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L'UREMIA... Un’Idra Un mimo Una scommessa Una sfida.

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Presentazione sul tema: "L'UREMIA... Un’Idra Un mimo Una scommessa Una sfida."— Transcript della presentazione:

1 L'UREMIA... Un’Idra Un mimo Una scommessa Una sfida

2 IL NOME UREMIA DERIVA DA UREA, UNA DELLE PRIME SOSTANZE STUDIATE COME POTENZIALI TOSSICI IN CONDIZIONI DI INSUFFICIENZA RENALE E COME INDICE DI FUNZIONALITA' RENALE. SEBBENE IL RUOLO DELL'UREA COME TOSSICO SIA PROBABILMENTE MINORE, QUESTA SOSTANZA MANTIENE UN RUOLO PRINCIPALE COME MARCATORE DI TOSSICITA' E LA SUA DEPURAZIONE E' OGGI LA PRINCIPALE GUIDA PER DEFINIRE L'EFFICIENZA DELLA DIALISI (CINETICA DELL'UREA)

3 La sindrome uremica traduce sul piano clinico la compromissione anatomofunzionale di numerosi organi ed apparati conseguente alla grave riduzione della funzione renale. La sua patogenesi è solo parzialmente nota; è in ogni caso multifattoriale e probabilmente dovuta alla ritenzione contemporanea di sostanze di vario tipo che svolgono un ruolo patogeno con effetti sinergici, ad alterazioni idroelettrolitiche e dell'equilibrio acido base, ad un'increzione inappropriata di alcuni ormoni e, forse, alla ritenzione di alcuni di essi o di loro prodotti terminali.

4 1) Ruolo patogenetico della ritenzione di scorie metaboliche, degli squilibri idroelettrolitici e del bilancio acido-base. L'ipotesi più accettata in passato era che l'uremia conseguisse fondamentalmente alla ritenzione di una o più "tossine". Tuttavia, tra le sostanze più comunemente considerate nella pratica clinica, l'urea, è stata riconosciuta potenzialmente tossica soltanto oltre 300 mg/dL, e in ogni caso all'iperazotemia sono attribuibili solo alterazioni settoriali, cosicchè questo catabolita ha in un significato generico di marker di ritenzione. Analoghe considerazioni valgono per la creatinina.

5 1) Ruolo patogenetico della ritenzione di scorie metaboliche, degli squilibri idroelettrolitici e del bilancio acido-base. E' stato postulato e negato un ruolo di metaboliti degli acidi nucleinici (acido urico), di dipeptidi, di sostanze del gruppo delle guanidine e delle poliamine (spermina, spermidina e putrescina), ma il loro ruolo patogenetico è messo in dubbio. Più recentemente (teoria delle medie molecole) si è tentato di attribuire una serie di aspetti della sindrome alla ritenzione di sostanze a peso molecolare più elevato di quello dell'urea, della creatinina (pm 300 e daltons)

6 1) Ruolo patogenetico della ritenzione di scorie metaboliche, degli squilibri idroelettrolitici e del bilancio acido-base. Un'ipotesi alternativa è che sia la ritenzione di più sostanze a vario peso molecolare ad avere effetti sinergici, con manifestazioni differenti da quelle provocate dai singoli prodotti: ciò potrebbe rendere ragione della mancanza di correlazioni lineari tra livelli ematici delle tossine e sintomi, e potrebbe essere anche alla base delle differenze di sintomatologia che pazienti differenti lamentano a gradi equivalenti di compromissione della funzione renale.

7 1) Ruolo patogenetico della ritenzione di scorie metaboliche, degli squilibri idroelettrolitici e del bilancio acido-base. Non sussistono dubbi sugli effetti dell'acidosi e dei disordini idroelettrolitici, responsabili di segni e sintomi specifici; anche in questo caso, nessun singolo elemento è in grado di riprodurre per intero la sindrome uremica. Un dato recente molto importante è il ruolo dell'acidosi nella riduzione dell'appetito e nella patogenesi della malnutrizione, che a sua volta rappresenta uno degli elementi più importanti nello scadimento delle condizioni generali dell'uremia (cachessia uremica).

8 1) Ruolo patogenetico della ritenzione di scorie metaboliche, degli squilibri idroelettrolitici e del bilancio acido-base. Molto di quello che si attualmente compreso sulla tossicità uremica deriva da una “prova indiretta”: cioè dall’analisi di quello che avviene con la dialisi. Nelle prossime diapositive vedremo qualche cosa della storia della dialisi come mezzo per interpretare l’uremia: secondo un percorso a ritroso dalla cura al sintomo alla fisiopatologia...

9 STORIA DEL TRATTAMENTO DIALITICO
-  dividere in parti, dissolvere ... È la stessa radice di dia-bete

10 Thomas Graham (1805-1869), fisico.
Studia le leggi che governano la diffusione dei gas e le forze osmotiche. -”The Motion of Gases” -1846 -”Liquid diffusion applied to analysis”-1861

11 Abel JJ et al. Trans Assoc Am Phys 1913;28:51-54
“DIFFUSIONE IN VIVO” Applicazione dei principi di diffusione alla rimozione di sostanze dal sangue di animali Abel JJ et al. Trans Assoc Am Phys 1913;28:51-54 gli Autori individuano l’esistenza di alcune condizioni “tossiche” nelle quali gli organi deputati alla rimozione delle “scorie”, come il rene, non funzionano e ipotizzano la possibilità di rimuovere tali sostanze facendo passare il sangue dell’animale attraverso un “dializzato” al di fuori dell’organismo, riportandolo successivamente nei vasi senza che questo sia esposto all’aria o a microrganismi infettivi.

12 ARTIFICIAL KIDNEY artificial kidney: termine usato per la prima volta proprio da Abel nel Questo apparato di diffusione in vivo era formato da tubi di celloidina immersi in un bagno di dializzato contenuto in una struttura di vetro. Nell’animale anestetizzato una cannula arteriosa veniva connessa alla macchina, e il sangue veniva re-immesso nell’animale attraverso una cannula venosa. L’anticoagulante usato era l’irudina-anticoagulante naturale ottenuto dalle sanguisughe. L’eparina non era ancora stata scoperta (disponibile dal 1928). La maggior parte degli esperimenti era effettuata nei cani.

13 … I GUERRA MONDIALE … Abel interrompe gli studi sul rene artificiale per la mancanza di fondi per reperire l’anticoagulante (irudina)

14 PRIMA DIALISI NELL’UOMO
Haas, 1924 15 minuti 150 ml di sangue purificati

15 Il rene artificiale rotante
KOLFF, 1940 Il rene artificiale rotante

16 PRIMO PAZIENTE SOPRAVVISSUTO GRAZIE AL RENE ARTIFICIALE DI KOLFF (1945)
Si raccontano anche altre storie, ma...dopo diversi giorni la donna entrò nella fase poliurica e dell’IRA, con successiva guarigione Donna di 67 anni Colecistite acuta, ittero,anuria BUN 185 mg/dl, K+ 13, 7 mEq/l 11.5 h BUN 56 mg/dl K+ 4,7 mEq/l

17 Durante la II guerra mondiale emerge il concetto di IRA reversibile.
Le cause più frequenti di IRA erano la “crush syndrome” e l’avvelenamento da sali di mercurio. L’idea del rene artificiale per il trattamento dell’uremia cronica è considerata un’eresia dallo stesso Kolf

18 Il passaggio dalla dialisi nei pazienti acuti a quelli cronici è segnato dalla risoluzione a lungo termine del problema dell’accesso vascolare Siamo a Seattle, nel Il medico Scribner (appassionato di vino rosso, modellini aereonavali, malattie renali) e l’ingegnere Quinton ideano lo shunt artero–venoso esterno, che metteva in comunicazione direttamente un settore vascolare arterioso con quello venoso corrispondente, “by-passando” (= shunt) le resistenze periferiche di quel distretto.

19 SHUNT ARTERO-VENOSO ESTERNO
LE DUE BRANCHE MORBIDE DELLO SHUNT, RISPETTIVAMENTE DENOMINATE ARTERIOSA E VENOSA, SONO CONNESSE CON L’INTERMEDIARIO DI UN TRATTO RIGIDO N TEFLON CHIAMATO PONTE. IL FLUSSO EMATICO IN QUESTE CONDIZIONI PASSA DIRETTAMETNE DALL’ARTERIA, TRAMITE LA BRANCA ARTERIOSA, ALLA VENA ATTRAVERSO LA BRANCA VENOSA SHUNT ARTERO-VENOSO ESTERNO

20 FISTOLA ARTERO-VENOSA
TIPO CIMINO-BRESCIA

21 COS’È LA DIALISI? La dialisi comprende tutte le metodiche di depurazione artificiale che consentono l’allontanamento dei tossici uremici mediante una membrana semipermeabile artificiale (dialisi extracorporea o emodialisi – metodiche convettive o diffusive) o naturale (peritoneo)

22 EMODIALISI sangue del paziente filtro bagno di dialisi
Soluti: diffusione, gradiente-concentrazione Acqua: ultrafiltrazione, gradiente pressione plasma/bagno di dialisi bagno di dialisi

23 SCHEMA DEL CIRCUITO DI DIALISI

24 EMOFILTRAZIONE membrane ad elevata permeabilità volume di infusato
Soluti : rimozione mediante convezione (effetto solvent drug) Acqua: ultrafiltrazione, sottrazione del volume somministrato + H2O da disidratare

25 DIALISI PERITONEALE 1923, Putnam.Primo riferimento alla membrana peritoneale come membrana per dialisi 1923, Ganter. Primo tentativo clinico di dialisi peritoneale nell’uomo 1960, Ruben. Prima dialisi peritoneale per il trattamento dell’insufficienza renale cronica coronata da successo

26 ACCESSO ALLA CAVITA’ PERITONEALE
IPD-dialisi peritoneale intermittente CAPD-dialisi peritoneale ambulatoriale continua CCPD-dialisi peritoneale ciclica continua APD-dialisi peritoneale automatica Catetere Tecknoff, 1968.

27 “CAMBIO” DELLE SACCHE IN DIALISI PERITONEALE

28 Indicazioni alla dialisi e efficienza dialitica
Le indicazioni “base” sono quelle di iniziare le dialisi ad una clearance (della creatinina o, meglio, media aritmetica di clearances ureica e creatinica) intorno a 10 mL/min La dialisi adeguata è definita come quella che fornisce una clearance equivalente di almeno 11 mL/min Il valore di 10 mL/min può essere preso come marker del limite di compenso clinico in IRC grave L’aureo limite dei 10 mL/min può però essere superato dalle “nuove” metodiche di emodialisi quotidiana (sino a mL/min, pari ad un buon trapianto renale) Le diete vegetariane supplementate strette posson manteere un adeguato benessere fino a 3-5 mL/min, se non meno...

29 Il ruolo delle differenti molecole
La cinetica dialitica è calcolata su piccole molecole (Urea); il ruolo di altre molecole non è chiaro L’emofiltrazione, che rimuove bene le medie molecole e poco le piccole molecole è però ottimamente tollerata e fornisce dati equivalenti o forse migliori con clearances più basse Quelo che noi sappiamo sulla rimozione dei tossici in dialisi è prevalentemente basato su metodiche poco efficienti; rimane da definire il limite di depurazione al quale si può arrivare con dialisi quotidiane o più efficienti La tecnologia permetterebbe di rivoluzionare alcuni aspetti (nanotecnologie controlli remoti etc), ma la dialisi è uno dei buisness di salute più colossali (e quindi più conservativi)...

30 IRC: una malattia maladattiva: si tratta di fenomeni che fisiologicamente operano come compenso ma che, a seguito di stimolazioni abnormi causate perdono le caratteristiche di elementi omeostatici e causano complesse alterazioni anatomo-funzionali. Tra queste ha particolare importanza l'iperparatiroidismo : nelle fasi iniziali dell'insufficienza renale l'aumento della secrezione di paratormone è in grado di ripristinare i normali livelli sierici del calcio e del fosforo; successivamente, l'iperfunzione paratiroidea può accentuarsi sino a provocare gravi alterazioni ossee e calcificazioni metastatiche. Oltre che a livello osseo, il paratormone svolge un'influenza anche su numerose funzioni cellulari a vari livelli (cuore, sistema nervoso, eritrociti). Per questo motivo è talora citato come esempio di tossina uremica o, addirittra, come esempio dell'unica vera tossina uremica evidenziabile nell'uomo.

31 Si tratta di : riduzione dell'idrossilazione da parte del rene del 25(0H)-colecalciferolo (calcifediolo), prodotto dal fegato, in 1,25(OH)2 colecalciferolo (o calcitriolo), con un deficit di produzione di eritropoietina e l'iperproduzione di renina. E' incerto il ruolo della ridotta produzione a livello renale di sostanze ad azione vasodilatatrice, quali alcune prostaglandine. A questo si possono sommare fenomeni iatrogeni, acuti e cronici, da dialisi o da farmaci, che comportano quadri sintomatologici talora non facilmente distinguibili da quelli uremici. L'intossicazione da alluminio e, almeno in parte, la patologia da accumulo della ß2-microglobulina, sono gli esempi più evidenti di questa eventualità.

32 Non deve pertanto stupire che, in relazione a questa situazione così complessa, il trattamento dialitico, pur consentendo sopravvivenze prolungate (decenni) in condizioni di vita accettabili o buone, non comporti la totale correzione degli squilibri uremici e che possano ricomparire manifestazioni uremiche anche gravi. Per questo motivo, e in relazione al fatto che il trattamento dialitico è ora talmente diffuso che la maggior parte dei medici ha tra i suoi pazienti dei soggetti in dialisi, assieme alla sintomatologia dell'uremia cronica ricorderemo qui anche i problemi più importanti degli uremici cronici in trattamento sostitutivo della funzione renale.

33 Alterazioni del sistema emopoietico
1) Anemia. Accompagna quasi invariabilmente l’IRC e viene considerata come principale responsabile dell'astenia, di alcune manifestazioni neuropsichiche (come la difficoltà di attenzione e di concentrazione, depressione dell'umore e disturbi del sonno), di disturbi della sfera sessuale; può aggravare manifestazioni di interessamento extrarenale, ad esempio di insufficienza cardiaca, coronarica o di deficit cerebrale. Sta diventando uno dei punti più dibattuti in fase predialisi, non solo come “segnale” di IRC, ma anche come causa di mortalità e morbidità

34 Alterazioni del sistema emopoietico
I pazienti non trattati con EPO giungono in dialisi con livelli di emoglobina ridotti, e valori inferiori a 8 g/dL non sono rari (RR di morte di 2-5 volte, rispetto ad Hb normale) L'anemia dell'uremico cronico è ipoproliferativa, normocromica e normocitica. La situazione ipoproliferativa è direttamente correlata al deficit di eritropoietina, ormone glicoproteico prodotto per il 9O% dal rene. E' anche ipotizzata l'esistenza di inibitori plasmatici dell'eritropoiesi, che si è creduto di volta in volta di identificare nel paratormone, nelle medie molecole ed in proteine a basso peso molecolare, ed una resistenza dei precursori eritroidi alla sua azione.

35 Alterazioni del sistema emopoietico
La vita media degli eritociti è ridotta, per accresciuta fragilità osmotica. La resistenza degli eritrociti ai fattori ossidanti è ridotta; la somministrazione di sulfamidici, alfametildopa, vitamina A, antimalarici e furantoina può risultare pericolosa. Un'accentuazione dell'emolisi cronica è stata descritta dopo somministrazione di penicillina e cefalosporine. La somministrazione di trimetoprim-sulfametossazolo può causare carenza di acido folico. Fattori aggiuntivi nella patogenesi dell'anemia possono essere: stati carenziali di ferro e di vitamine (acido folico, B12), fosforo, aminoacidi e oligoelementi (rame, zinco); malnutrizione calorico-proteica; perdite ematiche occulte (che possono a loro volta essere legate alla presenza di un ridotto trofismo delle mucose intestinali, legato all'uremia), o dovute ai prelievi per i numerosi controlli ematochimici.

36 Alterazioni del sistema emopoietico
L'anemia è parzialmente corretta dalla dialisi, e si aggrava in caso di trattamento dialitico insufficiente. Esiste anche un possibile rapporto tra accumulo cronico di alluminio e anemia, che in questi casi assume un carattere microcitico. E’ in discussione se valga la pena normalizzare (Htc 40-45%) o solo correggere (Htc 30-35%) l’anemia In fasi avanzate di uremia e in dialisi, in presenza di sintomi clinici legati all’anemia e comunque se i valori di Hb sono inferiori a 9-10 g/dL, dopo la correzione di eventuali fattori carenziali (ferro, B12 e Folati).

37 Alterazioni del sistema emopoietico
2) Alterazioni della coagulazione. Nel soggetto uremico il tempo di sanguinamento è spesso prolungato. Questo deficit ha una patogenesi complessa, espressione di un'alterazione funzionale delle piastrine, di cui è documentato un difetto di aggregazione e di adesività. Per spiegare questo fenomeno sono chiamati in causa fattori dializzabili, tra i quali composti fenolici e l'acido guanidinsuccinico. Il deficit coagulatorio è in parte reversibile con la dialisi. Un Htc> 30% è indispensabile per la buona funzione piastrinica. 3) Alterazioni leucocitarie. ridotta attività chemiotattica in vitro ed una riduzione numerica di recettori del C5. Il numero dei linfociti è spesso ridotto e sono state descritte alterazioni del rapporto tra sottopopolazioni linfocitarie.

38 Alterazioni del sistema immunitario
Si tratta di deficit comuni che interessano soprattutto l'immunità cellulare ed in misura minore quella umorale; almeno in parte corrette dalla dialisi. Sul piano clinico si registra un aumento della suscettibilità ad infezioni batteriche, virali e micotiche, seconda causa di decesso nei pazienti in dialisi. Una peculiarità, che è in parte almeno in comune al quadro clinico di sepsi in soggetti defedati è la possibilità che questa si verifichi anche senza febbre. Sebbene queste alterazioni siano certamente polifattoriali, negli ultimi anni l'attenzione si é tendenzialmente spostata da un ruolo centrale di tossici uremici ad azione immunodepressiva a quello della malnutrizione, specie proteica. Alterazioni dell'apparato cardiovascolare Il 30-50% dei decessi dei pazienti in dialisi è legato a patologia cardiovascolare. In era predialitica erano molto frequenti gli episodi di pericardite, spesso mortali. Il trattamento dialitico precoce ha ridotto la frequenza e la gravità di questa complicazione, più rara in dialisi peritoneale che in emodialisi, pur non annullandola. I fattori eziopatogenetici della pericardite uremica sono numerosi: in alcuni casi è responsabile uno stato di uremia non ben corretto dal trattamento sostitutivo; altre volte questa complicazione interviene in soggetti apparentemente non sottodializzati: in queste condizioni è stato prospettato un possibile ruolo dell'ipertensione arteriosa, dell'iperparatiroidismo secondario, di meccanismi immunologici da immunocomplessi circolanti, l'uso cronico di eparina, gli stress chirurgici. L'eziologia può essere inoltre infettiva, batterica o virale. L'impiego sistematico dell'ecocardiografia ha rivelato in pazienti in dialisi apparentemente trattati in maniera corretta ed asintomatici, una frequenza elevata di piccoli versamenti pericardici, che sono considerati in genere segno non di pericardite, ma di sovraccarico idrosalino cronico. La pericardite uremica può essere acuta o cronica. Le forme acute sono caratterizzate da un processo infiammatorio con deposizione di fibrina. Il quadro clinico è condizionato dall'entità della flogosi e dalla rapidità dell'esordio. E' in genere presente un dolore toracico, che può essere continuo e simulare quello dell'infarto, o può essere influenzato dai movimenti respiratori. Sono frequenti aritmie; compare spesso una ipotensione intradialitica. La sintomatologia può però essere larvata od assente. All'esame obiettivo è tipico un rumore di sfregamento a va e vieni, che può essere apprezzabile solo in aree limitate, spesso in sede parasternale sinistra, e può accentuarsi in decubito laterale o prono. I rumori possono scomparire con l'aumento dell'essudato. Altri segni possono essere: scomparsa dell'itto puntale, turgore delle giugulari; aumento del turgore venoso in fase inspiratoria (segno di Kussmaul), polso paradosso (riduzione della pressione arteriosa maggiore di 12 mmHg in fase inspiratoria), edemi periferici, epatomegalia. Una dispnea importante con ortopnea, eventualmente con posizione inclinata anteriore, deve essere considerata segno di allarme per un tamponamento. Nei casi tipici l'esame radiologico dimostra un ingrandimento del cuore "a fiasca"; l'elettrocardiogramma è spesso di scarsa utilità per l'incostanza dei classici sopraslivellamenti del tratto S-T; è fondamentale l'apporto dell'ecocardiografia che può svelare versamenti anche modesti, spesso posteriori. La complicazione più temibile è il tamponamento cardiaco; un'altra grave conseguenza a distanza può essere una pericardite cronica costrittiva. Oltre al trattamento è antalgico, se il paziente è in trattamento conservativo si impone l’avvio immediato del trattamento dialitico; se è già in dialisi, la frequenza delle sedute di dialisi e l’efficienza dialitica vengono aumentate, per migliorare la qualità della depurazione e ridurre più agevolmente eventuali sovraccarichi idrosalini; solo nei casi più gravi è richiesta una pericardiocentesi, peraltro non priva di rischi, o una soluzione chirurgica con una pericardiotomia sottoxifoidea o una pericardiectomia anteriore. Aritmie cardiache di vario tipo sono molto comuni nei pazienti in dialisi, con percentuali variabili dal 17% al 90% a seconda delle casistiche, e possono essere scatenate da vari fattori: rapide variazioni, intra o interdialitiche, delle concentrazioni elettrolitiche sieriche, in particolare di potassio e calcio; modificazioni dell'equilibrio acido-base o della ripartizione ionica intra-extracellulare. Nell'1,4-16% dei pazienti in dialisi il decesso avviene per una morte improvvisa, in parte dei casi probabilmente dovuta ad un'aritmia. Le extrasistoli atriali sono spesso asintomatiche, ed in genere ben tollerate; il significato clinico delle extrasistoli ventricolari varia a seconda della loro frequenza e complessità; le tachicardie sopraventricolari sono frequenti nei soggetti cardiopatici; le bradiaritmie sono un evento raro, e per lo più dovute ad un'iperpotassiemia grave. La terapia non può essere solo farmacologica ma richiede l'individuazione e la rimozione, ogni qualvolta possibile, delle condizioni predisponenti o scatenanti. Da tempo è stato prospettato un possibile effetto miocardiolesivo dell'uremia, tanto che si parla di cardiomiopatia uremica come forma a sè stante; in animali da esperimento l'uremia induce un aumento del tessuto interstiziale miocardico; nell'uomo, anche indipendentemente dall'ipertensione arteriosa, sono comuni un aumento del volume cardiaco, con allargamento delle cavità sinistre, un'ipertrofia ventricolare sinistra e/o del setto interventricolare. A livello microscopico si osservano una fibrosi miocardica, talora grave, fenomeni degenerativi delle cellule miocardiche e deposizioni di calcio focali o, in caso di iperparatiroidismo, massive. L'arteriosclerosi coronarica è particolarmente frequente anche nei giovani e può causare stenosi coronariche e fenomeni ischemici gravi che non di rado sono asintomatici anche in soggetti non diabetici. Quando non correggibile, la cardiopatia ischemica può costituire una controindicazione al trapianto di rene Nella patogenesi della miocardiopatia uremica, che deve essere distinta da quella ipertensiva, possono intervenire: agenti "tossici"; la ritenzione idrosalina che induce sovraccarico cardiocircolatorio, con aumento del precarico; l'iperpotassiemia e l'acidosi, che hanno effetto inotropo negativo; le alterazioni della calcemia, che causano alterazioni della contrattilità e dell'eccitabilità miocardica; la deplezione di fosforo; il paratormone, i cui livelli sono in genere molto aumentati in questi pazienti; l'anemia; fattori carenziali (vit. B1 e carnetina) ed in un certo numero di casi , la presenza anche oer molti anni, di una fistola artertovenosa. I segni clinici della cosiddetta cardiomiopatia uremica sono quelli di un'insufficenza ventricolare sinistra, e talora possono comparire all'improvviso, a seguito di un sovraccarico acuto idrosalino anche modesto o di una crisi ipertensiva. All'esame obiettivo possono essere presenti un ritmo di galoppo e soffi da rigurgito a carico di una o più valvole cardiache, ma i rilievi clinici sono spesso infidi. L'elettrocardiogramma può indicare la presenza di ipertrofia ventricolare sinistra, di alterazioni dell'onda T o del tratto ST, ma è poco indicativo. Altrettanto si può dire dell'esame RX del torace. I risultati migliori sono forniti dall'ecocardiografia dinamica. Nella terapia è fondamentale la correzione dei fattori rimovibili eventualmente implicati; la terapia farmacologica digitalica trova indicazioni nelle tachicardie sopraventricolari, nella fibrillazione atriale o nello scompenso cardiaco, in assenza di un sovraccarico idrico o di ipertensione grave. L'insufficienza renale riduce la maneggevolezza della digossina, che non è dializzabile, aumentandone la tossicità. Si raccomanda in genere una dose iniziale di 0,25 mg/die per 2-3 giorni; la dose di mantenimento è in genere 0,125 a giorni alterni. L'obiettivo è di mantenere valori di digossinemia intorno a 1 ng/ml. E' necessaria una regolare monitorizzazione del farmaco. Altri Autori preferiscono la digitossina in relazione al suo metabolismo prevalentemente epatico. I vasodilatatori arteriolari (idralazina e minoxidil) possono migliorare la gittata cardiaca riducendo l'impedenza al deflusso; quelli venosi (nitroglicerina ed isosorbide dinitrato) agiscono aumentando la capacità del comparto venoso. Gli ACE inibitori, che inducono una favorevole ridistribuzione della gittata, possono essere usati in condizioni di scompenso, ma con attenta monitorizazione della potassiemia. I nitroderivati sono sicuri, ma possono causare ipotensioni. Tra i betabloccanti sono più usati il propranololo ed il metoprololo, che hanno un metabolismo epatico. Nel trattamento delle coronaropatie, le indicazioni all'angioplastica e agli interventi a cuore aperto sono simili a quelli nei pazienti non uremici, pur con rischi più elevati. L'ipertensione arteriosa nell'insufficienza renale cronica evolve da una fase iniziale con gettata cardiaca aumentata e resistenze periferiche normali, ad una fase caratterizzata da un aumento delle resistenze periferiche. L'aumento della gettata cardiaca consegue all'espansione di volume extracellulare e all'anemia; l'aumento delle resistenze periferiche riconosce una genesi polifattoriale (espansione extracellulare, alterazioni del trasporto cellulare del sodio, attivazione del sistema renina-angiotensina e del sistema nervoso autonomo e, forse, riduzione delle sostanze ad azione vasodilatatrice di produzione renale). Nel corso delle nefropatie croniche l’ipertensione arteriosa costituisce un importante fattore favorente l’evoluzione verso l’uremia: su queste basi si ritiene attualmente che, indipendentemente dalla definizione di normalità della pressione arteriosa e compatibilmente con la tolleranza del paziente, i valori presori ottimali siano inferiori a 130/75 mmHg. In controtendenza nei confronti di questa impostazione predominante, alcune osservazioni degli ultimi anni hanno messo in dubbio il ruolo dell’ipertensione come fattore di rischio vascolare richiamando l’attenzione sul fatto che nei pazienti con una pressione sistolica minore di 100 mmHg era rilevabile un rischio di morte cardiovascolare 4 volte superiore rispetto a pazienti con valori pressori compresi fra i 140 ed i 149 mmHg. Il problema resta aperto in quanto non è ben chiaro se i pazeitni ipotesi fossero trattati oppure no, ne viene esclusa la possivbiltà che l’ipotensione non fosse in realtà la conseguenza di una cardiopatia ipocinetico7dialtiva non diagnosticata Sul piano pratico peraltro, il controllo dell'ipertensione arteriosa nel paziente in dialisi, è considerato tutt’ora di grande importanza per la riduzione della mortalità cardiovascolare, ma non è sempre agevole; i trattamenti ultra brevi diffusi in questi ultimi anni (dialisi di circa 3 ore) e l'impiego dell'eritropoietina, per il suo effetto ipertensivante, possono renderlo più difficile; la regolarizzazione dei valori pressori di questi pazienti non è sempre soddisfacente. Per il controllo dell'ipertensione sono fondamentali innanzitutto la restrizione dietetica dell'apporto di sodio e di acqua, un'adeguata disidratazione in corso di dialisi e variazioni mirate del tenore di sodio della soluzione dializzante. Per contribuire al mantenimento del "peso secco" nei pazienti con diuresi residua, alcuni autori hanno proposto l'impiego sistematico di diuretici dell'ansa a dosi elevate (per la furosemide mg/die) che possono però causare effetti collaterali di rilievo (ototossicità). Nella scelta degli antiipertensivi si preferiscono in genere, nell'ordine, betabloccanti, ACE-inibitori e calcioantagonist ed inibitori del recettore dell’ Angiotensina II. Tra i betabloccanti, teoricamente indicati nei pazienti con coronaropatia ischemica o con aritmie, sono da preferire quelli a metabolizzazione epatica, per il minor rischio di accumulo e di bradicardia. Gli ACE inibitori potrebbero avere un'indicazione elettiva nei casi con elevata attività reninica o con insufficienza cardiaca, ma, specialmente nelle prime settimane, è possibile la comparsa di iperpotassiemia; per la loro prevalente eliminazione renale, non si devono superare 50 mg/die per il captopril e 20 mg/die per l'enalapril. I calcioantagonisti hanno una buona efficacia e possono essere impiegati con sicurezza. La nifedipina per via sublinguale (10-20 mg) è molto efficace nel controllo delle crisi ipertensive ma non è esente da rischi. ( crisi anginose) I farmaci ad azione centrale (clonidina, alfametildopa) possono causare secchezza della fauci, stipsi, sedazione ed ipotensione ortostatica; il loro impiego nei pazienti in dialisi è quindi limitato. Sono possibili rebound ipertensivi in caso di sospensione della clonidina; la dialisi rimuove significativamente l'alfametildopa, per cui può esserne richiesta una dose supplementare a fine seduta. Il minoxidil ha rappresentato la prima valida alternativa farmacologica alla nefrectomia nei casi di ipertensione resistente al trattamento dialitico; sono stati segnalati versamenti pericardici e la frequente comparsa di irsutismo. I simpaticolitici ed i vasodilatatori possono influenzare negativamente la tolleranza dialitica: attualmente sono meno utilizzati ; nel caso è consigliabile evitarne la somministrazione nelle ore precedenti la dialisi. Proposta negli anni '60 e '70 per risolvere casi di ipertensione grave e resistente alla terapia farmacologica e dialitica, la nefrectomia bilaterale è stata poi abbandonata, con l'affinarsi delle tecniche di ultrafiltrazione e la disponibilità di farmaci ipotensivi, e per la grave anemizzazione ed ipotensione che sono abitualmente indotte. Alterazioni dell'apparato osteoarticolare L'osteodistrofia uremica in genere non viene completamente corretta dal trattamento sostitutivo, può peggiorare con il proseguimento della dialisi e può essere così invalidante da compromettere il successo del trattamento. All'inizio degli anni ottanta si temeva che le alterazioni osteodistrofiche potessero rappresentare il limite più importante della terapia dialitica a lungo termine. Oggi, nei pazienti che collaborano correttamente, siamo in grado di prevenire e di trattare le sue manifestazioni più gravi. Con il termine di osteodistrofia uremica si indica classicamente un insieme di lesioni che comprende due componenti fondamentali: l'osteite fibrosa, dovuta all'iperparatiroidismo secondario, e l'osteomalacia (nel bambino, il rachitismo), alle quali si associano con minor rilievo osteosclerosi ed osteoporosi. Recentemente sono state identificate altre possibili componenti, a genesi iatrogena: l’osteomalacia vit. D resistente da accumulo cronico di alluminio; l’osteopatia adinamica caratterizzata da una ridotta formazione di osso, senza eccesso di osteoide o di fibrosi, e con presenza molto modesta di alluminio; e la patologia da "amiloide correlata alla dialisi". Alterazioni dell'omeostasi del calcio e del fosforo si verificano nelle fasi iniziali dell'insufficienza renale cronica. E' nozione classica che il primo momento della complessa catena patogenetica dell'osteodistrofia sia un aumento della fosforemia da deficit escretorio; l'iperfosforemia provoca una riduzione della calcemia che determina, a sua volta, un'iperattivazione paratiroidea. E' inoltre possibile che l'iperfosforemia sia capace di per sè di stimolare direttamente la produzione di paratormone (PTH). L'iperfosforemia concorrerebbe inoltre a determinare una resistenza scheletrica all'azione ipercalcemizzante del PTH, i cui livelli si elevano ulteriormente. All'iperincrezione di PTH consegue un aumento dell'escrezione del fosforo, che ripristina la normalità della calcemia e della fosforemia, ma il risultato è un aggiustamento omeostatico a livelli di attività paratiroidea più elevati che in precedenza. Nella genesi dell'ipocalcemia tuttavia intervengono altri fattori. Il più importante è la riduzione della produzione renale dell'1,25(0H)2 colecalciferolo (o calcitriolo), che è la forma ormonale più attiva di vitamina D. Esisterebbero anche alterazioni funzionali della vitamina D o dei suoi metaboliti, almeno in parte legate a deficit recettoriali specifici. Anche alterata è la produzione di 24,25(OH)2 colecalciferolo, le cui conseguenze non sono ancora chiarite. La diminuita produzione di calcitriolo è abitualmente considerata conseguenza diretta della riduzione del parenchima funzionante; tuttavia, poichè interviene precocemente con clearances della creatinina tra 50 e 80 ml/min, si è anche ipotizzato un effetto inibitore da parte di un elevato tenore in fosforo a livello del tubulo prossimale, dovuto all'aumento del carico di fosfati per unità nefronica residua. La diminuzione dei livelli plasmatici di calcitriolo deprime l'assorbimento intestinale di calcio e di fosforo e riduce la calcemia; inoltre a questa vitamina D è attualmente riconosciuto un effetto soppressore diretto sull'attività paratiroidea. Secondo alcuni autori, in alternativa all'iperfosforemia, il momento centrale dell'innesco patogenetico dell'osteodistrofia sarebbe appunto il deficit di produzione di questa vitamina D. L'iperparatiroidismo è responsabile di numerosi effetti sistemici: induce un aumento del riassorbimento osseo e dell'attività osteoclastica; causa miopatie prossimali per aumento di Ca nelle fibrocellule, e calcificazioni metastatiche; se ne sospetta un possibile ruolo nella miocardiopatia uremica. Le alterazioni del metabolismo della vitamina D sono responsabili della riduzione dell'assorbimento intestinale del calcio e dei difetti di mineralizzazione dell'osteoide, con conseguente osteomalacia. Alla difettosa mineralizzazione contribuiscono anche gli squilibri a carico del Mg e di elementi in tracce. Un ruolo importante nella genesi di un'osteomalacia resistente alla vitamina D può essere svolto dall'alluminio. La sintomatologia clinica varia a seconda che prevalga la componente iperparatiroidea od osteomalacica, o che si tratti di una forma mista. Sono caratteristici dolori ossei, generalmente al rachide e agli arti inferiori; è abbastanza comune una compromissione artromuscolare, elettiva a livello scapolo omerale, rachideo, e coxofemorale; il frequente prurito è dovuto almeno in parte all'iperparatiroidismo, per deposizione cutanea di calcio, e per riduzione della soglia agli stimoli. La componente osteomalacica è causa di deformità scheletriche, con quadri di rachitismo nel bambino e, nell'adulto, di deformità toraciche, scoliosi, cifosi e fratture, specie costali, vertebrali e del bacino. La componente legata all'iperparatiroidismo secondario si esprime in fenomeni di riassorbimento sottoperiosteo che possono portare, tra l'altro, alla "scomparsa" dell'immagine radiologica dell'estremità distale delle falangi e delle clavicole, in formazioni lacunari ossee, particolarmente temibili se si verificano a livello di segmenti ossei portanti, come il collo femorale; in calcificazioni ectopiche, talora enormi, in sede periarticolare, nelle pareti arteriose, eventualmente con fenomeni ischemici distali, nelle congiuntive e nella cornea (red eyes). Un'ipercalcemia sintomatica (con torpore, stato confusionale, prurito intenso) è rara; l'iperfosforemia è abituale. Le calcificazioni metastatiche sono correlabili con un prodotto calcio x fosforo >70. Patologia ossea da alluminio In numerose reti idriche urbane viene fatto uso abituale di solfato di alluminio per chiarificare le acque, e di conseguenza l'acqua potabile può essere molto ricca di questo metallo, tradizionalmente ritenuto innocuo. Poichè inizialmente non si prendeva in considerazione questa eventualità, ed i sistemi impiegati per il trattamento delle acque erano poco o nulla efficienti nell'estrarlo, in molti centri dialisi i pazienti erano esposti ad un importante accumulo di alluminio che diffonde dal bagno di dialisi al sangue. Inoltre, per anni, i pazienti in dialisi sono stati sottoposti alla somministrazione sistematica di gel di alluminio per os, con la finalità di chelare il fosforo degli alimenti, ridurne l'assorbimento intestinale, controllare meglio l'iperfosforemia, e prevenire l'iperparatiroidismo secondario. A differenza che nel soggetto normale, nel paziente uremico, anche nel caso di somministrazione orale si può verificare un deposito cronico di alluminio nell'organismo. Solo da una quindicina d'anni è stata riconosciuta la possibilità che l'alluminio possa essere responsabile di una specifica forma di encefalopatia, di anemia microcitica e di osteomalacia. L'alluminio interferisce ritardando la formazione e l'accrescimento dei cristalli di idrossiapatite. Il suo ruolo nella patologia ossea è assai complesso e sembra che il suo effetto venga antagonizzato dallo stato di iperattività delle paratiroidi. Dopo paratiroidectomia interverrebbe un effetto permissivo nella deposizione del metallo sul fronte di calcificazione, con aggravamento dell'osteomalacia. Nella sorveglianza laboratoristica del ricambio fosfocalcico e dell'osteodistrofia uremica hanno importanza: - la determinazione regolare della calcemia (in genere solo modestamente aumentata nell'iperparatiroidismo; il suo aumento è più spesso legato ad un sovradosaggio di vitamina D) e della fosforemia; - il dosaggio della fosfatasi alcalina, il cui aumento (con enzimi epatici nella norma) è in buona correlazione con l'entità dell'iperparatiroidismo secondario; - il dosaggio del paratormone . - la determinazione dell'alluminiemia. I segni radiologici principali di iperparatiroidismo secondario sono innanzitutto rappresentati da riassorbimento subperiosteo, che si osserva bene a livello delle falangi, specie sulla superficie radiale di quelle medie, e sul flocculo delle falangette, nella pelvi, nell'estremità distale delle clavicole, a carico della mandibola, con scomparsa della lamina dura se vi sono denti, e del cranio. Per un'indagine precoce si presta bene lo studio della mano. Altri segni caratteristici sono cisti ossee (tumori bruni), strie corticali e immagini "a vetro smerigliato" del cranio, aree di osteosclerosi e di neostosi periostale, calcificazioni vascolari e dei tessuti molli. Segni principali di osteomalacia sono deformità scheletriche (bacino a cuore di carta da gioco, torace a botte, cifosi dorsale), schiacciamento vertebrale, fratture costali e del bacino, pseudofratture. Spesso solo l'indagine ossea bioptica è dirimente per la diagnosi di osteodistrofia uremica ed il preciso riconoscimento delle sue diverse componenti. La prevenzione e la terapia dell'osteodistrofia uremica si avvalgono di misure finalizzate a contenere o contrastare l'iperfosforemia e l'ipocalcemia, che sono i fattori patogenetici fondamentali e, a dialisi avviata, di un corretto trattamento sostitutivo. La dieta deve avere un contenuto di fosforo inferiore a 800 mg/die che, per essere ottenuto, presuppone l’astensione dell’uso abituale di latticini e formaggi. Per chelare il fosfato a livello intestinale, la somministrazione di gel di alluminio è stata ora quasi completamente abbandonata in favore di quella di sali di calcio (carbonato di calcio: 3 o più g/die) e di magnesio, utili anche per prevenire o ridurre l’iperparatiroidismo e le lesioni osteomalaciche. Molto utile, ma non indenne da rischi anche a livello renale e pertanto da attuarsi con grande prudenza, è la somministrazione di calcitriolo (in genere alla dose di O,25 microgrammi/die o a giorni alterni ), ed eventualmente di altre vitamine D. Nei casi più conclamati di iperparatiroidismo si rende necessaria la paratiroidectomia. Compromissione neurologica In fase predialitica ed in corso di trattamento dialitico sono piuttosto frequenti fenomeni di depressione e di ansia. La diagnosi differenziale con l'encefalopatia uremica, da alluminio, o su base aterosclerotica può non essere facile. Con lo svilupparsi della sindrome uremica, le manifestazioni cliniche dell'encefalopatia uremica possono evolvere da una semplice riduzione dell'attenzione e delle capacità intellettive, in genere con irritabilità o apatia, sino ad uno stato di confusione, talora con allucinazioni, di sonnolenza e poi di coma. Sono in genere contemporaneamente presenti tremori con fini scosse muscolari durante i movimenti degli arti, asterixis e mioclonie. Nei pazienti in trattamento medico conservativo le forme conclamate di encefalopatia uremica sono ora del tutto eccezionali e in genere se ne colgono solo i segni iniziali, che regrediscono rapidamente con l'inizio del trattamento dialitico. Nei soggetti da anni in trattamento sostitutivo sono frequentemente presenti alla tomografia computerizzata immagini di atrofia cerebrale e le indagini elettrofisiologiche possono mettere in evidenza alterazioni di vario tipo. La possibilità che, in corso di un trattamento dialitico correttamente condotto, possa comparire una cerebropatia uremica clinicamente evidente è peraltro discussa. Lesioni su base arteriosclerotica, ed eventualmente ipertensiva, con encefalopatia sottocorticale aterosclerotica, TIA, infarti ed emorragie cerebrali non sono invece rare. Nello scorso decennio è stata descritta ed attribuita ad intossicazione da alluminio un'encefalopatia peculiare, con disturbi del linguaggio (inizialmente con caratteristici intoppi nella parola durante formulazione di frasi lunghe e complesse), deterioramento intellettivo sino alla demenza, contrazioni muscolari sino a convulsioni generalizzate, e fenomeni di aprassia sino ad un'immobilità totale. Per l'attenzione che si pone attualmente nella prevenzione degli accumuli di alluminio, queste manifestazioni sono ora praticamente scomparse. I sintomi clinici più classici di interessamento del sistema nervoso periferico dell'uremia cronica sono quelli di una neuropatia periferica, sensitiva e motoria, con parestesie distali, riduzione sino alla perdita dei riflessi inizialmente alle estremità e poi rotulei, debolezza e successivamente atrofia muscolare distale agli arti inferiori. E' frequente la cosiddetta "restless leg syndrome" che si manifesta con necessità di muovere le gambe o di camminare quando il paziente si riposa o si mette a letto. La patogenesi della compromissione neurologica dell'uremico è complessa: fenomeni ritentivi sono verosimilmente implicati, ed il trapianto di rene riesce a ripristinare una normale situazione tranne che nei casi più evoluti, ma la ricerca di medie molecole neurotossiche non è approdata a risultati concreti. Anche in queste manifestazioni è stato prospettato un possibile ruolo del paratormone, che interverrebbe pure nella patogenesi, peraltro multifattoriale, dell'atrofia muscolare. Alterazioni del sistema nervoso autonomo non sono rare, e possono esere causa di ipotensione ortostatica, di modificazioni della motilità intestinale e di compromissione dell'attività sessuale. Patologia gastroenterica Alterazioni morfofunzionali dell'apparato digerente compaiono nelle fasi terminali dell'uremia e possono essere manifeste nei pazienti in trattamento dialitico. Peraltro, l'inizio di una regolare depurazione consente in genere una regressione della sintomatologia gastroenterica. Per tale motivo nella patogenesi si ritiene implicata la ritenzione di prodotti azotati; concorrerebbero alle alterazioni della barriera mucosa gastrica alterazioni arteriolari, la diatesi emorragica ed alcuni farmaci, quali i chelanti del fosforo sotto forma di idrossido di alluminio. L'interessamento del tratto gastroenterico può avere estensione variabile, con coinvolgimento sia del tratto digerente alto (lesioni ulcerative, microemorragie, lesioni necrotiche esofagee e gastriche) sia del colon (angiodisplasie, ulcere, pseudomembrane). Dati peraltro non univoci indicherebbero nell'ipergastrinemia un elemento fondamentale nella genesi delle alterazioni gastriche dell'uremico. Il quadro clinico è polimorfo, e comprende inizialmente una vaga sintomatologia dispeptica, poi nausea, vomito, epigastralgie, anoressia. All'indagine endoscopica e radiologica sono frequenti reperti di gastroduodenite, esofagite e lesioni ulcerative, generalemente in associazione con la positività bioetica per l’Helycobacter Pilori. Per quanto concerne la patologia epatica, deve essere posta in evidenza la particolare frequenza di compromissione virale (l'epatite B è ora in netta riduzione, a differenza di quella C). Accanto a questi quadri ben definiti si possono avere reperti laboratoristici di aumento aspecifico delle transaminasi e degli isoenzimi epatici della fosfatasi alcalina, spesso di difficile interpretazione. Compromissione polmonare La forma più comune e di maggior importanza pratica è un accumulo, soprattutto interstiziale, di liquidi con l'aspetto del cosiddetto "polmone uremico" o "da acqua". La diagnosi clinica è suggerita dalla comparsa acuta o subacuta di una dispnea ingravescente, con reperti auscultatori inizialmente nella norma, e che solo con l'aggravarsi del sovraccarico acquistano progressivamente le caratteristiche semeiotiche dell'edema polmonare. Il reperto radiologico più tipico è di opacità a farfalla, che rispetta i campi periferici. I quadri sono però vari, e non è raro che sia simulata la presenza di focolai broncopneumonici multipli. Un'energica sottrazione di liquidi con la dialisi consente la regressione di questa complicanza in poche ore. Non rare sono microcalcificazioni polmonari, attribuite all'iperparatiroidismo. Alterazioni endocrine Nell'uremico cronico si rileva un'importante compromissione dell'attività sessuale con, nel maschio, un'elevata incidenza di impotenza e di riduzione della libido, oligospermia, ginecomastia, aplasia delle cellule germinali e, nella femmina, cicli anovulatori ed irregolarità mestruali, sino all'amenorrea. I fattori responsabili sono multipli: accanto alle turbe endocrine (nella femmina, riduzione degli estrogeni e del progesterone; nel maschio, ridotti livelli di testosterone; in entrambi i sessi, aumento di LH, PRL, FSH ed alterazioni di recettori ipotalamici) sono da considerare altre cause, come l’anemia, gli stress psichici, stati depressivi, fattori nutrizionali e iatrogeni (non di rado sono in causa gli ipotensivi), neuropatia uremica, insufficienza vascolare degli organi genitali. Particolare interesse era stato suscitato da una correlazione tra alterazioni della sfera sessuale e deficit di zinco che, da indagini successive, non pare tuttavia rivestire un ruolo fondamentale in tutti gli uremici. Una gravidanza è stata riportata in meno dell'1% delle donne in dialisi in età feconda, con netto aumento dei rischi materni e fetali. I livelli di ACTH e cortisolo sono normali (la cortisolemia aumenta dopo dialisi extracorporea per risposta allo stress); quelli di aldosterone sono generalmente elevati. I parametri di funzionalità tiroidea sono variamente alterati nell'insufficienza renale cronica, senza che siano tuttavia presenti quadri clinici conclamati: il TSH e l'FT4 sono in genere normali; i livelli di T3 sono ridotti. Il trapianto normalizza anche queste alterazioni ormonali. I livelli circolanti di somatotropina sono per lo più elevati. L'alterata sintesi ormonale da parte delle ß cellule pancreatiche è uno dei fattori che si ritiene intervengano nelle alterazioni del metabolismo glicidico, presente in circa il 50% dei pazienti uremici, accanto ad una resistenza recettoriale periferica ed alla ridotta clearance metabolica di insulina e glucagone. Tali squilibri si traducono in un'alterata risposta al carico glucidico, iperinsulinemia, iperglucagonemia, ipoglicemie spontanee e a digiuno, ridotta richiesta insulinica nei diabeti insulinodipendenti e sono scarsamente corretti dal trattamento sostitutivo. Imputabili invece a deficit enzimatici sono le alterazioni del metabolismo lipidico: aumento dei trigliceridi in VLDL e LDL; diminuzione del colesterolo HDL; aumento del colesterolo VLDL; riduzione della ApoA; aumento della ApoB. L'approccio terapeutico è di tipo dietetico-farmacologico. Studi recenti hanno richiamato l’attenzione anche sull’omocisteina , amino acido solforato che deriva dal metabolismo della metionina, come fattore di rischio cardiovascolare. Nella popolazione generale, dove sono stati eseguiti la maggioranza degli studi, livelli aumentati di omocisteina correlano con un rischio cardio e cerebro vascolare aumentato. Nell’insufficienza renale l’omocisteina è aumentata per diverse ragioni: ridotta filtrazione glomerulare, possibile conseguenza di alterazioni del metabolismo vitaminico della B12 e dei folati, ma soprattutto per il suo ridotto catabolismo renale. Le evidenze di un suo ruolo come fattore di rischio nei pazienti dializzati restano tuttavia ancora dibattute in conseguenze dei risultati contrastanti riportati nei pochi studi fin’ora pubblicati. L'UREMIA IL NOME UREMIA DERIVA DA UREA, UNA DELLE PRIME SOSTANZE STUDIATE COME POTENZIALI TOSSICI IN CONDIZIONI DI INSUFFICIENZA RENALE E COME INDICE DI FUNZIONALITA' RENALE. SEBBENE IL RUOLO DELL'UREA COME TOSSICO SIA PROBABILMENTE MINORE, QUESTA SOSTANZA MANTIENE UN RUOLO PRINCIPALE COME MARCATORE DI TOSSICITA' E LA SUA DEPURAZIONE E' OGGI LA PRINCIPALE GUIDA PER DEFINIRE L'EFFICIENZA DELLA DIALISI (CINETICA DELL'UREA) La sindrome uremica traduce sul piano clinico la compromissione anatomofunzionale di numerosi organi ed apparati conseguente alla grave riduzione della funzione renale. La sua patogenesi è solo parzialmente nota; è in ogni caso multifattoriale e probabilmente dovuta alla ritenzione contemporanea di sostanze di vario tipo che svolgono un ruolo patogeno con effetti sinergici, ad alterazioni idroelettrolitiche e dell'equilibrio acido base, ad un'increzione inappropriata di alcuni ormoni e, forse, alla ritenzione di alcuni di essi o di loro prodotti terminali. 1) Ruolo patogenetico della ritenzione di scorie metaboliche, degli squilibri idroelettrolitici e del bilancio acido-base. L'ipotesi più accettata in passato era che l'uremia conseguisse fondamentalmente alla ritenzione di una o più "tossine". Tuttavia, tra le sostanze più comunemente considerate nella pratica clinica, l'urea, cui si deve il nome della sindrome, è stata riconosciuta potenzialmente tossica soltanto a concentrazioni molto elevate, oltre 300 mg/dL, e in ogni caso all'iperazotemia sono attribuibili con sicurezza solo alterazioni settoriali, cosicchè questo catabolita ha in genere soltanto un significato generico di marker di ritenzione. Analoghe considerazioni valgono per la creatinina. E' anche negato il ruolo di metaboliti degli acidi nucleinici, come l'acido urico, e di alcuni dipeptidi, le cui concentrazioni ematiche sono in genere aumentate nel soggetto uremico. Notevole interesse aveva suscitato l'identificazione nel plasma uremico di elevati livelli di sostanze del gruppo delle guanidine e delle poliamine (spermina, spermidina e putrescina), ma il loro ruolo patogenetico è messo in dubbio. Più recentemente, nel tentativo di rivalutare l'importanza dei fenomeni di ritenzione, concettualmente attraenti in quanto i rapporti tra miglioramento clinico e depurazione extrarenale, che li attenua o li risolve almeno temporaneamente, sono innegabili, si è tentato di attribuire alcune manifestazioni dell'uremia, come l'anemia, la neuropatia ed i deficit immunologici, alla ritenzione di sostanze a peso molecolare più elevato di quello dell'urea, della creatinina, ed in generale dei prodotti tradizionalmente studiati. Queste sostanze, il cui peso molecolare presunto è stato indicato tra 300 e o anche 3000 daltons, sono state definite complessivamente come "medie molecole". Il loro interesse pratico è anche legato al fatto che esse sono allontanate dall'organismo dell'uremico in misura differente dai diversi tipi di depurazione extrarenale. Concentrazioni più elevate rispetto ai soggetti di controllo di prodotti con peso molecolare di quest'ordine di grandezza sono state dimostrate nel siero uremico, ma non è stato possibile stabilire correlazioni precise tra la loro ritenzione e segni e sintomi specifici della sindrome uremica e differenti modalità di depurazione Un'ipotesi alternativa, probabilmente più attraente dal punto di vista clinico, è quella che sia la ritenzione contemporanea di più sostanze a vario peso molecolare ad avere effetti patogeni, con manifestazioni complessive differenti da quelle provocate dai singoli prodotti: ciò potrebbe rendere ragione della mancanza di correlazioni lineari tra livelli ematici delle tossine indiziate e sintomi specifici, e potrebbe essere anche alla base della differente sintomatologia che pazienti differenti lamentano a gradi equivalenti di compromissione della funzione renale. Non sussistono invece dubbi sugli effetti dell'acidosi e dei disordini idroelettrolitici, che sono talora responsabili di segni e sintomi specifici; anche in questo caso, nessun singolo elemento è in grado, di per sè, di riprodurre per intero la sindrome uremica. Un dato recente molto importante è quello legato alla importanza dell'acidosi nella riduzione dell'appetito e nella patogenesi della conseguente malnutrizione, che a sua volta rappresenta uno degli elementi più importanti nello scadimento delle condizioni generali dell'uremia. 2) Inappropriata increzione ormonale Notevole attenzione merita il ruolo di fenomeni che fisiologicamente operano come compenso ma che, a seguito di stimolazioni abnormi causate dall'insufficienza renale stessa, perdono le caratteristiche di elementi omeostatici e causano complesse alterazioni anatomo-funzionali. Tra queste ha particolare importanza l'iperparatiroidismo secondario: nelle fasi iniziali dell'insufficienza renale l'aumento della secrezione di paratormone è in grado di ripristinare i normali livelli sierici del calcio e del fosforo; successivamente, l'iperfunzione paratiroidea può accentuarsi sino a provocare gravi alterazioni ossee e calcificazioni metastatiche. Oltre che a livello osseo, il paratormone svolge un'influenza anche su numerose funzioni cellulari a vari livelli (cuore, sistema nervoso, eritrociti). Per questo motivo è talora citato come esempio di tossina uremica o, addirittra, come esempio dell'unica vera tossina uremica evidenziabile nell'uomo. Oggetto di attenzione è anche il possibile ruolo nell'uremia dei fattori natriuretici atriale ipotalamico, la cui produzione è aumentata secondariamente all'espansione dei volumi extracellulari. Al primo, che è un potente vasodilatatore, sono forse ascrivibili fenomeni ipotensivi acuti e cronici in corso di dialisi. Il secondo deprime l'attività della pompa Na-K ATPasi ouabaino-sensibile, che è considerato un importante meccanismo di trasporto di membrana che garantisce la costanza della composizione intracellulare. Questa inibizione potrebbe render conto almeno di una delle modalità con le quali la ritenzione di sodio è causa di ipertensione arteriosa: alla riduzione di attività di questa pompa sembra in effetti conseguire anche un aumento del contenuto di calcio delle cellule muscolari liscie, con la conseguenza di un incremento delle resistenze arteriose periferiche, che a sua volta è alla base dell'ipertensione arteriosa. 3) Compromissione della funzione endocrina del rene. Si esprime con una riduzione dell'idrossilazione da parte del rene del 25(0H)-colecalciferolo (calcifediolo), prodotto dal fegato, in 1,25(OH)2 colecalciferolo (o calcitriolo), con un deficit di produzione di eritropoietina e l'iperproduzione di renina. E' incerto il ruolo della ridotta produzione a livello renale di sostanze ad azione vasodilatatrice, quali alcune prostaglandine. A questa serie di eventi patogeni si possono sommare fenomeni iatrogeni, acuti e cronici, indotti dalla dialisi o da farmaci, che comportano quadri sintomatologici talora non facilmente distinguibili da quelli uremici. L'intossicazione da alluminio e, almeno in parte, la patologia da accumulo della ß2-microglobulina, sono gli esempi più evidenti di questa eventualità. Non deve pertanto stupire che, in relazione a questa situazione così complessa, il trattamento dialitico, pur consentendo sopravvivenze prolungate (anche per più decenni) in condizioni di vita accettabili, non comporti la totale correzione degli squilibri dovuti all'uremia e che, in relazione ad un'eventuale insufficenza, assoluta o relativa, del trattamento sostitutivo, possano facilmente ricomparire manifestazioni uremiche anche gravi. Per questo motivo, e in relazione al fatto che il trattamento dialitico è ora talmente diffuso che la maggior parte dei medici ha tra i suoi pazienti dei soggetti in dialisi, assieme alla sintomatologia dell'uremia cronica ricorderemo qui anche i problemi più importanti degli uremici cronici in trattamento sostitutivo della funzione renale. Alterazioni del sistema emopoietico 1) Anemia. Accompagna quasi invariabilmente l'insufficienza renale cronica e viene considerata come parzialmente responsabile dell'astenia, di alcune manifestazioni neuropsichiche (come la difficoltà di attenzione e di concentrazione, depressione dell'umore e disturbi del sonno), di disturbi della sfera sessuale; può aggravare manifestazioni di interessamento extrarenale, ad esempio di insufficienza cardiaca, coronarica o di deficit cerebrale. I pazienti in dialisi hanno mediamente livelli di emoglobina ridotti, e valori inferiori a 8-10 g/dl non sono infrequenti. A parità di livelli emoglobinici, l'anemia è meglio tollerata che nei soggetti non uremici, in quanto esiste in questa condizione una minore affinità per l'ossigeno che ne condiziona una più facile cessione ai tessuti. L'anemia dell'uremico cronico è ipoproliferativa, normocromica e normocitica. La situazione ipoproliferativa è direttamente correlata al deficit di eritropoietina, ormone glicoproteico prodotto per oltre il 9O% dal rene. E' anche ipotizzata l'esistenza di inibitori plasmatici dell'eritropoiesi, che si è creduto di volta in volta di identificare nel paratormone, nelle medie molecole ed in proteine a basso peso molecolare, ed una resistenza dei precursori eritroidi alla sua azione. La vita media degli eritociti è ridotta, in gran parte per un'accresciuta fragilità osmotica. Anche la resistenza degli eritrociti ai fattori ossidanti è ridotta; la somministrazione di sulfamidici, alfametildopa, vitamina A, antimalarici e furantoina può pertanto risultare pericolosa. Un'accentuazione dell'emolisi cronica è stata anche descritta dopo somministrazione di penicillina e cefalosporine. La somministrazione di trimetoprim-sulfametossazolo può causare una carenza di acido folico. Altri fattori aggiuntivi nella patogenesi dell'anemia possono essere: stati carenziali di ferro e di vitamine (acido folico, B12), di fosforo, di aminoacidi e di oligoelementi (rame, zinco); malnutrizione calorico-proteica; perdite ematiche occulte (che possono a loro volta essere legate alla presenza di un ridotto trofismo delle mucose intestinali, legato all'uremia), o dovute ai prelievi per i numerosi controlli ematochimici. L'anemia è solo parzialmente corretta dalla dialisi, ma si aggrava in caso di trattamento dialitico insufficiente. I rapporti tra "qualità" della depurazione ed anemia sono sottolineati dalla possibilità di ottenere aumenti dell'ematocrito con il miglioramento dell'efficienza dialitica. Esiste anche un possibile rapporto tra accumulo cronico di alluminio e anemia, che in questi casi assume un carattere microcitico. In fasi avanzate di uremia e in corso di dialisi, in presenza di sintomi clinici legati all’anemia e comunque se i valori di Hb sono inferiori a 9-10 g/dL, dopo la correzione di eventuali fattori carenziali (ferro, B12 e Folati), l’eritropoietina viene attualmente somministrata regolarmente; l'anemia non deve essere corretta completamente, e l’obiettivo è di ottenere valori di Hb di g/dL e di ematocrito intorno al 30%, soprattutto per non incorrere nel rischio di un aggravamento dell’ipertensione arteriosa, di incidenti trombotici, di coagulazione dell'accesso vascolare e di una riduzione dell'efficienza della dialisi, comune con ematocriti superiori al 30-35%. 2) Alterazioni della coagulazione. Nel soggetto uremico il tempo di sanguinamento è spesso prolungato. Questo deficit ha una patogenesi complessa, ma è fondamentalmente espressione di un'alterazione funzionale delle piastrine, di cui è ben documentato un difetto di aggregazione e di adesività. Per spiegare questo fenomeno sono chiamati in causa fattori dializzabili, tra i quali composti fenolici e l'acido guanidinsuccinico. Il deficit coagulatorio è in gran parte reversibile entro qualche settimana dall'inizio del trattamento dialitico. Un livello di ematocrito intorno al 30% è considerato in ogni caso ottimale per garantire una buona funzione piastrinica. 3) Alterazioni leucocitarie. In corso di uremia alcune attività funzionali dei granulociti sono compromesse; tra queste ricordiamo una ridotta attività chemiotattica in vitro ed una riduzione numerica di recettori del C5. Il numero dei linfociti è spesso ridotto e sono state descritte alterazioni del rapporto tra sottopopolazioni linfocitarie. Si tratta di deficit molto comuni che interessano a vari livelli soprattutto l'immunità cellulare ed in misura minore quella umorale; sembrano essere almeno in parte corrette dalla dialisi. Sul piano clinico la manifestazione più importante è l'aumento della suscettibilità ad infezioni batteriche, virali e micotiche, che rappresentano in toto la seconda causa di decesso nei pazienti in dialisi, e sono certamente tra le più importanti cause di morbilità in questi soggetti. Tra le infezioni batteriche predominano quelle da Gram positivi, con elevata frequenza di batteriemie, di endocarditi, di infezioni osteoarticolari e polmonari e dell'accesso vascolare o peritoneale. E' descritto un aumento delle infezioni tubercolari, e da germi inusuali. Una peculiarità, che è in parte almeno in comune al quadro clinico di sepsi in soggetti defedati è la possibilità che questa si verifichi anche senza febbre.

39 Alterazioni del sistema immunitario
Alterazioni dell'apparato cardiovascolare Il 30-50% dei decessi dei pazienti in dialisi è legato a patologia cardiovascolare. In era predialitica erano frequenti gli episodi di pericardite, spesso mortali. La dialisi ha ridotto la frequenza e la gravità di questa complicazione, pur non annullandola. I fattori eziopatogenetici della pericardite uremica sono numerosi: uno stato di uremia non ben corretto dal trattamento sostitutivo; un possibile ruolo dell'ipertensione arteriosa, dell'iperparatiroidismo secondario, di meccanismi immunologici da immunocomplessi circolanti, l'uso cronico di eparina, gli stress chirurgici. L'eziologia può essere inoltre infettiva, batterica o virale. In era predialitica erano molto frequenti gli episodi di pericardite, spesso mortali. Il trattamento dialitico precoce ha ridotto la frequenza e la gravità di questa complicazione, più rara in dialisi peritoneale che in emodialisi, pur non annullandola. I fattori eziopatogenetici della pericardite uremica sono numerosi: in alcuni casi è responsabile uno stato di uremia non ben corretto dal trattamento sostitutivo; altre volte questa complicazione interviene in soggetti apparentemente non sottodializzati: in queste condizioni è stato prospettato un possibile ruolo dell'ipertensione arteriosa, dell'iperparatiroidismo secondario, di meccanismi immunologici da immunocomplessi circolanti, l'uso cronico di eparina, gli stress chirurgici. L'eziologia può essere inoltre infettiva, batterica o virale. L'impiego sistematico dell'ecocardiografia ha rivelato in pazienti in dialisi apparentemente trattati in maniera corretta ed asintomatici, una frequenza elevata di piccoli versamenti pericardici, che sono considerati in genere segno non di pericardite, ma di sovraccarico idrosalino cronico. La pericardite uremica può essere acuta o cronica. Le forme acute sono caratterizzate da un processo infiammatorio con deposizione di fibrina. Il quadro clinico è condizionato dall'entità della flogosi e dalla rapidità dell'esordio. E' in genere presente un dolore toracico, che può essere continuo e simulare quello dell'infarto, o può essere influenzato dai movimenti respiratori. Sono frequenti aritmie; compare spesso una ipotensione intradialitica. La sintomatologia può però essere larvata od assente. All'esame obiettivo è tipico un rumore di sfregamento a va e vieni, che può essere apprezzabile solo in aree limitate, spesso in sede parasternale sinistra, e può accentuarsi in decubito laterale o prono. I rumori possono scomparire con l'aumento dell'essudato. Altri segni possono essere: scomparsa dell'itto puntale, turgore delle giugulari; aumento del turgore venoso in fase inspiratoria (segno di Kussmaul), polso paradosso (riduzione della pressione arteriosa maggiore di 12 mmHg in fase inspiratoria), edemi periferici, epatomegalia. Una dispnea importante con ortopnea, eventualmente con posizione inclinata anteriore, deve essere considerata segno di allarme per un tamponamento. Nei casi tipici l'esame radiologico dimostra un ingrandimento del cuore "a fiasca"; l'elettrocardiogramma è spesso di scarsa utilità per l'incostanza dei classici sopraslivellamenti del tratto S-T; è fondamentale l'apporto dell'ecocardiografia che può svelare versamenti anche modesti, spesso posteriori. La complicazione più temibile è il tamponamento cardiaco; un'altra grave conseguenza a distanza può essere una pericardite cronica costrittiva. Oltre al trattamento è antalgico, se il paziente è in trattamento conservativo si impone l’avvio immediato del trattamento dialitico; se è già in dialisi, la frequenza delle sedute di dialisi e l’efficienza dialitica vengono aumentate, per migliorare la qualità della depurazione e ridurre più agevolmente eventuali sovraccarichi idrosalini; solo nei casi più gravi è richiesta una pericardiocentesi, peraltro non priva di rischi, o una soluzione chirurgica con una pericardiotomia sottoxifoidea o una pericardiectomia anteriore. Aritmie cardiache di vario tipo sono molto comuni nei pazienti in dialisi, con percentuali variabili dal 17% al 90% a seconda delle casistiche, e possono essere scatenate da vari fattori: rapide variazioni, intra o interdialitiche, delle concentrazioni elettrolitiche sieriche, in particolare di potassio e calcio; modificazioni dell'equilibrio acido-base o della ripartizione ionica intra-extracellulare. Nell'1,4-16% dei pazienti in dialisi il decesso avviene per una morte improvvisa, in parte dei casi probabilmente dovuta ad un'aritmia. Le extrasistoli atriali sono spesso asintomatiche, ed in genere ben tollerate; il significato clinico delle extrasistoli ventricolari varia a seconda della loro frequenza e complessità; le tachicardie sopraventricolari sono frequenti nei soggetti cardiopatici; le bradiaritmie sono un evento raro, e per lo più dovute ad un'iperpotassiemia grave. La terapia non può essere solo farmacologica ma richiede l'individuazione e la rimozione, ogni qualvolta possibile, delle condizioni predisponenti o scatenanti. Da tempo è stato prospettato un possibile effetto miocardiolesivo dell'uremia, tanto che si parla di cardiomiopatia uremica come forma a sè stante; in animali da esperimento l'uremia induce un aumento del tessuto interstiziale miocardico; nell'uomo, anche indipendentemente dall'ipertensione arteriosa, sono comuni un aumento del volume cardiaco, con allargamento delle cavità sinistre, un'ipertrofia ventricolare sinistra e/o del setto interventricolare. A livello microscopico si osservano una fibrosi miocardica, talora grave, fenomeni degenerativi delle cellule miocardiche e deposizioni di calcio focali o, in caso di iperparatiroidismo, massive. L'arteriosclerosi coronarica è particolarmente frequente anche nei giovani e può causare stenosi coronariche e fenomeni ischemici gravi che non di rado sono asintomatici anche in soggetti non diabetici. Quando non correggibile, la cardiopatia ischemica può costituire una controindicazione al trapianto di rene Nella patogenesi della miocardiopatia uremica, che deve essere distinta da quella ipertensiva, possono intervenire: agenti "tossici"; la ritenzione idrosalina che induce sovraccarico cardiocircolatorio, con aumento del precarico; l'iperpotassiemia e l'acidosi, che hanno effetto inotropo negativo; le alterazioni della calcemia, che causano alterazioni della contrattilità e dell'eccitabilità miocardica; la deplezione di fosforo; il paratormone, i cui livelli sono in genere molto aumentati in questi pazienti; l'anemia; fattori carenziali (vit. B1 e carnetina) ed in un certo numero di casi , la presenza anche oer molti anni, di una fistola artertovenosa. I segni clinici della cosiddetta cardiomiopatia uremica sono quelli di un'insufficenza ventricolare sinistra, e talora possono comparire all'improvviso, a seguito di un sovraccarico acuto idrosalino anche modesto o di una crisi ipertensiva. All'esame obiettivo possono essere presenti un ritmo di galoppo e soffi da rigurgito a carico di una o più valvole cardiache, ma i rilievi clinici sono spesso infidi. L'elettrocardiogramma può indicare la presenza di ipertrofia ventricolare sinistra, di alterazioni dell'onda T o del tratto ST, ma è poco indicativo. Altrettanto si può dire dell'esame RX del torace. I risultati migliori sono forniti dall'ecocardiografia dinamica. Nella terapia è fondamentale la correzione dei fattori rimovibili eventualmente implicati; la terapia farmacologica digitalica trova indicazioni nelle tachicardie sopraventricolari, nella fibrillazione atriale o nello scompenso cardiaco, in assenza di un sovraccarico idrico o di ipertensione grave. L'insufficienza renale riduce la maneggevolezza della digossina, che non è dializzabile, aumentandone la tossicità. Si raccomanda in genere una dose iniziale di 0,25 mg/die per 2-3 giorni; la dose di mantenimento è in genere 0,125 a giorni alterni. L'obiettivo è di mantenere valori di digossinemia intorno a 1 ng/ml. E' necessaria una regolare monitorizzazione del farmaco. Altri Autori preferiscono la digitossina in relazione al suo metabolismo prevalentemente epatico. I vasodilatatori arteriolari (idralazina e minoxidil) possono migliorare la gittata cardiaca riducendo l'impedenza al deflusso; quelli venosi (nitroglicerina ed isosorbide dinitrato) agiscono aumentando la capacità del comparto venoso. Gli ACE inibitori, che inducono una favorevole ridistribuzione della gittata, possono essere usati in condizioni di scompenso, ma con attenta monitorizazione della potassiemia. I nitroderivati sono sicuri, ma possono causare ipotensioni. Tra i betabloccanti sono più usati il propranololo ed il metoprololo, che hanno un metabolismo epatico. Nel trattamento delle coronaropatie, le indicazioni all'angioplastica e agli interventi a cuore aperto sono simili a quelli nei pazienti non uremici, pur con rischi più elevati. L'ipertensione arteriosa nell'insufficienza renale cronica evolve da una fase iniziale con gettata cardiaca aumentata e resistenze periferiche normali, ad una fase caratterizzata da un aumento delle resistenze periferiche. L'aumento della gettata cardiaca consegue all'espansione di volume extracellulare e all'anemia; l'aumento delle resistenze periferiche riconosce una genesi polifattoriale (espansione extracellulare, alterazioni del trasporto cellulare del sodio, attivazione del sistema renina-angiotensina e del sistema nervoso autonomo e, forse, riduzione delle sostanze ad azione vasodilatatrice di produzione renale). Nel corso delle nefropatie croniche l’ipertensione arteriosa costituisce un importante fattore favorente l’evoluzione verso l’uremia: su queste basi si ritiene attualmente che, indipendentemente dalla definizione di normalità della pressione arteriosa e compatibilmente con la tolleranza del paziente, i valori presori ottimali siano inferiori a 130/75 mmHg. In controtendenza nei confronti di questa impostazione predominante, alcune osservazioni degli ultimi anni hanno messo in dubbio il ruolo dell’ipertensione come fattore di rischio vascolare richiamando l’attenzione sul fatto che nei pazienti con una pressione sistolica minore di 100 mmHg era rilevabile un rischio di morte cardiovascolare 4 volte superiore rispetto a pazienti con valori pressori compresi fra i 140 ed i 149 mmHg. Il problema resta aperto in quanto non è ben chiaro se i pazeitni ipotesi fossero trattati oppure no, ne viene esclusa la possivbiltà che l’ipotensione non fosse in realtà la conseguenza di una cardiopatia ipocinetico7dialtiva non diagnosticata Sul piano pratico peraltro, il controllo dell'ipertensione arteriosa nel paziente in dialisi, è considerato tutt’ora di grande importanza per la riduzione della mortalità cardiovascolare, ma non è sempre agevole; i trattamenti ultra brevi diffusi in questi ultimi anni (dialisi di circa 3 ore) e l'impiego dell'eritropoietina, per il suo effetto ipertensivante, possono renderlo più difficile; la regolarizzazione dei valori pressori di questi pazienti non è sempre soddisfacente. Per il controllo dell'ipertensione sono fondamentali innanzitutto la restrizione dietetica dell'apporto di sodio e di acqua, un'adeguata disidratazione in corso di dialisi e variazioni mirate del tenore di sodio della soluzione dializzante. Per contribuire al mantenimento del "peso secco" nei pazienti con diuresi residua, alcuni autori hanno proposto l'impiego sistematico di diuretici dell'ansa a dosi elevate (per la furosemide mg/die) che possono però causare effetti collaterali di rilievo (ototossicità). Nella scelta degli antiipertensivi si preferiscono in genere, nell'ordine, betabloccanti, ACE-inibitori e calcioantagonist ed inibitori del recettore dell’ Angiotensina II. Tra i betabloccanti, teoricamente indicati nei pazienti con coronaropatia ischemica o con aritmie, sono da preferire quelli a metabolizzazione epatica, per il minor rischio di accumulo e di bradicardia. Gli ACE inibitori potrebbero avere un'indicazione elettiva nei casi con elevata attività reninica o con insufficienza cardiaca, ma, specialmente nelle prime settimane, è possibile la comparsa di iperpotassiemia; per la loro prevalente eliminazione renale, non si devono superare 50 mg/die per il captopril e 20 mg/die per l'enalapril. I calcioantagonisti hanno una buona efficacia e possono essere impiegati con sicurezza. La nifedipina per via sublinguale (10-20 mg) è molto efficace nel controllo delle crisi ipertensive ma non è esente da rischi. ( crisi anginose) I farmaci ad azione centrale (clonidina, alfametildopa) possono causare secchezza della fauci, stipsi, sedazione ed ipotensione ortostatica; il loro impiego nei pazienti in dialisi è quindi limitato. Sono possibili rebound ipertensivi in caso di sospensione della clonidina; la dialisi rimuove significativamente l'alfametildopa, per cui può esserne richiesta una dose supplementare a fine seduta. Il minoxidil ha rappresentato la prima valida alternativa farmacologica alla nefrectomia nei casi di ipertensione resistente al trattamento dialitico; sono stati segnalati versamenti pericardici e la frequente comparsa di irsutismo. I simpaticolitici ed i vasodilatatori possono influenzare negativamente la tolleranza dialitica: attualmente sono meno utilizzati ; nel caso è consigliabile evitarne la somministrazione nelle ore precedenti la dialisi. Proposta negli anni '60 e '70 per risolvere casi di ipertensione grave e resistente alla terapia farmacologica e dialitica, la nefrectomia bilaterale è stata poi abbandonata, con l'affinarsi delle tecniche di ultrafiltrazione e la disponibilità di farmaci ipotensivi, e per la grave anemizzazione ed ipotensione che sono abitualmente indotte. Alterazioni dell'apparato osteoarticolare L'osteodistrofia uremica in genere non viene completamente corretta dal trattamento sostitutivo, può peggiorare con il proseguimento della dialisi e può essere così invalidante da compromettere il successo del trattamento. All'inizio degli anni ottanta si temeva che le alterazioni osteodistrofiche potessero rappresentare il limite più importante della terapia dialitica a lungo termine. Oggi, nei pazienti che collaborano correttamente, siamo in grado di prevenire e di trattare le sue manifestazioni più gravi. Con il termine di osteodistrofia uremica si indica classicamente un insieme di lesioni che comprende due componenti fondamentali: l'osteite fibrosa, dovuta all'iperparatiroidismo secondario, e l'osteomalacia (nel bambino, il rachitismo), alle quali si associano con minor rilievo osteosclerosi ed osteoporosi. Recentemente sono state identificate altre possibili componenti, a genesi iatrogena: l’osteomalacia vit. D resistente da accumulo cronico di alluminio; l’osteopatia adinamica caratterizzata da una ridotta formazione di osso, senza eccesso di osteoide o di fibrosi, e con presenza molto modesta di alluminio; e la patologia da "amiloide correlata alla dialisi". Alterazioni dell'omeostasi del calcio e del fosforo si verificano nelle fasi iniziali dell'insufficienza renale cronica. E' nozione classica che il primo momento della complessa catena patogenetica dell'osteodistrofia sia un aumento della fosforemia da deficit escretorio; l'iperfosforemia provoca una riduzione della calcemia che determina, a sua volta, un'iperattivazione paratiroidea. E' inoltre possibile che l'iperfosforemia sia capace di per sè di stimolare direttamente la produzione di paratormone (PTH). L'iperfosforemia concorrerebbe inoltre a determinare una resistenza scheletrica all'azione ipercalcemizzante del PTH, i cui livelli si elevano ulteriormente. All'iperincrezione di PTH consegue un aumento dell'escrezione del fosforo, che ripristina la normalità della calcemia e della fosforemia, ma il risultato è un aggiustamento omeostatico a livelli di attività paratiroidea più elevati che in precedenza. Nella genesi dell'ipocalcemia tuttavia intervengono altri fattori. Il più importante è la riduzione della produzione renale dell'1,25(0H)2 colecalciferolo (o calcitriolo), che è la forma ormonale più attiva di vitamina D. Esisterebbero anche alterazioni funzionali della vitamina D o dei suoi metaboliti, almeno in parte legate a deficit recettoriali specifici. Anche alterata è la produzione di 24,25(OH)2 colecalciferolo, le cui conseguenze non sono ancora chiarite. La diminuita produzione di calcitriolo è abitualmente considerata conseguenza diretta della riduzione del parenchima funzionante; tuttavia, poichè interviene precocemente con clearances della creatinina tra 50 e 80 ml/min, si è anche ipotizzato un effetto inibitore da parte di un elevato tenore in fosforo a livello del tubulo prossimale, dovuto all'aumento del carico di fosfati per unità nefronica residua. La diminuzione dei livelli plasmatici di calcitriolo deprime l'assorbimento intestinale di calcio e di fosforo e riduce la calcemia; inoltre a questa vitamina D è attualmente riconosciuto un effetto soppressore diretto sull'attività paratiroidea. Secondo alcuni autori, in alternativa all'iperfosforemia, il momento centrale dell'innesco patogenetico dell'osteodistrofia sarebbe appunto il deficit di produzione di questa vitamina D. L'iperparatiroidismo è responsabile di numerosi effetti sistemici: induce un aumento del riassorbimento osseo e dell'attività osteoclastica; causa miopatie prossimali per aumento di Ca nelle fibrocellule, e calcificazioni metastatiche; se ne sospetta un possibile ruolo nella miocardiopatia uremica. Le alterazioni del metabolismo della vitamina D sono responsabili della riduzione dell'assorbimento intestinale del calcio e dei difetti di mineralizzazione dell'osteoide, con conseguente osteomalacia. Alla difettosa mineralizzazione contribuiscono anche gli squilibri a carico del Mg e di elementi in tracce. Un ruolo importante nella genesi di un'osteomalacia resistente alla vitamina D può essere svolto dall'alluminio. La sintomatologia clinica varia a seconda che prevalga la componente iperparatiroidea od osteomalacica, o che si tratti di una forma mista. Sono caratteristici dolori ossei, generalmente al rachide e agli arti inferiori; è abbastanza comune una compromissione artromuscolare, elettiva a livello scapolo omerale, rachideo, e coxofemorale; il frequente prurito è dovuto almeno in parte all'iperparatiroidismo, per deposizione cutanea di calcio, e per riduzione della soglia agli stimoli. La componente osteomalacica è causa di deformità scheletriche, con quadri di rachitismo nel bambino e, nell'adulto, di deformità toraciche, scoliosi, cifosi e fratture, specie costali, vertebrali e del bacino. La componente legata all'iperparatiroidismo secondario si esprime in fenomeni di riassorbimento sottoperiosteo che possono portare, tra l'altro, alla "scomparsa" dell'immagine radiologica dell'estremità distale delle falangi e delle clavicole, in formazioni lacunari ossee, particolarmente temibili se si verificano a livello di segmenti ossei portanti, come il collo femorale; in calcificazioni ectopiche, talora enormi, in sede periarticolare, nelle pareti arteriose, eventualmente con fenomeni ischemici distali, nelle congiuntive e nella cornea (red eyes). Un'ipercalcemia sintomatica (con torpore, stato confusionale, prurito intenso) è rara; l'iperfosforemia è abituale. Le calcificazioni metastatiche sono correlabili con un prodotto calcio x fosforo >70. Patologia ossea da alluminio In numerose reti idriche urbane viene fatto uso abituale di solfato di alluminio per chiarificare le acque, e di conseguenza l'acqua potabile può essere molto ricca di questo metallo, tradizionalmente ritenuto innocuo. Poichè inizialmente non si prendeva in considerazione questa eventualità, ed i sistemi impiegati per il trattamento delle acque erano poco o nulla efficienti nell'estrarlo, in molti centri dialisi i pazienti erano esposti ad un importante accumulo di alluminio che diffonde dal bagno di dialisi al sangue. Inoltre, per anni, i pazienti in dialisi sono stati sottoposti alla somministrazione sistematica di gel di alluminio per os, con la finalità di chelare il fosforo degli alimenti, ridurne l'assorbimento intestinale, controllare meglio l'iperfosforemia, e prevenire l'iperparatiroidismo secondario. A differenza che nel soggetto normale, nel paziente uremico, anche nel caso di somministrazione orale si può verificare un deposito cronico di alluminio nell'organismo. Solo da una quindicina d'anni è stata riconosciuta la possibilità che l'alluminio possa essere responsabile di una specifica forma di encefalopatia, di anemia microcitica e di osteomalacia. L'alluminio interferisce ritardando la formazione e l'accrescimento dei cristalli di idrossiapatite. Il suo ruolo nella patologia ossea è assai complesso e sembra che il suo effetto venga antagonizzato dallo stato di iperattività delle paratiroidi. Dopo paratiroidectomia interverrebbe un effetto permissivo nella deposizione del metallo sul fronte di calcificazione, con aggravamento dell'osteomalacia. Nella sorveglianza laboratoristica del ricambio fosfocalcico e dell'osteodistrofia uremica hanno importanza: - la determinazione regolare della calcemia (in genere solo modestamente aumentata nell'iperparatiroidismo; il suo aumento è più spesso legato ad un sovradosaggio di vitamina D) e della fosforemia; - il dosaggio della fosfatasi alcalina, il cui aumento (con enzimi epatici nella norma) è in buona correlazione con l'entità dell'iperparatiroidismo secondario; - il dosaggio del paratormone . - la determinazione dell'alluminiemia. I segni radiologici principali di iperparatiroidismo secondario sono innanzitutto rappresentati da riassorbimento subperiosteo, che si osserva bene a livello delle falangi, specie sulla superficie radiale di quelle medie, e sul flocculo delle falangette, nella pelvi, nell'estremità distale delle clavicole, a carico della mandibola, con scomparsa della lamina dura se vi sono denti, e del cranio. Per un'indagine precoce si presta bene lo studio della mano. Altri segni caratteristici sono cisti ossee (tumori bruni), strie corticali e immagini "a vetro smerigliato" del cranio, aree di osteosclerosi e di neostosi periostale, calcificazioni vascolari e dei tessuti molli. Segni principali di osteomalacia sono deformità scheletriche (bacino a cuore di carta da gioco, torace a botte, cifosi dorsale), schiacciamento vertebrale, fratture costali e del bacino, pseudofratture. Spesso solo l'indagine ossea bioptica è dirimente per la diagnosi di osteodistrofia uremica ed il preciso riconoscimento delle sue diverse componenti. La prevenzione e la terapia dell'osteodistrofia uremica si avvalgono di misure finalizzate a contenere o contrastare l'iperfosforemia e l'ipocalcemia, che sono i fattori patogenetici fondamentali e, a dialisi avviata, di un corretto trattamento sostitutivo. La dieta deve avere un contenuto di fosforo inferiore a 800 mg/die che, per essere ottenuto, presuppone l’astensione dell’uso abituale di latticini e formaggi. Per chelare il fosfato a livello intestinale, la somministrazione di gel di alluminio è stata ora quasi completamente abbandonata in favore di quella di sali di calcio (carbonato di calcio: 3 o più g/die) e di magnesio, utili anche per prevenire o ridurre l’iperparatiroidismo e le lesioni osteomalaciche. Molto utile, ma non indenne da rischi anche a livello renale e pertanto da attuarsi con grande prudenza, è la somministrazione di calcitriolo (in genere alla dose di O,25 microgrammi/die o a giorni alterni ), ed eventualmente di altre vitamine D. Nei casi più conclamati di iperparatiroidismo si rende necessaria la paratiroidectomia. Compromissione neurologica In fase predialitica ed in corso di trattamento dialitico sono piuttosto frequenti fenomeni di depressione e di ansia. La diagnosi differenziale con l'encefalopatia uremica, da alluminio, o su base aterosclerotica può non essere facile. Con lo svilupparsi della sindrome uremica, le manifestazioni cliniche dell'encefalopatia uremica possono evolvere da una semplice riduzione dell'attenzione e delle capacità intellettive, in genere con irritabilità o apatia, sino ad uno stato di confusione, talora con allucinazioni, di sonnolenza e poi di coma. Sono in genere contemporaneamente presenti tremori con fini scosse muscolari durante i movimenti degli arti, asterixis e mioclonie. Nei pazienti in trattamento medico conservativo le forme conclamate di encefalopatia uremica sono ora del tutto eccezionali e in genere se ne colgono solo i segni iniziali, che regrediscono rapidamente con l'inizio del trattamento dialitico. Nei soggetti da anni in trattamento sostitutivo sono frequentemente presenti alla tomografia computerizzata immagini di atrofia cerebrale e le indagini elettrofisiologiche possono mettere in evidenza alterazioni di vario tipo. La possibilità che, in corso di un trattamento dialitico correttamente condotto, possa comparire una cerebropatia uremica clinicamente evidente è peraltro discussa. Lesioni su base arteriosclerotica, ed eventualmente ipertensiva, con encefalopatia sottocorticale aterosclerotica, TIA, infarti ed emorragie cerebrali non sono invece rare. Nello scorso decennio è stata descritta ed attribuita ad intossicazione da alluminio un'encefalopatia peculiare, con disturbi del linguaggio (inizialmente con caratteristici intoppi nella parola durante formulazione di frasi lunghe e complesse), deterioramento intellettivo sino alla demenza, contrazioni muscolari sino a convulsioni generalizzate, e fenomeni di aprassia sino ad un'immobilità totale. Per l'attenzione che si pone attualmente nella prevenzione degli accumuli di alluminio, queste manifestazioni sono ora praticamente scomparse. I sintomi clinici più classici di interessamento del sistema nervoso periferico dell'uremia cronica sono quelli di una neuropatia periferica, sensitiva e motoria, con parestesie distali, riduzione sino alla perdita dei riflessi inizialmente alle estremità e poi rotulei, debolezza e successivamente atrofia muscolare distale agli arti inferiori. E' frequente la cosiddetta "restless leg syndrome" che si manifesta con necessità di muovere le gambe o di camminare quando il paziente si riposa o si mette a letto. La patogenesi della compromissione neurologica dell'uremico è complessa: fenomeni ritentivi sono verosimilmente implicati, ed il trapianto di rene riesce a ripristinare una normale situazione tranne che nei casi più evoluti, ma la ricerca di medie molecole neurotossiche non è approdata a risultati concreti. Anche in queste manifestazioni è stato prospettato un possibile ruolo del paratormone, che interverrebbe pure nella patogenesi, peraltro multifattoriale, dell'atrofia muscolare. Alterazioni del sistema nervoso autonomo non sono rare, e possono esere causa di ipotensione ortostatica, di modificazioni della motilità intestinale e di compromissione dell'attività sessuale. Patologia gastroenterica Alterazioni morfofunzionali dell'apparato digerente compaiono nelle fasi terminali dell'uremia e possono essere manifeste nei pazienti in trattamento dialitico. Peraltro, l'inizio di una regolare depurazione consente in genere una regressione della sintomatologia gastroenterica. Per tale motivo nella patogenesi si ritiene implicata la ritenzione di prodotti azotati; concorrerebbero alle alterazioni della barriera mucosa gastrica alterazioni arteriolari, la diatesi emorragica ed alcuni farmaci, quali i chelanti del fosforo sotto forma di idrossido di alluminio. L'interessamento del tratto gastroenterico può avere estensione variabile, con coinvolgimento sia del tratto digerente alto (lesioni ulcerative, microemorragie, lesioni necrotiche esofagee e gastriche) sia del colon (angiodisplasie, ulcere, pseudomembrane). Dati peraltro non univoci indicherebbero nell'ipergastrinemia un elemento fondamentale nella genesi delle alterazioni gastriche dell'uremico. Il quadro clinico è polimorfo, e comprende inizialmente una vaga sintomatologia dispeptica, poi nausea, vomito, epigastralgie, anoressia. All'indagine endoscopica e radiologica sono frequenti reperti di gastroduodenite, esofagite e lesioni ulcerative, generalemente in associazione con la positività bioetica per l’Helycobacter Pilori. Per quanto concerne la patologia epatica, deve essere posta in evidenza la particolare frequenza di compromissione virale (l'epatite B è ora in netta riduzione, a differenza di quella C). Accanto a questi quadri ben definiti si possono avere reperti laboratoristici di aumento aspecifico delle transaminasi e degli isoenzimi epatici della fosfatasi alcalina, spesso di difficile interpretazione. Compromissione polmonare La forma più comune e di maggior importanza pratica è un accumulo, soprattutto interstiziale, di liquidi con l'aspetto del cosiddetto "polmone uremico" o "da acqua". La diagnosi clinica è suggerita dalla comparsa acuta o subacuta di una dispnea ingravescente, con reperti auscultatori inizialmente nella norma, e che solo con l'aggravarsi del sovraccarico acquistano progressivamente le caratteristiche semeiotiche dell'edema polmonare. Il reperto radiologico più tipico è di opacità a farfalla, che rispetta i campi periferici. I quadri sono però vari, e non è raro che sia simulata la presenza di focolai broncopneumonici multipli. Un'energica sottrazione di liquidi con la dialisi consente la regressione di questa complicanza in poche ore. Non rare sono microcalcificazioni polmonari, attribuite all'iperparatiroidismo. Alterazioni endocrine Nell'uremico cronico si rileva un'importante compromissione dell'attività sessuale con, nel maschio, un'elevata incidenza di impotenza e di riduzione della libido, oligospermia, ginecomastia, aplasia delle cellule germinali e, nella femmina, cicli anovulatori ed irregolarità mestruali, sino all'amenorrea. I fattori responsabili sono multipli: accanto alle turbe endocrine (nella femmina, riduzione degli estrogeni e del progesterone; nel maschio, ridotti livelli di testosterone; in entrambi i sessi, aumento di LH, PRL, FSH ed alterazioni di recettori ipotalamici) sono da considerare altre cause, come l’anemia, gli stress psichici, stati depressivi, fattori nutrizionali e iatrogeni (non di rado sono in causa gli ipotensivi), neuropatia uremica, insufficienza vascolare degli organi genitali. Particolare interesse era stato suscitato da una correlazione tra alterazioni della sfera sessuale e deficit di zinco che, da indagini successive, non pare tuttavia rivestire un ruolo fondamentale in tutti gli uremici. Una gravidanza è stata riportata in meno dell'1% delle donne in dialisi in età feconda, con netto aumento dei rischi materni e fetali. I livelli di ACTH e cortisolo sono normali (la cortisolemia aumenta dopo dialisi extracorporea per risposta allo stress); quelli di aldosterone sono generalmente elevati. I parametri di funzionalità tiroidea sono variamente alterati nell'insufficienza renale cronica, senza che siano tuttavia presenti quadri clinici conclamati: il TSH e l'FT4 sono in genere normali; i livelli di T3 sono ridotti. Il trapianto normalizza anche queste alterazioni ormonali. I livelli circolanti di somatotropina sono per lo più elevati. L'alterata sintesi ormonale da parte delle ß cellule pancreatiche è uno dei fattori che si ritiene intervengano nelle alterazioni del metabolismo glicidico, presente in circa il 50% dei pazienti uremici, accanto ad una resistenza recettoriale periferica ed alla ridotta clearance metabolica di insulina e glucagone. Tali squilibri si traducono in un'alterata risposta al carico glucidico, iperinsulinemia, iperglucagonemia, ipoglicemie spontanee e a digiuno, ridotta richiesta insulinica nei diabeti insulinodipendenti e sono scarsamente corretti dal trattamento sostitutivo. Imputabili invece a deficit enzimatici sono le alterazioni del metabolismo lipidico: aumento dei trigliceridi in VLDL e LDL; diminuzione del colesterolo HDL; aumento del colesterolo VLDL; riduzione della ApoA; aumento della ApoB. L'approccio terapeutico è di tipo dietetico-farmacologico. Studi recenti hanno richiamato l’attenzione anche sull’omocisteina , amino acido solforato che deriva dal metabolismo della metionina, come fattore di rischio cardiovascolare. Nella popolazione generale, dove sono stati eseguiti la maggioranza degli studi, livelli aumentati di omocisteina correlano con un rischio cardio e cerebro vascolare aumentato. Nell’insufficienza renale l’omocisteina è aumentata per diverse ragioni: ridotta filtrazione glomerulare, possibile conseguenza di alterazioni del metabolismo vitaminico della B12 e dei folati, ma soprattutto per il suo ridotto catabolismo renale. Le evidenze di un suo ruolo come fattore di rischio nei pazienti dializzati restano tuttavia ancora dibattute in conseguenze dei risultati contrastanti riportati nei pochi studi fin’ora pubblicati. L'UREMIA IL NOME UREMIA DERIVA DA UREA, UNA DELLE PRIME SOSTANZE STUDIATE COME POTENZIALI TOSSICI IN CONDIZIONI DI INSUFFICIENZA RENALE E COME INDICE DI FUNZIONALITA' RENALE. SEBBENE IL RUOLO DELL'UREA COME TOSSICO SIA PROBABILMENTE MINORE, QUESTA SOSTANZA MANTIENE UN RUOLO PRINCIPALE COME MARCATORE DI TOSSICITA' E LA SUA DEPURAZIONE E' OGGI LA PRINCIPALE GUIDA PER DEFINIRE L'EFFICIENZA DELLA DIALISI (CINETICA DELL'UREA) La sindrome uremica traduce sul piano clinico la compromissione anatomofunzionale di numerosi organi ed apparati conseguente alla grave riduzione della funzione renale. La sua patogenesi è solo parzialmente nota; è in ogni caso multifattoriale e probabilmente dovuta alla ritenzione contemporanea di sostanze di vario tipo che svolgono un ruolo patogeno con effetti sinergici, ad alterazioni idroelettrolitiche e dell'equilibrio acido base, ad un'increzione inappropriata di alcuni ormoni e, forse, alla ritenzione di alcuni di essi o di loro prodotti terminali. 1) Ruolo patogenetico della ritenzione di scorie metaboliche, degli squilibri idroelettrolitici e del bilancio acido-base. L'ipotesi più accettata in passato era che l'uremia conseguisse fondamentalmente alla ritenzione di una o più "tossine". Tuttavia, tra le sostanze più comunemente considerate nella pratica clinica, l'urea, cui si deve il nome della sindrome, è stata riconosciuta potenzialmente tossica soltanto a concentrazioni molto elevate, oltre 300 mg/dL, e in ogni caso all'iperazotemia sono attribuibili con sicurezza solo alterazioni settoriali, cosicchè questo catabolita ha in genere soltanto un significato generico di marker di ritenzione. Analoghe considerazioni valgono per la creatinina. E' anche negato il ruolo di metaboliti degli acidi nucleinici, come l'acido urico, e di alcuni dipeptidi, le cui concentrazioni ematiche sono in genere aumentate nel soggetto uremico. Notevole interesse aveva suscitato l'identificazione nel plasma uremico di elevati livelli di sostanze del gruppo delle guanidine e delle poliamine (spermina, spermidina e putrescina), ma il loro ruolo patogenetico è messo in dubbio. Più recentemente, nel tentativo di rivalutare l'importanza dei fenomeni di ritenzione, concettualmente attraenti in quanto i rapporti tra miglioramento clinico e depurazione extrarenale, che li attenua o li risolve almeno temporaneamente, sono innegabili, si è tentato di attribuire alcune manifestazioni dell'uremia, come l'anemia, la neuropatia ed i deficit immunologici, alla ritenzione di sostanze a peso molecolare più elevato di quello dell'urea, della creatinina, ed in generale dei prodotti tradizionalmente studiati. Queste sostanze, il cui peso molecolare presunto è stato indicato tra 300 e o anche 3000 daltons, sono state definite complessivamente come "medie molecole". Il loro interesse pratico è anche legato al fatto che esse sono allontanate dall'organismo dell'uremico in misura differente dai diversi tipi di depurazione extrarenale. Concentrazioni più elevate rispetto ai soggetti di controllo di prodotti con peso molecolare di quest'ordine di grandezza sono state dimostrate nel siero uremico, ma non è stato possibile stabilire correlazioni precise tra la loro ritenzione e segni e sintomi specifici della sindrome uremica e differenti modalità di depurazione Un'ipotesi alternativa, probabilmente più attraente dal punto di vista clinico, è quella che sia la ritenzione contemporanea di più sostanze a vario peso molecolare ad avere effetti patogeni, con manifestazioni complessive differenti da quelle provocate dai singoli prodotti: ciò potrebbe rendere ragione della mancanza di correlazioni lineari tra livelli ematici delle tossine indiziate e sintomi specifici, e potrebbe essere anche alla base della differente sintomatologia che pazienti differenti lamentano a gradi equivalenti di compromissione della funzione renale. Non sussistono invece dubbi sugli effetti dell'acidosi e dei disordini idroelettrolitici, che sono talora responsabili di segni e sintomi specifici; anche in questo caso, nessun singolo elemento è in grado, di per sè, di riprodurre per intero la sindrome uremica. Un dato recente molto importante è quello legato alla importanza dell'acidosi nella riduzione dell'appetito e nella patogenesi della conseguente malnutrizione, che a sua volta rappresenta uno degli elementi più importanti nello scadimento delle condizioni generali dell'uremia. 2) Inappropriata increzione ormonale Notevole attenzione merita il ruolo di fenomeni che fisiologicamente operano come compenso ma che, a seguito di stimolazioni abnormi causate dall'insufficienza renale stessa, perdono le caratteristiche di elementi omeostatici e causano complesse alterazioni anatomo-funzionali. Tra queste ha particolare importanza l'iperparatiroidismo secondario: nelle fasi iniziali dell'insufficienza renale l'aumento della secrezione di paratormone è in grado di ripristinare i normali livelli sierici del calcio e del fosforo; successivamente, l'iperfunzione paratiroidea può accentuarsi sino a provocare gravi alterazioni ossee e calcificazioni metastatiche. Oltre che a livello osseo, il paratormone svolge un'influenza anche su numerose funzioni cellulari a vari livelli (cuore, sistema nervoso, eritrociti). Per questo motivo è talora citato come esempio di tossina uremica o, addirittra, come esempio dell'unica vera tossina uremica evidenziabile nell'uomo. Oggetto di attenzione è anche il possibile ruolo nell'uremia dei fattori natriuretici atriale ipotalamico, la cui produzione è aumentata secondariamente all'espansione dei volumi extracellulari. Al primo, che è un potente vasodilatatore, sono forse ascrivibili fenomeni ipotensivi acuti e cronici in corso di dialisi. Il secondo deprime l'attività della pompa Na-K ATPasi ouabaino-sensibile, che è considerato un importante meccanismo di trasporto di membrana che garantisce la costanza della composizione intracellulare. Questa inibizione potrebbe render conto almeno di una delle modalità con le quali la ritenzione di sodio è causa di ipertensione arteriosa: alla riduzione di attività di questa pompa sembra in effetti conseguire anche un aumento del contenuto di calcio delle cellule muscolari liscie, con la conseguenza di un incremento delle resistenze arteriose periferiche, che a sua volta è alla base dell'ipertensione arteriosa. 3) Compromissione della funzione endocrina del rene. Si esprime con una riduzione dell'idrossilazione da parte del rene del 25(0H)-colecalciferolo (calcifediolo), prodotto dal fegato, in 1,25(OH)2 colecalciferolo (o calcitriolo), con un deficit di produzione di eritropoietina e l'iperproduzione di renina. E' incerto il ruolo della ridotta produzione a livello renale di sostanze ad azione vasodilatatrice, quali alcune prostaglandine. A questa serie di eventi patogeni si possono sommare fenomeni iatrogeni, acuti e cronici, indotti dalla dialisi o da farmaci, che comportano quadri sintomatologici talora non facilmente distinguibili da quelli uremici. L'intossicazione da alluminio e, almeno in parte, la patologia da accumulo della ß2-microglobulina, sono gli esempi più evidenti di questa eventualità. Non deve pertanto stupire che, in relazione a questa situazione così complessa, il trattamento dialitico, pur consentendo sopravvivenze prolungate (anche per più decenni) in condizioni di vita accettabili, non comporti la totale correzione degli squilibri dovuti all'uremia e che, in relazione ad un'eventuale insufficenza, assoluta o relativa, del trattamento sostitutivo, possano facilmente ricomparire manifestazioni uremiche anche gravi. Per questo motivo, e in relazione al fatto che il trattamento dialitico è ora talmente diffuso che la maggior parte dei medici ha tra i suoi pazienti dei soggetti in dialisi, assieme alla sintomatologia dell'uremia cronica ricorderemo qui anche i problemi più importanti degli uremici cronici in trattamento sostitutivo della funzione renale. Alterazioni del sistema emopoietico 1) Anemia. Accompagna quasi invariabilmente l'insufficienza renale cronica e viene considerata come parzialmente responsabile dell'astenia, di alcune manifestazioni neuropsichiche (come la difficoltà di attenzione e di concentrazione, depressione dell'umore e disturbi del sonno), di disturbi della sfera sessuale; può aggravare manifestazioni di interessamento extrarenale, ad esempio di insufficienza cardiaca, coronarica o di deficit cerebrale. I pazienti in dialisi hanno mediamente livelli di emoglobina ridotti, e valori inferiori a 8-10 g/dl non sono infrequenti. A parità di livelli emoglobinici, l'anemia è meglio tollerata che nei soggetti non uremici, in quanto esiste in questa condizione una minore affinità per l'ossigeno che ne condiziona una più facile cessione ai tessuti. L'anemia dell'uremico cronico è ipoproliferativa, normocromica e normocitica. La situazione ipoproliferativa è direttamente correlata al deficit di eritropoietina, ormone glicoproteico prodotto per oltre il 9O% dal rene. E' anche ipotizzata l'esistenza di inibitori plasmatici dell'eritropoiesi, che si è creduto di volta in volta di identificare nel paratormone, nelle medie molecole ed in proteine a basso peso molecolare, ed una resistenza dei precursori eritroidi alla sua azione. La vita media degli eritociti è ridotta, in gran parte per un'accresciuta fragilità osmotica. Anche la resistenza degli eritrociti ai fattori ossidanti è ridotta; la somministrazione di sulfamidici, alfametildopa, vitamina A, antimalarici e furantoina può pertanto risultare pericolosa. Un'accentuazione dell'emolisi cronica è stata anche descritta dopo somministrazione di penicillina e cefalosporine. La somministrazione di trimetoprim-sulfametossazolo può causare una carenza di acido folico. Altri fattori aggiuntivi nella patogenesi dell'anemia possono essere: stati carenziali di ferro e di vitamine (acido folico, B12), di fosforo, di aminoacidi e di oligoelementi (rame, zinco); malnutrizione calorico-proteica; perdite ematiche occulte (che possono a loro volta essere legate alla presenza di un ridotto trofismo delle mucose intestinali, legato all'uremia), o dovute ai prelievi per i numerosi controlli ematochimici. L'anemia è solo parzialmente corretta dalla dialisi, ma si aggrava in caso di trattamento dialitico insufficiente. I rapporti tra "qualità" della depurazione ed anemia sono sottolineati dalla possibilità di ottenere aumenti dell'ematocrito con il miglioramento dell'efficienza dialitica. Esiste anche un possibile rapporto tra accumulo cronico di alluminio e anemia, che in questi casi assume un carattere microcitico. In fasi avanzate di uremia e in corso di dialisi, in presenza di sintomi clinici legati all’anemia e comunque se i valori di Hb sono inferiori a 9-10 g/dL, dopo la correzione di eventuali fattori carenziali (ferro, B12 e Folati), l’eritropoietina viene attualmente somministrata regolarmente; l'anemia non deve essere corretta completamente, e l’obiettivo è di ottenere valori di Hb di g/dL e di ematocrito intorno al 30%, soprattutto per non incorrere nel rischio di un aggravamento dell’ipertensione arteriosa, di incidenti trombotici, di coagulazione dell'accesso vascolare e di una riduzione dell'efficienza della dialisi, comune con ematocriti superiori al 30-35%. 2) Alterazioni della coagulazione. Nel soggetto uremico il tempo di sanguinamento è spesso prolungato. Questo deficit ha una patogenesi complessa, ma è fondamentalmente espressione di un'alterazione funzionale delle piastrine, di cui è ben documentato un difetto di aggregazione e di adesività. Per spiegare questo fenomeno sono chiamati in causa fattori dializzabili, tra i quali composti fenolici e l'acido guanidinsuccinico. Il deficit coagulatorio è in gran parte reversibile entro qualche settimana dall'inizio del trattamento dialitico. Un livello di ematocrito intorno al 30% è considerato in ogni caso ottimale per garantire una buona funzione piastrinica. 3) Alterazioni leucocitarie. In corso di uremia alcune attività funzionali dei granulociti sono compromesse; tra queste ricordiamo una ridotta attività chemiotattica in vitro ed una riduzione numerica di recettori del C5. Il numero dei linfociti è spesso ridotto e sono state descritte alterazioni del rapporto tra sottopopolazioni linfocitarie. Si tratta di deficit molto comuni che interessano a vari livelli soprattutto l'immunità cellulare ed in misura minore quella umorale; sembrano essere almeno in parte corrette dalla dialisi. Sul piano clinico la manifestazione più importante è l'aumento della suscettibilità ad infezioni batteriche, virali e micotiche, che rappresentano in toto la seconda causa di decesso nei pazienti in dialisi, e sono certamente tra le più importanti cause di morbilità in questi soggetti. Tra le infezioni batteriche predominano quelle da Gram positivi, con elevata frequenza di batteriemie, di endocarditi, di infezioni osteoarticolari e polmonari e dell'accesso vascolare o peritoneale. E' descritto un aumento delle infezioni tubercolari, e da germi inusuali. Una peculiarità, che è in parte almeno in comune al quadro clinico di sepsi in soggetti defedati è la possibilità che questa si verifichi anche senza febbre.

40 Aritmie cardiache sono comuni nei pazienti in dialisi, con percentuali variabili dal 17% al 90% a seconda delle casistiche, e possono essere scatenate da vari fattori: rapide variazioni, intra o interdialitiche, delle concentrazioni elettrolitiche sieriche, in particolare di potassio e calcio; modificazioni dell'equilibrio acido-base o della ripartizione ionica intra-extracellulare. Nell‘1-15% dei pazienti in dialisi il decesso avviene per una morte improvvisa, in parte dei casi dovuta ad un'aritmia. Le extrasistoli atriali sono spesso asintomatiche, ed in genere ben tollerate; il significato clinico delle extrasistoli ventricolari varia a seconda della loro frequenza e complessità; le tachicardie sopraventricolari sono frequenti nei soggetti cardiopatici; le bradiaritmie sono un evento raro, e per lo più dovute ad un'iperpotassiemia grave. La terapia non può essere solo farmacologica ma richiede l'individuazione e la rimozione, ogni qualvolta possibile, delle condizioni predisponenti o scatenanti.

41 Da tempo è stato prospettato un effetto miocardiolesivo dell'uremia, tanto che si parla di cardiomiopatia uremica come forma a sè stante; in animali da esperimento l'uremia induce un aumento del tessuto interstiziale; nell'uomo, indipendentemente dall'ipertensione, sono comuni un aumento del volume, un'ipertrofia ventricolare sinistra e/o del setto interventricolare. A livello microscopico si osservano una fibrosi miocardica, fenomeni degenerativi delle e deposizioni di calcio focali o, in caso di iperparatiroidismo, massive. L'arteriosclerosi coronarica è frequente anche nei giovani e può causare stenosi coronariche e fenomeni ischemici gravi che non di rado sono asintomatici anche in soggetti non diabetici. Quando non correggibile, la cardiopatia ischemica può costituire una controindicazione al trapianto di rene

42 Nella patogenesi della miocardiopatia uremica, che deve essere distinta da quella ipertensiva, possono intervenire: agenti "tossici"; la ritenzione idrosalina che induce sovraccarico cardiocircolatorio, con aumento del precarico; l'iperpotassiemia e l'acidosi, che hanno effetto inotropo negativo; le alterazioni della calcemia, che causano alterazioni della contrattilità e dell'eccitabilità miocardica; la deplezione di fosforo; il paratormone, i cui livelli sono in genere molto aumentati in questi pazienti; l'anemia; fattori carenziali (vit. B1 e carnetina) ed in un certo numero di casi , la presenza anche oer molti anni, di una fistola artertovenosa. I segni clinici della cosiddetta cardiomiopatia uremica sono quelli di un'insufficenza ventricolare sinistra; per questi e per la terapia, vedi dispense.

43 L'ipertensione arteriosa evolve da una fase iniziale con gettata aumentata e resistenze periferiche normali, ad una caratterizzata da un aumento delle resistenze periferiche. L'aumento della gettata cardiaca consegue all'espansione di volume e all'anemia; l'aumento delle resistenze periferiche ha genesi polifattoriale (espansione extra- cellulare, alterazioni del trasporto del sodio, attivazione del sistema renina- angiotensina e del nervoso autonomo e, forse, riduzione delle sostanze ad azione vasodilatatrice di produzione renale). Nelle nefropatie croniche l’ipertensione costituisce un importante fattore di progressione: si ritiene attualmente che i valori pressori ottimali siano inferiori a 130/75 mmHg.

44 Alterazioni dell'apparato osteoarticolare
L'osteodistrofia uremica non è completamente corretta dalla dialisi e può essere del tutto invalidante Con il termine di osteodistrofia uremica si indica classicamente un insieme di lesioni che comprende due componenti fondamentali: l'osteite fibrosa, dovuta all'iperparatiroidismo secondario, e l'osteomalacia (nel bambino, il rachitismo), alle quali si associano osteosclerosi ed osteoporosi. Recentemente sono state identificate altre possibili componenti, a genesi iatrogena: l’osteomalacia vit. D resistente da accumulo cronico di alluminio; l’osteopatia adinamica caratterizzata da una ridotta formazione di osso, senza eccesso di osteoide o di fibrosi, e con presenza molto modesta di alluminio; e la patologia da "amiloide correlata alla dialisi". Alterazioni dell'omeostasi del calcio e del fosforo si verificano nelle fasi iniziali dell'insufficienza renale cronica. E' nozione classica che il primo momento della complessa catena patogenetica dell'osteodistrofia sia un aumento della fosforemia da deficit escretorio; l'iperfosforemia provoca una riduzione della calcemia che determina, a sua volta, un'iperattivazione paratiroidea.

45 Alterazioni dell'apparato osteoarticolare
l'iperfosforemia è capace di stimolare direttamente la produzione di paratormone (PTH). Nella genesi dell'ipocalcemia intervengono più fattori. Il più importante è la riduzione della produzione renale dell'1,25(0H)2 colecalciferolo (o calcitriolo), che è la forma ormonale più attiva di vitamina D. Esisterebbero anche alterazioni funzionali della vitamina D o dei suoi metaboliti, almeno in parte legate a deficit recettoriali specifici. Anche alterata è la produzione di 24,25(OH)2 colecalciferolo, le cui conseguenze non sono ancora chiarite. La diminuita produzione di calcitriolo è abitualmente considerata conseguenza diretta della riduzione del parenchima funzionante; tuttavia, poichè interviene precocemente con clearances della creatinina tra 50 e 80 ml/min, si è anche ipotizzato un effetto inibitore da parte di un elevato tenore in fosforo a livello del tubulo prossimale, dovuto all'aumento del carico di fosfati per unità nefronica residua.

46 La diminuzione dei livelli plasmatici di calcitriolo deprime l'assorbimento intestinale di calcio e di fosforo e riduce la calcemia. Secondo alcuni autori, in alternativa all'iperfosforemia, il momento centrale dell'innesco patogenetico dell'osteodistrofia sarebbe appunto il deficit di produzione di questa vitamina D. L'iperparatiroidismo induce un aumento del riassorbimento osseo e dell'attività osteoclastica; causa miopatie prossimali per aumento di Ca nelle fibrocellule, e calcificazioni metastatiche; possibile ruolo nella miocardiopatia uremica. Le alterazioni del metabolismo della vitamina D sono responsabili della riduzione dell'assorbimento intestinale del calcio e dei difetti di mineralizzazione dell'osteoide, con conseguente osteomalacia. Alla difettosa mineralizzazione contribuiscono anche gli squilibri a carico del Mg e di elementi in tracce. Un ruolo nella genesi di osteomalacia resistente alla vitamina D può essere svolto dall'alluminio.

47 La sintomatologia varia a seconda che prevalga la componente iperparatiroidea od osteomalacica. Sono caratteristici dolori ossei, generalmente al rachide e agli arti inferiori; è comune una compromissione artromuscolare, elettiva a livello scapolo omerale, rachideo, e coxofemorale; il frequente prurito è dovuto almeno in parte all'iperparatiroidismo, per deposizione cutanea di calcio, e per riduzione della soglia agli stimoli. La componente osteomalacica è causa di deformità scheletriche, con quadri di rachitismo nel bambino e, nell'adulto, di deformità toraciche, scoliosi, cifosi e fratture, specie costali, vertebrali e del bacino. La componente legata all'iperparatiroidismo secondario si esprime in fenomeni di riassorbimento sottoperiosteo che possono portare, tra l'altro, alla "scomparsa" dell'immagine radiologica dell'estremità distale delle falangi e delle clavicole, in formazioni lacunari ossee, particolarmente temibili se si verificano a livello di segmenti ossei portanti, come il collo femorale; in calcificazioni ectopiche, talora enormi, in sede periarticolare, nelle pareti arteriose, eventualmente con fenomeni ischemici distali, nelle congiuntive e nella cornea (red eyes). Un'ipercalcemia sintomatica (con torpore, stato confusionale, prurito intenso) è rara; l'iperfosforemia è abituale. Le calcificazioni metastatiche sono correlabili con un prodotto calcio x fosforo >70.

48 Patologia ossea da alluminio In numerose reti idriche viene fatto uso di solfato di alluminio per chiarificare le acque, e di conseguenza l'acqua potabile può essere molto ricca di questo metallo, tradizionalmente ritenuto innocuo. Poichè inizialmente non si prendeva in considerazione questa eventualità, ed i sistemi impiegati per il trattamento delle acque erano poco o nulla efficienti nell'estrarlo, in molti centri dialisi i pazienti erano esposti ad un importante accumulo di alluminio che diffonde dal bagno di dialisi al sangue. Inoltre, per anni, i pazienti in dialisi sono stati sottoposti alla somministrazione sistematica di gel di alluminio per os, con la finalità di chelare il fosforo degli alimenti, ridurne l'assorbimento intestinale, controllare meglio l'iperfosforemia, e prevenire l'iperparatiroidismo secondario. A differenza che nel soggetto normale, nel paziente uremico, anche nel caso di somministrazione orale si può verificare un deposito cronico di alluminio nell'organismo. d'anni è stata riconosciuta la possibilità che l'alluminio possa essere responsabile di una specifica forma di encefalopatia, di anemia microcitica e di osteomalacia. L'alluminio interferisce ritardando la formazione e l'accrescimento dei cristalli di idrossiapatite. Il suo ruolo nella patologia ossea è assai complesso e sembra che il suo effetto venga antagonizzato dallo stato di iperattività delle paratiroidi. Dopo paratiroidectomia interverrebbe un effetto permissivo nella deposizione del metallo sul fronte di calcificazione, con aggravamento dell'osteomalacia.

49 Nella sorveglianza laboratoristica del ricambio fosfocalcico e dell'osteodistrofia uremica hanno importanza: - la determinazione della calcemia (in genere modestamente aumentata; il suo aumento è più spesso legato ad un sovradosaggio di vitamina D) e della fosforemia; - il dosaggio della fosfatasi alcalina, il cui aumento (con enzimi epatici nella norma) è in buona correlazione con l'entità dell'iperparatiroidismo secondario; - il dosaggio del paratormone e dell'alluminiemia. I segni radiologici principali di iperparatiroidismo sono rappresentati da riassorbimento subperiosteo, a livello delle falangi, specie sulla superficie radiale di quelle medie, e sul flocculo delle falangette, nella pelvi, nell'estremità distale delle clavicole, a carico della mandibola, con scomparsa della lamina dura se vi sono denti, e del cranio. Per un'indagine precoce si presta bene lo studio della mano. Altri segni sono cisti ossee (tumori bruni), strie corticali e immagini "a vetro smerigliato" del cranio, osteosclerosi e di neostosi periostale, calcificazioni vascolari e dei tessuti molli. Segni principali di osteomalacia sono deformità scheletriche (bacino a cuore di carta da gioco, torace a botte, cifosi dorsale), schiacciamento vertebrale, fratture costali e del bacino, pseudofratture. Spesso solo l'indagine ossea bioptica è dirimente per la diagnosi di osteodistrofia uremica ed il preciso riconoscimento delle sue diverse componenti. .

50 Compromissione neurologica
In fase predialitica ed in dialisi sono frequenti fenomeni di depressione e di ansia. La diagnosi differenziale con l'encefalopatia uremica, da alluminio, o su base aterosclerotica può non essere facile. Con lo svilupparsi della sindrome uremica, le manifestazioni cliniche dell'encefalopatia uremica possono evolvere da una semplice riduzione dell'attenzione e delle capacità intellettive, in genere con irritabilità o apatia, sino ad uno stato di confusione, talora con allucinazioni, di sonnolenza e poi di coma. Sono in genere contemporaneamente presenti tremori con fini scosse muscolari durante i movimenti degli arti, asterixis e mioclonie. Nei pazienti in trattamento medico conservativo le forme conclamate di encefalopatia uremica sono ora del tutto eccezionali e in genere se ne colgono solo i segni iniziali, che regrediscono rapidamente con l'inizio del trattamento dialitico.

51 Nei soggetti da anni in trattamento sostitutivo sono frequentemente presenti alla tomografia computerizzata immagini di atrofia cerebrale e le indagini elettrofisiologiche possono mettere in evidenza alterazioni di vario tipo. La possibilità che, in corso di un trattamento dialitico correttamente condotto, possa comparire una cerebropatia uremica clinicamente evidente è peraltro discussa. Lesioni su base arteriosclerotica, ed ipertensiva, con encefalopatia sottocorticale aterosclerotica, TIA, infarti ed emorragie cerebrali Nello scorso decennio è stata descritta ed attribuita ad intossicazione da alluminio un'encefalopatia con disturbi del linguaggio (inizialmente con caratteristici intoppi nella parola durante formulazione di frasi lunghe e complesse), deterioramento intellettivo sino alla demenza, contrazioni muscolari sino a convulsioni generalizzate, e fenomeni di aprassia sino ad un'immobilità totale. Per l'attenzione che si pone attualmente nella prevenzione degli accumuli di alluminio, queste manifestazioni sono ora praticamente scomparse.

52 I sintomi classici di interessamento del sistema nervoso periferico dell'uremia cronica sono quelli di una neuropatia periferica, sensitiva e motoria, con parestesie distali, riduzione sino alla perdita dei riflessi inizialmente alle estremità e poi rotulei, debolezza e successivamente atrofia muscolare distale agli arti inferiori. E' frequente la cosiddetta "restless leg syndrome" che si manifesta con necessità di muovere le gambe o di camminare quando il paziente si riposa o si mette a letto. La patogenesi della compromissione neurologica dell'uremico è complessa: fenomeni ritentivi sono verosimilmente implicati, ed il trapianto di rene riesce a ripristinare una normale situazione tranne che nei casi più evoluti, ma la ricerca di medie molecole neurotossiche non è approdata a risultati concreti. Anche in queste manifestazioni è stato prospettato un possibile ruolo del paratormone, che interverrebbe pure nella patogenesi, peraltro multifattoriale, dell'atrofia muscolare. Alterazioni del sistema nervoso autonomo non sono rare, e possono essere causa di ipotensione ortostatica, di modificazioni della motilità intestinale e di compromissione dell'attività sessuale.

53 Patologia gastroenterica
Alterazioni dell'apparato digerente compaiono nelle fasi terminali dell'uremia e possono essere manifeste in trattamento dialitico. Nella patogenesi si ritiene implicata la ritenzione di prodotti azotati; concorrerebbero alle alterazioni della barriera mucosa gastrica alterazioni arteriolari, la diatesi emorragica ed alcuni farmaci, quali i chelanti del fosforo sotto forma di idrossido di alluminio. L'interessamento del tratto gastroenterico è variabile, sia del tratto digerente alto (lesioni ulcerative, microemorragie, lesioni necrotiche esofagee e gastriche) sia del colon (angiodisplasie, ulcere, pseudomembrane).. Il quadro è polimorfo, e da vaga sintomatologia dispeptica, a nausea, vomito, epigastralgie, anoressia. Sono frequenti gastroduodenite, esofagite e ulcere, generalemente in associazione con la positività per l’Helycobacter Pilori.

54 Compromissione polmonare
La forma più comune e di maggior importanza pratica è un accumulo, soprattutto interstiziale, di liquidi con l'aspetto del cosiddetto "polmone uremico" o "da acqua". La diagnosi clinica è suggerita dalla comparsa acuta o subacuta di dispnea ingravescente, con reperti auscultatori inizialmente nella norma, e che solo con l'aggravarsi del sovraccarico acquistano le caratteristiche dell'edema polmonare. Il reperto radiologico più tipico è di opacità a farfalla, che rispetta i campi periferici. I quadri sono vari, e non è raro che sia simulata la presenza di focolai broncopneumonici multipli. Un'energica sottrazione di liquidi con la dialisi consente la regressione di questa complicanza in poche ore. Non rare sono microcalcificazioni polmonari, da iperparatiroidismo.

55 Alterazioni endocrine
Nell'uremico si rileva un'importante compromissione dell'attività sessuale con, nel maschio, un'elevata incidenza di impotenza e di riduzione della libido, oligospermia, ginecomastia, aplasia delle cellule germinali e, nella donna, cicli anovulatori, irregolarità mestruali, sino all'amenorrea. I fattori responsabili sono multipli: accanto alle turbe endocrine (nella femmina, riduzione degli estrogeni e del progesterone; nel maschio, ridotti livelli di testosterone; in entrambi i sessi, aumento di LH, PRL, FSH ed alterazioni di recettori ipotalamici) sono da considerare altre cause, come anemia, stress, stati depressivi, fattori nutrizionali e iatrogeni (non di rado sono in causa gli ipotensivi), neuropatia uremica, insufficienza vascolare dei genitali.

56 Alterazioni endocrine
Una gravidanza è stata riportata in meno dell'1% delle donne in dialisi in età fertile, con netto aumento dei rischi materni e fetali. I livelli di ACTH e cortisolo sono normali (la cortisolemia aumenta dopo dialisi extracorporea per risposta allo stress); quelli di aldosterone sono generalmente elevati. I parametri di tiroidei sono alterati nell'insufficienza renale cronica, in genere senza quadri clinici conclamati: il TSH e l'FT4 sono in genere normali; i livelli di T3 ridotti. L'alterata sintesi da parte delle ß cellule pancreatiche è uno dei fattori che si ritiene intervengano nelle alterazioni del metabolismo glicidico, presente in circa il 50% dei pazienti uremici, accanto ad una resistenza recettoriale periferica ed alla ridotta clearance metabolica di insulina e glucagone. Tali squilibri si traducono in un'alterata risposta al carico glucidico, iperinsulinemia, iperglucagonemia, ipoglicemie spontanee e a digiuno, ridotta richiesta insulinica nei diabeti insulinodipendenti e sono scarsamente corretti dal trattamento sostitutivo.

57 Alterazioni endocrine
Imputabili a deficit enzimatici sono le alterazioni del metabolismo lipidico: aumento dei trigliceridi in VLDL e LDL; diminuzione del colesterolo HDL; aumento del colesterolo VLDL; riduzione della ApoA; aumento della ApoB. L'approccio terapeutico è di tipo dietetico-farmacologico. Studi recenti hanno richiamato l’attenzione anche sull’omocisteina , amino acido solforato che deriva dal metabolismo della metionina, come fattore di rischio cardiovascolare. Nella popolazione generale, dove sono stati eseguiti la maggioranza degli studi, livelli aumentati di omocisteina correlano con un rischio cardio e cerebro vascolare aumentato. Nell’insufficienza renale l’omocisteina è aumentata per diverse ragioni: ridotta filtrazione glomerulare, possibile conseguenza di alterazioni del metabolismo vitaminico della B12 e dei folati, ma soprattutto per il suo ridotto catabolismo renale. Le evidenze di un suo ruolo come fattore di rischio nei pazienti dializzati restano tuttavia ancora dibattute in conseguenze dei risultati contrastanti riportati nei pochi studi fin’ora pubblicati.

58 Aneurisma aortico calcifico di un paziente di 48 anni in RRT da 20 (dr Davini)

59 Aneurisma aortico calcifico di un paziente di 48 anni in RRT da 20
(dr Davini)


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