitcher for the Chicago Cubs. They lived in Rockling, Colorado, population ten thousand, but he wanted to live in Denver, thirty miles away. His face was freckled, but he wanted to be clear. He went to a Catholic school, but he wanted to go to a public school. He had a girl named Rosa, but she hated him. He was an altar boy, but he was a devil and hated altar boys. He wanted to be a good boy, but he was afraid to be a good boy because he was afraid his friends would call him a good boy. He was Arturo and he loved his father, but he lived in dread of the day when he would grow up and be able to lick his father. He worshipped his father, but he thought his mother was a sissy and a fool.” (20)

21 Girard→ quanto più vicino è il soggetto i cui desideri imitiamo (“mediatore interno”) tanto più repulsione e ammirazione si mescolano e si desidera distruggere il soggetto in questione Il fallimento del sogno del padre genera in Arturo la paura che anche il suo sogno possa fallire “What kind of people were these wops? Look at his father there. Look at him smashing eggs with his fork to show how angry he was. Look at the egg yellow on his father chin! And on his mustache. Oh sure, he was a dago wop, so he had to have a mustache, but did he have to pour those eggs through his ears? Couldn’t he find his mouth? Oh God, these Italians!” (22)

22 La consapevolezza delle frustazioni dell’emigrante “ovunque, la stessa storia, sempre sua madre, la poveretta,sempre povertà e povertà, sempre quella parola, dentro di lui e attorno a lui. E all’improvviso, in quell’aula semibuia, s’abbandonò al pianto, singhiozzò per espellere la povertà, piangendo e ansimando, non per quell’espressione, non per lei, per sua madre, ma per Svevo Bandini, per suo padre, per l’aspetto del padre, per le mani nodose di suo padre, per gli attrezzi da muratore di suo padre, per i muri costruiti da suo padre, per i gradini, i cornicioni, i cenerai e le cattedrali, tutti bellissimi, per quel che sentiva quando suo padre cantava dell’Italia, del cielo italiano, della baia di Napoli.” (42)

23 Tensioni etniche nella doppia relazione Effie-Svevo e Rosa-Arturo “Lui era il degno figlio di suo padre. Sarebbe arrivato il giorno in cui anche lui e Rosa Pinelli avrebbero fatto la stessa cosa. Rosa, sali in macchina, andiamo a fare un giro in campagna, Rosa. Tu ed io, in campagna, Rosa. Tu guidi la macchina e ci baciamo, ma guidi tu, Rosa.” (89)

24 Arturo Bandini The Road to Los Angeles (s.1935- 1985 p.postumo) → Arturo ha vent’anni; vuole diventare scrittore; suo padre è morto. Wait Until Spring, Bandini, 1938 →Arturo ha quattordici anni; vuole diventare un giocatore di baseball; suo padre è vivo. Ask the Dust, 1939 → Arturo ha vent’anni; ha già pubblicato un racconto e sta per pubblicare il suo primo romanzo; suo padre è appena menzionato. Dreams from Bunker Hill (s.1981- p.1982) → Arturo ha ventun’anni, ha pubblicato un racconto e comincia a lavorare come sceneggiatore a Hollywood.

25 Nella conclusione del romanzo… La nuova identità etnica – “Italoamericani” – coincide con il sentimento di non-appartenenza Attrazione/repulsione per l’America (Svevo-Effie) Amare/uccidere l’Italia (Arturo-Rosa) Alla fine del romanzo Arturo e Svevo, dopo la scena della madre che graffia il marito, sono molto più vicini. Hanno conquistato entrambi la condizione di italoamericani. Hanno in comune l’AMERICAN DREAM…

26 …new shoes on his feet, defiance in his jaw, guilt in his heart … “A footstep on the porch. All the men and women on earth could have mounted that step, yet none would have made a sound like that. They looked at Maria. She held her breath, hurrying through one more prayer. The door opened and he came inside. He closed the door carefully, as though his whole life had been spent in the exact science of closing doors.(123) HE WAS NO BOY CAUGHT STEALING MARBLES, NOR A DOG PUNISHED FOR TEARING UP A SHOE. THIS WAS SVEVO BANDINI, A FULL- GROWN MAN WITH A WIFE AND THREE SONS. “I hate you, she thought. With my fingers I want to tear out your eyes and blind you. You are a beast, you have hurt me and I shall not rest until I have hurt you.” … I hope you die. You will never touch me again. I hate you, God what have you done to me, my husband, I hate you so… I can see that other woman in his arms, I can smell her in his clothes, her lips have roamed his face, her hands have explored his chest. He disgusts me, and I want him hurt to death. (123-4)

27 Il sangue e il furore… 1) He raised his eyes and looked at her… 3) …and he realized he was afraid of her, and he smiled not in amusement but fear, the evil he had done weakening his courage… … like a condemned man going to his punishment he kept the silly smile on his lips as he bent over and made to hand her the bills, trying to think of the old words, their words, his and hers, their language. 5)Closer than ever he bent, only inches from her hair, utterly ridiculous in his ameliorations… 2) …she with her hands gripped in the sides of the chair, as though ready to spring at him… 4) She clung to the chair in horror forcing herself not to shrink back from the serpent of guilt that wound itself into the ghastly figure of his face 6) … until she could not bear it, could not refrain from it, and with a suddenness that surprised her too, her ten long fingers were at his eyes, tearing down, a singing strenght in her ten long fingers that laid streaks of blood down his face as he screamed and backed away, the front of his shirt, his neck and collar gathering the fast-falling red drops. BUT IT WAS HIS EYES, MY GOD MY EYES, MY EYES.

28 “Papa’s blood, my blood.” “ Yeah: a Merry Christmas. Ah, give it to her, Papa! Me and you, Papa, because I know how you feel, because it happened to me too, but you should have done what I did, Papa, knocked her down like I did, and you’d feel better. Because you’re killing me, Papa, you with your bloody face walking around all by yourself, you’re killing me. He went out on the porch and sat down. The night was full of his father. He saw the red spots in the snow… Papa’s blood, my blood.” (127)

29 Un nuovo nemico del sogno americano… la donna italiana “Meglio ammetterlo: se lui avesse dovuto scegliere tra Maria e Effie Hildegarde, avrebbe sempre scelto Effie. Quando le donne italiane arrivano a una certa età le gambe gli si rinsecchiscono, il ventre gli si gonfia, i seni cadono, insomma perdono tutto il loro smalto (sparkle). Cercò d’immaginarsi Rosa Pinelli a quarant’anni. Le gambe le sarebbero diventate secche come quelle di sua madre; avrebbe messo su la pancia. Non riusciva proprio a immaginarsela, Rosa, così bella! Le augurava di morire piuttosto. Se la immaginò debilitata da una malattia che l’avrebbe condotta alla tomba. Non gli sarebbe dispiaciuto affatto. Le avrebbe fatto visita sul letto di morte e si sarebbe chinato su di lei. Lei gli avrebbe preso una mano tra le sue, febbricitanti, gli avrebbe detto che stava per morire, al che lui le avrebbe risposto, peccato Rosa, era il tuo destino, ma non ti dimenticherò mai, Rosa. E poi il funerale, i pianti e Rosa calata nella fossa. Lui avrebbe assunto un’aria distaccata per tutto il tempo, un po’ in disparte, sorridendo leggermente, perso nei suoi grandi sogni. Qualche anno più tardi, allo Yankee Stadium, tra le acclamazioni assordanti della folla, si sarebbe ricordato di quella ragazza morente che gli aveva preso la mano e chiesto perdono; ma avrebbe indugiato su quel ricordo solo per pochi secondi, prima di voltarsi verso le donne della folla, per salutarle con un cenno del capo, le sue donne, neppure un’italiana fra di loro; sarebbero state tutte bionde, alte e sorridenti, a dozzine, come Effie Hildegarde, neanche un’italiana tra di loro.” (128-129)

30 “He knew he was not unwelcome” “But he forgot Jumbo, forgot everything, even forgot what he had planned to say as the top of his head rose above the hill and he saw his father watching him approach, the hammer in one hand, the chisel in the other.” (205) La domanda “How’s Mamma?” – preceduta da “Finally he said it” chiude il ritmo ternario delle domande del padre: –How’s Federico? / How’s August? –How’s Federico getting along in school?/What about August?/What about you, you getting good marks? –Is Federico a good boy?/ and August?/ and you? –Federico sleep all right at night?/ And August?/And you?

31 He’s unwelcome… “You peasants!” the Widow said. “You foreigners! You’re all alike, you and your dogs and all of you.” Svevo crossed the lawn toward the Widow Hildegarde. His lips parted. His hands were folded before him. “Mrs Hildegarde,” he said. “That’s my boy. You can’t talk to him like that. That boy’s an American. He is no foreigner.” “I’m talking to you too!” the Widow said. “Bruta animale!” he said. “Puttana!” He spatted her face with spittle. “Animal that you are!” he said. “Animal!” He turned to Arturo. “Come one,” he said. “Let’s go home.” The Widow stood motionless. (209-10)

32 “Per favore Dio, per favore Knut Hamsun non abbandonatemi adesso.” Knut Hamsun, Nobel 1920 con Fame “un oggetto conservato gelosamente [a piece of treasure], sempre con me dal giorno che l’avevo rubato alla biblioteca di Boulder.” (Sogni di Bunker Hill)

33 Il piacere della scrittura “A un tratto mi vengono in mente un paio di bei periodi adatti per un trafiletto o un racconto d’appendice, lampi d’ingegno abbaglianti e inauditi. Ripeto tra me le parole una dopo l’altra e mi sembrano ottime (…) Come mi fosse scoppiata una vena! Una parola incalza l’altra, si allinea nell’ordine, si formano situazioni, le scene si susseguono, e azioni, botte e risposte mi sgorgano dal cervello, e mi sento invaso da un sentimento meraviglioso. Scrivo come un ossesso una pagina dopo l’altra, senza un istante d’intervallo (…) E quei momenti meravigliosi e benedetti durano e durano a lungo. Quando infine mi fermo e poso la matita mi trovo sulle ginocchia quindici, venti fogli pieni (Fame 35), “L’idea nacque dalla mia disperazione, e mi arrivò come un sogno, la prima buona idea di tutta la mia vita, forte, pulita e intera (…). Cominciai e mi accorsi che scorreva facilmente. Ma non nasceva dalla mente, non si sviluppava dalla riflessione. Si muoveva da solo, sgorgando come il sangue (…) Ecco che parto, ed è una sensazione bella e dolce e calda, morbida, deliziosa, delirante (…). E la cosa continua, anelante, fremente, senza fine, e cresce, cresce. Lavorai per ore, finchè poco per volta me la ritrovai nella carne e nelle ossa, finchè mi invase tutto, indebolendomi, accecandomi. (Chiedi alla polvere, 121-2)

34 Il gusto ineffabile della pubblicazione Un’ondata di luce calda mi si riversò nel cuore! Udii un mio breve grido, un grido di gioia insensata: la lettera veniva dal redattore capo, il mio articolo era accettato, passato subito alla stampa! “Qualche piccolo ritocco …corretto un paio di sviste … lavoro ingegnoso … uscirà domani …dieci corone!”. Risi e piansi, mi misi a correre per la strada, mi fermai, mi diedi una botta al ginocchio e bestemmiai ad alta voce. E il tempo passava. Tutta la notte fino alla luce dell’alba girai per le strade cantando istupidito dalla gioia e ripetendo continuamente: lavoro ingegnoso, dunque un piccolo capolavoro, un colpo di genio! E dieci corone!” (Fame 56) “La lettera mi scivolò tra le dita e volteggiò fino a terra. Mi alzai e mi guardai allo specchio. Avevo la bocca spalancata. (…) Raccolsi la lettera e la rilessi. Aprii la finestra, scavalcai il davanzale e mi sdraiai sul pendio erboso. Mi aggrappai all’erba con le dita, mi girai sullo stomaco, affondai la bocca nel tappeto erboso e strappai forte con i denti. Poi cominciai a piangere (…). Tornai in camera e tirai fuori l’assegno dalla busta. 175 dollari, ero di nuovo ricco. 175 dollari tutti per me (…). Mi fermai di nuovo davanti allo specchio, scuotendo il pugno con aria di sfida. Avete un grande scrittore davanti a voi. Vedete i miei occhi? Sono quelli di un grande scrittore. E la mascella? È quella di un grande scrittore. (Chiedi alla polvere 66)

35 Henry Charles Bukowski, (nasce ad Andernach1920, sulla riva sinistra del Reno da madre tedesca e da padre polacco-americano e muore a San Pedro, 1994) 1978 Storie di ordinaria follia e Quando eravamo giovani

36 Charles Bukowsky e John Fante “Il migliore scrittore che io abbia mai letto” “Il narratore più maledetto d’America” “Fante era il mio Dio” Scrive un’appassionata prefazione a “Chiedi alla polvere” e riesce a far ristampare nel 1980 le opere di Fante dalla casa editrice Black Sparrow Books per cui scriveva lui. (le opere di Fante erano fuori stampa da 41 anni).

37 Storia di un incontro “Ero giovane, saltavo i pasti, mi ubriacavo e mi sforzavo di diventare uno scrittore. Le mie letture andavo a farle alla biblioteca pubblica di Los Angeles, nel centro della città, ma niente di quello che leggevo aveva alcun rapporto con me, con le strade o con la gente che le percorreva. Mi sembrava che tutti giocassero con le parole e che i cosiddetti grandi scrittori non dicessero un accidenti di niente. Il loro stile era una mistura di sottigliezza, mestiere e forma e ciò che scrivevano veniva letto, appreso, assimilato e poi ristrasmesso a qualcun altro. Era un congegno funzionale, una “cultura della parola” assai scorrevole e prudente. Bisognava tornare agli scrittori russi precedenti alla rivoluzione per ritrovare il rischio e la passione. C’erano delle eccezioni, ma erano così poche che le si esauriva in un attimo, per ritrovarsi a fissare file e file di libri di un’incredibile monotonia. A paragone degli scrittori del passato, i moderni non valevano gran che…”

38 “Perchè nessuno diceva niente? Perché nessuno gridava? … continuavo ad aggirarmi per la sala grande, tirando giù un libro dopo l’altro, leggendo qualche riga, a volte qualche pagina, per poi rimetterli al loro posto. Poi, un giorno, ne presi uno e capii subito di essere arrivato in porto. Rimasi fermo per un attimo a leggere, poi mi portai il libro al tavolo con l’aria di uno che ha trovato l’oro nell’immondezzaio cittadino. Le parole scorrevano con facilità, in un flusso ininterrotto. Ognuna aveva la sua energia ed era seguita da un’altra simile. La sostanza di ogni frase dava forma alla pagina e l’insieme risultava come scavato dentro di essa. Ecco, finalmente, uno scrittore che non aveva paura delle emozioni. Ironia e dolore erano intrecciati tra loro con straordinaria semplicità. Quando cominciai a leggere quel libro mi parve che mi fosse capitato in mano un miracolo, grande e inatteso. Ero socio della biblioteca. Presi in prestito il libro e me lo portai in stanza, mi sdraiai sul letto e ripresi a leggerlo, ma prima ancora di finirlo capii che l’autore era riuscito a elaborare un suo stile particolare.”

39 “Il libro era Ask the Dust e l’autore era John Fante, che avrebbe esercitato un’influenza duratura su di me. Terminato Ask the Dust tornai in biblioteca in cerca di altri suoi libri. Ne trovai due: Dago Red e Wait until Spring, Bandini. Erano dello stesso tipo, scritti con le viscere e per le viscere, con il cuore e per il cuore. Sì, Fante ha avuto una grande influenza su di me. Non molto tempo dopo averlo scoperto, mi misi a vivere con una donna. Beveva come una spugna, anche più di me, e assieme facevamo delle litigate feroci, durante le quali le gridavo: “Non chiamarmi figlio di puttana! Io sono Bandini, Arturo Bandini.” Fante era il mio dio e io sapevo che gli dei vanno lasciati in pace, non si andava a bussare alla loro porta. E tuttavia mi piaceva immaginare la casa dove era vissuto… Nel caso di Fante, linguaggio e personalità coincidono: entrambi sono forti, buoni e caldi.”

40 “Il romanziere distrugge la casa della sua vita e usa le pietre per costruire la casa del suo romanzo.” Milan Kundera, L’arte del romanzo

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46 Valenze metaforiche e simboliche del paesaggio “Fante attribuisce un considerevole peso simbolico alla neve. Nel romanzo il ghiaccio stagionale del suolo è parallelo al fardello che l’abbandono di Svevo procura alla famiglia. Estendendo la metafora, l’inevitabilità della stagione – l’inverno torna ogni anno – amplifica il concetto che le avversità per la famiglia e gli abbandoni di Svevo saranno probabilmente ciclici e, benchè previsti, temuti.” Catherine J. Kordich, John Fante. His Novels and Novellas, New York, Twayne Publishers, 2000

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52 Figure femminili in “Wait Until Spring, Bandini”.

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54 La madre, Maria

55 Rosa Pinelli Figlia di Salvatore Pinelli, un minatore italiano di carbone a Louisville

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58 August

59 arturo

60 federico

61 Rocco Saccone


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