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PubblicatoSilvia Valli Modificato 11 anni fa
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I DISTURBI PSICOTICI NEL DSM IV-TR E NELL’ICD10: E. Aguglia
NUOVE PROSPETTIVE DI RICERCA E. Aguglia F. Bertossi, V. Botter Università degli Studi di Trieste Dipartimento di Scienze Cliniche, Morfologiche e Tecnologiche U.C.O. di Clinica Psichiatrica
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Psicopatologia e sistemi classificatori
La schizofrenia: evoluzione di una diagnosi I disturbi psicotici brevi Le ricerche contemporanee
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“L’oggetto della psicopatologia è l'accadere psichico reale e cosciente. Sapere che cosa provano gli esseri umani nelle loro esperienze e come le vivono, conoscere le dimensioni delle realtà psichiche». Per K. Jaspers è una disciplina a forte tensione antropologica che si occupa soprattutto di vissuti psicopatologici privilegiando di questi il versante dimensionale (la continuità delle storie di vita), piuttosto che quello categoriale . Gli sviluppi della psicopatologia jaspersiana culminano nell'antropoanalisi di Ludwig Binswanger.
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Crisi attuale della psicopatologia?
W. Janzarik (1976) «psicopatologia: un'area della ricerca che corre il rischio di scivolare in una 'terra di nessuno' scientifica in quanto i suoi principali risultati non possono essere espressi in grafici o nel linguaggio del computer». Ma la moderna nosologia psichiatrica rappresentata dal DSM è veramente così distante dall'ambiguità e dal soggettivismo rimproverato alla psicopatologia?
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Classificazione nosologica internazionale:
NOSOLOGIA “La nosologia comprende da un lato il riconoscimento e la descrizione delle singole malattie (nosografia) e dall'altro la loro classificazione in sottoforme e l'ordinamento secondo affinità di gruppo, per cui si arriva ad un ordine sistematico (classificazione nosologica)". Classificazione nosologica internazionale: I.C.D. : pubblicato dall’O.M.S., indirizzato al clinico, contiene criteri più flessibili D.S.M. :pubblicato dall’APA, rivolto al ricercatore, contiene criteri più rigidi e più precisi Il DSM e il pensare psichiatrico C.F. Muscatello, P.M. Simonato, P. Scudellari, A. Grossi, N. Isola , 2002
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DSM IV-TR Critica al DSM
DSM: descrittivo, ateoretico, basato su dati empirici Nel DSM diversi sintomi vengono a costituire un disturbo quando si dimostra che hanno una tendenza a presentarsi assieme (covariazione) superiore a quella che si potrebbe riscontrare se il fenomeno fosse casuale Critica al DSM Un approccio descrittivo si enuncia, e non fornisce di fatto al lettore alcuna altra connotazione significativa Le qualifiche di "bizzarro", "congruo", "incoerente", tanto per riportare alcuni termini che ricorrono nel DSM, non contengono di fatto un implicito giudizio, non possono cioè essere applicate se non dopo che l'osservatore ha esercitato delle inferenze.
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il DSM-IV descrive 305 differenti disturbi
Critica al DSM E’ il ricercatore (sulla scorta di una teoria) a stabilire di quali sintomi interessarsi e quali trascurare e, addirittura, a decidere cosa è un sintomo e cosa non lo è. => SOGGETTIVISMO Di fatto il numero delle malattie elencate dai successivi DSM è andato aumentando : il DSM I ne prevedeva 106, il DSM II 182, il DSM III 265 e la sua versione revised 292; il DSM-IV descrive 305 differenti disturbi
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Corollario di tale frammentazione, e maldestro tentativo di porvi rimedio, è il concetto di comorbidity, che finisce per sommare arbitrariamente là dove si era creduto di mettere ordine separando. E’ qui che si ripresenta la perentoria necessità di un pensiero psicopatologico organizzatore TUTTAVIA… Kendell (1977) «se non si disponesse della nosologia sarebbero impossibili tutte le comunicazioni scientifiche, e le nostre riviste professionali conterebbero solo relazioni su singoli casi, aneddoti e espressioni di opinioni personali. (...)»
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Il termine comorbidità fu introdotto da Feinstein (1970)
MARIO MAJ ‘Psychiatric comorbidity’: an artefact of current diagnostic systems? Br J Psy ( 2005), 18 6, Il termine comorbidità fu introdotto da Feinstein (1970) Una distinta entità clinica compare associata ad un’altra E’ conseguenza: - di sistemi diagnostici più ristretti - dell’uso di interviste standardizzate che mettono in risalto aspetti che in precedenza venivano lasciati in secondo piano
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Categorie come entità distinte con una forte unità interna e loro rapporto con la normalità:
Jaspers (1913) “Distinguiamo tra “vere patologie” (paralisi sovrannucleare progressiva) che hanno chiari rapporti tra di loro e una netta distinzione dalla normalità, “disturbi ciclici” (disturbo maniaco-depressivo,schizofrenia) che hanno una distinzione rispetto alla normalità ma non tra di loro, e “tipi” (neurosi e personalità abnormi) che non hanno una netta distinzione con la normalità e non presentano un chiaro rapporto al loro interno.” MARIO MAJ ‘Psychiatric comorbidity’: an artefact of current diagnostic systems? Br J Psy ( 2005), 18 6,
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Limiti nell’uso del DSM IV-TR e ICD-10
I codici dell’ICD-10 attualmente non sono ancora utilizzati nella pratica clinica (ancora ICD-9...) Il DSM IV-TR è nato negli USA per esigenze assicurative. Quali effetti nell’elaborazione dei criteri? Il DSM IV-TR non descrive i sintomi cognitivi della schizofrenia Ritorno alla psicopatologia classica?
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Limiti nell’uso del DSM IV-TR e ICD-10
Esiste il rischio che il DSM IV-TR venga erroneamente utilizzato in ambito forense ? Perché nel DSM non viene considerato l’autismo nella diagnosi di schizofrenia ? Qual è l’utilizzo reale del DSM IV-TR nella compilazione delle cartelle cliniche?
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Evoluzione di una diagnosi
Schizofrenia Evoluzione di una diagnosi
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LA PSICOSI Criteri diagnostici o modelli patogenetici?
modello diagnostico-pragmatico di Schneider modello teoretico-patogenetico di Bleuler Se vogliamo ancora avvalerci del concetto di schizofrenia è necessario mettere da parte la domanda “che cosa è la schizofrenia?” e più modestamente cercare di rispondere alla domanda “che cosa chiamiamo schizofrenia?”. M. Rossi Monti e G. Stanghellini,1999
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Sulla posizione schneideriana si allineano i principali sistemi diagnostici-statistici anglosassoni.
Un significativo progresso rispetto al considerare l'eredità bleuleriana e quella schneideriana come dissociate e non comunicanti tra loro è rappresentato dal vedere i sintomi di primo rango, come ad esempio la percezione delirante, non come fenomeni tutto o nulla, assenti o presenti, ma come il polo di un continuum lungo il quale la persona può muoversi in due sensi.
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Lo sviluppo della schizofrenia tra necessità e possibilità: fattori di rischio e di protezione (M. Morlino, 2002) Per fare diagnosi di schizofrenia, tra i due manuali vi è una notevole differenza sulla soglia temporale (6 mesi nel DSM IV TR e 1 mese nell‘ ICD 10): uno stesso soggetto potrebbe essere definito in maniera diversa a seconda del manuale in uso. Ma i limiti sugli attuali inquadramenti diagnostici sono numerosi e molto più articolati rispetto all'esempio citato (Orsucci, 1995; Maj, 1998; Jablensky, 1999; Amin et al, 1999; McGorry, 2000).
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Il DSM-IV evidenzia per la schizofrenia i criteri: Sintomatologici
Maj M. (1998) Critique of the DSM-IV operational diagnostic criteria for schizophrenia. British Journal of Psychiatry 172, Il DSM-IV evidenzia per la schizofrenia i criteri: Sintomatologici Cronologici Funzionali Criteri di esclusione Per ciascuno dei suddetti criteri sono state sollevate delle critiche
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Critica al criterio sintomatologico della schizofrenia :
Non caratterizza la schizofrenia come una sindrome I cluster di sintomi, benchè siano in linea con una definizione politetica, non sono caratteristici in maniera inequivocabile per la schizofrenia, sovrapponendosi ai sintomi ritrovati nel disturbo bipolare, demenza, delirium, depressione maggiore con sintomi psicotici A sintomi diversi viene attribuito lo stesso peso diagnostico Non è specificato il criterio secondo il quale una manifestazione clinica è da considerare sintomo (es: convinzioni strane per la diagnosi di schizofrenia residua)
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Sovrapposizione sintomatologica DSM:
MANIA DEMENZA Eloquio disorganizzato Comportamento disorganizzato SCHIZOFRENIA Disorganizzazione Deliri, Allucinazioni Alogia Deliri Eloquio disorganizzato Allucinazioni DEPRESSIONE CON SINT.PSICOTICI DELIRIUM Maj M. British Journal of Psychiatry (1998).
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Critica al criterio di cronologico DSM-IV:
Scarsa affidabilità perché richiede una valutazione clinica retrospettiva, difficile l’individuazione della soglia sintomatologia di sintomi come “percezioni inusuali” (test- retest relability r=0; Andreasen & Falum 1994) Divergenza rispetto a ICD-10 (6 mesi DSM vs 1 mese ICD) Maj M. British Journal of Psychiatry (1998).
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Critica al criterio di funzionale DSM-IV:
Vaga l’indicazione ”per un periodo di tempo significativo” => lascia la decisone all’arbitrio del clinico Assente in ICD-10 Maj M. British Journal of Psychiatry (1998).
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Critica ai criteri di esclusione DSM-IV:
Fondare una diagnosi sui criteri di esclusione pone la domanda se la sindrome ”schizofrenia” abbia un carattere proprio I sintomi del DSM-IV sono un cluster significativo per la schizofrenia? Tali sintomi raggruppano gli elementi essenziali della sindrome ma non sono descritti con sufficiente dettaglio e accuratezza. Maj M. British Journal of Psychiatry (1998).
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Alla ricerca di un paradigma della schizofrenia
Nessun paradigma è stato validato Kraepelin: il deterioramento finale non è richiesto per comprovare la diagnosi, criterio previsionale cronologico e funzionale Bleuler: è possibile porre diagnosi di schizofrenia anche in assenza dei sintomi fondamentali Schneider: anche se tutti i sintomi di primo rango sono presenti, se coesiste una sintomatologia affettiva si pone diagnosi di disturbo affettivo Sintomi positivi/negativi: tale paradigma che sembrava promettente non è stato validato in quanto si può porre diagnosi di schizofrenia anche in assenza dei sintomi positivi o negativi (Klimids et al, 1993) Bleuler,Kretschmer, Binswanger: autismo come elemento cardine della sindrome. Criterio ancora da validare. (Gundel et al 1993; Prnal et al, 1993) Maj M. British Journal of Psychiatry (1998).
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Il problema della Schizofrenia e del suo spettro
La multiformità delle manifestazioni sintomatologiche della schizofrenia, la variabilità del suo decorso hanno posto fin dagli inizi il problema se si trattasse di un’unica «malattia» o di un insieme di «malattie» che si manifestavano in modo simile a livello psicopatologico. Lo stesso Bleuler aveva intitolato la sua monografia «La demenza precoce o il gruppo delle schizofrenie» e specificava a proposito del nuovo nome proposto per la malattia: «... Per ragioni di convenienza io uso il termine al singolare benché sia evidente che il gruppo include diverse malattie... ».
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Variazione temporale dei criteri diagnostici della schizofrenia.
L’evoluzione temporale dei limiti diagnostici del disturbo schizofrenico mostra come da Emil Kraepelin fino ad oggi siano stati utilizzati successivamente criteri più o meno inclusivi. Nella nosografia attuale vi è la tendenza a utilizzare criteri nosografico-diagnostici relativamente ristretti.
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Modestin J. et al, Long-Term Course of Schizophrenic Illness: Bleuler’s Study Reconsidered (Am J Psychiatry 2003; 160:2202–2208) Disegno dello studio: 208 pazienti con diagnosi di Schizofrenia, seguiti personalmente per 20 anni da Manfred Bleuler. Valutazione a posteriori secondo diversi sistemi diagnostici: DSM-IV DSM-III-R ICD-10 the Research Diagnostic Criteria (RDC) Criteri di Schneider Versione operativa dei criteri di Eugen Bleuler (allentamento nessi associativi, autismo, ambivalenza, instabilità affettiva, frammentazione dell’ego)
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Diagnosi di Schizofrenia non confermata nel 30%del campione; alla maggior parte dei pazienti viene posta diagnosi di Disturbo Schizoaffettivo. Elevato tasso di concordanza diagnostica tra DSM-IV, DSM-III-R, ICD-10, RDC. Molto minore la concordanza diagnostica tra i criteri di Bleuler e quelli di Schneider.
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Concordanza diagnostica tra i vari sistemi classificatori (Kappa di Cohen)
Diagnosi assegnate secondo DSM e ICD ai casi precedentemente diagnosticati come schizofrenia secondo i criteri di Bleuler e Schneider
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Riassumendo: I moderni criteri diagnostici per la schizofrenia identificano un gruppo più omogeneo di pazienti Questo studio raccoglie dati antecedenti alla deistituzionalizzazione su ampia scala e l’introduzione di nuovi metodi terapeutici Bleuler utilizzò un concetto più ampio di schizofrenia: circa il 30% dei pazienti diagnosticati come schizofrenici non hanno ricevuto una conferma diagnostica secondo i nuovi sistemi classificatori
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Jansson L., Parnas J. Competing Definitions of Schizophrenia: What Can Be Learned From Polydiagnostic Studies? Schizophrenia Bulletin , 2006 Da quando è stato introdotto il concetto di schizofrenia sono state prodotte circa 40 definizioni. Dopo un secolo tale concetto pone ancora diversi interrogativi irrisolti e necessita di una definizione precisa nei sistemi diagnostici Approccio poli-diagnostico: applicare diversi criteri ad una categoria diagnostica per valutarne la concordanza e validità degli indicatori Review di più di 100 studi polidiagnostici dal 1972 al 2005
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Studi polidiagnostici a confronto:
Il modello di Feighner identifica meglio pz cronici che aumentano nelle prevalenze di questi studi I sintomi di primo rango di Schenider hanno rilevanza nelle classificazioni temporanee, risultano in un concetto inclusivo di schizofrenia, non sono buoni predittori di outcome Il DSM-III, rispetto ai DSM precedenti è risultato più inclusivo e indicativo di un outcome più favorevole, ma sembra escludere molti soggetti di sesso femminile con un buon outcome dalla diagnosi L’ICD-9 comparato con ICD-10 identifica meglio disturbi formali del pensiero I sintomi fondamentali di Bleuler sono risultati più centrali per la diagnosi che i sintomi di primo rango di Schneider
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Qual è il vero volto della schizofrenia?
Jansson L., Parnas J. Competing Definitions of Schizophrenia: What Can Be Learned From Polydiagnostic Studies? Schizophrenia Bulletin Advance, 2006 Qual è il vero volto della schizofrenia? I tratti autistici (Bleuler)? La compromissione della coscienza e la dissoluzione del sé (Kraepelin) I sintomi psicotici caratteristici (Schneider) Il deterioramento e la non-remissione (Feighner) Un costrutto multidimensionale (schizotaxia)
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Evoluzione di una diagnosi
Psicosi Acute Brevi Evoluzione di una diagnosi
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Disturbi Psicotici Acuti
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Disturbi sindromicamente indipendenti, quadri clinici con specifiche caratteristiche:
durata relativamente breve, spesso innescati da eventi stressanti di varia natura, che compaiono in soggetti senza caratteristiche premorbose di tipo schizoide o schizotipico e che hanno prognosi favorevole in quanto si risolvono in genere con una completa restitutio ad integrum. Bouffées Deliranti Acute, Psicosi Cicloidi, Psicosi Isteriche, Psicosi Atipiche Remittenti, Psicosi Degenerative Atipiche, Stati Crepuscolari Episodici, Disturbi Schizofreniformi, Psicosi Reattive Brevi, Reazioni Paranoidi.
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Nel DSM-IV le psicosi deliranti acute vengono inquadrate nel raggruppamento diagnostico definito come Schizofrenia e Altri Disturbi Psicotici. Tale modificazione nosologica conferisce alle psicosi deliranti acute una maggiore prossimità patogenetica alla Schizofrenia. Nell’ICD-10 le “Sindromi Psicotiche Acute e Transitorie” costituiscono un’entità clinica distinta dalla Schizofrenia.
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Disturbi schizofrenici Disturbi schizofrenici Disturbi schizofrenici
INQUADRAMENTO NOSOGRAFICO DELLE PSICOSI ACUTE BREVI Disturbi schizofrenici Disturbi Affettivi PAB Disturbi schizofrenici Disturbi Affettivi PAB Disturbi schizofrenici Disturbi Affettivi PAB E’possibile che un gruppo di PAB possa essere considerato nosograficamente separato dalle due grandi “psicosi classiche”
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Psicosi Acute Brevi (Disturbi deliranti acuti) Disturbo schizofreniforme
Coniato da Langfeldt, 1939 Nel DSM non indica uno specifico quadro clinico-nosografico di tipo delirante acuto quale quello descritto da Langfeldt
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DSM-IV: Criteri sintomatologici e di esclusione simili a schizofrenia, durata: 1-6 mesi, non è richiesto impairment sociale. La diagnosi di schizofrenia in ICD-10 richiede la presenza di sintomi per un mese, in ICD-10 molti casi di disturbo schizofreniforme vengono diagnosticati come schizofrenia. DSM-IV: possibilità di diagnosi provvisoria La stessa validità diagnostica del Disturbo Schizofreniforme appare quindi per molti aspetti limitata, essenzialmente per il carattere provvisorio della diagnosi, per la non differenziabilità clinica trasversale dalla Schizofrenia e per l’insufficienza di fattori di validazione anamnestici, di stato e prognostici.
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Disturbo Psicotico Breve Evoluzione della diagnosi
Concetto di psicosi reattiva: introdotto nel 1916 da Wimmer e successivamente perfezionato da Faegerman [1963], indica un gruppo di psicosi prive delle “tipiche” caratteristiche della schizofrenia o della psicosi maniaco-depressiva, con riconoscibile determinante reattivo e con completo ritorno allo stato precedente dopo un decorso molto rapido (“psicosi psicogene”). Studi di follow-up su pazienti diagnosticati affetti da psicosi reattiva hanno confermato la diagnosi iniziale in non più del 50% dei casi. Il passaggio dalla Psicosi Reattiva Breve del DSM-III-R al Disturbo Psicotico Breve del DSM-IV al rappresenta una reale evoluzione clinica e nosologica
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Disturbo Psicotico Breve
Sembra identificarsi molto da vicino con il concetto di disturbo schizofreniforme nella formulazione originaria di Langfeldt [1939], mentre dimostra un rapporto più lontano ed aspecifico con la descrizione dello stesso disturbo nei DSM. Anche la BDA di Ey [1954] presenta un rilevante grado di sovrapponibilità. Il Disturbo Psicotico Breve del DSM-IV la categoria diagnostica attuale più direttamente assimilabile alla PAB
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Bouffée Delirante Acuta (BDA)
Concetto tuttora ampiamente usato dalla psicopatologia francese per indicare quadri clinici simili alle psicosi schizofreniformi ed alle psicosi reattive. La BDA, nella descrizione classica di Ey [1954], è caratterizzata da inizio acuto e da intensa e polimorfa produzione delirante ed allucinatoria, con frequenti sintomi di depersonalizzazione. Caratteristiche specifiche della BDA: partecipazione emotiva intensa alle esperienze deliranti, con alterazioni mutevoli del tono dell’umore, particolare alterazione dello stato di coscienza che può assumere la natura dello “stato oniroide”. L’elemento reattivo ad eventi stressanti, anche se frequente, non è considerato essenziale per la diagnosi. Il decorso è acuto, con abituale remissione della sintomatologia, ma vi è anche la possibilità di un’evoluzione negativa con organizzazione cronica del delirio.
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Da un punto di vista nosografico, la scuola francese tende a considerare la BDA come un’entità autonoma, distinta dalla schizofrenia, anche se acuta, ma con caratteristiche “intermedie” tra la mania ed il delirium. -E’evidente la sua similarità sul piano clinico con i quadri del Disturbo Schizofreniforme, della Psicosi Reattiva Breve e del Disturbo Psicotico Breve. Le bouffèes deliranti acute si collocherebbero ad un livello intermedio tra il Disturbo Bipolare da un lato e deliri confuso onirici dall’altro
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Definizione delle Psicosi Acute Brevi
Psicosi Acute Brevi (P. Pancheri, G. Bersani,1999) Definizione delle Psicosi Acute Brevi Sia nella psicopatologia classica che in quella contemporanea esiste la tendenza concorde distinguere, almeno sul piano clinico, sia dalla schizofrenia che dai disturbi affettivi con manifestazioni psicotiche, un gruppo di disturbi psicotici acuti, relativamente omogenei per condizioni premorbose e caratteristiche psicopatologiche di stato, ma soprattutto per le modalità del decorso. E’ opportuno che il gruppo delle psicosi acute venga considerato sindromicamente omogeneo e che venga quindi trattato in modo indipendente.
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Psicosi Acute Brevi P. Pancheri, G. Bersani
– Assenza di caratteristiche preesistenti di personalità di tipo schizoide-schizotipico, con buon livello di adattamento premorboso; – Presenza di deliri, allucinazioni e disorganizzazione del pensiero; – Presenza di una rilevante componente affettiva; – Frequente (ma non costante) alterazione dello stato di coscienza; – Frequente (ma non costante) presenza di eventi stressanti; – Inizio acuto e decorso breve, con ritorno al precedente livello di funzionamento; – Buona risposta ai trattamenti e prognosi favorevole.
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Psicosi Acute Brevi
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-sensibilità/specificità
LE RICERCHE CONTEMPORANEE L’inclusione di nuovi criteri diagnostici prevede la loro validazione attraverso studi di: -inter-reliability -sensibilità/specificità
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Ramin M. et al, Clinical Characteristics, 4-Year Course, and DSM-IV Classification of Patients With Nonaffective Acute Remitting Psychosis Am J Psychiatry 2003; 160:2108–2115) Casistica 323 prime ammissioni Pazienti con Psicosi Acute Remittenti Non Affettive (esordio acuto entro le 2 settimane, remissione entro 6 mesi) e pazienti con Altre Psicosi Remittenti (esordio non acuto, remissione entro 6mesi)
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Ramin M. et al, Clinical Characteristics, 4-Year Course, and DSM-IV Classification of Patients With Nonaffective Acute Remitting PsychosisAm J Psychiatry 2003; 160:2108–2115 16 pazienti con Psicosi Acute Remittenti Non Affettive 46% remissione completa 6% dopo 24 mesi: diagnosi di Schizofrenia o dist. Schizoaffettivo 44% dopo 24 mesi: diagnosi di disturbo psicotico NAS F:M 1,7 26 pazienti con Altre Psicosi Remittenti 14% remissione completa 77% dopo 24 mesi: diagnosi di schizofrenia o dist. Schizoaffettivo 12% dopo 24 mesi: diagnosi di disturbo psicotico NAS F:M 0,7 Conclusioni: Le Psicosi Acute Remittenti Non Affettive sono un gruppo distinto, benchè non ben individuato dai criteri diagnostici. Studi più approfonditi potrebbero portare a chiarimenti nell’inquadramento diagnostico
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Le Psicosi Acute Remittenti Non Affettive hanno minori sintomi negativi rispetto ad altre psicosi remittenti (p<0.01) Sono un gruppo distinto dalla schizofrenia ad esordio acuto per durata e prognosi benigna Ramin M. et al, Am J Psy 2003
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Psicosi Acute Remittenti Non Affettive:
rapporto con sistemi diagnostici attuali ICD-10: psicosi acute transitorie, ma criteri temporali molto ristretti così molte PARNA non vengono diagnosticate secondo questo sistema classificatorio DSM-IV classifica le psicosi non affettive di breve durata in Disturbo schizofreniforme e Disturbo Psicotico Breve. Le psicosi che durano meno di 6 mesi ma non incontrano il criterio A per disturbo schizofreniforme vengono classificate con Disturbo psicotico NAS. Caratteri: predominanza femminile,decorso benigno, scarsi sintomi negativi; una buona parte di questi soggetti non è correttamente inquadrata dai sistemi nosografici attuali. Ramin M. et al, Am J Psy 2003
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ICD-10 Sindromi psicotiche acute transitorie:
Singh S. et al Acute and transient psychotic disorders: precursors, epidemiology, course and outcome, British Journal of Psychiatry 2004 ICD-10 Sindromi psicotiche acute transitorie: validazione della categoria diagnostica Criterio durata 2 sett .basato su ‘clinical reports and authorities’ (W H O, 1992). Sulla validità della durata alcuni autori hanno sollevato dei dubbi (Amin et al al, 1999; Sajith et al al, 2002; Marneros et al, 2003) Ci sono pochi studi su familiari, condizione premorbosa, decorso, outcome per validare una categoria diagnostica indipendente
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ICD-10 Sindromi psicotiche acute transitorie identifica un gruppo eterogeneo di disturbi, la diagnosi ha stabilità per il sesso femminile e non per quello maschile. L’outcome a 3 anni è migliore della schizofrenia e si avvicina a quello dei dist. affettivi Nelle psicosi non affettive hanno un carattere predittivo positivo: sesso femminile, buon funzionamento premorboso mentre non correla con esordio acuto e remissione rapida.
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Psicosi Acute Funzionali, evoluzione prognosi :
218 pz prima ospedalizzazione per psicosi funzionale (schizofrenia, psicosi transitorie/episodiche, disturbi deliranti, disturbi affettivi) Comparazione DSM-IV e ICD-10: alta concordanza diagnostica (K= 0.82) Valutazione decorso: Pz con psicosi transitorie/episodiche hanno mostrato un andamento cronico (ICD-10: 10%, DSM-IV: 15%) Pz con schizofrenia hanno mostrato un andamento non-cronico (ICD-10: 40%, DSM-IV: 33%). La diagnosi differenziale tra Psicosi transitorie e Schizofrenia non è individuata in maniera affidabile sia dal DSM-IV che dall’ ICD-10 Jager M et al. Psychopathology May-Jun;37(3):110-7Classification of functional psychoses and its implication for prognosis: comparison between ICD-10 and DSM-IV.
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Punti di forza delle classificazioni internazionali:
Conclusioni Punti di forza delle classificazioni internazionali: La definizione di schizofrenia dev’essere politetica piuttosto che monotetica, visto che nessun sintomo da solo è patognomonico per la diagnosi (Andreasen 1987) Valutazione multiassiale
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Conclusioni Le categorie diagnostiche della schizofrenia e delle psicosi acute non schizofreniche non individuano ancora in modo soddisfacente ed univoco le sindromi in esame in termini di inquadramento clinico, evoluzione, prognosi, capacità di orientare la ricerca dell’eziologia Approccio politetico Categorico/dimensionale Validazione (concordanza, interrater reliability, valore predittivo positivo) Ripresa di alcuni concetti della psicopatologia classica Importanza degli studi internazionali e del linguaggio condiviso Le categorie diagnostiche sono un costrutto che cerca di imbrigliare la realtà. Una cosa è il fenomeno, altra è la descrizione dello stesso
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